Copertina
Autore Susan Sontag
Titolo Pellegrinaggio
EdizioneArchinto, Milano, 2004, Le vele , pag. 88, cop.fle., dim. 114x165x7 mm , Isbn 978-88-7768-411-0
OriginalePilgrimage [1987]
TraduttorePaolo Dilonardo
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe biografie , narrativa statunitense , libri
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Pagina 5

Tutto quel che circonda il mio incontro con lui ha il colore della vergogna.


Dicembre 1947. Ero quattordicenne, intrisa di fervida ammirazione e di impazienza per la realtà verso cui mi sarei messa in viaggio una volta liberata da quella lunga condanna al carcere, la mia infanzia.

Meta quasi in vista. Già iscritta al terzo anno, avrei finito le superiori a soli quindici anni. E poi, e poi... tutto mi si sarebbe spalancato. Nel frattempo attendevo, scontavo la mia pena (ancora quattordicenne!), dopo essermi da poco trasferita dal deserto dell'Arizona meridionale alla costa della California del Sud. Un altro scenario, con nuove possibilità di evasione - lo avevo accolto con piacere. Nel 1945, il secondo matrimonio di mia madre, vedova e errabonda, con un attraente asso dell'aviazione pieno di medaglie e di schegge di granate, che a coronare un anno di ospedale era stato mandato nel deserto rigeneratore (lo avevano abbattuto cinque giorni dopo lo sbarco in Normandia), sembrava aver lasciato a terra soprattutto lei. L'anno successivo la nostra ricostituita famiglia - madre, patrigno, sorellina, cane, balia irlandese, residuo dei vecchi tempi e stipendiata per modo di dire, più l'estranea di casa, io - aveva sgomberato la villetta decorata a stucco su una strada sterrata della periferia di Tucson, dove ci aveva raggiunti il capitano Sontag, per trasferirsi in un cottage di quelli con le persiane, accogliente, con siepi di rose e tre betulle, situato all'imbocco della San Fernando Valley, in cui al momento fingevo di stare in posa per un facsimile di vita familiare e per quel che restava della mia implausibile infanzia.

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Pagina 12

Ero stata una lettrice accanita sin dalla primissima infanzia (leggere era affondare un coltello nelle loro vite), e quindi una lettrice promiscua: fiabe e fumetti (ne avevo un'ampia collezione), l'Enciclopedia Compton, la serie dei Bobbsey Twins e di altri libri di Stratemeyer, libri sull'astronomia, la chimica, la Cina, biografie di scienziati, tutti i libri di viaggio di Richard Halliburton, e un buon numero di classici per lo più d'età vittoriana. Poi, vagando nel retro di un negozio di articoli di cartoleria e di biglietti d'auguri in quel villaggio che era il centro di Tucson a metà degli anni quaranta, ruzzolai nel pozzo profondo della Modern Library. Lì c'erano i classici riconosciuti, e lì, sul retro d'ogni libro, c'era la mia prima lista. Dovevo soltanto acquistare e leggere (novantacinque cents per i volumi piccoli, un dollaro e venticinque per quelli della serie Giants) - e a ogni libro il senso di possibilità si apriva in me, come il metro di un falegname. Entro un mese dall'arrivo a Los Angeles, poi, avevo scovato una vera libreria, la prima della mia vita stordita dalle librerie: la Pickwick sull'Hollywood Boulevard, dove andavo ogni due o tre giorni dopo la scuola per leggermi in piedi un altro po' di letteratura mondiale comprando quando potevo, rubando quando ne avevo il coraggio. Ognuno di quei miei furti occasionali mi costava settimane di autodenigrazione e il terrore di umiliazioni future, ma cosa avrei potuto fare, considerando la misera somma che mi veniva passata? Strano che non avessi mai pensato di andare in una biblioteca. Dovevo acquistarli, vederli in fila lungo una parete della mia minuscola camera da letto. Le mie divinità familiari. Le mie navicelle spaziali.

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Pagina 30

Leggere e ascoltare musica: trionfi del mio uscire da me stessa. Che quasi tutto ciò che ammiravo fosse prodotto da persone che erano morte (o vecchissime) o provenienti da un altro luogo, idealmente l'Europa, mi sembrava inevitabile.

Accumulavo dèi. Ciò che Stravinskij era per la musica, Thomas Mann lo diventò per la letteratura. Nella mia grotta d'Aladino, la Pickwick, l'11 novembre 1947 prendendo in questo momento il libro dallo scaffale trovo la data scritta sulla pagina di risguardo in quel carattere corsivo che andavo allora praticando - comprai La montagna incantata.

Lo iniziai quella sera, e per le prime sere ebbi problemi a respirare mentre leggevo. Perché quello non era semplicemente un altro libro che avrei amato, ma uno di quei libri che trasformano, una fonte di scoperte e riconoscimenti. L'Europa intera fece irruzione dentro la mia testa - a patto però che iniziassi a celebrarne il lutto.

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Pagina 34

[...] Dopo aver terminato l'ultima pagina, ero così riluttante a separarmi dal libro che lo ricominciai da capo e, per tenermi al ritmo che il libro meritava, lo rilessi ad alta voce, un capitolo per notte.

Il passo seguente fu quello di prestarlo a un amico, di provare il piacere della lettura di un altro - amarlo insieme a un altro, ed essere in grado di parlarne. All'inizio di dicembre prestai La montagna incantata a Merrill. E Merrill, che immediatamente leggeva qualunque cosa gli propinassi, lo amò anche lui. Bene.

Poi Merrill disse, «Perché non andiamo a trovarlo?». E fu allora che la mia gioia si tramutò in vergogna.

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Pagina 68

Mentre metteva giù tazza e piattino, e poi sfiorava l'angolo della bocca con l'orlo di un pesante tovagliolo bianco, Thomas Mann disse che gli faceva sempre piacere incontrare dei giovani americani, che mostrassero il vigore e la salute e il carattere fondamentalmente ottimistico di questo grande paese. Mi sentii mancare. Era quel che avevo temuto - stava portando il discorso su di noi.

Ci chiese dei nostri studi. I nostri studi? Ciò creò un ulteriore imbarazzo. Ero sicura che non avesse la più pallida idea di cosa fosse una scuola secondaria della California del Sud. Sapeva dell'Educazione Stradale (obbligatoria)? Dei corsi di dattilografia? Non si sarebbe forse sorpreso dei preservativi raggrinziti che vedevamo sul prato mentre lo attraversavamo per correre alla prima ora di lezione (il campus era uno dei luoghi favoriti per gli appuntamenti notturni) - nella prima settimana di scuola la mia sorpresa aveva rivelato il fatto che fossi due anni più giovane dei miei compagni, perché avevo stupidamente chiesto a qualcuno per quale ragione ci fossero quei palloncini sotto gli alberi. E non si sarebbe sorpreso del «tè» venduto da un paio di pachuke (così venivano chiamati i ragazzi chicanos) che stazionavano lungo il muro sinistro dell'aula magna ogni mattina all'intervallo? Avrebbe potuto immaginarsi George che, come alcuni di noi sapevano, aveva una pistola e rapinava i benzinai? Ella e Nella, le due sorelle nane, che avevano capeggiato il boicottaggio organizzato dal Club della Bibbia, ottenendo che venisse ritirato il nostro libro di biologia? Sapeva che il latino era sparito, e così Shakespeare, e che per mesi, durante le lezioni di inglese del secondo anno, l'insegnante visibilmente inebetita, ci allungava delle copie del «Reader's Digest» all'inizio di ogni lezione - dovevamo scegliere un articolo e scriverne il riassunto - e poi passava l'ora seduta alla cattedra in silenzio, scuotendo la testa e facendo la maglia? Avrebbe potuto immaginare la distanza abissale che separava il mondo del Ginnasio della sua nativa Lubecca, dove il quattordicenne Tonio Kröger corteggiava Hans Hansen cercando di fargli leggere il Don Carlos di Schiller, da quello della scuola secondaria di North Hollywood, alma mater di Farley Granger e Alan Ladd? Non avrebbe potuto, e speravo che non l'avrebbe mai scoperta. Ne aveva già abbastanza per essere triste - Hitler, la distruzione della Germania, l'esilio. Era meglio che non sapesse quanto fosse davvero lontano dall'Europa.

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