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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione V 1. Libri e lettura 3 1.1. Chi legge e chi no, p. 6 1.2. Leggere poco, leggere tanto, p. 11 1.3. Pochi ma buoni? Qualcosa sta cambiando e qualcosa no, p. 17 1.4. Cosa si legge e perché, p. 28 1.5. Comprare libri, p. 37 1.6. Andare in biblioteca, p. 46 1.7. Qualche confronto internazionale, p. 59 2. La figura del lettore 63 2.1. Connotati per un identikit, p. 64 2.2. Le motivazioni, p. 70 2.3. E i non lettori?, p. 73 2.4. Fattori che influenzano i comportamenti di lettura, p. 78 2.5. Rapporto con gli altri consumi culturali, p. 85 2.6. La 'dieta mediatica', p. 88 3. Luoghi comuni e verità nascoste 93 3.1. Lettori si nasce o si diventa?, p. 93 3.2. Ai miei tempi si leggeva di più, p. 100 3.3. Internet sta soppiantando la carta stampata, p. 108 3.4. Gli e-book sostituiranno i libri, p. 114 3.5. Tutta colpa della tv, p. 121 3.6. I libri costano troppo, p. 124 3.7. Si può essere ricchi e ignoranti, p. 127 3.8. Le biblioteche danneggiano il mercato del libro, p. 131 4. Le politiche di promozione 136 4.1. A chi tanto e a chi niente, p. 137 4.2. Il popolo dei festival, p. 139 4.3. I media e la lettura, p. 143 4.4. I premi letterari fanno vendere?, p. 146 4.5. Le politiche pubbliche per il libro e la lettura, p. 148 5. Come voltare pagina? 153 Fonti e bibliografia 167 Ringraziamenti 171 |
| << | < | > | >> |Pagina 3Per cominciare, e prima di analizzare i canali di circolazione dei libri e i comportamenti di lettura, partiamo da qualche dato sulla produzione libraria nel nostro paese. Ogni anno vengono pubblicate in Italia circa 60.000 edizioni librarie (20% libri scolastici, 68% libri per adulti, 12% libri per ragazzi), stampate in circa 250 milioni di copie (quindi 4 copie in media per ogni italiano), con una tiratura media inferiore alle 5.000 unità (negli anni passati, prima dell'attuale periodo di crisi che ha fatto ridurre anche il numero di titoli prodotti, si era registrata una tendenza all'aumento dei titoli pubblicati accompagnata dalla riduzione del numero medio di copie stampate, che è passato da 8.500 copie per titolo negli anni Ottanta, a 6.200 copie a metà degli anni Novanta ed è ulteriormente calato nell'ultimo decennio, fino ad arrivare a una tiratura media di 3.500-4.000 copie per titolo negli ultimi anni). Ciò risponde a un tentativo degli editori di stimolare la domanda immettendo sul mercato un numero maggiore di novità, riducendo però in questo modo il mercato potenziale di ciascun titolo. Sull'abbattimento del lotto minimo di ogni tiratura incidono, comunque, anche le attuali tecnologie di stampa e la necessità di contenere le scorte di magazzino. Quasi due terzi dei titoli pubblicati (62%) sono opere in prima edizione. Il genere più rappresentato è quello letterario, con un 15% formato da libri di narrativa moderna e contemporanea, e che arriva a sfiorare il 23% della produzione se si considerano anche i classici e la poesia, mentre nel campo della saggistica le punte più elevate riguardano i settori delle opere religiose e giuridiche, che superano ognuna il 6%, seguite da storia, arte e fotografia. Diminuisce la produzione di opere di consultazione (enciclopedie, dizionari, repertori di dati), sempre più esposte alla concorrenza che viene dalla rete. Circa il 20% della produzione editoriale italiana è costituito da traduzioni da altre lingue (di cui la metà dall'inglese). A questo proposito, va sottolineato che fra tutte le industrie di contenuti quella del libro risulta la meno colonizzata: a differenza di ciò che accade con il cinema, ad esempio, essa si muove all'interno di un orizzonte italiano ed europeo, non americano, con la sola eccezione di alcuni best seller di narrativa. Il prezzo medio di copertina è di circa 20 euro ed è cresciuto di pochi centesimi nell'arco di un quinquennio (di poco più di un euro l'aumento del prezzo medio delle edizioni scolastico-educative, mentre quello dei libri per ragazzi oscilla da qualche anno intorno ai 10 euro). Per dimensioni l'industria editoriale italiana si colloca al settimo-ottavo posto al mondo e al quarto-quinto in Europa. Il numero di titoli pubblicati per 1.000 abitanti non è molto diverso da quello di altri paesi europei (si colloca in una posizione intermedia tra Francia e Germania), mentre è inferiore a quello di Spagna e Regno Unito, che possono disporre però di ben più ampi mercati linguistici internazionali di assorbimento della loro produzione, non paragonabili a quello dell'editoria italiana. Modesto, infatti, anche se in leggera crescita, l'export di libri italiani: questo dato riflette la scarsa conoscenza della lingua italiana all'estero e la debole diffusione di libri italiani nelle librerie straniere, anche per quelle aree per le quali la produzione italiana raggiunge certamente livelli di eccellenza (come l'editoria d'arte, il design, l'architettura, ecc.). L'industria del libro è fortemente concentrata nelle regioni dell'Italia settentrionale, dove viene pubblicato oltre l'80% dei libri: circa il 55% nella sola Lombardia, dove operano oltre 500 editori. Altre zone con una forte presenza editoriale sono il Lazio con 436 editori, la Toscana con 227 editori, il Piemonte con 221 editori e al quinto posto l'Emilia-Romagna con 210 editori. Queste 5 regioni (su 20) raccolgono il 63,8% di tutte le case editrici italiane. La produzione libraria lombarda copre tutti i settori dell'editoria e vede Milano, insieme alle altre città della regione, al primo posto per la pubblicazione di testi scolastici e di libri per adulti e per ragazzi. | << | < | > | >> |Pagina 61.1. Chi legge e chi noSe proviamo a chiederci ora quanti sono i lettori in Italia e cosa leggono, possiamo far ricorso a una grande quantità di dati che, sebbene non sempre omogenei e confrontabili, delineano con sufficiente chiarezza le tendenze in atto e le principali questioni su cui conviene soffermare l'attenzione. In particolare, l'Istat mette a disposizione una serie storica di statistiche sulla lettura che consente di descrivere il quadro d'insieme e, scavando dentro i dati, di analizzare in dettaglio i fenomeni più rilevanti (Morrone-Savioli 2008). Θ necessario, ad esempio, distinguere tra la lettura nel tempo libero, svincolata da qualsiasi obbligo e costrizione, che corrisponde a una scelta deliberata, solitamente legata allo svago e al 'piacere' di dedicare qualche ora del proprio tempo a questa attività, e la lettura legata a motivazioni professionali o informative, di studio, di consultazione, che potrebbe non corrispondere a una scelta volontaria, ma essere avvertita come una necessità o un obbligo. Un primo dato grossolano, fatto solo di bianco e di nero, e che nelle pagine che seguono cercheremo di analizzare in dettaglio, in tutta la scala dei grigi ci dice che tra gli italiani con un'età superiore ai 6 anni troviamo quasi 31 milioni di persone che non leggono e poco più di 25 milioni di persone (pari al 45% circa) che hanno letto almeno un libro nel corso dell'ultimo anno. L'andamento di questi dati negli ultimi anni presenta una leggera e non costante tendenza verso l'alto. Questo dato riguarda solo la lettura nel tempo libero e, se volessimo aggiungervi la lettura per motivi professionali o legati allo studio (libri non scolastici, ma letti su indicazione dell'insegnante), sulla quale ci soffermeremo fra breve, arriveremmo a superare ma non di molto una quota pari alla metà della popolazione, che a vario titolo entra in contatto coi libri, e arriveremmo poco sotto al 63% se includessimo anche i libri scolastici. | << | < | > | >> |Pagina 111.2. Leggere poco, leggere tantoMolto diversificata anche l'intensità nella pratica della lettura. Leggere un libro all'anno basta forse per qualificarsi come lettore agli occhi dell'Istat, ma non ci sembra sufficiente per poter dire che una persona abbia un rapporto stabile e consolidato con il libro, al punto da poter affermare che la lettura faccia parte delle abitudini di vita di quella persona. Pertanto, dobbiamo distinguere fra almeno due gruppi: quello più numeroso, equivalente a quasi la metà dei 25 milioni di lettori, e che possiamo definire come 'lettori deboli', che leggono da uno a tre libri in un anno, e sul versante opposto quello dei 'lettori forti', che invece ne leggono almeno uno al mese. A leggere oltre 12 libri all'anno sono meno di 4 milioni di persone, che praticamente da sole assorbono metà delle vendite e garantiscono la continuità e, possiamo dire, forse perfino la sopravvivenza a un settore industriale che fattura circa 3 miliardi e mezzo di euro, sforna circa 60.000 titoli all'anno e occupa quasi 40.000 persone. Le dimensioni del nostro mercato librario sono legate non tanto al numero di lettori, quanto alla composizione di questo gruppo di lettori, e cioè alle abitudini di lettura di un ristretto numero di italiani. | << | < | > | >> |Pagina 24Sta di fatto che, una volta uscita dalla scuola o dall'università, e cessato l'obbligo dello studio, gran parte delle persone perde il contatto con il libro e la lettura, a meno che non svolga un lavoro intellettuale. Il 23,6% delle persone comprese fra i 6 e i 34 anni legge per motivi scolastici, ma questa percentuale è del 22,3% nella fascia d'età 20-24 e di un misero 6,2% nella fascia 25-34. Inutile dire che pure in questo ambito il divario tra le regioni è notevole, anche a livello di scuola dell'obbligo: tra gli studenti delle elementari e delle medie residenti in Valle d'Aosta e in Lombardia quasi il 60% dichiara di aver letto libri per motivi scolastici, mentre in Campania solo il 19,8% ha fatto altrettanto.La lettura come scelta autonoma e responsabile, anche per motivi di studio e aggiornamento, non fa parte delle abitudini degli italiani. Infatti, come abbiamo visto, anche la lettura di tipo professionale è diffusa quasi solo fra chi legge anche nel tempo libero: se non scatta l'interesse o addirittura la passione per la lettura, dopo l'adolescenza il libro esce dall'orizzonte di vita di gran parte degli italiani, spesso definitivamente. Forse la causa di questo fenomeno può essere individuata nel fatto che le politiche di promozione rivolte ai ragazzi e ai giovani sono fortemente ancorate o almeno ci pare che così vengano a volte percepite dai ragazzi stessi a esigenze legate a questioni educative di quella specifica fascia d'età e alla loro condizione transitoria di studenti, per cui non producono un effetto di trascinamento valido anche per le fasi successive della vita? Può darsi. Del resto, come possono i ragazzi considerare la lettura una scelta autonoma e un piacere, se per anni si ripete loro che 'devono' andare a scuola e 'devono' leggere? E se poi vengono giudicati in relazione a ciò che hanno letto e hanno appreso? Riflessioni non diverse da queste emergono anche dal dibattito da tempo in atto nel mondo delle biblioteche pubbliche, dove ci si interroga sulle cause del mancato radicamento delle biblioteche di base, quelle dei quartieri e dei piccoli comuni, anche evidenziando contraddizioni che è difficile superare. Le diagnosi sulle cause di questo stato di fatto, e di conseguenza anche le indicazioni 'terapeutiche', sono differenti. C'è chi ritiene che le biblioteche pubbliche non debbano cercare il proprio spazio solo sul terreno della lettura: «L'impegno che in questi anni è stato profuso per promuovere il 'piacere di leggere', ovvero la pratica individuale della lettura finalizzata alla crescita personale, all'affinamento del gusto e delle capacità critiche, al consumo non massificato del tempo libero, ha contribuito al superamento dell'immagine tradizionale di 'istituzione culturale' associata alla biblioteca, per conferirle una connotazione più dinamica e vicina al vissuto e alla quotidianità di un pubblico ben più ampio e articolato che in passato. L'enfasi, talvolta esclusiva, posta sul 'piacere di leggere' ha però determinato il formarsi di una percezione collettiva che tende a collocare nei casi migliori la biblioteca nel segmento dell' entertainment e nelle congiunture sfavorevoli, come l'attuale a relegarla fra i servizi non essenziali, con quel che di negativo ne consegue e che la maggioranza dei bibliotecari ben conosce» (Lietti-Parise 2006). Posizioni non diverse sono quelle di chi (Boretti 2006), dopo aver ricordato che le linee guida internazionali non limitano il raggio d'azione del servizio bibliotecario pubblico nell'orbita del libro e della lettura, individua una possibile via d'uscita dalle attuali difficoltà nel superamento della storica separazione tra 'sapere' e 'saper fare' che caratterizza la cultura italiana. | << | < | > | >> |Pagina 281.4. Cosa si legge e perchéIl fenomeno della lettura non può essere considerato unitariamente e in modo indistinto, ma va scomposto in base alle diverse motivazioni che lo determinano e ai filoni editoriali verso cui si indirizzano gli acquirenti e i lettori di libri. C'è chi legge per passione e chi per necessità, per motivi legati allo studio o all'attività lavorativa: più correttamente, potremmo dire che c'è chi legge e c'è chi studia. Solitamente, l'attenzione si concentra sulla lettura praticata nel tempo libero, e che quindi risponde a interessi di tipo meramente culturale, che prende le mosse da ragioni non immediatamente utilitaristiche e che si identifica nel puro piacere. Altra cosa dovrebbe essere l'acquisizione di contenuti intesa come investimento per incrementare le proprie conoscenze professionali: in questo caso si tratta, tra l'altro, di un tipo di lettura non sistematica, praticabile anche in tempi brevi e frammentati. Abbiamo già visto che questi due generi di lettura non corrispondono a mondi diversi: essi in gran parte si sovrappongono e, se andiamo a scavare tra i dati, la prima cosa che colpisce è che chi legge per dovere professionale è già lettore nel tempo libero, e infatti solo il 4% della popolazione dichiara di leggere soltanto per dovere lavorativo. Se la percentuale generale di lettori in Italia fosse molto elevata in tutti gli strati della popolazione, questo dato sarebbe assolutamente prevedibile, perché risulterebbe normale un numero molto basso di persone spinte alla lettura solo per motivi esclusivamente professionali. Viceversa, in un paese dove il piacere della lettura nel tempo libero è poco radicato, ma che appartiene al club del G8, ci potremmo aspettare che almeno professionisti e imprenditori avvertissero la necessità di aggiornare le proprie conoscenze, e dunque un dato percentuale più alto. I lettori per motivi professionali, rilevati tra le persone con 15 anni e più, sono circa 5 milioni, pari a quasi il 10% della popolazione. La quota più elevata si registra tra i 25 e i 34 anni, ma colpisce, e dovrebbe far riflettere, un dato: negli anni in cui ci si affaccia nel mercato del lavoro e nel periodo che rappresenta il cuore dell'età lavorativa, la quota di lettura professionale è pari ad un misero 16,2%. Significativamente bassi anche altri due dati: tra le persone in cerca di prima occupazione i lettori per motivi professionali corrispondono solo all'8,7% e tra le persone in cerca di una nuova occupazione al 6,2%. Considerando solo gli occupati, la percentuale di lettori per motivi professionali sale al 19,1%, ma non raggiunge il 40% neppure tra coloro che occupano le posizioni più elevate (è pari al 38,4% tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti e al 27,2% tra direttivi, quadri e impiegati, al 6,1% tra gli operai, all'11% tra i lavoratori in proprio). Negli anni successivi all'iscrizione all'albo o all'avvio dell'attività lavorativa, i professionisti cominciano a leggere sempre meno. I dirigenti, gli imprenditori e i professionisti in poche parole, la classe dirigente del paese leggono più dei propri dipendenti per motivi strettamente professionali, ma meno di loro se teniamo conto di tutti i generi di lettura, compresa la lettura per svago. Possiamo attribuire questa differenza solo a una scarsa disponibilità di tempo libero, o ci possiamo spingere fino a formulare l'ipotesi che i consumi culturali di chi ha in mano le sorti dell'economia e della vita socio-politica italiana siano a un livello piuttosto 'basico'? Tra i loro omologhi tedeschi e francesi il numero dei lettori è grosso modo íl doppio. | << | < | > | >> |Pagina 52Senza aggiungere altro e al di là delle cifre, possiamo convenire che a un 'sud della lettura' corrisponde anche un 'sud delle biblioteche' e che questo elemento costituisce una costante nel tempo, con conseguenze molto gravi. Una ricerca sull'influenza degli indici di lettura sulla crescita di produttività, commissionata dall'Associazione italiana editori in occasione degli 'Stati generali dell'editoria' del 2006, ha evidenziato cosa è avvenuto negli ultimi decenni in alcune regioni italiane, affermando che «una differenza iniziale [nel 1973] di 10 punti del tasso di lettura tra due regioni è in grado di 'spiegare' una differenza e una forbice nella crescita della produttività negli anni successivi che in vent'anni si traduce in uno scostamento di circa il 12%». Ancora più forte l'affermazione secondo la quale «se la Calabria avesse avuto negli anni Settanta il tasso di lettura della Liguria, oggi avrebbe una produttività di 50 punti più alta. Oppure: se nelle regioni il tasso di lettura fosse stato pari a quello medio nazionale avremmo avuto 20 punti di maggior crescita della produttività per l'Abruzzo, 23 per la Basilicata, 24 per Campania e Puglia, 29 per il Molise, 30 per la Calabria».Forse non c'è bisogno di competenze econometriche per sottoscrivere queste affermazioni: sembra fuori di dubbio che esista un rapporto fra condizioni economiche generali, consumi culturali, benessere dei cittadini e livelli di convivenza civile. Θ compito di chi ha responsabilità di governo, a livello nazionale e a livello locale, assicurare pari opportunità a tutti i cittadini. Se la diffusione della lettura si regge anche su presupposti infrastrutturali, una più equilibrata distribuzione e funzionalità della rete bibliotecaria sul territorio potrebbe essere un importante fattore di cambiamento. | << | < | > | >> |Pagina 55Emerge subito una differenza di tipo 'strutturale'. Per loro natura i vertici delle classifiche dei prestiti in biblioteca sono scalabili su tempi più lunghi di quanto non accada con le vendite in libreria: vuoi perché le biblioteche non acquistano molte copie di uno stesso libro, vuoi perché i tempi di lettura tendono a far formare subito una lista d'attesa per i libri più richiesti (cui si rivolgono in particolare i lettori forti, per i quali il prestito costituisce un'alternativa all'acquisto), la fisionomia di una classifica tende ad assumere un aspetto stabile solo dopo alcuni mesi. Inoltre, gli utenti si rivolgono alle biblioteche anche per la lettura di libri evergreen, che in libreria esauriscono prima la loro ondata, oltre che per la lettura di libri ormai fuori commercio. Non è escluso che sulle scelte dei frequentatori delle biblioteche incidano anche le logiche diverse con cui vengono proposte al pubblico le novità librarie e in genere i volumi acquistati, per cui sicuramente l'impatto di libri e autori di successo è più tenue nei confronti di altre opzioni, meno commerciali. Sta di fatto che le biblioteche garantiscono una 'bibliodiversità' e una varietà nell'offerta maggiore di quanto non riescano a fare certe librerie. La Lombardia è una delle realtà più vivaci nel panorama bibliotecario nazionale e vi si registrano le performance più elevate con una costante tendenza verso l'alto, con punte di impatto sulla popolazione fino al 47%, rispetto a una media nazionale di poco superiore al 10%: nei tre più grossi sistemi bibliotecari di quel territorio (Brianza con 35 biblioteche che fanno perno su Monza, Consorzio nord-ovest con 46 biblioteche e sede principale a Rho, e Fondazione Per Leggere con 56 biblioteche e sede principale ad Abbiategrasso) sono stati acquistati nel 2008 libri di oltre 300 editori diversi ma prestati libri di 350 editori diversi; solo il 14% dei libri andati in prestito era stato acquistato nell'ultimo anno (questa dato va ponderato anche alla luce del fatto che gli acquisti annui costituiscono solo una minima parte, solitamente di gran lunga inferiore al 10%, del patrimonio librario di una biblioteca) e il 40% dei prestiti riguarda pubblicazioni degli ultimi quattro anni; il 37% dei libri acquistati riguarda titoli non presenti nei primi 4.000 posti delle classifiche di vendita (questi stessi libri coprono solo l'1% delle copie vendute nei canali commerciali), a conferma del fatto che le biblioteche costituiscono una vetrina per autori ed editori che difficilmente hanno accesso ai banconi e agli scaffali delle librerie. La fisionomia del patrimonio librario delle biblioteche è piuttosto differente in confronto alla produzione complessiva o ai generi editoriali più venduti in libreria: gli acquisti si orientano per il 37% verso la saggistica, per il 25% verso la narrativa, per il 17% verso le opere di consultazione e reference, per il 13% verso i libri per ragazzi.| << | < | > | >> |Pagina 591.7. Qualche confronto internazionaleAbbiamo già sottolineato le forti differenze rilevabili negli indici di lettura delle diverse regioni italiane e il rapporto esistente fra questi dati e tante altre disuguaglianze a livello sociale. Lo stesso si può fare a livello internazionale, anche se una comparazione fra i diversi paesi non è agevole, poiché non in tutte le indagini vengono utilizzati gli stessi parametri, per cui i dati disponibili sono spesso disomogenei. Per esempio, in Italia abbiamo visto che è considerato 'lettore forte' chi legge 12 libri all'anno, mentre in Francia questa qualifica viene attribuita a chi ne legge almeno 20. Comunque, la quota dei cittadini italiani che possono definirsi lettori, etichettando in questo modo con grande generosità chi legge un libro all'anno, è tra le più basse d'Europa: alle nostre spalle troviamo solo pochi paesi dell'area meridionale del continente (Grecia, Malta, Portogallo) o molto poveri, come Bulgaria e Romania. Ai primi posti, con una percentuale di lettori superiore al 70% della popolazione, troviamo i paesi dell'Europa settentrionale e centrale, come Estonia, Svezia, Repubblica Ceca, Finlandia e Regno Unito, che ci stacca di 22 punti percentuali, e la Germania, con 19 punti più di noi. Ma anche la Francia, paese tutto sommato paragonabile al nostro, ci stacca di ben 9 punti. La Spagna, che partiva da livelli molto bassi, nel giro di pochi anni ha fatto progressi enormi fino a raggiungerci e in alcuni casi a superarci. Non sempre questi dati possono essere giustificati con il tenore di vita (in Estonia, paese con un reddito pro capite molto più basso del nostro, legge l'80% dei cittadini; altri paesi, come l'Ungheria, la Polonia o Cipro, presentano una situazione simile, anche se le differenze sono meno marcate) e spesso gli indici di lettura italiani accusano un ritardo di 15-20 punti nei confronti di paesi paragonabili al nostro come livello di redditi e di consumi. Nei 27 paesi dell'Unione europea, in un'area quindi che tendenzialmente cerca di creare condizioni sociali omogenee sotto vari aspetti, in media il 71% della popolazione legge almeno un libro all'anno e la composizione interna di questo insieme è molto differente che da noi: il 20% legge 1 o 2 libri all'anno, il 14% ne legge da 3 a 5, e il 37% ne legge più di 5. La percentuale dei lettori forti in Francia e nel Regno Unito supera il 34%; ma la proporzione è a volte maggiore della nostra anche in paesi con tassi complessivi di lettura inferiori a quelli italiani. In più parti di questo lavoro si presta una specifica attenzione ai giovani ed è opportuno farlo anche in questo caso. In media, poco più della metà dei ragazzi italiani (limitiamoci alla generazione degli studenti che va dai 6 ai 19 anni) legge almeno un libro all'anno. I loro coetanei francesi, tedeschi e spagnoli li distanziano di 10 o 20 punti percentuali. Una rilevazione sul tempo dedicato quotidianamente alla lettura ci dice che un cittadino finlandese legge in media per 46 minuti al giorno, un tedesco per 38, un norvegese per 36, uno svedese per 32, un inglese per 26, un francese per 23, un italiano per 18, uno spagnolo per 15. Anche l'uso delle biblioteche è molto più intenso al di là delle Alpi: nei 27 paesi dell'Unione europea il 35% degli abitanti entra in biblioteca almeno una volta all'anno, mentre in Italia le frequenta solo l'11% della popolazione. Malgrado queste forti differenze e le pesanti barriere linguistiche che ostacolano la diffusione della produzione italiana, la nostra editoria, come si è visto, occupa un buon piazzamento in una graduatoria mondiale che vede in prima posizione gli Stati Uniti, seguiti per quanto riguarda l'Europa da Germania, Gran Bretagna e Francia, e, fuori dal vecchio continente, da Giappone e Cina: il paradosso è che questa impalcatura si regge su una base molto ristretta, formata da un numero di lettori neppure lontanamente paragonabili a quelli dei paesi che ci precedono. | << | < | > | >> |Pagina 69Azzardando una riflessione di carattere socio-economico, possiamo dire che all'interno dei confini nazionali la lettura sembrerebbe essere, anche se con qualche contraddizione, un consumo tipico della 'società del benessere', intendendo con questa espressione non solo i livelli di reddito, bensì le condizioni socio-economiche complessive. Non è così in altri paesi, dove, come si è visto, la lettura è molto diffusa anche in strati della popolazione socialmente ed economicamente più svantaggiati.Se proviamo a guardare dentro casa nostra, è impressionante constatare la corrispondenza tra le percentuali di produzione del Pil per aree territoriali e la quantità di libri letti nelle stesse zone: in entrambi i casi alle regioni del nord spetta una quota che si aggira sul 55%, a quelle del centro poco più del 20% e alle regioni meridionali il 25% circa. C'è una correlazione forte tra il livello di benessere, non solo economico, e gli indici di lettura. Una ricerca pubblicata nel 2005 dall'«Economíst» segnalava come i paesi nei quali si legge di più ed in cui le biblioteche marcano una presenza più incisiva, sono anche i paesi in cui i livelli di competitività sono più elevati, la corruzione e la criminalità pesano in misura minore, la parità fra donne e uomini è scontata, e così via. Certo, sarebbe ingenuo individuare un elementare rapporto di causa ed effetto, affermando che tutti questi valori positivi si affermano perché si legge di più. Forse è vero anche il contrario: la gente legge di più perché vive meglio, ma indubbiamente le due cose vanno di pari passo, poiché il senso critico e gli stimoli che la lettura offre sono di aiuto per il miglioramento della convivenza civile. | << | < | > | >> |Pagina 732.3. E i non lettori?Vediamo, infine, quanti sono e chi sono i non lettori: permangono oltre 20 milioni di nostri connazionali che non hanno alcun rapporto coi libri; mentre 11 milioni e 400.000 persone non leggono niente di niente, neppure un giornale o un rotocalco. I non lettori 'assoluti' sono soprattutto uomini (il 41,6% rispetto al 32,7% tra le donne) e adulti (oltre il 38% della popolazione dai 55 anni in su, con un picco del 69,7% tra gli ultra settantacinquenni). [...] Manca, e sarebbe invece molto utile, un'indagine che aiuti a conoscere la percezione che l'opinione pubblica, la gente comune fatta in prevalenza da non lettori, come sappiamo ha dei lettori, del libro, della biblioteca, della lettura. Chi sa cosa pensa della gente che 'spreca' il proprio tempo a leggere? Si direbbe che la lettura viene comunemente associata a valori positivi, se dobbiamo dar retta, per esempio, a quei genitori anch'essi in prevalenza non lettori, come confermano le statistiche che rimproverano di frequente i loro figli perché non leggono o leggono troppo poco. Come la mamma, la patria o la bandiera, pochi sparerebbero a zero sui libri o combatterebbero una battaglia contro la lettura. Ma questo atteggiamento, anche se tiepidamente favorevole, non si traduce in atti conseguenti e non si spinge fino al punto di accostarsi al libro. La pratica della lettura non viene vissuta come un atto da imitare, uno strumento di distinzione o promozione sociale, né come status symbol. Diciamo che la lettura 'non fa figo', non è cool. | << | < | > | >> |Pagina 782.4. Fattori che influenzano i comportamenti di letturaI comportamenti di lettura sono fortemente condizionati da numerosi fattori di natura ambientale, culturale e sociale, e non sempre è agevole individuare i rapporti di causa ed effetto che determinano la propensione a leggere e, alla fine, gli indici di lettura veri e propri. Abbiamo già visto alcune di queste correlazioni e altre ne vedremo nelle pagine che seguono. Non è semplice, però, identificare le interazioni tra questi diversi fattori senza rischiare di cadere in un piatto determinismo. Più facile, forse, individuare le cause della non lettura: tutti i dati concordano, ad esempio, nell'indicarci una minore oggettiva probabilità di divenire lettori se si nasce in una regione del Mezzogiorno d'Italia. A sua volta, la pratica della lettura condiziona il livello delle competenze cognitive e linguistiche, il rendimento scolastico e altre variabili. Θ notorio, come confermano anche i rapporti Pisa-Ocse, il livello di eccellenza della nostra scuola elementare, che genera nei bambini italiani competenze molto elevate. Viceversa, i nostri quindicenni sono significativamente al di sotto della media dei paesi Ocse: ebbene, tutti i paesi europei con tassi di lettura più elevati del nostro presentano anche competenze linguistiche maggiori, mentre un paese come il Portogallo, dove si legge meno che da noi, fa registrare competenze linguistiche pari alla metà di quelle degli italiani (http://www.pisa.oecd.org).
In concreto, si può dire che i due fattori che maggiormente influenzano la
lettura sono il grado di istruzione e il livello socio-economico, non tanto
perché l'acquisto di libri sia particolarmente oneroso, ma perché, non essendo
il libro un bene di prima necessità,
ad esso ci si accosta solo dopo che sono state soddisfatte altre esigenze: pur
sapendo di correre il pericolo di essere fraintesi, diciamo che il libro è un
genere di consumo voluttuario, per cui il consumo tende ad
aumentare col crescere del reddito. In molti casi, la
disponibilità di reddito ha origine anche da una condizione professionale
gratificante e da un elevato livello
di istruzione, per cui la relazione tra questi diversi elementi all'interno di
un complessivo stato di benessere risulta evidente.
| << | < | > | >> |Pagina 852.5. Rapporto con gli altri consumi culturaliSarebbe sbagliato considerare la lettura un consumo culturale gerarchicamente e qualitativamente più elevato di altri, in modo semplicistico ritenuti meno nobili, e pensare che essa sia da privilegiare rispetto ad altre forme di partecipazione alla vita culturale. Anche chi ha a cuore i destini del libro o delle biblioteche e ritiene che le pratiche di accostamento alla parola scritta sia quelle effettuate nel tempo libero, per puro piacere, sia quelle legate a motivi di studio siano importanti non può pensare che esse possano prosperare al di fuori di un tessuto composito e vivace di stimoli informativi e formativi, che favoriscano la creatività e la crescita dell'individuo, e la sua capacità di fruire attivamente di una pluralità di prodotti culturali. In questa chiave, quindi, conviene analizzare il rapporto fra la lettura e gli altri consumi culturali, più o meno tradizionali, senza commettere l'errore di ritenere che si stia partecipando a una competizione, da vincere a ogni costo. Si è detto che, malgrado tutto, il libro rimane il principale consumo culturale degli italiani e regge bene il confronto con altri mezzi di intrattenimento e di formazione: il fatturato dell'editoria libraria è più elevato di quello della stampa quotidiana e della stampa periodica (che messi insieme sfiorano i 3 miliardi e mezzo fatturati dall'editoria italiana). La sola 'editoria d'autore', che non include i libri scolastici, con i suoi 1,6 miliardi annui è di gran lunga più forte del mercato dell'home video (un miliardo scarso), della musica (700 milioni), del cinema (655 milioni), dei videogiochi (500 milioni), del teatro (155 milioni), di mostre e musei (che non raggiungono i 100 milioni annui). | << | < | > | >> |Pagina 93Chi conosce superficialmente le dinamiche della lettura e si limita a lanciare uno sguardo distratto verso questa realtà, finisce spesso col convincersi che le cose stiano in un certo modo, anche se ciò non è assolutamente vero: capita spesso di ascoltare o di leggere considerazioni di una banalità terrificante e per nulla suffragate dai dati, e preoccupa che queste affermazioni provengano spesso da intellettuali e operatori culturali che godono di un certo prestigio o da persone con rilevanti responsabilità pubbliche. Quando si combattono falsi nemici o si perseguono obiettivi sbagliati si rischia di contribuire soltanto a perpetuare lo stato di fatto, senza fare nulla per rimuovere le vere cause delle difficoltà alle quali ci si vorrebbe opporre. Proviamo a riprendere alcune delle frasi stereotipate che sovente vengono ripetute e a vedere se esse rispondono almeno in parte alla realtà. Vediamo cosa c'è dietro e come altrimenti possono essere analizzati alcuni elementi. | << | < | > | >> |Pagina 104In questi ultimi anni abbiamo assistito ad alcuni cambiamenti, che un po' semplicisticamente vengono etichettati come un 'effetto sostituzione' di Internet rispetto al libro, ma che non possono però essere analizzati in modo banale: nei primi anni del nuovo millennio tra i ragazzi e i giovani di 6-24 anni l'uso del personal computer è passato da percentuali intorno al 50% a percentuali che superano i tre quarti del totale, ed è contemporaneamente cresciuta anche la lettura nel tempo libero, sia pure in misura più contenuta, passando da percentuali inferiori al 50% a cifre decisamente superiori (il 53,8% nel 2006, il 56,6% nel 2008 per la fascia 6-19 anni). Va detto che è diminuito in misura notevole il numero di giovani che legge soltanto, grosso modo nelle stessa proporzione in cui è aumentato il numero di coloro che usa solo il computer, anche se non si tratta delle stesse persone; nel complesso è aumentata la quota di chi svolge entrambe le attività e si può immaginare che essa abbia assorbito il flusso di chi leggeva soltanto e di chi non svolgeva alcuna attività; una parte di giovani che non facevano nulla sono poi diventati utilizzatori esclusivi del pc. Quindi, più che di un effetto sostitutivo bisognerebbe parlare di un effetto aggiuntivo, e si può dire che abbiamo di fronte un gruppo di ragazzi curiosi e interessati a molte forme di comunicazione, con una 'dieta mediatica' ricca e assortita, e un altro gruppo di ragazzi più svogliati, dediti alla 'monocultura' del computer.I reali motivi di preoccupazione non vengono quindi da un abbandono delle pratiche di lettura, ma da altri fattori. Con la graduale diffusione delle connessioni a banda larga e del digitale terrestre nelle abitazioni, siamo in presenza di un quadro di riferimento del tutto nuovo, e cioè di generazioni che si stanno formando e ancora di più si formeranno all'interno di un universo digitale che avvolge tutto e tutti. La digital native generation crescerà in un mondo in cui le varie proposte di cultura si somiglieranno sempre di più, essendo fortemente condizionate dal mezzo che le veicola e sul quale tendono a convergere, e risulteranno come appiattite su un'unica dimensione, quella dello schermo. Uno studio sulla 'Google generation' condotto in Gran Bretagna nel 2008 ha posto in evidenza come le strategie di ricerca al computer dei ragazzini e degli studenti universitari siano praticamente identiche e sempre molto elementari, fondate su pochissime parole chiave e tendano a concludersi non appena il motore di ricerca recupera qualche documento, senza che ne vengano valutate criticamente la pertinenza, la rilevanza e l'attendibilità: la comodità del copia e incolla spegne qualsiasi curiosità e impigrisce i giovani. Ma questo rischio non riguarda soltanto i più giovani, che sono solo più esposti per il semplice fatto che non conoscono i contesti e le situazioni precedenti. A volte perfino i ricercatori, malgrado gli atenei mettano a loro disposizione costosissime banche dati (ma abbiamo già visto che esse sono poco usate: solo in tre università italiane il numero medio di utilizzi annui pro capite è superiore a 5), si appiattiscono su questi stessi comportamenti, rinunciando in partenza alle sofisticate opportunità di recupero dell'informazione di cui potrebbero usufruire. Questa autolimitazione delle possibilità di ricerca, come effetto collaterale e indesiderato dell'evoluzione tecnologica, non è un fatto del tutto nuovo: le statistiche bibliotecarie ci dicono che da quando esistono i cataloghi elettronici molti utenti usano per le loro ricerche solo questa fonte, anche se in essa non è stato riversato tutto il patrimonio librario posseduto, e ciò finisce con l'oscurare i libri presenti solo nei vecchi cataloghi cartacei a schede. Gli effetti che queste modalità di studio paperless potranno avere sono difficilmente prevedibili, ma è giustificata una forte preoccupazione. Ormai, le esigenze di rapidità e la volontà di utilizzare solo strumenti di facile impiego riducono la disponibilità a sacrificare tempo ed energie per effettuare una ricerca un po' più approfondita. Ma il pericolo è ancora maggiore e contiene sfumature non sempre percepibili con immediatezza. Chi si è formato nei decenni passati aveva chiara la profonda differenza esistente tra andare al cinema, frequentare una biblioteca, ascoltare un disco di musica, leggere un romanzo o un fumetto, studiare su un manuale ed effettuare una ricerca in un dizionario o un'enciclopedia, assistere a una lezione o a una conferenza, prendere appunti o fare una fotocopia, scrivere una pagina del proprio diario, conversare al telefono, e così via. Era più facile rapportare ognuna di queste attività ad esigenze diverse e ai diversi momenti della giornata, utilizzando di volta in volta lo strumento più adatto a soddisfare ciascuna necessità. Messi di fronte ad uno schermo che contiene tutto questo, non sarà altrettanto facile distinguere tra ciò che serve ad informarsi e documentarsi, ciò che invece è di supporto alla formazione e allo studio individuale, ciò che è funzionale all'intrattenimento e allo svago, ciò che mette in comunicazione con gli amici e i coetanei. | << | < | > | >> |Pagina 1143.4. Gli e-book sostituiranno i libriSiamo così giunti al tema del libro elettronico, il più giovane dei presunti 'nemici' del libro. La domanda che si pongono coloro che temono (ma anche coloro che auspicano) l'avvicendamento del libro elettronico al posto del libro cartaceo è: l'e-book è la stessa cosa di quell'insieme di fogli stampati e rilegati insieme, chiamato libro? E ancora: possiamo affermare sul serio che l'e-book è nemico del libro? Malgrado si possa dire che l'e-book stia cominciando a diffondersi solo ora, questa nuova forma di libro ha già una storia abbastanza lunga, fatta di luci e ombre, che non può essere descritta in questa sede e per la quale si può senz'altro rinviare a recenti e specifiche trattazioni ( Roncaglia 2010 ). Qui basterà soltanto chiarire alcuni aspetti della questione, dalla particolare prospettiva da cui per i nostri fini ci interessa osservarla, e cioè dal punto di vista dell'effetto che può determinarsi sulle pratiche di lettura. Per e-book si deve intendere l'insieme delle componenti hardware e software di questa tecnologia, dando per scontato che la semplice fruizione su un computer da scrivania del solo testo elettronico non ha niente a che vedere col libro. Anche se il termine e-book viene utilizzato a volte per connotare la versione digitale del testo di un libro e altre volte per connotare il dispositivo utilizzato per visualizzare e leggere questi testi, a noi sembra che questa espressione sia appropriata solo per riferirsi all'insieme delle due cose, e cioè a un oggetto di dimensioni, peso e portabilità paragonabili a un libro a stampa, ma che abbia al posto delle pagine uno schermo su cui leggere un testo organizzato in forma di libro e con l'aspetto di un testo a stampa, che possa essere letto con modalità simili a quelle cui siamo abituati, e cioè sottolineando, prendendo appunti, inserendo un segnalibro, e così via. | << | < | > | >> |Pagina 1273.7. Si può essere ricchi e ignorantiΘ emersa nelle pagine precedenti una forte correlazione fra il tasso di lettura e di consumo culturale in genere e alcuni indicatori che misurano il livello di benessere, anche economico, della popolazione. Non ci spingiamo fino al punto di affermare che la lettura produce ricchezza, ma, se si considera che i tassi di lettura e quelli di istruzione di solito viaggiano a braccetto e che vi è un evidente collegamento tra i livelli di partecipazione attiva alla vita civile e culturale e la vivacità anche economica di una nazione, si può senz'altro sostenere che un paese poco attento alla circolazione del sapere anche nelle forme tradizionalmente legate al libro difficilmente potrà prosperare. Quanto ci danneggia la troppo bassa percentuale di lettori rilevata fra i professionisti, i dirigenti, i laureati in genere? Fin dagli ultimi decenni del XX secolo si è cominciato a parlare del valore economico della conoscenza e di knowledge-based economy in riferimento ad una concezione dello sviluppo in cui la conoscenza viene considerata un bene economico di primaria importanza, in quanto pilastro dell'innovazione dei processi produttivi. Nelle pagine precedenti si è già detto qualcosa a proposito della scarsa propensione degli italiani alla lettura legata a motivazioni di studio e di lavoro e, a questo punto, è lecito interrogarsi su come tutto ciò sia conciliabile con le strategie di Lisbona, tendenti a far affermare in Europa un'economia competitiva e dinamica, fondata sulla conoscenza. [...] Il trinomio conoscenza-apprendimento-economia va quindi considerato come un tutt'uno, e sui risultati di questo circolo virtuoso, o della disattenzione rispetto a questi temi, non è possibile barare. Del resto, il fiato corto dell'Italia rispetto a queste prospettive strategiche trova conferma anche nelle modeste quote del Pil investite in ricerca, scuola e università, molto inferiori a quelle europee e statunitensi, con l'aggravante che in Italia le imprese investono in ricerca e sviluppo meno di quanto non faccia lo Stato, a differenza di quanto avviene ad esempio negli Usa, dove i privati investono più del doppio rispetto al settore pubblico: ma qui il discorso ci porterebbe lontano. Per lo stesso motivo non è possibile dilungarsi sullo stato delle nostre biblioteche scolastiche e universitarie, ma anche sulla scarsa considerazione in cui enti di ricerca, aziende pubbliche e imprese tengono i loro centri di documentazione, le loro biblioteche, i loro servizi informativi, e tutto il sistema dell'informazione scientifica, tecnica ed economica. Per l'Italia, che non può certo affidare le sue possibilità di sviluppo economico alle materie prime o al costo della manodopera, ma che deve necessariamente puntare sul capitale intellettuale, queste scelte sono assurdamente miopi e rischiano di condannarci ad un futuro di ignoranza, che ci impedirà di continuare ad occupare posizioni di privilegio sulla scena economica mondiale e, più semplicemente, a conservare il tenore di vita cui siamo abituati. Una politica pubblica dell'informazione scientifica, inoltre, avrebbe anche il compito di bilanciare gli interessi in gioco e di ricercare un punto di equilibrio fra due rischi contrapposti: l'autoreferenzialità del sistema della ricerca e la sua subalternità alle convenienze dei potentati economici e industriali. In relazione alla ricaduta di tali questioni sui temi dello studio e della lettura, si può dire che esiste di sicuro per l'Italia un gap per quanto riguarda la consuetudine a studiare e documentarsi durante tutto l'arco della vita e sul terreno dell' information literacy, e cioè delle competenze informative e della capacità di esprimere e soddisfare in modo maturo le proprie esigenze di studio, reperendo in modo appropriato le fonti che possano dare risposte pertinenti a tali esigenze. L'abitudine a studiare a contatto con le fonti acquisita fin dagli anni della scuola e mantenuta nel corso dell'attività lavorativa, la capacità di distinguere tra strumenti affidabili e strumenti meno affidabili, una prassi costante e rigorosa di documentarsi per supportare le decisioni su dati certi e verificati, una capacità di appropriazione e rielaborazione critica dei contenuti sono tutte cose che danno un'impronta di serietà e scientificità all'agire quotidiano degli studiosi, dei funzionari pubblici, dei professionisti, degli imprenditori, se si vuole costruire su basi solide un futuro di ricchezza e prosperità. Lo spartiacque fra chi è povero di informazioni e chi è ricco di informazioni diventerà sempre più uno spartiacque fra chi è povero e chi è ricco in assoluto. Alle vecchie forme di ignoranza che venivano combattute attraverso i libri, tra cui lo scarso livello di competenze linguistiche, si aggiunge ora il digital divide, una frattura tra chi è dentro e chi è fuori dall'universo digitale, che diviene causa di un'emarginazione e un'arretratezza ogni giorno più profonda, fino a divenire irreversibile. Mentre cresce il numero degli italiani che utilizzano quotidianamente la rete (tra 2007 e 2009 si è passati dal 23 al 34% e il ritmo di incremento continua a galoppare) e non si riscontrano sensibili differenze di genere tra i giovani di 14-34 anni, è marcata la differenza nelle generazioni più adulte. Se non intervengono fatti nuovi ad esempio, se il nostro governo non si decide a investire nel completamento della rete a banda larga occorreranno altri dieci anni, decisamente troppi, per portare le quarantenni allo stesso livello attuale di utilizzo di Internet dei loro coetanei di sesso maschile. La disponibilità delle tecnologie e la capacità di usarle diviene la linea di demarcazione dello sviluppo e uno degli elementi attraverso i quali calcolare gli 'indici di modernizzazione', che pongono in relazione i dati sui tassi di alfabetizzazione, di industrializzazione, di urbanizzazione e di esposizione ai media. L'enorme quantità di documentazione e informazione che viene prodotta ogni giorno e che è contenuta tanto nei libri quanto nella rete rappresenta una risorsa preziosa e uno degli elementi costitutivi della vita quotidiana di milioni di persone che hanno bisogno di accedere in modo completo, affidabile e tempestivo a questi documenti per poter esercitare i propri diritti di cittadinanza, per poter svolgere la propria attività lavorativa, per poter partecipare alla vita collettiva.
Per concludere queste considerazioni, si può dire
che non solo non ci può essere un futuro di ricchezza
per un popolo ignorante, ma che sarebbe dovere dei
poteri pubblici promuovere una politica culturale, una
politica della scienza, una politica della ricerca e all'interno di questa linea
di intervento trovare uno spazio
anche per la promozione del libro e della lettura, da
intendere come investimento per lo sviluppo.
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