Copertina
Autore Walter Siti
Titolo Resistere non serve a niente
EdizioneRizzoli, Milano, 2012, La scala , pag. 322, cop.ril., dim. 14x22x3 cm , Isbn 978-88-17-05846-9
LettoreRossana Rosso, 2013
Classe narrativa italiana , economia finanziaria
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Prima e dopo, per sempre                       9

La prostituzione percepita                    11

Avviso di sfratto                             19

Commodore 64                                  53

La sala dei dinosauri                         91

Non ti ci ostinare, su                       127

Intermezzo                                   165

E se ci fosse ancora speranza?               171

Il patto cambia                              211

Gli uomini preferiscono le tenebre           247

Che cos'è una magnolia?                      285


Nota al testo                                319

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

Prima e dopo, per sempre



Dalla strada di bonifica che incrocia la Pontina, un sentiero bianco e perpendicolare conduce allo slargo dove un'unica quercia ospita sotto la sua ombra cinque-sei auto di grossa cilindrata e un camioncino Iveco. I partecipanti alla riunione sono già tutti nel caseificio, tranne due nervosissimi che sbattono la portiera e corrono dentro bestemmiando. Dentro c'è il silenzio delle grandi occasioni, i commercianti raccolti a gruppi parlottano piano; il condannato è già seduto su una sedia da stalla, la schiena rigida contro la spalliera. Ma la compostezza del rito è interrotta da un «famme cacà» — il condannato ha bisogno di andare al gabinetto e uno dei due manigoldi che gli stavano ai lati (entrambi vestiti di scuro, con due cravatte Gattinoni che significano "io sono qui straniero e di passaggio") l'accompagna in fondo dietro un tramezzo, al cesso delle operaie. Approfittando del siparietto uno dei più buffoni sale sulla seggiola e declama, mimando un microfono, «io vi perdòno, ma voi dovete mettervi in ginócchio, tutti, in ginócchio...» — fa la voce da castrato o da donna, parodiando l'accento siciliano; poi finge di svenire tra le braccia e le risate degli altri.

Il leader alza un braccio e i presenti ammutoliscono perché il condannato sta rientrando a riprendere il suo posto; da lontano si sente il vagire di un bufaletto appena nato, coi brandelli di placenta ancora tra le zampe. Viene avanti il volontario, l'esecutore che deve riscattarsi; sputa due volte per terra e calpesta i propri sputi. Quando è alle spalle del condannato estrae dalla tasca la corda cerata, una di quelle con cui si appendono i caciocavalli; subito gli si propone un problema tecnico, se avvolgerla sopra o sotto il pomo d'Adamo; prova e riprova, tra i commenti soffocati. Poi, mentre i due compari tengono il condannato per le braccia guardando altrove, stringe - per un tempo incalcolabile teme di non avere abbastanza forza, le nocche gli si fanno bianche ed escono contemporaneamente due urli che sfidano i secoli: «dài» cominciato dalla vittima e prolungato («daa-aààiii») dal carnefice. Un rivolo sottile di sangue esce dall'orecchio sinistro del garrotato; con fretta forse eccessiva si affollano in parecchi a controllare. Temendo che il cadavere si irrigidisca, o più probabilmente per sfregio, gli tolgono pantaloni e mutande mentre ancora sta seduto; nessuno ride più, si guardano per confermarsi l'un l'altro di essere nel giusto.

Uscendo alla spicciolata ricominciano a distrarsi, la gerarchia dei fatti si aggroviglia; infamia ed espiazione si accavallano per dare somma zero – qualcuno butta l'occhio alla glassa rossastra spalmata tra gli eucalipti verso mare: «a Rafé je fusse piaciuto 'stu tramonto». L'aria è fresca, lunghi sfilacci di nuvole striano il cielo, rivangano il futuro. Uccidere è una fede.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

La prostituzione percepita



1.

Le scimmie cappuccine sono quelle con la faccia nuda, il manto color frate e il cappuccio bianco; Keith Chen, docente di Economia a Yale, ne ha addestrate sette (quattro femmine e tre maschi) all'uso del denaro. Ha cominciato distribuendo nelle gabbie dei piccoli dischi di metallo con un foro in mezzo: le scimmie li annusavano, li addentavano e poi li buttavano via. Ma pian piano si sono accorte che fin che avevano i dischi tra le dita venivano rifornite di frutta dai ricercatori, mentre la frutta spariva appena li gettavano. Così hanno imparato a tenerseli in mano fin che non ricevevano la frutta, anzi a scambiarla coi dischi (che da quel momento per loro erano diventati denaro a tutti gli effetti). Chen, allora, ha provato a differenziare i prezzi delle banane e delle mele: tre dischi per una banana, uno solo per una mela – anche i comportamenti si sono differenziati in conseguenza: chi appena avuto un disco lo scambiava subito con una mela, chi amando le banane preferiva aspettare e accumularne tre. Due diverse categorie di consumatori. Dopo parecchi altri esperimenti altrettanto istruttivi (tipo provocare un improvviso rialzo dei prezzi e poi un inspiegabile ribasso), Chen ha voluto vedere come reagissero le scimmie a una ricchezza inaspettata e ha immesso nella gabbia, di colpo, tantissime monete: tutte le cappuccine si sono affrettate ad arraffare più monete che potevano per fare incetta di frutta. Tutte tranne una, un giovane maschio – che invece, dopo aver ammassato un bel gruzzolo, si è avvicinato a una femmina e traendola in disparte gliel'ha deposto ai piedi. La femmina s'è accoppiata subito col donatore, poi ha raccolto il gruzzoletto e si è avviata anche lei a comprare la frutta. Primo caso sperimentale, tra gli animali, di sesso offerto in cambio di denaro.

Questa parabola etologica, estranea com'è a troppo frettolosi e ingombranti parametri morali, può dimostrarsi un buon punto di partenza; soprattutto perché il comportamento ha avuto luogo in un contesto di abbondanza e non di privazione (la giovane femmina avrebbe potuto procurarsi i dischi di metallo da sola, e comunque nessuno stava soffrendo la fame). Da qualche tempo, assecondando un'indignata spinta a "chiamare le cose col loro nome", molti hanno insistito che le cosiddette escort non sono altro che prostitute (o troie, o mignotte); le parole hanno un peso, in genere quando una parola nuova si afferma è segno che è accaduto qualcosa di nuovo nella realtà. Come i pendolari stipati sui treni locali sembrano ormai incomparabili per natura ai manager che interrogano i loro iPad sul Frecciarossa, così le prostitute di strada e i loro clienti hanno l'aria di appartenere a una diversa umanità rispetto al variegato e sfumatissimo panorama delle (e degli) escort: a mondi separati, parole separate. Le riflessioni che seguono si riferiranno soltanto al mondo ricco o comunque benestante, perché la miseria e il bisogno (oltre a pretendere pietà e rispetto) introducono troppo rumore di fondo nella già complicata faccenda del corpo e del desiderio.


Nell'universo delle escort, e nella zona di alta gamma della Rete, è davvero il corpo quello che si vende? Molti pensano che sia piuttosto l'immagine, tant'è vero che il medesimo corpo, quando è valorizzato da foto o passerelle o tivù, aumenta di prezzo; e le donne (o gli uomini) che si vendono lo sanno talmente bene che affollano le palestre per migliorare la loro immagine assai più che le loro prestazioni sessuali. Il valore d'uso della merce (l'atto sessuale) è largamente superato dal suo valore di scambio, come icona del lusso e status symbol. E dunque si paga il lavoro che è stato necessario per produrre la merce, compreso il trasporto (vedi il successo di molte escort esotiche, che portano con sé il brivido di lingue e Paesi lontani).

Con la pansessualizzazione degli ultimi trent'anni, anche il sesso è diventato un mediatore universale esattamente come il denaro; entrambi si impregnano di un riflesso d'assoluto – il denaro per l'infinità di cose in cui riesce a trasformarsi ("divinità che congiunge gli impossibili e li costringe a baciarsi" lo definisce Shakespeare nel Timone d'Atene); il sesso perché, sganciato dall'amore, ne ha conservato tuttavia un profumo d'infinito. Molti imprenditori, lo sappiamo, pagano i politici direttamente in russe, o lituane; più che una merce, il corpo diventa moneta – e se diventa esso stesso, come il denaro, l'equivalente generale di molti specifici beni, allora non deve avere caratteristiche troppo individuanti; di qui l'omologazione estetica, ottenuta con la chirurgia o con mezzi più soft come l'abbigliamento e il trucco. Se il corpo diventa moneta, che cosa compra esattamente il cliente quando cerca la compagnia di una escort? Con tot euro, o dollari, compra un altro tipo di moneta che può eventualmente scambiare per ottenere più ambiziosi e immateriali favori. La prostituzione, in questo caso, somiglia a un commercio di valuta.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 32

3.

Che fare? Ricercare Lamin o arrendersi al caso, che rima con Tommaso? La mia solitudine (risultato di scelte che qui non vale la pena di rievocare) non è tanto atroce per la mancanza di interlocutori quanto per la minaccia di insensatezza che fa gravare su tutto; ospite indesiderato dovunque perché a chiunque rispondo con fastidio. Adrenalina cercasi, ho bisogno di rischiare. Ma si ritorna al bivio: quale delle due strade riserverà più sorprese, o più anfratti, alla scrittura? In quale trama potrò coinvolgermi di più, per continuare la mia ricerca speleologica? Se leggo il dilemma come un'alternativa tra povertà e ricchezza, tra responsabilità ed euforia del possesso, tra impegno sociale ed esaltazione dell'arbitrio, insomma tra bene e male – be' mi conosco abbastanza per sapere che qualcuno ha già deciso al posto mio.


«L'altra sera a casa, prima che la Gabry ci interrompesse, m'hai chiesto se non mi ero mai tolto una soddisfazione... m'è venuto in mente un episodio.»

«Racconta.»

«Stavo in motorino, col casco, a un semaforo ho urtato lo specchietto di una Bentley che è caduto e s'è rotto... è sceso un tamarro con un orologione da un chilo e mi fa "devi lavorare tre anni per pagare 'sto specchietto"... io non ho fiatato, ho compilato il CID... ma lo sapevo chi era lui, era l'amministratore delegato di una società che stava andando male... sicché quando è capitato da noi per chiedere un finanziamento, ci siamo guardati negli occhi...»

«Gliel'avete concesso il prestito?»

«Secondo te?»

I due più giovani sbruffano in una risata compiacente, Tommaso sorride appena perché era sicuro dell'effetto; siamo in quattro al ristorante di Armani, in via Manzoni a Milano – ormai Armani vende di tutto: c'è un Armani-libri, un Armani-mobili, un Armani-fiori e perfino un Armani-dolci. I libri sembrano fiori, i dolci hanno il sapore degli sgabelli e i fiori si potrebbero indossare. Stiamo mangiando tutti vegetariano perché Tommaso sostiene di avere «problemi di digestione con le proteine», io non volevo contraddirlo dato che paga lui (spero), e i due yesmen hanno seguito la corrente. Le mie "lasagne", secondo il raffinatissimo menu, dovrebbero essere un concentrato di cose buone ma in pratica si tratta di fette di barbabietola rossa con una pallida salsina; mangerò un toast appena tornato in albergo.

Se voleva conoscermi più a fondo non capisco perché si è portato dietro i paggetti; che poi uno solo è il suo strategist, l'altro è un architetto neolaureato che lavora per Ligresti. L'ufficio l'ho appena intravisto quando sono passato a prenderlo: un'enorme vetrata aperta sulle guglie del Duomo e una decina di postazioni dotate di sei o nove schermi ciascuna. Ticchettio di tastiere sovrastato di colpo dal «cazzo, cazzo, cazzo!» di un biondino che poi s'è scusato: «abbiamo tutti i nervi a fior di pelle, la Grecia oggi ci sta facendo impazzire».

«Se Pisapia non ubbidisce, siamo pronti a esercitare la put.»

«Cioè?»

Traducono il tecnicismo, una put è il diritto di vendere in una certa data a un prezzo prefissato (nel caso di Ligresti, le sue quote nel consorzio dell'Expo).

«Il nostro mestiere sembra più complicato di quello che è: se un cliente ritiene di avere troppi rischi nel portafoglio e vuole rimediare, noi gli vendiamo un'assicurazione, cioè un'opzione sicura o un credit default swap; ma il rischio il nostro cliente può anche volerselo comprare, se è un investitore audace, e allora gli vendiamo un'obbligazione che in realtà è il famoso prodotto basato sui debiti.»

«Quelli che i media chiamano tossici...»

«Si fonda tutto sul calcolo delle probabilità nella breve e lunga durata, cioè è un processo stocastico.»

Non dirò, e sarebbe facile, "sto-che?", non gli farò da spalla; non ho ancora afferrato se mi sta mostrando un po' del proprio ambiente per esibirlo o per deprecarlo. Lo so che cos'è un processo stocastico, è una variabile aleatoria dipendente dal tempo – e se lo disegno su un grafico assomiglia alle curve che un famoso botanico, Robert Brown, aveva ipotizzato per prevedere i movimenti del polline in un liquido.

«Sarebbe quella faccenda del moto browniano?»

Faccio un figurone: gli ho appena precisato che non sono un giornalista, che sono uno scrittore, ma non sembra apprezzare la differenza. I modelli per la gestione del rischio, si entusiasma, sono gli stessi modelli matematici che illustrano il penetrare degli atomi di calcio nelle ossa. Così come i cicli finanziari, considerati in grande, rispettano l'andamento della spirale di Fibonacci («siamo nel cuore della natura»); la finanza è matematica come la musica, è la musica del desiderio quando il desiderio diventa concreto. Le prime monete, gli archeologi le hanno trovate nei santuari. Non sembra lo stesso uomo che l'altra sera era a disagio in casa sua; questo è uno che si muove nel mondo con sicurezza, ma allora perché ha bisogno di me?

L'assistente sta partendo per Nauru, un'isoletta del Pacifico dove effettuerà dei controlli in due o tre banche; ironizza sulla bella vacanza, sull'albergo di merda con la veranda e i pannelli solari, la spiaggia moscia e piena di sterpaglia; tre palme spelacchiate e un vento che ti porta via.

«In quattro giorni ti sbrighi, basta sapere dove cercare.»

«Sì, come quella povera ragazzetta che l'hanno scoperta dopo due mesi.»

Siamo ormai al caffè, nel bailamme di yuppie che si incrociano; Tommaso chiede al cameriere di portargli un vassoio e tre tazzine vuote; quando arrivano le rovescia, poi le copre col tovagliolo e ci ravana sotto con le mani prima di mostrarcele di nuovo: «facciamo un giochino sulla probabilità...» (rivolto a me come se fosse un test d'intelligenza, o forse una chiamata in correo) «... sotto una delle tre tazzine adesso c'è una moneta da un euro... fai finta che sia un milione e indica col dito quella che vuoi».

Eseguo, lui prende la tazzina che ho indicato e lasciandola rovesciata la colloca un poco in disparte; ovviamente, dice indicando le altre, una di queste due dev'essere vuota per forza: quella vuota io la so e la eliminiamo. Ne raddrizza una, che infatti risulta vuota.

«Decidi cosa ti conviene, ti tieni la tua o preferisci cambiarla con l'altra che è rimasta? Ragiona probabilisticamente...»

Calcolo in fretta: se nella coppia di tazzine c'era il sessantasei per cento e nella mia il trentatré, ora che una l'ha (scientemente) eliminata lui nell'ultima si è travasato il sessantasei, col cavolo che sono cinquanta e cinquanta; dunque mi conviene cambiare. Cambio e mi dice male, l'euro stava nella mia; però il ragionamento era corretto.

«In due minuti hai afferrato l'essenza del nostro lavoro, e pure la gastrite connessa.»

Ci alziamo chiacchierando: Tommaso non va nemmeno a pagare, evidentemente ha un conto aperto; solo quando sei impaccato di soldi puoi agire come se i soldi non esistessero. Dibattono sconcertati sulla notizia che Barclays e Citigroup abbiano manipolato il LIBOR (London Interbank Offered Rate, l'indice di riferimento dei tassi considerati privi di rischio); è come, dicono, se la terra mancasse sotto i piedi. L'architetto e l'assistente si accordano per una partita di calciotto all'Idroscalo, scherzano sulla "catapulta infernale" e la "staffilata della tigre"; Tommaso deve correre alla stazione, ha un treno per Torino alle quattro meno un quarto.

«La settimana prossima sono a Roma... assediami di telefonate, non farmi preoccupare che non mi chiami.»

«Sicuro che non disturbo?»

«Per fortuna le storie come quella di Yara mi sconvolgono ancora... adesso perdonami ma devo proprio scappare...» (abbassa la voce per non farsi sentire dagli altri due) «in verità non vado a Torino, vado a Reggio Calabria che è un viaggetto un po' più lungo...»

Certe volte, nonostante la mole, sembra un ragazzino – io non so dove posare la mia esigenza di senso, non ho più Oltremondi in cui rifugiarmi; ma c'è qualcosa che non mi convince.


Il Circolo finisce a pochi centimetri dall'acqua, dagli ultimi tavolini potresti quasi sputargli in testa ai canoisti che salutano e vanno ad attraccare un poco più in là; i cucchiaini da dessert scintillano sotto un sole ancora non feroce, su tovaglie candidissime dove rischiano di atterrare, deviate dal vento, le zaffate della macchina che disinfesta le zanzare tigre. Si nascondono nel fango tra le foglie larghe, le maledette, non tutto può essere cementificato e sterilizzato. Il lusso sottrae al mondo, ma non completamente: quanto ce ne vuole per surrogare l'assoluto? Sarebbero altrettanto poetici per la *** i ghiacciai argentini se non si portasse dietro il fidanzato? Il Cerro Torre ("el grito de piedra") l'ho cercato su Internet e mi ci sono costruito un romanzetto a cinque stelle che non vivrò mai. Devo accontentarmi dell'ospitalità provvisoria (imprevista quanto sospetta) di questo banker d'assalto che non m'ha ancora spiegato cosa vuole da me («ci rilassiamo e ce ne freghiamo di tutto», ma perché dovremmo farlo insieme? e se io il diritto di rilassarmi non me lo riconoscessi più?). Ho tutto l'agio per rimuginare, forse è imbarazzo o forse si sono proprio dimenticati che sto qua, presi come sono a confrontarsi su Eurizon («sai quanti affari si concludono mentre si sta col cazzo a sbrindelloni?»).

«Macché tragedia, è facile soffiare sul fuoco... ti metti corto di euro, ti metti lungo di oro e di CDS... poi cominci a gridare che salta tutto...» ("mettersi corti" significa vendere, e "lunghi" comprare, questo almeno l'ho imparato) «alle prime luci dell'alba, sfruttando i mercati asiatici chiudi le posizioni, raccogli il bottino e corri qua per l'aperitivo... è un trade come un altro.»

«Be', il cigno nero può sempre alzarsi in volo... me li vedo nelle notti d'agosto a stampare dracme per tacitare i depositanti in coda...»

«La colpa è della crucca indecisa, ci buttavano cinquanta miliardi tre mesi fa e chiudevano la falla.»

«Forse era già troppo tardi... tanto, assicurarsi contro il crollo della Grecia è come assicurarsi contro la fine del mondo... ti ricordi al tempo di Cuba quando tutti volevano assicurarsi contro la guerra atomica? se Castro spingeva il bottone era l'apocalisse, che cazzo ti serve esserti assicurato?»

«Sono d'accordo, l'oro tra l'altro è arrivato al massimo della curva... da tenere d'occhio è la Libia, appena il pazzo beduino l'abbandonano anche quelli del Sahel conviene alleggerire l'energia e comprare i ciclici...»

«Io mi son già alleggerito.»

«Eh, lo so te come t'alleggerisci...»

«Ora all'auto in America non arrivano ancora le forniture giapponesi, a settembre risale per forza.»

«Son le commodity ormai che non vanno bene, è una bolla che s'è sgonfiata prima di crearsi.»

«Vabbe' lì c'entrano le policy, sbagliate secondo me, meschine, che vogliono scoraggiare gli emergenti.»

«Il problema è che chi è lungo di greggio è lungo anche di Borsa, e se chiudiamo il greggio, oh, per fare cassa dobbiamo chiudere anche la Borsa.»

«Se i repubblicani e i democratici si decidessero, a chi dei due incula l'altro...»

«Ma tutti e due inculano il negro.»

«I politici tendono sempre a litigare fino all'ultimo momento utile.»

«Più si parla di politica, più noi siamo liberi di lavorare.»

«Scusa sai, ma nessuno è un'isola...» (cambia tono e si volge nella mia direzione) «beato te che hai il Tevere negli occhi.»

Gli occhi li sto tenendo chiusi perché mi disturbava la gibigianna di un barcone; Tommaso si pente di avermi trascurato, mi ricorda la promessa di una sfida a ping pong. Mentre ci avviamo verso l'ala training si rassicura che io non sia deluso:

«Così li hai visti, i famosi squali...»

«Non ho abbastanza esperienza, ma quello con la giacca bianca era il più ascoltato.»

«Il suo gruppo s'è comprato il lago d'Averno... quando devono scendere giù almeno sono padroni dell'ingresso.»

«Non vorrei risultare offensivo, ma da dove ti viene questa cultura umanistica... addirittura virgiliana?»

«Non pretendo di sfoggiare, è second hand stuff... io libri non di matematica o di finanza ne ho letti pochi... è il nostro strategist che ama i voli pindarici, s'è laureato in Lettere classiche a Pavia e vedi come s'è ridotto.»

«Guadagnerà dieci volte lo stipendio di un professore... troverai volgare che parlo continuamente di stipendi.»

«No, è un approccio molto americano...»


Le mie antiche risorse di pallettaro non bastano, perdo due set a zero; nessuno a vederci o a tifare, nello spogliatoio c'è solo un socio che si sta rivestendo con abiti di sartoria: spessi occhiali da miope, sorriso tra strafottente e guardingo, tre telefonini («hai fatto il solito step?»; «eh, più stop che step, con l'aria che tira»). Entra un ragazzo inserviente vestito d'arancione, due secchi pesanti uno per mano; li appoggia, poi si issa pericolosamente sul muretto della doccia per sistemare una griglia al soffitto; salta giù molleggiandosi sulle ginocchia senza scivolare, se ne va fischiettando. Azzardo un commento estetico:

«Che magia da giovani, quando non si sa di avere un corpo.»

«Mah, insomma... non saprei... io ho sempre avuto un rapporto gravoso col mio corpo... difficile per non dire tragico... soprattutto da giovane.»

Questo me l'avvicina; ma l'impatto con l'immagine di lui nudo è più di quello che m'aspettavo; non so se ha voluto mettermi alla prova con questa sorpresa. Sorvolo sui piedi piatti e l'infradito, le ginocchia pesanti a ipsilon, le vene nell'incavo popliteo; ma lo sguardo torna calamitato all'enorme cicatrice che lo percorre orizzontalmente da un'anca all'altra — mentre due più corte e marcate scendono dalle ascelle fin quasi alla cintura.

«Θ una lunga storia, non mi va di raccontartela mo'.»

Sembra un animale di peluche mal ricucito, anzi composto di pezzi diversi e assemblati a casaccio. Distolgo l'attenzione e il dialogo:

«Il nome tatuato sul braccio?»

«Θ quello di mio padre, Santino.»

«Me lo spieghi, finalmente, perché ci tieni che diventiamo amici?»

Con la maglietta recupera disinvoltura: «perché sei una merce fuori catalogo... l'altro giorno a Milano m'hai colpito con due frecce che hanno lasciato il segno...».

«Cioè?»

«Quando hai detto che amando un lavoro di merda uno finisce per merdificarsi... e poi che molti mestieri ti chiedono solo il corpo invece la televisione esige anche l'anima.»

Qualcosa del genere, sì, mentre andavamo da via Hoepli a via Manzoni.

«Pensavi più a Gabriella che a te.»

«Pensavo esclusivamente a Gabriella... a me il mio lavoro piace, oltre a essere parecchio redditizio.»

«Non stento a credere.»

Capisce che non ho capito; si ferma con la giacca mezza infilata e mi fissa abbassando la voce: «ma parecchio parecchio».

«Tipo?»

«Be', l'anno scorso circa quarantatré milioni... il dividendo era centotrenta e siamo tre soci...»

Quarantatré milioni di cosa? La domanda scema ce l'ho sulla lingua — lui intercetta il mio stupore: «io sono uno che spinge... per fortuna gli altri due sono più prudenti, quello che si dice "plain vanilla"...».

«Lo sai che è la stessa espressione che si adopera per il sadomaso soft?»

«E come no? C'è molta interferenza tra i due campi... certi pali nel deretano... ma adesso i guru raccomandano di evitare gli eccessi.»

«La normalità è un bersaglio a cui mirare con tremore...»

Ci avviamo verso il parcheggio, all'ombra delle magnolie; lui continua con la finzione dell'inferiorità psicologica:

«Se cado in crisi, posso cercarti?»

«Passa da me quando vuoi, senza cerimonie... se non ti fa impressione la casa di un maniaco...»

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 66

Andarsene è diventata un'ossessione e mangia per zavorrarsi; l'amore (per mamma) lo ingombra e l'odio (per l'ignoranza) lo protegge. La volontà, quel terribile scalpello che Tommaso aveva usato finora soltanto per la scuola e nella decisione ferma di non domandare mai a suo padre perché si trovi in carcere – quella stessa volontà prova adesso a rivolgerla contro se stesso, o meglio contro il proprio corpo nemico, esorbitante e sgradevole. La dieta, quel misterioso animale che tante volte il medico di famiglia gli ha nominato, può trasformarsi in un'alleata per rendersi meno ripugnante allo sguardo femminile. Spesso salta il pasto di mezzogiorno, si intigna con la povera Irene che la sera gli prepari soltanto verdure bollite – ma la notte è un incubo, passeggia per la camera gridando sottovoce ho fame ho fame ho fame; lo stomaco gli brucia, logora con gli acidi le pareti fin che lui non gli dà retta e non lo calma con sei-sette fette biscottate e le barrette al sesamo e il succo di pompelmo che scioglie i grassi ma gli aumenta il bruciore.

Ci sono giorni buoni, in cui riesce a sentire il miglioramento delle cellule che si sgonfiano e in cui trattenendo il respiro arriva ad accarezzarsi l'asperità delle ossa dell'anca; allora prende coraggio e si azzarda in bicicletta fino al parco dell'Appia Antica. Al bar della rotonda, sudato, chiede un tè al limone ma la signora ha appena sfornato i fagottini di spinaci («non pesano niente, è solo foglie e aria»); si accorge in ritardo che dentro ci stanno anche i pezzettini di wόrstel – il tè al limone coi wόrstel proprio no, cerca altre monete e si concede una birra; a quel punto, anche un bombolone alla crema; «questa ta'a rigalo, si ja'a fai a magnalla» dice il marito della signora tagliandogli una sleppa generosa di pizza con la salsiccia. Ormai oggi è andata, era uno di quei giorni cattivi, già che ci sono faccio schifo fino in fondo.

Va a letto senza lavarsi e senza svestirsi, grida a Irene lasciami perdere vaffanculo; tenta di vomitare piantandosi in gola lo scopettino del cesso. Una mezza gnocca con la canottiera nera davanti al circolo Mantakas gli ha insegnato che se fai partire la respirazione dalla pancia, circa una spanna sotto l'ombelico («se', a trovasselo, l'ombelico»), annulli gli stimoli della fame. Ma la principessa che Tommaso vorrebbe salvare su un'astronave a gravità negativa gli dice no grazie e prosegue a piedi. Tutta questa lotta lo sfinisce, gli viene una smania di fare chissà cosa di rischioso, di esagerato.


Per sovrastare la sarabanda contraddittoria dei rumori interni, l'unico rimedio è la musica. La musica heavy metal soprattutto, a volume altissimo, e se Irene picchia alla porta che si rompa le ossa contro la sua scemitudine. I Metallica e gli Anthrax, ma anche dei pezzi più melodici e infami come Hearth of Steel dei Manowar; e che consolazione danno gli scheletri sulle copertine vestiti da militare, e i cadaveri appesi come in macelleria. Voci di zombie che ti accolgono in una valle serena di bruttezza, come in Scum dei Napalm Death – gli zombie non hanno paura di nessuno e quando covano quei loro silenzi è perché stanno preparando qualcosa di terribile; ta ta ta ta centottanta battute al minuto sblèng tòng srrrath i battiti del polso una stagione negli abissi daaaaaàn gli Slayer, ttrrùng; rifiutare tutto e non dipendere dalla legge, wwwoooosh, risaliremo trasformati, non c'è bisogno di una bella faccettina e di addominali piatti per trionfare e dominare nel mondo – ma il cervello no, quello non ha colpa.

Θ facile dire parto, mollo tutto, a quindici anni chi ti si piglia? Ai concerti, col fumo rosso e verde e la fattèscion generale sembra di essere tutti fratelli, le vecchie tatuate con le coscione e i farlocchi che hanno parcheggiato fuori il BMW; poi i cantanti partono col camion e chissà se ci credono davvero, magari nella vita privata cianno la villa e si vestono con la cravatta. Sia Tommaso che Nando se lo ricordano bene il successo di Ferruccio, che di punto in bianco venne avvicinato in palestra (faceva l'istruttore di aerobica) da un tizio che gli propose vieni domani all'indirizzo Tal dei Tali, ti trasformiamo in un cantante pop. Lui era pure stonato, aveva soltanto una bella presenza; ma detto fatto lo portano in Giappone, gli scattano un sacco di foto e le squinzie giapponesi quando lo vedono si strappano i capelli – Ferruccio non capiva ma gli piaceva essere trattato come un divo. La yakuza aveva lanciato un cantante spagnolo con una voce bellissima che però era un cesso, Ferruccio doveva far finta di essere lo spagnolo in tournée – tu taci sempre, gli avevano raccomandato, sorridi e lascia che parlino gli altri. Cantava in playback, si dimenava sul palco che quello sapeva farlo benissimo; girarono per tutto il Giappone, quando è tornato a Pietralata aveva cinque milioni in tasca e si muoveva come una star intergalattica – i milioni finirono quasi subito, adesso sta a tentare un concorso all'INPS e non si riprende più da quelle tre settimane di paradiso.

Non si può mica finire così: Nando va forte con gli impicci, col vespino riscuote i crediti dei cravattari proprietari della bisca, un ragazzino è meno sospettabile e se lo pistano vanno nei guai. Una volta sola s'è beccato una lussazione alla spalla che però s'è rivelata una fortuna perché la fidanzata l'ha trovata lì, ha già diciott'anni e fa l'infermiera. Di buona famiglia, la sua Volkswagen la lascia guidare a Nando senza patente.

«A lei je faccio sentì 'a cloche...»

«Θ caruccia ma cià una tendenza a allargarsi... trombala adesso... fidati che di grasso me n'intendo.»

«Mazza oh, rosichi come 'n castoro in diga... dài, alla fine 'na mentecatta che se mette a frugà in mezzo ai rotoli la trovi pure te...»

Solo Nando può parlargli così, qualunque cosa succeda Tommaso sa che non si separeranno mai.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 105

All'inizio del 2001, bruciando le tappe, Tommaso viene assunto come trader d'assalto nella sede di Roma; con un fisso di diecimila al mese e il tre per cento in stock option («stavo sul seggiolino del sidecar e m'hanno messo in mano un autotreno»). Stipendio giustificato perché i derivati che tratta sono strumenti rischiosi e movimentano alti capitali; Tommaso è l'aspetto rude della banca d'affari («non mi pagano per essere gentile con il cliente»), unicamente programmato all'ottenimento e alla massimizzazione del profitto. Coi clienti forti i rapporti non sono mai facili («tu ragioni cinque minuti su un'operazione che il cliente ha meditato cinque mesi, sicché il cinquanta per cento delle volte ti va in faccia»), per questo preferisce impegnare direttamente i soldi della banca e non dipendere che dagli executive. O al limite, ma se proprio le cose dovessero andar male, dal Consiglio. Il suo compito è chiudere in attivo almeno quattro giorni su cinque – in realtà se in una botta fortunata alza due milioni non li dichiara tutti subito ma li spalma sulla settimana. Gli piace stare in prima linea, l'over the counter consente di dribblare la Borsa e di non doversi accodare a qualunque trend ("io non faccio nulla, è il denaro che agisce attraverso di me").

La creatività del matematico mancato si allea alla sete d'approvazione del ragazzo solitario. Gli addetti alla copertura non hanno mai grandi occasioni di mettersi in luce perché se lavorano bene viene considerato normale (proteggere il capitale è il loro dovere), mentre se sbagliano gli fanno un mazzo tanto; per i cacciatori di profitto come lui vale quasi il contrario: se sbagli be' pazienza è uno scivolone, se azzecchi un contratto sei un dio. Certo, se sbagli troppo sei fottuto ma lì sta l'azzardo, per non dire l'orgasmo. Migliorando il tuo track record ogni anno, non solo percepisci un bonus da paura ma la tua soglia di rischio viene aggiornata verso l'alto; gli star trader diventano intoccabili, sono sempre troppo occupati per rispondere alle domande dei risk manager e possono permettersi tutte le avventure, aziendalmente parlando.

Quando s'è iscritto a Economia il lavoro in banca gli appariva uno spauracchio (lo sportello, le mezze maniche...), invece s'è rivelato un parco giochi: tutta l'euforia trattenuta e covata nell'adolescenza si sta scaricando adesso. Nei rari attimi di relax Tommaso si intrufola come un topo curioso nei trade dei colleghi che stanno per diventare suoi amici: ora sono loro a tormentare i giovani stagisti ordinando panini complicati per farli confondere. Ridono ai raggiri di bassa lega, alle astuzie consumate per pura sfida alle spalle di chi non è ancora pratico – i cinesi per esempio hanno difficoltà col nostro calcolo-giorni: se gli fai un trenta-trecentosessanta, non lo capiscono che tra il 28 febbraio e il 1° marzo si collocano ufficialmente tre giorni, quindi su quello gli interessi glieli puoi fottere. Gli specialisti dei future su valute tremano aspettando i risultati delle elezioni in Sudafrica, dove il National Congress rischia di afflosciarsi per gli scandali di Winnie Mandela; «se il governatore abbassa i tassi facciamo un loss bestiale, speriamo che Winnie l'abbia data anche a lui». Goliardia globalizzata.

Prendi in prestito per due anni dieci milioni di dollari australiani al cinque per cento annuo e ci compri l'equivalente in rand sudafricani che rendono il sette; contemporaneamente entri in un contratto forward per acquistare tra due anni undici milioni e venticinquemila dollari australiani all'attuale prezzo di cambio; scaduto il biennio restituisci i dollari australiani e la differenza tra i due rendimenti è di circa centocinquantamila euro – se sottrai il costo dei future te ne restano centoventicinque. Provare per credere. Quando abbandona l'abito razionale Tommaso è estasiato dal pirotecnico gioco dí prestigio, far apparire soldi dal nulla semplicemente spostando dei numeri; siamo davvero i nuovi alchimisti, i soli che si orientano nel pianeta in bollitura. Tutto in diretta, un videogame giocato sulla realtà.

L'autostima sale nella misura in cui Tommaso dimentica, e dimenticare è tanto più facile quanto meno si è identificato finora negli eventi della propria vita; affetti familiari, ansie di ribellione, pianti di rabbia e desideri indiscutibili, tutto è scivolato via come brina su un vetro senza lasciare in cambio l'impronta di un individuo. Chi sia e quanto valga il prodotto-Tommaso è ancora un indice volatile, soggetto alle fluttuazioni.

«Fiiuuu, lo stress test è stato rimandato... meno male, dopodomani scadono le mie stock.»

«Come dopodomani? non mi tornano i conti...»

«Me le sono fatte retrodatare, Tommy, tu no?»

«Ma non è illegale?»

«Non è illegale se non ti beccano.»

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 124

Θ morto Settimio detto il Ciavatta, se non era per Nando non l'avrebbe nemmeno saputo – persi di vista da più di dieci anni ma da ragazzi si erano contesi le prime sigarette; la convivente l'aveva accannato per un pischelletto qualunque, lui ha dato fuori di matto e quella ha chiamato i carabinieri – nella fuga ha cappottato e le vertebre cervicali si sono spezzate come grissini. Probabilmente aveva pippato.

«Nun pare bello in 'ste circostanze però so' contento, altrimenti nun se vedemo più.»

«V'ho invitato a cena tante volte...»

«Mi' moje la sera nun esce, la baby-sitter è 'n miraggio e dentro casa nun te vòle invità, coi regazzini che frigneno.»

«La baby-sitter ve la offro io.»

«Offri te 'sto cazzo... dimmi 'n po', com'è er principe socio?»

«Conte... bah è gente strana, che si può permettere di sprecare i milioni e poi cianno le cadute di stile... non ha pagato venti euro al fattorino che gli aveva portato il vestito perché glieli doveva pagare la sartoria... fà "è una questione di principio".»

«Mazza oh, è 'n signore... nun te 'nvidio, che brutta cosa che m'hai ricontato.»

«Meno male che le radici mie stanno qua, mi tengo in altalena...»

«Nun ce tradì... achtung che te controllamo, eh?»

«Ormai sono inoffensivi... si credono di essere la crema come una volta e sono diventati carcasse da esposizione.»

«Famme vedé i denti der piranha...»

«No, i denti me li sono limati, adesso ce li ho pari.»

«Ah, te sei fatto bello... ma sempre da solo stai?»

«Mica siamo vecchi, sei te che hai avuto furia...»

«M'organizzi 'na batteria co' tre o quattro russe? quelle l'accetto... ahò, mi' moje se ne farà 'na raggione.»

«A parte le russe, mi ci vorrebbe proprio una zingarata... come quando si faceva sega a scuola e andavamo a pescare le ranocchie...»

«Oggi è stata 'na favola... dài, ar prossimo morto se beccamo.»


Sull'asfalto di piazza Sempione vede brillare una moneta da cinquanta centesimi; istintivamente Tommaso si china a raccoglierla e la sente bloccata, non viene via; le incollano i ragazzini per divertirsi spiando dalle finestre, per un attimo teme addirittura che l'abbiano fotografato. Che figura di merda. Sono un pezzente atavico, non perderò l'odore anche se mi compro un grattacielo e mi sposo una duchessa. Una cosa posso giurare (proclama a voce alta e un gabbiano gli risponde starnazzando): sarò sempre fiero di essere un bastardo e l'handicap, non importa con che mezzi, glielo farò ingoiare.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 160

Ormai il mondo è piccolo come un pugno, il denaro ha sconfitto la geografia; in millesimi di secondo, nell'etere, si spostano capitali e si invertono fortune; un clic del mouse e sorgono palazzi di vetro in periferie desolate – palazzi che resteranno vuoti perché la loro unica funzione è riciclare l'immaginario. Neonate metropoli cinesi condizionano lo squallore di antichi centri siderurgici; non più centro né periferia, segni urbani disarticolati si fanno beffe di patria e territorio. Non è vero che gli aeroporti siano dei non-luoghi: che si presentino come infiocchettate capsule del lusso o come casermette ai margini del deserto, con gigantografie di sceicchi inturbantati o con la scritta in bella mostra "advertising space available", sono il luogo perfetto per chi è scontento di sé.

Il Gujarat è la punta occidentale dell'India, una farfalla blu posata ai confini col Pakistan; se nell'attuale frizzante mutazione conviene scommettere contro l'Occidente e l'Europa, quale meta migliore di questo polo dell'industria pesante dove i templi jainisti di marmo tortile sono sovrastati dai fumi degli altiforni? Tommaso si è deciso a muoversi, sia per godersi Gabriella tra specchietti e garofani arancioni sia per insofferenza verso la grama litania dei lunedì neri e dei default a cascata – sveglia, non lo sapete che basta spostarsi di otto-nove meridiani per verificare una crescita industriale intorno al dodici per cento? Gabriella si lamenta che i ministeri sembrano i condomini di Tiburtino Terzo e le poltrone di pelle nella suite vengono direttamente dalla sala d'aspetto di un dentista; esige i rubinetti d'oro promessi dal dépliant e i massaggi ayurvedici, fa i capricci come una bambina. Ma è adorabile quando appena uscita dalla doccia (l'umidità e l'afa sono insopportabili), con la zazzeretta rossa ancora bagnata, ritrova la sua allegria da autostoppista e proclama «vabbe', andiamo a vedere i lombardi operosi».

L'Anofol è un'azienda di Pioltello che fattura quindici milioni e produce alluminio anodizzato (da lì veniva quello che lavorava mamma Irene); ha firmato recentemente una joint venture con la Miro per l'avvio di una linea che triplicherà la produzione italiana; sono previsti trentacinque milioni di ricavi nel 2010, gli operai indiani salutano a mani giunte e sussurrano namasté. Il computer certe volte non basta, bisogna respirare la mitezza e gli occhi da bovino rassegnato per capire quanto si potrà essere confident nei listini – Folco aveva ragione, il sopralluogo è un pretesto che regge. I canali tra le canne reincarnano le marane della sua infanzia ma stavolta con lui c'è una donna colore del cielo – domani Gabry avrà la sua razione di sari e oro e tappeti, il campo da golf con le ninfee negli ostacoli d'acqua; calpesterà petali come una regina e gli lascerà intrufolare la lingua nelle mucose più segrete. Unire turismo e lavoro riempie di un particolare senso di pienezza perché gli dèi della meccanica e del dovere ti mettono la natura e l'arte a disposizione — il sesso è in sovrappiù.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 205

Nel bollore dell'afa agostana Roma è come la pancia di un animale moribondo; un Paese che si lamenta della miseria stando al mare, un capo di governo pulcinella che attraversa piazza Montecitorio per arringare un Parlamento deserto; unica premura di tutti, non dover cambiare troppe abitudini. Se ci sarà una sommossa, sarà ridicola pure quella. Tommaso ha solo voglia di ripartire (ma non al Circeo da Edith, per carità); ripartire nella sfera senza luogo delle astrazioni probabilistiche, del texas hold'em, dei bund tedeschi e della rivalutazione del real brasiliano. Potrebbe andare dovunque si divertono i miliardari ma perché? Se non l'hai respirato da piccolo, metabolizzato con le proteine della crescita, il denaro non allevia la solitudine – il denaro diventa vita concreta se si tramuta in divino oblio, in gare oziose, educazione, tenute, cani. L'indice della J.P. Morgan è quasi fermo, l'oro è sopravvalutato, la Cina e l'India dovranno impantanarsi nelle loro paludi prima di suonare la carica; significa qualcosa essere ricchi, affannosamente ricchi, proprietari virtuali di latifondi africani vasti come province, se tutto si riduce a una sterile soddisfazione di cifre, di piaceri indecorosi, in un mondo che non arriva nemmeno al bavero di quello che hai già? Anche Napoleone, con tutta la sua potenza, è rimbalzato da una Giuseppina a una Maria Luisa, pensa Tommaso nel ronzio del condizionatore.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 215

«Fissiamo una road map... magari non qui da Rosati, ma domenica con calma mi stendi un bel trattato, oggettivo e neutro, sull'insider trading e sulle meraviglie del riciclaggio.»


Per prima cosa occorre liberarsi da un vecchio luogo comune, lo schema del denaro sporco che deve essere lavato nei paradisi fiscali; col corteo pittoresco di isolotti nebbiosi o di improbabili staterelli tropicali – Guernsey nel canale della Manica (finanziarie e bovini di razza, salone nautico e faccendieri bulgari), la vicina Sark, così indenne da inquinamento luminoso da vantare il più bel firmamento d'Europa; Montserrat nelle Antille Britanniche, col suo vulcano attivo e le ceneri che cadono sulla spiaggia; nel sud del Pacifico la piccola Niue, che concede alle compagnie straniere di registrare il loro nome in caratteri cinesi. Ci si va ancora, naturalmente, nei minuscoli aeroporti atterrano i facoltosi più accidentali e i commercialisti globetrotter; ma il grosso del riciclaggio avviene nelle grandi banche americane ed europee, a Zurigo come nel Delaware, molto più on che offshore. Θ vero che una quindicina d'anni fa settanta miliardi di dollari sottratti al fisco russo transitarono per la Nauru Agency Corporation, ma è anche vero che dieci anni dopo quegli stessi soldi sono serviti a ripianare un terribile buco in Citigroup, dove contemporaneamente arrivavano i prestiti immobiliari dei narcos messicani e il miliarduccio di un principe saudita, lecitissimo perché ricavato dal petrolio. Le banche centrali di molti Paesi, attraverso le loro sussidiarie, trasferiscono le riseive (legali per definizione) in rifugi senza etichetta.

Il problema non è il denaro sporco tradizionalmente inteso, quello della criminalità maxi e mini, ma il "denaro caldo" – i soldi senza patria che vagano per il mondo avendo perduto qualunque traccia della loro origine. Θ il lato oscuro della globalizzazione: attraverso la rete informatica chiunque può decidere da quale Paese far partire l'operazione finanziaria, a seconda delle legislazioni che gli convengono di più; bastano pochi rapidi passaggi e tutto si confonde. Nel cuore segreto delle grandi banche (con l'armamentario sempre più complesso e inestricabile del private banking: le operazioni fuori bilancio o off-sheet, le SIV, le PIC, le shell company) si creano depositi protetti da cortine di extrariservatezza, in cui qualsiasi investigatore rimarrebbe impastoiato. I burocrati della polizia tributaria si muovono nelle banche come gli elefanti nei negozi di cristalli («mi scusi, lei sta parlando di denaro presente qui e ora, o del denaro depositato fino a cinque minuti fa?»); le banche la considerano legittima difesa, perché senza incertezza e volatilità non decollano i profitti. Da quel ventre profondo il denaro orfano, virtuale e aggressivo risale in superficie e si lancia in azzardi che a volte si ritorcono contro gli stessi ignari detentori iniziali: i soldi dei pensionati, in fondi come Fidelity o Vanguard, possono mischiarsi al tesoro trafugato di un dittatore africano e causare indirettamente la turbolenza politica che mette in ginocchio i pensionati; coi soldi dei Verdi la Deutsche Bank può comprare titoli di un'impresa che garantisce il dieci di rendimento annuo e sta deforestando l'Amazzonia. I paradisi fiscali sono diventati un capro espiatorio, usato dalle Nazioni Unite (che ogni tanto ne chiudono qualcuno) per ripulirsi la coscienza: l'unica cosa che ormai si possa lavare in assenza di sporcizia materiale riconoscibile. C'è poco da riciclare, quando il ciclo è unico e integrato. Tra finanza legale e illegale non c'è più un limite preciso; la pretesa di mettere sotto controllo la speculazione babelica e apolide è come voler mettere sotto controllo la rotazione terrestre.


Quanto all'insider trading, o turbativa del mercato mediante impiego spregiudicato di informazioni riservate, anch'esso è molto mutato col mutare del concetto stesso di informazione: un tempo la quantità di informazione era misurabile, si trattava di aziende, consigli d'amministrazione, decreti governativi – erano lobby, amicizie familiari, soffiate («io non t'ho detto niente, però mi sa che questa ditta fa un aumento di capitale»); ne nasceva qualche indagine della Consob, che in genere finiva in nulla perché stava a loro dimostrare che avevi violato le regole e non eri stato folgorato da divina intuizione; con coloro che ti inquisivano magari alla fine ci diventavi amico. Adesso, tanto per dare un'idea, solo per analizzare una CDO al quadrato costituita da centoventicinque titoli, avresti bisogno di informazioni su novemilatrecentosettantacinque posizioni finanziarie diverse. Qualunque analista si arrende, tende a fidarsi, lascia l'iniziativa ai modelli informatici.

Una singola informazione è una goccia nel mare: servono informazioni-quadro, o strutturali, e gli unici che possono dartele sono i politici (sarebbero i politici, se molti di loro non fossero ormai diventati dei passacarte). Quelle che servono di più sono le "informazioni rinforzate", cioè le informazioni che portano con sé l'operatività necessaria per autoavverarle; se per esempio un'agenzia di rating decide di abbassare la valutazione di un'impresa, quella si troverà davvero nei guai e la sua futura solvibilità diminuirà realmente. Nei Paesi più disinvolti, dove l'accumulazione primitiva del capitale sta replicando le violenze dei pirati inglesi del Seicento o dei robber baron ottocenteschi, per inverare una previsione favorevole non ci si arresta davanti al sangue – invece di anticipare i fatti, li si provoca eliminando gli ostacoli al loro accadere. Dirigenti, ufficiali, giornalisti muoiono come mosche. Ma puoi anche sfruttare percorsi più soft. Metti che ci sia in Uganda una preziosa miniera di tantalite, la cui polvere fa venire il cancro; tu finanzi una ruvida protesta degli ambientalisti, ci sono dei morti e la miniera viene chiusa dalle autorità; dopo un anno, in mancanza di alternative e sfumata l'attenzione dei media, il governo ordina di riaprirla sparando sugli oppositori. Tu ci hai guadagnato un botto con le opzioni, prima allungandoti e poi shortando; tutto sarà rubricato nella categoria degli "scontri tribali". La cosa bella del tradare via schermo è che non le vedi nemmeno, le facce di quelli che stai fottendo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 238

Per il taglio della torta l'effemminato wedding planner ha previsto un'altra location, il ninfeo di statue aperto sul lago attraverso un arco fiorito; le scie dei motoscafi si incidono d'oro nel pomeriggio maturo. L'amaro del Padrino, ne compaiono due casse tra gli scherzi stridenti – e sotto la torta sta scritto "Montecchi e Capuleti", piani alternati di cioccolato al peperoncino e crema con l'uvetta. Si formano capannelli e Tommaso mi indica i personaggi di cui sa, nemmeno lui è tanto inserito: un ex terrorista nero («ha avuto successo col suo gruppo hard rock, ma adesso è assessore grazie alle passate connivenze»); una dottoressa senza frontiere che in Africa aveva allevato una jena e la portava con sé nei sopralluoghi in savana («si accorgeva prima di lei se si avvicinava il leone»). Il denaro compie il miracolo di pareggiare il diverso rendendo ogni cosa, paradossalmente, originaria e up to date. A una svolta di allori *** ci rassicura di non averci dimenticato:

«Avete bevuto l'amaro?»

«Viene davvero da Corleone com'è sull'etichetta?»

«Θ tutto finto, l'etichetta è stampata da una tipografia di Buccinasco... la Sicilia non voglio rivederla neanche in cartolina... però tutti gli anni spedisco una corona sulla lapide di Falcone...» (si accorge della mia fronte corrugata e non resiste alla tentazione di stupirmi) «... io sono assolutamente contrario alla violenza, bisogna tradire i padri per realizzare i loro obiettivi.»

«Si sente l'impronta di Friburgo...»

Tommaso mi ha riferito che si è laureato lì, in Storia delle dottrine sociali.

«Non devo insegnartelo io, è roba tua, ma ti ricordi Stendhal? "un banchiere fortunato ha il carattere adatto per fare delle scoperte in filosofia... "»


Comincio a pentirmi d'essere venuto, qui non si arriva mai al dunque; ammicchi, rinvii mentre *** è sempre occupato a confabulare con questo e quello, si è fatto tardi – nel salone degli specchi ci si prepara a ballare. Tommaso non sa più con quali argomenti intrattenermi, l'architettura e gli affreschi déco, poi le famiglie Berlusconi e Sylos Labini che si sono imparentate anch'esse per via di matrimonio; siamo alle banalità dei dvd piratati quando *** piomba a chiederci scusa e ci dirotta in un salottino del primo piano con vista sul crepuscolo, fanali tremolanti nell'acqua e a imbuto il profilo nero dei monti.

«Cosa volevi sapere?»

«Siete voi, mi sembra, che me lo volete raccontare...»

«Non facciamo giochini, su, comincia a chiedere.»

«Be', potremmo partire dall'accenno di prima, sulla Sicilia e sui padri...»

«Ah lì il discorso è semplice: noi trenta-quarantenni siamo una generazione che è stata fregata dalle scelte dei genitori... di stupida contrapposizione e di violenza autolesionista... abbiamo dovuto evaporare dall'Italia che eravamo ancora adolescenti e ora ci ritroviamo coi beni quasi intatti ma con la necessità di cambiare radicalmente strategia... traghettare i capitali nel nuovo millennio... dobbiamo diventare un rumore di fondo, non una metastasi ma il tessuto normale dell'economia... non puoi guardare dentro una dark pool come non puoi guardare dentro la vita... la finanza mondiale è irresistibile come la marea e noi dobbiamo essere la Luna...»

«Lirismo a parte, vorrei capire dove finisce la finanza e dove comincia, scusa la parola, la pratica criminale, o coattiva...»

«La violenza è un asset come gli altri, un'extrema ratio, a parte che ormai la deleghiamo quasi sempre ai disperati... diciamo che serve a rendere più attraente e funzionale il prodotto, eliminando le lungaggini... noi ci consideriamo una holding del terziario avanzato, offriamo un pacchetto di servizi completi... protezione, prestiti a tassi ridotti, manodopera a prezzo calmierato, smaltimento delle pratiche amministrative, assistenza legale...»

«Per queste cose non si va in galera... quelli che vengono catturati spesso sono degli assassini...»

«"Ausmerzen", hai mai sentito questa parola? a marzo i pastori scartavano le pecore che non avrebbero resistito alla transumanza, sfoltivano il gregge... le autorità ci aiutano eliminando í più incarogniti e testardi, quelli che non hanno afferrato, o non hanno potuto assecondare, l'obbligo della mutazione... se poti una pianta la fai respirare meglio...»

«Se il leone si mangia le gazzelle meno veloci, il branco si rafforza.»

Tommaso si limita a precisazioni gregarie, orgoglioso della brillantezza dialettica del suo capo; sul lago l'azzurro non vuole morire – forse il denaro è la materia oscura che permette alla luce di propagarsi.

«Sicché il vostro core business non sono più l'intimidazione, la paura, la sparatoria...»

«Non possiamo più permetterci di riciclare i profitti in beni individuabili sul territorio... la speculazione finanziaria è il nuovo linguaggio e il giovanotto qui presente lo parla benino... se riesce a controllare il suo fratellino nelle mutande...»

«Vecchia polemica, sono puro come un monaco... e poi da che pulpito... il folklore da film ci fa comodo come copertura, è un ottimo specchietto per le allodole.»

«Qualche volta, ti dirò, l'abbiamo perfino alimentato apposta... i giornalisti hanno la bavetta quando possono parlare di sangue, droga, incaprettamenti delle pteromafie...»

«Se beccano qualcuno di noi, siamo bravissimi a fingerci standard, più rozzi e dialettali di quello che siamo.»

«Te lo ricordi Rudolf al processo? sbagliava perfino i congiuntivi, roba da Hollywood.»

Ridono, rilassati; da sotto giunge una baraonda di hip hop e disco music.

«A questo punto azzardo la domanda delle domande: chi siete voi, a chi si riferisce questo plurale?»

«Gliela diciamo la verità?»

«Sì, tanto i suoi lettori non la reggeranno...»

«Θ fondamentale il concetto di Rete... ma non siamo una Spectre, non ci conosciamo tutti... molte cose, poste certe premesse e una visione comune, vanno in automatico... si allarga l'influenza convincendo altre signorie locali...»

«L'importante è diversificare, sperimentare prodotti di qualità... finanziari e non.»

Sembrano il capocomico e la sua spalla, a *** sono riservate le battute più rodomontesche:

«Nella storia del mondo si riproducono continuamente, sotto diverse forme, le medesime caste... i cavalieri, i comunicatori, i commercianti, i consumatori e gli schiavi... noi siamo i cavalieri.»

«Θ un'idea piuttosto fascista.»

«Non stuzzicarlo su questo che ci facciamo notte.»

«Effettivamente potrei tenere un seminario... la democrazia ha perso da tempo la sua spinta propulsiva... il futuro appartiene alle oligarchie illuminate che scavalcano i confini e le leggi dei singoli Stati... molte nazioni, se vogliono sopravvivere, devono chiedere aiuto a noi... abbiamo salvato parecchie banche che non possono non esserci grate...»

«Come la filiale messicana della Wachovia... i modelli matematici con noi subiscono qualche torsione.»

«Θ un ping pong di poteri molto interessante e l'Italietta è un bel laboratorio, con uno dei nostri ricattati posto al vertice così a lungo... un bel laboratorio di rispettabilità criminale.»

«Mi trasportate in un'aria rarefatta, ho bisogno di rimettere i piedi a terra e di balbettare tutte le mie perplessità... se devo essere sincero ho l'impressione d'essere preso per il culo.»

«Ti forniremo ampi dettagli, così potrai farti un quadro... questo era solo un contatto... ma una clausola dev'essere chiara fin da ora, se accetti di capire devi anche essere disponibile a depistare.»

«Era ovvio fin dall'inizio...»

«No, ma è sempre bene chiudere gli spiragli del malinteso... che gli uccellini non possano scappare dalla gabbia.»

| << |  <  |