Autore Georges Simenon
Titolo Il pensionante
EdizioneAdelphi, Milano, 2015, Biblioteca 631 , pag. 168, cop.fle., dim. 14x22x1,2 cm , Isbn 978-88-459-2958-8
OriginaleLe locataire [1934]
TraduttoreLaura Frausin Guarino
LettoreMargherita Cena, 2015
Classe narrativa francese












 

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Pagina 9

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«Chiudi la finestra!» gemette Élie tirandosi la coperta fino al mento. «Sei impazzita?».

«C'è puzza di malato, qui» ribatté Sylvie ergendosi, nuda, tra il letto e la finestra grigia. «Quanto hai sudato stanotte!».

Lui tirò su col naso e raggomitolò il corpo magro, mentre la donna entrava nella luce calda della stanza da bagno e faceva scrosciare l'acqua della vasca. Per qualche minuto era inutile parlare perché il fracasso che usciva dai rubinetti copriva ogni altro rumore. Tenendo aperto un solo occhio, Élie guardava ora la finestra, ora la stanza da bagno. La finestra era fredda, di un biancore maligno. Quelli che si erano alzati presto dovevano aver visto cadere la neve. Ma adesso erano le undici e niente cadeva più dal cielo giallastro che incombeva sui tetti di Bruxelles. Lungo il boulevard du Jardin Botanique i lampioni erano ancora accesi, e così pure le luci delle vetrine.

Dal letto, Élie poteva vedere il viale nero e luccicante dove si snodava una lunga carovana di tram. Vedeva anche il giardino botanico e le pozze più ostinate di neve, lo stagno mezzo gelato e tre cigni immobili in un rimasuglio di acqua scura.

«Non ti alzi?».

«Sto male!».

Eppure erano rimasti al Merry Grill fino alle tre del mattino, anche se, per la verità, Élie aveva il naso tumefatto a forza di soffiarselo e da un pezzo insisteva per rientrare. Aveva un brutto raffreddore, forse un'influenza o una bronchite. Con la pelle madida di sudore, si sentiva indifeso in un universo ostile.

«Sylvie! La finestra...».

Dopo aver chiuso i rubinetti, lei attraversò la camera. Lo specchio del bagno era appannato.

«Secondo me, Van der Coso dorme ancora della grossa! Č buffo, non ti pare, che stia qui al Palace anche lui, e proprio nella camera accanto?».

Élie Nagéar non era disposto a trovare buffo proprio niente. Borbottò:

«So benissimo che è stato per lui che mi hai fatto restare in piedi fino alle tre!».

«Imbecille!».

E invece era proprio così, ma meglio lasciar perdere.

Al Merry Grill, fatta eccezione per le entraineuse sedute davanti ai bicchieri vuoti, non c'era quasi nessuno. Anche l'orchestra batteva la fiacca e Sylvie sbadigliava. Ma l'arrivo di un grosso olandese, scortato da due belgi, aveva ravvivato l'atmosfera.

L'olandese voleva divertirsi. Rideva in modo fragoroso, quasi infantile. Dopo pochi minuti al suo tavolo erano già sedute quattro donne, e subito erano comparsi lo champagne, le sigarette pregiate e i sigari avana.

Sylvie, che era al bar con Élie, non staccava gli occhi da quel gruppo chiassoso.

«Se stai male, vattene a letto!».

Lui non era geloso e tuttavia era rimasto, forse per farle dispetto.

«Ti interessa quel Van der Coso?».

Era il nome che Sylvie aveva dato all'olandese, così, tanto per dargliene uno. Vedere altre donne far baldoria mentre lei beveva un gin fizz la irritava al massimo. E le trovava anche brutte.

«Andiamocene!».

E proprio mentre attraversavano la hall del Palace per raggiungere il loro appartamento, avevano visto Van der Coso che rientrava anche lui. Non avevano neanche saputo trattenerlo, quelle lì! Se ne tornava tutto solo! Nell'ascensore, aveva piantato gli occhi addosso a Sylvie manifestando un lusinghiero stupore.

E lei doveva dividere il letto con Élie Nagéar, che sudava, aveva il naso tumefatto, gli occhi rossi e neanche più il becco di un quattrino!

«Che cosa esci a fare a quest'ora?».

«Non lo so» rispose lei infilandosi le calze. «In ogni caso, devi darmi dei soldi».

«Non ne ho!».

Fino a quel momento, solo il bagno era illuminato e la camera restava come avvolta in un pulviscolo grigio. Agganciate le calze alle giarrettiere nere del bustino, Sylvie accese la luce e il paesaggio che si delineava nel riquadro della finestra sfumò fino a cancellarsi quasi del tutto.

Nello stesso istante, la stanza assunse un aspetto lussuoso. Sulla toeletta, fra le lampade dagli abatjour di seta rosa, scintillavano le boccette dai tappi d'argento e i cristalli del nécessaire per il bagno. I seni nudi di Sylvie sparirono sotto un'impalpabile sottoveste.

«Ti resterà pure qualche centinaio di franchi...».

«Puoi sempre vendere il tuo lingotto d'oro» grugnì lui soffiandosi il naso – gesto che compì con infinite precauzioni tanto era doloroso il contatto del fazzoletto con la pelle infiammata.

«Non ci penso proprio a venderlo, cosa credi?».

Lui non credeva niente. Non s'immaginava niente. Sudava. Il suo letto puzzava di sudore, il pigiama gli s'incollava alla pelle e la luce gli faceva male agli occhi.

Aveva incontrato Sylvie a bordo della Théophile Gautier due settimane prima. Lei tornava dal Cairo, dove probabilmente aveva fatto l'entraineuse in un locale notturno; lui andava da Istanbul a Bruxelles per cercar di concludere un affare: doveva vendere certi tappeti, del valore di un milione, che erano fermi alla dogana.

I tappeti non erano suoi. Quell'affare si trascinava da mesi, e se n'erano occupati venti intermediari, a Pera, ad Atene e persino a Parigi, tanto che non si sapeva più di preciso a chi appartenesse la merce e quale fosse la parte di ciascuno.

Élie Nagéar si era fatto avanti sostenendo di avere delle conoscenze a Bruxelles, e si era mostrato così convincente da ottenere un anticipo sulla sua commissione.

L'accordo era che se avesse venduto i tappeti, gli sarebbero spettati duecentomila franchi!

Sylvie viaggiava in seconda classe. Fin dal primo giorno aveva avuto intorno quattro o cinque uomini e la sera restava sul ponte fino alle due o le tre del mattino.

Chi le aveva pagato il supplemento per viaggiare in prima? In ogni caso, non era stato Nagéar che, fino a quel momento, non poteva vantare alcun tipo di intimità con lei. Ci era riuscito solo prima dell'arrivo a Napoli, quando Sylvie gli aveva confessato che il suo biglietto era valido fino a quel porto e non oltre.

Da Napoli a Marsiglia aveva pagato lui. L'aveva portata a Parigi, poi a Bruxelles. Ci stavano da tre giorni e già Élie aveva visto sfumare anche le ultime speranze di vendere i tappeti.

Per di più stava male e gli restavano in tasca meno di mille franchi. Tenendo un occhio sotto la coperta, con l'altro fissava Sylvie che si passava il rossetto sulle labbra.

«Vorrei proprio sapere che diavolo vai a fare a quest'ora!».

«Sono fatti miei».

«Magari vuoi incontrare Van der Coso!».

«Perché no?».

Non era più geloso. A bordo sì, lo era stato, perché gli uomini scommettevano su chi se la sarebbe portata a letto, e perché tutti i passeggeri erano al corrente, ora per ora, di ogni sua mossa.

Adesso la conosceva troppo bene. L'aveva vista a letto, al mattino, quando le lentiggini sotto gli occhi erano più visibili e i lineamenti grossolani rivelavano la sua origine plebea.

«Dammi dei soldi» disse Sylvie, tirandosi il vestito stretto lungo i fianchi.

Lui rimase immobile, anche quando lei prese il suo portafoglio dalla tasca della giacca. La vide contare quattro, cinque, sei banconote da cento franchi e infilarle nella borsetta. I tram salivano e scendevano in continuazione lungo il boulevard du Jardin Botanique con il loro grosso fanale acceso.

«Vuoi che ti faccia portare su qualcosa?».

Poi si girò verso di lui, sorpresa.

«Be'? Non rispondi? Che idiota!...».

Nossignore, non rispondeva! La guardava con un occhio solo e lei era indispettita di non sapere che cosa gli passava per la testa.

«A stasera...».

Élie non si mosse. Lei si gettò una pelliccia sulle spalle.

«Non potresti salutarmi?».

Spense la luce in bagno, cercò i guanti e lanciò un'occhiata al panorama desolato del giardino botanico.

«Arràngiati!».

Neanche lui era più lo stesso! A bordo della Théophile Gautier aveva un aspetto fresco, elegante. Era un giovanotto di trentacinque anni, molto snello, con i capelli neri, il naso un po' pronunciato.

«Sei turco?».

«No, sono di origini portoghesi».

Era spiritoso, o meglio: sfoggiava un irresistibile cinismo. Quando lei gli aveva detto di essere una ballerina, le aveva chiesto in quale locale del Cairo avesse lavorato.

«Al Tabarin!».

«Mille franchi al mese e la percentuale sullo champagne» aveva sentenziato lui.

Era proprio così! Élie conosceva Il Cairo, e conosceva Bucarest dove lei era rimasta due mesi con un contratto al Maxim. Le parlava di persone con le quali lei aveva fatto baldoria.

«Sei ricco?».

«Incasserò duecentomila franchi al mio arrivo a Bruxelles».

Macché! Niente da fare! Ed era malato! Era depresso! Era brutto!

«A stasera...».

Sylvie era uscita lasciando tutta la sua roba nella stanza. Passando davanti alla porta di Van der Coso, vi gettò un'occhiata e vide un fascio di giornali olandesi che spuntavano dalla cassetta delle lettere.

Élie non pensava a lei. Guardava il soffitto, poi la finestra, poi le lampade spente. Si soffiava il naso con la massima cautela tanto quell'operazione era diventata dolorosa. Sentiva le gocce di sudore stillare lentamente dalla pelle e colargli lungo il corpo.

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