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| << | < | > | >> |IndicePARTE PRIMA. I clienti di Timo 11 PARTE SECONDA. Il padre di Sissv 99 PARTE TERZA. La donna alla finestra 195 |
| << | < | > | >> |Pagina 13Senza un avvenimento fortuito, il gesto di Frank Friedmaier avrebbe avuto quella notte un'importanza relativa. Evidentemente Frank non aveva previsto che il suo vicino di casa Gerhardt Holst sarebbe passato di là. Il fatto che Holst era invece passato e l'aveva riconosciuto cambiava tutto; ma Frank accettò sia il fatto sia le conseguenze. Ecco perché ciò che avvenne quella notte vicino al muro della conceria fu ben diverso, per il presente e per il futuro, da una perdita, poniamo, di verginità. A questo paragone Frank aveva pensato subito, e se ne era sentito divertito e contrariato al tempo stesso. Il suo amico Fred Kromer – è vero che Kromer aveva già ventidue anni – aveva ucciso un uomo una settimana prima, proprio uscendo da Timo, dove Frank si trovava qualche minuto prima di andare ad appiattarsi contro il muro della conceria. Ma poteva davvero contare, il morto di Kromer? Kromer si dirigeva verso la porta abbottonandosi la pelliccia, con la solita aria d'importanza, un grosso sigaro ficcato tra le labbra carnose. Luccicava. Kromer luccicava sempre. Aveva una pelle spessa come quella di certe arance, una pelle che pareva sempre in traspirazione. Qualcuno l'aveva paragonato a un torello che non trova sfogo; ed effettivamente quel suo viso spesso e lucido, gli occhi acquosi e le labbra tumide non potevano che richiamare un'idea di sensualità. Un individuo piccolo, magro e dall'aspetto febbricitante come se ne vedono molti, specie di notte, gli aveva stupidamente sbarrato la strada – non si sarebbe creduto, a vederlo, che avesse in tasca il denaro sufficiente per andare a fare una bevuta da Timo – e aveva cominciato a fare la voce grossa, aggrappandosi al suo collo di pelliccia. Che cosa mai gli aveva venduto, Kromer, di cui non era rimasto contento? Kromer aveva tirato di lungo, molto dignitosamente, aspirando grandi boccate dal sigaro. L'altro, l'omino macilento, forse perché era in compagnia di una donna sulla quale voleva far colpo, l'aveva seguito sul marciapiede dove si era messo a sbraitare. Nella strada di Timo la gente non si meraviglia troppo di sentir gridare. Le pattuglie di polizia vi passano il più raramente possibile; comunque, se un'auto di poliziotti si fosse trovata a transitare nei paraggi, non avrebbe potuto fare a meno di intervenire. Levati dai piedi! » aveva detto Kromer al nanerottolo, che aveva una testa troppo grossa rispetto al corpo e una zazzera di un rosso acceso. «Non prima che tu abbia ascoltato quello che ho da dirti... ». Se uno dovesse ascoltare tutto quello che la gente ha da dirgli starebbe fresco! «Levati dai piedi!...». Forse il rosso aveva alzato un po' troppo il gomito? Aveva l'aria di uno che prende la droga... Che fosse Kromer a fornirgliela, e gliel'avesse fornita troppo tagliata? Mah... In mezzo al passaggio, nero tra due alte sponde di neve, Kromer si era tolto di bocca il sigaro con la sinistra e l'aveva colpito col pugno destro, una sola volta. Si erano viste allora due braccia e due gambe letteralmente proiettate in aria come quelle di una marionetta, poi la forma nera era andata a incastrarsi nel cumulo di neve che fiancheggiava il marciapiede. E la cosa più strana è che proprio accanto alla testa del caduto c'era una buccia d'arancia, che certo non si sarebbe potuta trovare in nessun altro punto della città, salvo che di fronte a Timo. Timo era uscito senza giacca e senza berretto, così come stava dietro il banco del bar, e aveva tastato la marionetta sporgendo un po' il labbro inferiore. «Ha avuto il fatto suo» aveva brontolato. «Tra meno di un'ora sarà stecchito». Ma Kromer ha davvero ucciso il rosso con un pugno? Lui lo lascia pensare. Del resto quel tizio non lo smentirà perché, su consiglio di Timo che non perde mai tempo, è stato gettato, duecento metri più in là, nel vecchio bacino proprio nel punto in cui vi sboccano le fognature impedendo all'acqua di gelare. Kromer può dunque vantarsi di aver ucciso il suo uomo. Anche se in parte c'entra Timo, anche se la marionetta, che ancora una volta si era dovuto lanciare in aria per farle scavalcare un muretto di mattoni, non era proprio morta. La prova che Kromer non considera quella un'impresa seria è che continua a raccontare la storia della ragazza strangolata. Un fatto che però non era accaduto in città, e nemmeno in un luogo che gli altri conoscevano. Prove non ce ne sono. A questa stregua, ognuno può vantarsi di tutto quello che vuole. «Aveva un paio di tette grosse così, un naso che quasi non si vedeva e gli occhi azzurri... » dice. Questa versione non è mai stata sostanzialmente modificata; ma ogni volta Kromer aggiunge qualche particolare. «E stato in un fienile... ». Bene. Ma che diamine ci faceva Kromer in un fienile, lui che non è mai stato sotto le armi e che detesta la campagna? «Avevamo fatto l'amore sulla paglia, e per tutto il tempo dei fuscelli mi avevano solleticato mettendomi di cattivo umore... ». Kromer racconta la storia succhiando il sigaro e guardando fisso davanti a sé, con aria assente, quasi per modestia. E c'è un particolare che non cambia mai: una frase della donna: «Spero che tu mi stia facendo fare un bambino». A sentir lui era stata quella frase a fargli perdere il controllo, tanto gli era parsa grottesca e inaccettabile l'idea di avere un bambino da quella ragazza sudicia e ignorante, che lui stava lavorando come fosse pasta di pane. «Assolutamente i-nac-cet-ta-bi-le!». E il fatto che diventava sempre più tenera e appiccicosa... E poi gli accadeva, senza nemmeno bisogno di chiudere gli occhi, di vedere una testa mostruosa, pallida e bionda, senza lineamenti, la testa del figlio che avrebbe avuto da lei. Forse perché Kromer era bruno e saldo come una pianta? «Una cosa che mi ha disgustato» conclude scuotendo la cenere dal sigaro. È un furbo. Conosce i gesti più opportuni. Sa trovare gli atteggiamenti per rendersi interessante. «Ho pensato che fosse più sicuro strozzare la madre. Era la prima volta... Be', è facilissimo. Per niente impressionante». Mancava soltanto Kromer. Chi, tra la clientela di Timo, non ha ammazzato almeno un uomo? In guerra o in altro modo... O con una denuncia, che è il metodo più semplice: non c'è nemmeno bisogno di firmarla col proprio nome. Timo, che però non se ne vanta, deve averne uccisi un mucchio, altrimenti il Comando d'occupazione non lascerebbe aperto tutta la notte il suo locale senza venire a vedere quello che vi accade. Anche se le persiane sono sempre chiuse, anche se bisogna passare dal vialetto e farsi riconoscere attraverso la porta, il Comando non è tanto ingenuo da ignorarlo. E allora? Per Frank lo sverginamento, quello vero, di qualche tempo prima, non ha avuto grande importanza: si era trovato nell'ambiente propizio. Per altri si tratta di una storia che a distanza di anni raccontano ancora con qualche aggiunta di fantasia, come Kromer con la ragazza strangolata nel fienile. Che a diciannove anni Frank uccida il suo primo uomo è uno sverginamento appena più impressionante del primo. E, come il primo, non è stato premeditato: è successo, così... Ci sono momenti, si direbbe, in cui è indispensabile e naturale prendere una decisione che, in realtà, è già stata presa da tempo. Nessuno ve l'ha spinto. Nessuno l'ha preso in giro. D'altronde, solo gli imbecilli si lasciano suggestionare dai compagni. Erano settimane, forse mesi, che diceva a se stesso, sentendosi quasi in condizione di inferiorità: «Bisognerà che provi... ». Ma non in una rissa: non era nel suo carattere. Nella sua mente, perché la cosa contasse occorreva che fosse compiuta a freddo. E l'occasione si è appena presentata. O forse gli è sembrata quella l'occasione perché lui stava all'erta? Erano da Timo, seduti al solito tavolino vicino al banco. C'era Kromer, con la pelliccia che lui tiene sulle spalle anche nei locali surriscaldati. E il sigaro, naturalmente. E la pelle lucida. E i grossi occhi che hanno davvero qualcosa di bovino. Kromer deve proprio credersi diverso da tutti gli altri, perché non si prende nemmeno il disturbo di sistemare in un portafoglio le banconote di grosso taglio, ma se le caccia a mazzi nelle tasche, tutte spiegazzate. In compagnia di Kromer c'era un tale che Frank non conosceva, un individuo d'altro ambiente, che subito aveva detto a mo' di presentazione: «Mi chiami Berg». Doveva avere almeno quarant'anni. Freddo, riservato. Qualcuno. Prova ne era che Kromer si comportava quasi con umiltà davanti a lui. Gli aveva raccontato la storia della ragazza strangolata, ma senza insistervi troppo, con l'aria di chi racconta un fatterello insignificante, una barzelletta qualunque, così, tanto per dire qualcosa. «Guarda, Frank, il coltello che mi ha appena regalato il mio amico». Come un gioiello che ci guadagna quando è tolto dal suo ricco scrigno, anche il coltello si faceva più prestigioso, estratto di sotto la calda pelliccia ed esposto all'ammirazione sulla tovaglia a scacchi del tavolino. «Senti che filo». | << | < | > | >> |Pagina 47Frank era entrato soltanto per non essere costretto ad aspettare in strada, ma quei posti non gli piacevano. Si scendeva un paio di gradini e si trovava un pavimento lastricato come quelli delle chiese; soffitto a travi, pareti con un alto zoccolo di legno, un banco di legno tutto intagliato, tavoli pesanti e massicci. Frank conosceva di nome e di vista il padrone, Kamp, e anche Kamp doveva conoscere lui. Era un ometto pelato, calmo e cortese, sempre in pantofole. Si capiva che un tempo era stato robusto, ma ora la pancia cominciava a farglisi gelatinosa e i calzoni diventavano troppo larghi. In locali di quel genere, che rispettano i regolamenti o fingono di rispettarli, perlomeno con i clienti di passaggio, è molto se si trova da bere una pessima birra. Si ha sempre l'impressione di dar fastidio. Da Kamp siedono in permanenza quattro o cinque clienti abituali, vecchi del rione, che fumano lunghe pipe di porcellana o di schiuma, e tacciono di colpo quando entra un estraneo. E in silenzio rimangono per tutto il tempo che l'estraneo sta lì, immobili e pazienti, e lo fissano seguitando a fumare. Frank porta un paio di scarpe nuove a doppia suola di vero cuoio; ha un cappotto caldo e uno qualunque di quei vecchi ci vivrebbe un mese, famiglia compresa, con ciò che costano i suoi guanti di pelle foderati. Spia l'arrivo di Holst attraverso i piccoli riquadri della finestra. Proprio per Holst è uscito, proprio perché ha una gran voglia di vederlo in faccia. Siccome il manovratore la sera prima è rincasato a mezzanotte, ed era lunedì, oggi uscirà di casa verso le due e mezzo per essere al deposito alle tre. Di che cosa mai chiacchieravano i vecchi quando Frank è entrato? In fondo non gli interessa. Uno fa il ciabattino e ha una botteguccia un po' più in là nella strada, ma adesso, per mancanza di materia prima, non lavora quasi più. Certo in quel momento sta sbirciando e valutando mentalmente le scarpe di Frank, indignandosi perché il giovanotto non si prende nemmeno la briga di proteggerle con le soprascarpe. In realtà ci sono posti dove si può andare e posti dove è più conveniente non mettere piede. Timo, per esempio, è il suo posto. Qui no. Qui, chissà che cosa diranno di lui quando sarà uscito. Anche Holst dev'essere un grasso smagrito. Gli uomini di questo tipo formano una specie di razza a parte, che si riconosce a colpo d'occhio. Hamling, prendiamo Hamling, è corpulento, ma si vede che è sodo. Holst, molto più alto, con spalle che un tempo dovevano essere larghe, ha una linea flaccida. E non sono soltanto gli abiti ormai consunti a pendere: anche la pelle si è fatta troppo larga, c'è da pensare che sia tutta pieghe. Del resto, anche sulla faccia si vedono le pieghe. Fin dall'inizio degli eventi bellici - a quei tempi aveva appena quindici anni - Frank ha provato sempre un certo disprezzo per la miseria e per coloro che vi si abbandonano. Meglio ancora, un senso di rivolta, di ripugnanza. Anche per le ragazze che vengono da sua madre, magre e troppo bianche, e che si gettano a tuffo sul cibo. Ci sono quelle che piangono di commozione, si riempiono il piatto e poi non sono capaci di mandare giù tutto. La via del tram è bianca e nera, e la neve è più sudicia che altrove. Fin dove si spinge lo sguardo i binari, scuri e lucenti, sottolineano la sfilata delle case, formando una curva dove le due vie confluiscono. Il cielo è basso, eccessivamente chiaro, con quella luminosità che dà più malinconia del grigiore deciso. Livido e traslucido, quel bianco ha qualcosa di minaccioso, di definitivo, di eterno; i colori si fanno duri e maligni, il bruno e il giallo sporco delle case, per esempio, e il rosso cupo del tram che sembra galleggiare nell'aria e voler salire sul marciapiede. E di fronte al locale di Kamp si allunga la misera coda davanti al negozio del trippaio, donne con lo scialle e ragazzine dalle gambette gracili che battono ritmicamente a terra gli zoccoli di legno per riscaldarsi. «Quant'è?». Frank paga. Una cifra irrisoria. Dà quasi fastidio doversi sbottonare il cappotto per così poco. In quei caffè i prezzi sono ridicolmente bassi. È vero che in fondo ti danno per quello che paghi. Holst è fermo sull'orlo del marciapiede, grigio, col suo lungo cappotto sformato, il passamontagna e i famosi stivali stretti ai polpacci con lo spago. In altri tempi, in altri luoghi, la gente si sarebbe fermata a guardarlo, conciato in modo così buffo, certo coi giornali sotto i vestiti per tenersi caldo, e con quel barattolo di alluminio che stringe sotto il braccio come un oggetto prezioso. Che mai può esserci, là dentro, da mangiare? Frank gli si avvicina, come se anche lui fosse in attesa del tram. Passeggia su e giù: una decina di volte viene a trovarsi a faccia a faccia con Holst e lo guarda dritto in viso, traendo sbuffi di fumo dalla sigaretta. Se avesse gettato via la cicca, chissà se il padre di Sissy si sarebbe chinato a raccoglierla? Forse non di fronte a lui, non foss'altro per rispetto umano, sebbene in città parecchi lo facciano, e non sono né mendicanti né operai. Non ha mai visto fumare Holst. Avrà fumato un tempo? Stizzito, Frank si sente una specie di cagnetto rabbioso che cerca invano di attirare l'attenzione. Ronza attorno alla lunga figura grigia e l'altro, immobile, ha l'aria di non accorgersi della sua presenza. Eppure quella notte Holst l'ha visto nel vicolo. È certo informato della morte del sottufficiale. Sa anche – non c'è su questo il minimo dubbio, perché il portinaio ha fatto entrare nella sua guardiola a uno a uno tutti gli inquilini – che è stato arrestato il violinista del primo piano. E allora, perché non batte ciglio? Quasi quasi sarebbe il caso di rivolgergli la parola, per sfida. Frank ci si sarebbe forse deciso, con una frase qualunque, se il tram rosso cupo non fosse in quel momento sopraggiunto col suo abituale fracasso. Frank non salirà, non ha niente da fare in città a quell'ora. Voleva semplicemente vedere Holst, e ha avuto agio di vederlo. Holst, che si è installato sulla piattaforma anteriore, al momento della partenza si volta e si sporge, non per guardare lui, Frank, ma per gettare un'ultima occhiata alla sua casa, alla sua finestra, dove si indovina il bianco di un viso nel varco delle tendine. Padre e figlia si danno così l'arrivederci. Partito il tram la figlia rimane alla finestra, perché Frank è in strada. E Frank prende un'improvvisa decisione. Evita di alzare gli occhi, rientra in casa, sale senza fretta i tre piani e, un po' turbato, bussa alla porta proprio in faccia a quella di Lotte. Non ha preparato niente, non ha idea di quello che dirà. Ha soltanto deciso di mettere subito il piede contro lo stipite per impedire alla ragazza di richiudere. Ma Sissy non richiude, lo fissa sorpresa, mentre lui è sorpreso quasi quanto lei di trovarsi lì. Sorride, Frank, cosa che non gli capita spesso: di solito invece aggrotta le sopracciglia e guarda con durezza davanti a sé anche quando è solo; oppure prende un'aria così indifferente che chi gli sta di fronte ne è quasi raggelato. «Eppure,» gli dice Lotte «quando sorridi non ti si può rifiutare niente. Ti è rimasto il sorriso di quando avevi due anni». Non è intenzionale, adesso, il suo sorriso. Sorride perché è imbarazzato. Non riesce a vedere bene Sissy, che è controluce, ma su un tavolo accanto alla finestra scorge alcuni piattini, pennelli e vasetti di colori. Entra senza parlare, perché non può fare diversamente. Senza più pensare a scusarsi o a esporre il motivo della visita, si informa: «Lei dipinge?». «Faccio decorazioni su ceramica. Devo pur aiutare mio padre». Frank ha visto quei piattini, quelle tazze, quei portacenere, quei candelieri sedicenti artistici in certi negozi del centro. Li comprano soprattutto i soldati delle truppe d'occupazione, per ricordo. Vi sono dipinti fiori, o una contadina in costume, o il campanile della cattedrale.
Ma perché lei continua a guardarlo? Se non lo
guardasse così, il suo compito sarebbe facilitato; e
invece se lo divora con gli occhi, e con tanta innocenza da metterlo ancor più
in soggezione.
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