Autore Georges Simenon
Titolo Il sorcio
EdizioneAdelphi, Milano, 2017, Biblioteca 668 , pag. 158, cop.fle., dim. 14x22x1,2 cm , Isbn 978-88-459-3171-0
OriginaleMonsieur La Souris [1938]
TraduttoreSimona Mambrini
LettoreAngela Razzini, 2017
Classe narrativa francese , gialli












 

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Indice


1. I silenzi dell'ispettore Scorbutico               11

2. La foto nella bombetta                            27

3. Frédéric Müller e Dora l'ungherese                43

4. La contabilità spicciola di un grande finanziere  59

5. Martin Oosting, di Basilea                        74

6. I due errori dell'ispettore Lognon                91

7. A fuoco lento                                    107

8. La notte al telefono                             123

9. Le peregrinazioni della signora Lognon           139


 

 

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Pagina 11

1
I SILENZI DELL'ISPETTORE SCORBUTICO



Erano appena passate le undici e dieci quando la porta del commissariato si aprì. I due agenti che giocavano a dama alzarono la testa. Anche il brigadiere che fumava la pipa dietro il bancone di legno nero si drizzò, ma tutti, ancor prima di aver visto in faccia il nuovo arrivato, capirono di chi si trattava sentendo una voce ben nota che protestava:

«Le ripeto, giovanotto, che non c'è bisogno di spingere! Lei non sa con chi ha a che fare! To'! È di servizio proprio il mio brigadiere!».

Il turno di giorno stava per finire. Nel giro di tre quarti d'ora sarebbero subentrati quelli che facevano la notte. Il brigadiere, un omone corpulento, si era sbottonato la giubba e l'ispettore Lognon, in borghese, seguiva con sguardo spento la partita a dama.

Dalle otto cadeva una pioggia torrenziale, una di quelle piogge persistenti che sembrano bagnare uomini e cose più delle altre, come spesso accade al termine di una tiepida giornata primaverile. All'Opéra c'era una serata di gala. Lo si capiva dal gran numero di auto e soprattutto di autisti in livrea che si sentivano chiacchierare sul marciapiede.

In compenso, nessun poliziotto del commissariato, che pur si trovava nello stesso edificio dell'Opéra, sapeva cosa ci fosse in cartellone.

Quello che contava invece era che aveva piovuto e continuava a piovere, che gli agenti rientravano con la mantellina grondante e, come sempre accadeva quando il fondo stradale era scivoloso, ben tre incidenti si erano verificati solo su boulevard des Italiens.

D'altra parte, c'erano anche meno ambulanti in circolazione: solo una fioraia, appena portata in commissariato, e che in quel momento, seduta accanto alla sua cesta, lavorava ai ferri una calzetta da bambino di lana azzurra.

Insomma, una serata come tante. Il brigadiere annotava senza fretta gli incidenti in un librone nero che avrebbe dato in consegna al collega del turno di notte.

Il vecchio arrivava al momento giusto.

«Brigadiere, le dispiace dire a questo giovanotto che non si tratta così un anziano signore come il Sorcio...».

L'agente che l'aveva scortato non lo mollava. Lo teneva per la spalla, o meglio, aveva afferrato per la spalla la giacca e pareva sorreggere il vecchietto come un burattino. Era un giovane poliziotto biondo e roseo, dall'aspetto fresco e implume. Il brigadiere borbottò:

«Lo lasci andare, Bonvoisin!».

Cogliendo una punta di severità nella sua voce il Sorcio gongolò:

«Sentito? È da place de la Madeleine che continuo a ripeterglielo!».

Si sistemò la giacca cascante e, scorgendo l'ispettore Lognon, gli rivolse una strizzatina d'occhio.

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2
LA FOTO NELLA BOMBETTA



A destare di soprassalto il Sorcio fu la certezza, che lo colse attraversando il sonno, di non aver sognato. Nel momento in cui ebbe tale certezza, aprì gli occhi e si rese conto da un insieme di sensazioni sgradevoli che la sera prima aveva bevuto troppo vino rosso.

Pazienza! A fatica, si tirò su a sedere sul pancaccio di legno, guardò un istante il giovane che gli dormiva accanto con la bocca aperta, e cercò di riconoscere le donne della gabbia di fronte attraverso l'inferriata.

L'odore non gli dava nessun fastidio: ci era abituato. Dovevano essere all'incirca le sei del mattino, perché un raggio di sole, che entrava da un lucernario rischiarando il grigiore del commissariato, gli ricordò l' Annunciazione della chiesa di Bischwiller, il dipinto che stava sopra l'altare maggiore.

Come tutte le mattine si grattò i piedi, e più ci rifletteva, più era certo di aver visto in sogno l'ispettore Lognon.

Lì per lì aveva stentato a crederlo. Si poteva dire che da ventiquattr'ore viveva praticamente faccia a faccia con l'immagine dell'ispettore Scorbutico. Non c'era troppo da meravigliarsi, quindi, che il suo viso ossuto dalle sopracciglia folte lo perseguitasse anche di notte.

Al momento, il Sorcio rammentava di aver aperto leggermente le palpebre pesanti, con la confusa sensazione di dover fare uno sforzo per svegliarsi, ma gli era mancato il coraggio.

Gli balenò in testa un altro pensiero, si voltò e corrugò la fronte constatando che il suo cappello era scomparso.

Ben gli stava! Era colpa sua! E non soltanto del vino rosso!

Come gli succedeva ogni volta che stava per commettere una sciocchezza, il giorno prima verso le cinque o le sei aveva avuto un presentimento e, come ogni volta, non ci aveva fatto caso. Si considerava troppo furbo, ovvio!

Era difficile spiegare come avesse avuto la certezza che Lognon lo tenesse d'occhio. Sono cose che si sentono. Per esempio, verso mezzogiorno, quando finalmente era riuscito a scovare il portafogli sotto i tulipani di cours la Reine, era sicuro che nessuno lo avesse visto. Lognon non si era ancora messo a caccia!

Il Sorcio era stato a un passo dal cedere alla tentazione di prendere la banconota da cento franchi. Eh no! Tutti sapevano chi era! Non avrebbe fatto in tempo a cambiarla che la voce si sarebbe sparsa negli interi VIII e IX arrondissement, tra l'Etoile, l'Opéra e faubourg Montmartre.

Se un divo del cinema non passa inosservato per la strada, ancora meno uno come il Sorcio! Nei quartieri che bazzica è noto a tutti gli agenti. Lo conoscono persino le prostitute e, in generale, quelli che frequentano i commissariati. Gente che quando si incontra si saluta. La sera, al suo arrivo in commissariato, c'è sempre una guardia che immancabilmente gli dice:

«Che cosa combinavi, alle tre, all'angolo di rue Boissy-d'Anglas?».

Non li aveva presi i cento franchi! Fin lì era stato prudente, e anche dopo. Si era limitato a sfilare la fotografia dal portafogli e dietro, per ricordarselo, aveva scritto a matita il nome che c'era sulla busta: «Sir Archibald Landsburry».

Il tempo era meraviglioso. Il Sorcio avrebbe potuto schiacciare un pisolino sulle rive della Senna, cullato dall'ansimare di una gru che scaricava blocchi di pietra da taglio, ma non l'aveva fatto.

Dal portafogli aveva estratto inoltre i tre biglietti rossi, che non erano del cinema ma del luna park.

Zoppicando con aria indifferente rifletteva a fondo e dapprima pensò di sbarazzarsi del portafogli gettandolo nella Senna. Ma non ne fu capace. Non sopportava l'idea di separarsi così, per sempre, da una banconota da cinquecento dollari e da una da cento, più la banconota francese.

Ciò non toglie che era rischioso: a un qualsiasi poliziotto, quello che vedeva all'angolo di rue Marbeuf, per esempio, poteva venire il ghiribizzo di portarlo al commissariato, così, per principio e, sempre per principio, o per abitudine, di perquisirlo.

E nascondere il portafogli in un cantiere? Ebbe un'illuminazione quando gli passò a fianco un vecchio autobus sul cui predellino stava ritto un uomo che gridava in un megafono:

«Longchamp, due franchi!... Longchamp!...».

Fin lì, ancora tutto liscio. Si era seduto in fondo all'autobus, che conosceva bene giacché andava spesso a lavorare all'ippodromo. Dopo essersi assicurato che il logoro sedile di similpelle non fosse rimovibile, aveva spinto il portafogli tra lo schienale e la seduta, fino in fondo. Poi, senza perdere tempo, era sceso a porte Maillot, di fronte al luna park.

Prima di entrare, aveva addirittura preso la precauzione di infilare la foto sotto il marocchino della sua bombetta e aveva chiacchierato affabilmente con l'uomo al tornello che sfoggiava una splendida uniforme rossa.

Non rischiava nulla né a mostrargli i biglietti né a domandargli con aria disinvolta:

«Sono ancora validi?».

«Non vede che sono già stati usati?».

«Quando?».

I tre biglietti erano stati utilizzati il giorno precedente, cioè il 23 giugno, poche ore prima della faccenda dell'auto. Il Sorcio venne a sapere anche un'altra cosa: uno dei tre biglietti era a tariffa ridotta, dunque per un bambino sotto i sei anni.

A quell'ora l'ispettore Lognon prendeva servizio. Il Sorcio lo sapeva. E quando, più tardi, ridiscese gli Champs-Elysées ebbe la netta sensazione che stesse succedendo qualcosa.

Il famoso presentimento che aveva commesso l'errore di trascurare. Non avrebbe saputo dire di preciso che cosa ci fosse di strano. Per esempio, un poliziotto si era girato di colpo al suo passaggio. E, per ben due volte in un'ora, aveva visto lo stesso agente a una certa distanza dal suo commissariato di appartenenza.

Adesso capiva, ma era troppo tardi. Sapeva come funzionano queste cose. Lognon, che afferiva al IX arrondissement, non aveva alcuna giurisdizione sull'VIII, ma poteva sempre fare una capatina dai suoi colleghi e dire:

«A proposito... Tenete d'occhio gli andirivieni del Sorcio...».

Cosicché, allertando tutti gli agenti del quartiere, era possibile conoscere praticamente minuto per minuto ogni sua mossa!

Alle nove si era fatto l'entrata di un cinema degli Champs-Elysées dove c'era una serata di gala. Aveva racimolato dodici franchi e se li era subito bevuti: due bei litri con un etto di salame e un panino.

Poi, per evitare Lognon, aveva deciso di non dormire al commissariato dell'Opéra ma a quello del Grand Palais. In fatto di comodità, un posto valeva l'altro, e anche l'atmosfera. La sua popolarità era ovunque la stessa!

Recitò la commedia di rito, con più brio del solito per via della presenza di una ragazza piuttosto carina, che aveva perso un cagnolino e ne stava fornendo la descrizione al brigadiere. Nel frattempo, un agente tastava le tasche del vecchio e gli faceva togliere la giacca per esaminarla meglio. Il Sorcio, tanto per ridere e per divertire la giovane donna, aveva cominciato a togliersi anche i pantaloni, mostrandosi in mutande con le braghe calate fino alle ginocchia.

Ma Lognon era riuscito a fregarlo! Buon per lui! L'ispettore era arrivato durante la notte. Lo avevano informato di non aver trovato nulla addosso al vecchio e allora gli era venuta l'idea del cappello.

Il Sorcio aveva sete e si mise a strepitare per cinque minuti buoni finché qualcuno non andò ad aprirgli. Gli agenti del turno di giorno avevano dato il cambio a quelli del turno di notte.

«Gradirei riavere indietro il mio cappello...» brontolò lui.

Nessuno ne sapeva niente. Cercarono in giro e trovarono la bombetta dietro il bancone. Il Sorcio se la mise in testa e uscì.

Se la tolse solo sul lungosenna. La fotografia era al suo posto, ma sul cartoncino notò il foro di una graffetta.

In altre parole, Lognon aveva fatto fare una copia della fotografia.

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5
MARTIN OOSTING, DI BASILEA



Lunedì 28 giugno. Le scuole erano state chiuse per via del caldo. In pieno centro di Parigi si vedevano girare uomini con il colletto della camicia sbottonato e la giacca sul braccio. I tavolini all'aperto dei caffè aumentavano, occupando sempre più spazio, e ovunque regnava la particolare eccitazione delle giornate fuori dell'ordinario.

Mai e poi mai Lognon si sarebbe sfilato il colletto, oltretutto inamidato, che abbinava ai polsini arrotondati. Indossava come sempre il completo marrone, il cappello marrone, e si era munito di due fazzoletti per asciugarsi il sudore.

Quel giorno tutta Parigi era incline a non prendere nulla sul serio, e tutti si erano voltati al passaggio di una donna che se ne andava in giro in tenuta da spiaggia, subito immortalata dai fotoreporter.

Negli uffici si lavorava a rilento, e per strada gli agenti applicavano il regolamento con l'indolenza dettata dalle circostanze.

Lognon, invece, non perdeva un briciolo della sua consueta serietà. Per due ore buone il Sorcio aveva inutilmente tentato di farlo sorridere.

L'ispettore doveva aver preso alla lettera quel che gli aveva detto il commissario Lucas:

«Potrebbe esserci sotto qualcosa... Stia addosso a quell'uomo...».

Fatto sta che Lognon gli si era messo alle costole nel vero senso della parola. Aveva passato la notte al commissariato dell'Opéra, e sin dal mattino aveva tallonato il vecchio a meno di tre metri di distanza, e quando quello si era fermato non aveva battuto ciglio.

«Dica un po', ispettore... Non le pare che sembriamo due scemi a seguirci così senza aprire bocca?... Se vuole possiamo fare la strada insieme... Oltretutto sarà più divertente...».

Lognon si era limitato a girare la testa dall'altra parte, restandosene impalato in mezzo al marciapiede come se nessuno gli avesse rivolto la parola.

«E va bene!... Come preferisce!... Lo dicevo sia per lei che per me... Si dice che una volta i gran signori avessero un lacchè al seguito...».

Il Sorcio schiumava di rabbia! Non sapeva dove andare né cosa fare. Cercò di spossare l'ispettore con gli andirivieni più estrosi, mettendosi a correre di colpo, ciondolando per un quarto d'ora nello stesso posto per poi ripartire al rallentatore ed entrare all'improvviso in un negozio.

E Lognon dietro, sempre più di malumore, anche perché aveva finito le sigarette e non osava interrompere il pedinamento per fare un salto in tabaccheria.

Già alle dieci del mattino sui boulevard circolavano uomini con un fazzoletto sotto il cappello per assorbire il sudore.

A mezzogiorno un giornale pubblicò poche righe apparentemente anodine:

La scomparsa del finanziere svizzero

Niente titoloni stavolta. Niente sommari né fotografie.


«Martin Oosting, vicepresidente della C.M.B., più nota con il nome di Gruppo di Basilea, di cui è presidente Edgard Loëm, è atterrato stamattina a Parigi e ha preso alloggio in un grande albergo di rue de Rivoli, dove ha subito intrattenuto una serie di colloqui. Tra gli altri, ha incontrato il rappresentante diplomatico svizzero a Parigi e un alto funzionario del ministero degli Interni.

«Alle undici ha ricevuto la visita del commissario Lucas e riteniamo che la sua deposizione sia stata di considerevole importanza.

«In effetti sembrerebbe esserci stata un'eccessiva fretta nell'apertura di un'inchiesta, cui è seguita una pubblicità indesiderata a fatti per i quali esiste una spiegazione del tutto naturale.

«Secondo Martin Oosting non c'è ragione di preoccuparsi per la scomparsa di Edgard Loëm, poiché capita con una certa frequenza che il finanziere, amante della tranquillità, passi qualche giorno in un albergo di campagna per riposarsi.

«Stando così le cose, è molto probabile che Loëm non abbia letto i giornali degli ultimi giorni in merito alla notizia della sua scomparsa».


Punto e basta! Niente su Müller, Miss Dora o Lucile Boisvin e tantomeno sul celebre Sorcio, la cui fotografia compariva su tutti i giornali del mattino insieme alle sue dichiarazioni farneticanti.

Martin Oosting aveva mosso le alte sfere. Era un uomo dai capelli grigi a spazzola, i vestiti scuri che gli ballavano sul corpo massiccio e grasso. Fumava dalla mattina alla sera enormi sigari, senza preoccuparsi minimamente se il fumo andava ad avvolgere il viso dei suoi interlocutori.

Se mai in vita sua aveva riso, doveva essere successo in un'epoca remota, risalente all'infanzia. Ogniqualvolta faceva il suo ingresso da qualche parte, con lo sguardo corrucciato, il parquet che scricchiolava sotto il suo passo pesante, era impossibile non rendersi conto immediatamente che era entrato in scena il personaggio principale.

All'Hôtel du Louvre lo avevano capito al volo quando, appena sceso dal taxi, senza dire una parola, con un gesto perentorio, quasi minaccioso, aveva impedito al portiere di prendergli la valigetta che stringeva in mano.

Era andato dritto alla reception e, dall'alto della sua mole, si era rivolto a un giovanotto in tight grugnendo:

«Martin Oosting!».

Naturalmente si era fatto riservare una suite. C'era già una pila di telegrammi ad aspettarlo. Li aprì in piedi, con un colpo d'unghia: mentre li leggeva, sembrava schiacciare le parole sulla carta con lo sguardo.

Nemmeno dieci minuti dopo il suo arrivo un'auto con lo stemma del corpo diplomatico si fermava davanti all'albergo per portarlo dal console svizzero.

Quest'ultimo fece una telefonata al ministero degli Interni davanti al finanziere, praticamente sotto dettatura, prima di accompagnarlo in place Beauvau.

Al ministero cominciò una frenetica girandola di telefonate. Fu avvertito il questore, il quale telefonò al capo della Polizia giudiziaria. Dalla Questura la comunicazione venne inoltrata al gabinetto del giudice istruttore, e intanto Martin Oosting, corpacciuto, elefantiaco, occupava una poltrona fumando il sigaro.

Alle undici era tutto finito. Ci si era dovuti arrendere all'evidenza. Le autorità francesi erano state costrette ad ammettere di aver agito in modo avventato e tutti si erano scusati, scaricando la responsabilità dell'incresciosa faccenda sulle spalle del commissario Lucas.

Oosting non aveva più bisogno del console, ma si fece comunque riaccompagnare all'albergo con l'auto diplomatica. Ricevette Lucas nella sala che in genere veniva riservata ai consigli di amministrazione, con dodici calamai e dodici sottomano allineati su un panno verde.

«È lei incaricato di prendere una dichiarazione ufficiale? Scriva...».

Fece segno al commissario di sedersi davanti a uno dei sottomano e si mise a passeggiare su e giù per la sala facendo tremare il lampadario della stanza al piano di sotto. Ogni tanto si fermava a leggere da sopra la spalla del poliziotto:

«... che niente nel carattere di Edgard Loëm, presidente della C.M.B., e tantomeno nella sua condotta precedente o nello stato dei suoi affari, lascia supporre che sia stato coinvolto in una qualche disgrazia...

«... che la preoccupazione manifestata dal suo subalterno, il signor Frédéric Müller, è del tutto priva di fondamento...».


Ripeté due volte la parola «subalterno», scandendo le sillabe.


«... che riteniamo incresciosa l'indecente pubblicità data a certi particolari intimi, per giunta non comprovati...».

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Pagina 132

Come Fred, anche Lucas si era tolto la giacca, aveva press'a poco lo stesso sguardo duro e cupo del malvivente e trattava i suoi collaboratori con altrettanta bruschezza.

Le cose non erano andate affatto come aveva sperato, ecco tutto. Aveva dovuto improvvisare, cambiare piano di battaglia, e rischiavano ancora di perdere la partita.

Tanto per cominciare, il sequestro del Sorcio al Fouquet's era avvenuto con una rapidità sorprendente. C'era, sì, un'auto della polizia nei paraggi, ma aveva avuto giusto il tempo di districarsi nella babele dei taxi.

Poi ci si era messo il temporale, quel diluvio che aveva scombussolato il traffico cittadino.

Lili, che guidava un'auto di grossa cilindrata, ne aveva approfittato, indifferente al rischio di investire un pedone. L'utilitaria della Polizia giudiziaria non era certo in grado di sostenere una simile andatura.

Motivo per cui Lucas non si era fatto portare al Quai des Orfèvres ma in Questura.

Ed era ancora lì, in maniche di camicia, con la pipa tra i denti, nella sala operativa, al secondo piano, che è praticamente il cervello della polizia, collegata com'è tramite il telegrafo a tutti i commissariati: un pannello luminoso alla parete, accanto a un centralino telefonico, segnala qualsiasi chiamata al Pronto Intervento.

Le tre finestre che davano sul cortile erano spalancate; nell'alone di luce si vedevano ondeggiare le striature di pioggia, e ogni tanto si sentiva un'auto strombazzare sul sagrato di Notre-Dame.

Già due volte il capo della Polizia municipale, che abitava lì accanto, sullo stesso pianerottolo, e quella sera aveva ospiti a cena, aveva messo il naso dentro per sentire se c'erano novità. Il questore telefonava ogni quarto d'ora dal suo ufficio all'altro capo del palazzo.

Ormai — erano le undici e dieci di sera — l'epilogo della storia era una questione di fortuna.

Lucas aveva fatto tutto il possibile, senza tralasciare il più piccolo mezzo a sua disposizione.

Ciò che semmai si poteva rimproverargli — e se falliva glielo avrebbero certamente rimproverato — era di aver sacrificato il Sorcio non arrestando i due uomini mentre fermavano il barbone davanti al Fouquet's.

La stampa si sarebbe indignata e così pure la cosiddetta gente perbene. Solo quelli del mestiere avrebbero capito.

Da lontano, Lucas aveva riconosciuto il Conte, che era almeno alla quarta condanna. Condanne lievi, però, per assegni scoperti e truffa.

La sua presenza, anzi, aveva lasciato perplesso Lucas, il quale credeva di conoscere il personaggio e non ce lo vedeva coinvolto in una faccenda in cui sembrava esserci di mezzo un morto.

Per l'altro la questione era diversa, anche se in Francia non aveva nessuna condanna al suo attivo. Fred, che doveva essere di origini siciliane, aveva lavorato quattro o cinque anni in America, all'epoca del contrabbando di alcolici, e da quando era a Parigi, a parte i modi e le frequentazioni, non gli si poteva rimproverare niente di preciso.

Arrestare quei due nel momento in cui ammanettavano il Sorcio? E poi? Erano entrambi tipi da tenere la bocca chiusa. Nella migliore delle ipotesi gli sarebbe stata inflitta una condanna a tre mesi per usurpazione di funzioni pubbliche.

Il Sorcio nascondeva qualcosa! Per dirla tutta, sotto sotto Lucas pensava che, per far parlare il vecchio, i due malviventi disponevano di mezzi a cui un commissario della Polizia giudiziaria come lui non era autorizzato a ricorrere.

Come diceva un famoso questore, per fare il poliziotto ci vuole un bel po' di pelo sullo stomaco.

Nell'architettare quel piano, Lucas non poteva prevedere che il temporale sarebbe scoppiato giusto in tempo per impedire ai suoi uomini di mettersi alle costole dell'auto.

Per il resto, era stato tutto perfettamente predisposto e non a caso il commissario aveva sistemato il suo posto di comando in quella sala a cui facevano capo tutte le linee telefoniche e telegrafiche.

Per prima cosa, in meno di tre minuti il numero di targa dell'auto era stato trasmesso a tutta la polizia francese, cosicché, nel giro di un quarto d'ora, il commissariato del XIII arrondissement ne segnalava il passaggio a porte d'Italie.

Alle otto e mezzo un ispettore montava la guardia nella hall di un hôtel di avenue de Wagram, dove il Conte aveva una camera in affitto a settimana.

Nei bar degli Champs-Elysées e dell'Étoile altri due ispettori interrogavano il personale a proposito di Fred, e un brigadiere entrava nel palazzo di rue Blanche e si sedeva su un gradino della scala, un piano sopra l'appartamento del siciliano.

La gendarmeria di Villeneuve-Saint-Georges segnalò per due volte il passaggio dell'auto, che evidentemente aveva girato in tondo da quelle parti. Inadeguata a una simile impresa, l'utilitaria della polizia era rientrata alla base e rimaneva in attesa con l'autista al volante e i quattro uomini all'interno dell'abitacolo.

Tutti i commissariati di Parigi avevano ricevuto la descrizione dell'auto e dei suoi occupanti. Non c'era agente sulla pubblica via che non scrutasse i passanti.

E, in venti commissariati, venti cellulari erano anch'essi in attesa, pieni di poliziotti.

«Ancora niente, signor questore. Sono dalle parti di Villeneuve-Saint-Georges e sembra che abbiano intenzione di rientrare a Parigi...».

Se fossero andati più lontano, le gendarmerie erano in stato d'allerta, e così pure i comuni dei dipartimenti della Senna, di Seine-et-Oise e Seine-et-Marne.

Lucas non aveva mandato giù nemmeno un panino. Anche a lui era venuta in mente la possibilità che i malviventi gettassero il corpo esanime del Sorcio in un roveto.

A quel punto era un rischio da correre. Il commissario non poteva fare niente di più di quello che aveva fatto.

Sapeva che in quel momento Staori era in un teatro dei Grands Boulevards in compagnia del suo compatriota e della moglie di quest'ultimo, una donna stupenda.

Quanto ai signori di Basilea, uno era a letto: Oosting. Quello di Londra era in un pub di rue Daunou dove, contro ogni aspettativa, si dedicava in solitudine ai piaceri del whisky. Buccia d'arancia, invece, si era concesso nientemeno che una poltrona in prima fila alle Folies-Bergère.

La cosa non strappò nemmeno un sorriso al commissario, il quale spinse le precauzioni fino ad accertarsi che Lord Archibald Landsburry si fosse effettivamente recato a un ricevimento all'ambasciata del Giappone.

... Il tutto bagnato dalla stessa pioggia che sembrava sempre più determinata a non dare tregua, una pioggia che all'aperto rinfrescava un po' l'aria, ma ricacciava il caldo degli ultimi giorni nelle case dei parigini, che non riuscivano a prendere sonno.

A un tratto ci fu un profluvio di telefonate, le luci si accesero una dopo l'altra, al punto che bisognò prendere le comunicazioni su tre apparecchi diversi e il capo della Polizia municipale lasciò i suoi ospiti per affiancare Lucas.

Picpus fu il primo ad annunciare che l'auto era appena rientrata a Parigi da porte de Charenton; poi il commissariato dei Quinze-Vingts ne segnalava il passaggio a velocità moderata, in avenue Daumesnil. Quindi, l'uno dopo l'altro, la Folie-Méricourt e il commissariato dell'ospedale Saint-Louis.

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