|
|
| << | < | > | >> |Pagina 9Il giorno spuntava su Londra, la grande città degli scapoli, e davanti ai portoni cominciavano a comparire le prime bottiglie di latte: così da Hampstead Heath a Greenwich Park, da Wanstead Flats a Putney Heath, ma soprattutto a Hampstead, soprattutto a Kensington. In Harrington Road, Queen's Gate, The Boltons e Holland Park, a Kensington, in King's Road e negli angoli tranquilli di Chelsea gli scapoli si girarono tra le lenzuola nei loro appartamenti, allungarono la mano verso l'orologio e, quasi in grado di intendere e di volere, controllarono l'ora; poi, ricordando che era sabato, si voltarono dall'altra parte. Ma di lì a poco, essendo sabato, la maggior parte di loro sarebbe uscita a comprare uova e pancetta, la scorta settimanale per la colazione e le sporadiche cene; uscivano sempre presto, gli scapoli, prima delle dieci e un quarto, per non dover sgomitare con le donne, le legittime depositarie della spesa. Alle dieci e un quarto Ronald Bridges, trentasette anni, nei giorni feriali viceconservatore di un piccolo museo di grafologia nella City, si fermò in Old Brompton Road per scambiare due chiacchiere con l'amico Martin Bowles, avvocato trentacinquenne. Ronald tirò su e giù la vecchia sporta di plastica per lasciar intendere a Martin che gli pesava, e che fare la spesa era una gran seccatura. «Dove li hai comprati, i piselli surgelati?» chiese indicando un pacchetto che debordava dalla sporta di Martin. «Da Clayton's». «Quanto li fanno?». «Una sterlina e sei la confezione piccola; basta per due. Quella grande viene due e sei, sei porzioni». «Pazzesco» disse Ronald, partecipe. «Paghi anche l'aria che respiri». «Cos'altro hai lì?». «Del merluzzo. Se lo cucini con lo yogurt e un pizzico di maggiorana sa di halibut. Mamma è via per due settimane con la vecchia domestica...». «Maggiorana? Dove la trovi?». «Oh, da Fortnum and Mason. Ci trovi ogni sorta di spezie. Io ne prendo un sacchetto al mese. Da quando mamma si è operata, sono quasi sempre io che faccio la spesa e cucino. Ormai la vecchia Carrie non ce la fa più; non che sia mai stata una gran cuoca». «Devi proprio avere la passione, se per comprare le spezie vai fino a Piccadilly». «Di solito ci infilo anche qualche altra commissione. Ci piacciono le spezie, a me e a mamma. Entriamo?». Stava indicando un caffè. Si sedettero accanto alle sporte e sorseggiarono un espresso con languida soddisfazione. «Mi sono dimenticato il detersivo» disse Ronald. «Bisogna che me lo ricordi». «Non fai una lista?» chiese Martin. «No. Mi affido alla memoria». «Io quando non c'è mia madre la faccio. Della spesa mi occupo sempre io il sabato. Quando c'è, la lista la fa lei. Però è sempre illeggibile». «Se hai la memoria buona perdi solo tempo». «Le dispiace?» disse una ragazza appena entrata nel caffè. Si riferiva alla sporta di Ronald, che occupava il sedile lungo la parete. «Oh, scusi» disse Ronald, togliendo la sporta e mollandola per terra. La ragazza si sedette, e quando arrivò la cameriera disse: «Aspetto un amico». Aveva i capelli neri raccolti, gli occhi scuri e un ovale da ballerina classica. Restituì ai due scapoli un'occhiata sonnolenta di routine, poi si accese una sigaretta e si mise a guardare la porta. «Ci sono le patate novelle, adesso» disse Ronald. «Ormai ci sono sempre,» rispose Martin «in stagione e fuori. È così con tutto: patate e carote novelle tutto l'anno, piselli e spinaci, e perfino i pomodori in primavera». «Eh sì, basta pagare» disse Ronald. «Basta pagare» disse Martin. «Tu che pancetta prendi?». «Mi accontento di quella grassa. Fosse per me, non farei neanche colazione». «Io uguale». «Paghi anche l'aria che respiri» disse Ronald, anticipandolo. Entrò un tipo mingherlino, che si diresse verso la ragazza con un sorriso dolce e spirituale. Le si sedette accanto sulla panca, poi riparandosi col menu le disse qualcosa a voce bassissima. «Oh Gesù» mormorò Martin. Ronald guardò verso l'uomo, ma la ragazza seduta al suo fianco gli toglieva la visuale. Osservò la testa, lì per lì senza capire se avesse i capelli biondi o bianchi; ben presto si rese conto che erano una cosa e l'altra. L'uomo era magro, con una faccia ansiosa e puntuta come il naso, e la pelle segnata, di un pallore grigiastro. Dimostrava intorno ai cinquantacinque anni e portava un abito blu scuro. «Non guardarlo» disse Martin. «Quel tipo ha una causa in corso e io rappresento l'accusa. La settimana prossima dovrà comparire di nuovo davanti ai giudici. Deve presentarsi tutti i giorni alla stazione di polizia». «Di cosa è accusato?». «Appropriazione indebita e forse anche altro. Secoli fa uno del mio studio ha difeso Seton; non ci ha guadagnato nessuno dei due. Dài, muoviamoci». Ronald posò il giornale. «Il detersivo» disse una volta fuori. «Devo proprio ricordarmi il detersivo». «Da che parte vai?». «Qui di fronte, da Clayton's». «Anch'io. Non ho molto da comprare, la settimana prossima ceno fuori quattro volte. Tu la domenica dove vai?». «Oh, in giro» rispose Ronald. «Vedo sempre qualcuno». «Se qualcuno tiene compagnia a mamma, io vado a Leighton Buzzard» disse Martin. «È un posto simpatico, un bel diversivo. Ma quando Isobel resta a Londra vado a casa sua». Avevano attraversato la strada. «Ho lasciato il giornale al caffè» disse Ronald, impacciato. «Torno a prenderlo. Ci vediamo». «Ti senti bene?» disse Martin mentre l'altro si accingeva a riattraversare la strada. «Oh, sì, certo. È solo per il giornale». «Sicuro?» insisté Martin impermalito, sapendo dell'epilessia di Ronald. «Ciao». Ronald aveva già attraversato. Recuperò il giornale e si sedette dalla parte opposta per vedere meglio l'uomo dalla chioma biondo-argentea, che parlava sottovoce alla ragazza coi capelli neri come se volesse convincerla. Ronald ordinò un caffè e un pasticcino alla panna. Aprì il giornale e di tanto in tanto, da dietro, sbirciava il tizio, sempre impegnato a convincere la ragazza. Non riusciva a stabilire dove lo avesse già visto, ammesso che lo avesse visto davvero. «Sto diventando una vecchia zitella impicciona» si disse più tardi uscendo, per motivare il suo ritorno al caffè. Preferiva darsi della vecchia zitella impicciona anziché riconoscere apertamente la vera ragione, e cioè che aveva voluto mettere alla prova la propria memoria. Sì, Ronald non perdeva mai l'occasione di verificare se un giorno l'epilessia avrebbe compromesso le sue facoltà mentali. | << | < | > | >> |Pagina 60«Signore Iddio salvami, aiutami a vincere la mia debolezza» esclamò Matthew Finch, corrispondente da Londra dell'«Irish Echo». Stava pelando una cipolla. Quando squillò il telefono, le lacrime gli imperlavano ancora le ciglia. «Fa' che non sia un'occasione di peccato» disse a se stesso o a Dio, andando a rispondere.«Pronto» disse ansioso, anche se in fondo già sapeva chi era. «Sono Elsie» rispose Elsie Forrest. «Ah, sì, Elsie. Ciao, Elsie». «Mi stai aspettando, Matthew? Avevi detto domenica, no?». «Sì, Elsie, vieni. La sai, la strada? Prendi la metropolitana fino a South Kensington, poi il 30 e scendi a Drayton Gardens. Ci vediamo alla fermata dell'autobus. Sarai lì verso le sei meno un quarto». «Veramente pensavo di prendere la metropolitana fino a...». «No, no, meglio l'autobus da South Kensington. Ti aspetto verso le sei meno un quarto». «D'accordo, Matthew». Elsie non era mai stata a casa sua. In realtà lui preferiva Alice Dawes, l'altra ragazza del bar, ma Alice era già impegnata. Tutto sommato era contento di aver scoperto Elsie. Non che avesse bisogno di mettersi con l'una o con l'altra, però, sì, aveva voglia di conoscere una ragazza nuova; la sua ex era andata in America e lui, a Londra, senza una ragazza si sentiva solo. Delle due, Alice Dawes, con quei capelli neri raccolti in cima alla testa, era la più carina; ma Elsie Forrest era più accessibile. «Signore Iddio, aiutami a vincere la mia debolezza» esclamò tornando alla cipolla. A Matthew le donne piacevano parecchio, ma si faceva un mucchio di scupoli riguado al sesso. A Dublino era più facile; lì uno scapolo salvaguardava la propria virtù passando ore al pub. Matthew non sapeva cosa avrebbe fatto con Elsie. Doveva mettere insieme qualcosa per la cena, poi a cucinare ci avrebbe pensato lei. Non sapeva nemmeno cosa fare della cipolla, così tentò di prevedere l'effetto delle attrattive di Elsie, chiedendosi quale sarebbe stato l'esito della serata. Per questo si era preparato: l'alito alla cipolla, aveva scoperto, smonta sempre le ragazze e si rivela una fortezza inespugnabile contro il demonio e un mezzo per evitare occasioni di peccato. Matthew, però, non era certo che quella sera la cipolla fosse necessaria; Elsie non era un granché. D'altro canto, non si poteva mai sapere se e quando una ragazza avrebbe deciso di mostrare il proprio fascino nascosto. E la cipolla, mischiata con la carne trita, poteva sempre tornare utile per la cena. Era l'ultima rimasta. Come, non c'erano più cipolle? Matthew stabilì che quella prova sarebbe stata risolutiva: se nella cassetta delle verdure ne avesse miracolosamente trovata una da usare per la cena, avrebbe mangiato quella già pelata prima di andare a prendere Elsie alla fermata; se invece le cipolle erano finite, avrebbe corso il rischio di portarsi a casa Elsie con l'alito fresco. Controllò la cassetta: nell'angolo terroso fra le ultime patate stava accoccolata una cipolletta rinsecchita. Matthew prese il reperto, lo esaminò e si domandò se fosse abbastanza per la cena. Forse, si disse, avrebbe fatto meglio a pelare e mangiare questa, lasciando la più grande per dopo. Ma poi ricordò le sue cadute precedenti e i termini esatti del voto fatto prima di controllare la cassetta. Pensò con voluttà a Elsie che di lì a poco sarebbe tornata a casa con lui. Afferrò la cipolla pelata dal tavolo e virilmente la mangiò in quattro e quattr'otto, si asciugò gli occhi e la fronte col fazzoletto e uscì per andare ad aspettare Elsie alla fermata. Per mettere le mani avanti, non appena Elsie scese dall'autobus la baciò alitando. Ma lei si ritrasse appena; a dire il vero, non batté quasi ciglio. Per le scale, Matthew si lasciò precedere e seguì deliziato i fianchi snelli di lei che oscillavano all'altezza dei suoi occhi. «Che casa carina» disse Elsie. «Quella è tua madre?». «Sì, e questo è il mio fratello maggiore. E quella è mia sorella col marito in viaggio di nozze. Aspetta, accendo la luce così li vedi meglio. Mia sorella ha tre figli. Anche mio fratello piccolo è sposato. Quello grande invece no». Le passava le foto a una a una. «Questa è la mia università in Irlanda, Galway, che ho frequentato fino al '50» disse, poi versò il gin. «E questo è mio cugino, morto in guerra combattendo per la Gran Bretagna». «Vuoi qualcosa nel gin?» le domandò. «C'è del succo d'arancia oppure acqua». «No, lo prendo liscio, e Dio sa se ne ho bisogno» rispose Elsie, mettendo da parte le foto. «Ieri sera Alice si è sentita male e sono rimasta al bar da sola fino a mezzanotte. Perché non sei passato?». «Ero in servizio» rispose Matthew. «Il sabato sera sono sempre in servizio». «Be', prima di andarmene ho telefonato ad Alice per sapere come stava ed era in condizioni tali che sono dovuta passare da lei per forza. Oltretutto Patrick non è rientrato». «Ma cos'ha?» chiese Matthew. «Aspetta un bambino e ha il diabete. E il suo convivente è un poco di buono». «Non si cura, il diabete?» chiese Matthew. «Deve fare delle iniezioni tutti i giorni. E lui vuole che si sbarazzi del bambino». «Ma è terribile». «Infatti non lo farà». «Si, si vede che è una brava ragazza» disse Matthew. «Lui chi è?». «Patrick Seton, il paranormale». Convinto che Elsie volesse fare una battuta, Matthew domandò: «E di che si occupa?». «Te l'ho detto, del paranormale. È un medium». «Ma dài, uno spiritista?». «Sì, e come medium è eccezionale. Ma con Alice non si comporta bene. È uno smidollato. In teoria dovrebbe divorziare dalla moglie e poi sposare Alice, ma io non ci credo. Secondo me non c'è nessuna moglie. E martedì lo processeranno per furto o qualcosa del genere. È già comparso davanti ai giudici una volta, ma la polizia non aveva ancora tutte le prove. E se lo condannano?». «Dio, che mascalzone» commentò Matthew. «Alice dovrebbe mollarlo. Una ragazza così carina!». «Invece è completamente soggiogata. Infatuata». «Mamma mia, che tragedia» disse Matthew. «Una ragazza così, con uno spiritista. Ma questi spiritisti non sono tutti una combriccola di matti?». Stava pensando a Ewart Thornton, col quale aveva spesso liti clamorose sulla questione irlandese. «Io ne conosco uno che insegna in un liceo» disse. «Siamo tutti e due soci di un club di Hampstead. Ma con me di spiritismo non vuole parlare, perché sa che sono irlandese. Allora parla di politica. È matto». «Perché, gli irlandesi sono contrari allo spiritismo?». «Be', i cattolici sì, ed è lo stesso». «C'è molto di vero nello spiritismo» disse Elsie. «Non che io sia una spiritista nel vero senso della parola; cioè, non ho mai fatto parte di un Cerchio. Alice sì, invece. Però ci credo». «Sul serio?». La fervida curiosità intellettuale di Matthew alimentava il suo interesse tanto quanto l'idea che la ragazza fosse una spiritista scoraggiava la sua libido. Un impulso profondo, ereditario e incontrastabile, lo spinse ad allontanare leggermente da lei la poltrona che fino a un attimo prima aveva continuato ad avvicinare, e a quel punto Matthew si disse che avrebbe potuto risparmiarsi la cipolla: durante l'atto, sempre che si fosse arrivati a tanto, una spiritista poteva anche smaterializzarsi. Ma la sua mente ambiva a saperne di più. «Come vengono evocati gli spiriti dei defunti?» le chiese. «Un altro po' di gin?». «Sì» rispose lei. «Dopo una notte in bianco ne ho proprio bisogno». «C'è della carne trita, cipolle e patate, e c'è della frutta con la crema» disse Matthew. «In alternativa, la casa offre uova e pancetta. Quando hai fame, basta che lo dici. Insomma, come fanno quelli a richiamare i morti dall'eterno riposo?». Mentre le porgeva il gin, lei descrisse l'emozionante processo durante il quale il medium entra in comunicazione con l'aldilà. «Avevo un amico che si chiamava Colin ed è morto in guerra» raccontò Elsie. «Patrick Seton si è messo in contatto con lui e mi ha fatto avere un suo messaggio. L'incredibile è che nessun altro tranne noi due poteva essere al corrente di una certa cosa che Patrick ha nominato, era un segreto fra me e Colin». «E a me non puoi dirla?» chiese Matthew. «Be', è una cosa personale» rispose Elsie, lanciandogli un'occhiata piuttosto allusiva. Matthew si sentì vagamente in pericolo e ringraziò il cielo, alla fin fine, perché l'alito gli puzzava di cipolla. Elsie si scolò il gin. Matthew le riempì il bicchiere e riavvicinò la poltrona. «Ti va di cenare?» le chiese. «Magari ci facciamo giusto un paio di uova fritte con la pancetta. O forse è più semplice se usciamo». Lei lo guardò con notevole ardore e il suo viso, benché sbattuto, rivelò tutta la sua giovinezza. «Mi basta bere» gli rispose. «È un piacere potermi rilassare e aprire il cuore a qualcuno». Così dicendo andò a sedersi sul bracciolo della poltrona di lui e cominciò a passargli le dita fra i riccioli neri. Matthew si girò e le alitò forte in faccia. «Per certi versi mi ricordi Colin» disse lei. «Gli piacevano tanto le cipolle. All'inizio non lo sopportavo, poi mi ci sono abituata. Per questo il tuo alito non mi dà tanto fastidio». Matthew le cinse disperatamente la vita e la investì con un sospiro, come per salvarsi l'anima. Ma anche lei sospirò, e con un brivido d'eccitazione si lasciò andare all'abbraccio di lui. Alle dieci uscirono per mangiare qualcosa. Poi Elsie telefonò ad Alice per sapere come stava e riferì a Matthew che Patrick non era ancora rientrato e l'amica era preoccupata. Fu così che Elsie portò Matthew nel monolocale di Ebury Street dove Alice sedeva a letto con i lunghi capelli neri sciolti, bellissima nel suo dolore, e Matthew si innamorò di lei perdutamente. Quando se ne fu andato, Alice disse all'amica, guardandola con un'espressione particolare: «Oggi pomeriggio hai fatto l'amore». «Sì. Per certi versi Matthew mi ricorda Colin. Ha l'alito...». «Elsie, hai commesso qualche imprudenza?». «Be',» rispose Elsie «lo sai che un uomo con l'alito che sa di cipolla non mi dispiace. Colin ce l'aveva sempre». «Solo a pensarci mi viene la nausea». «Mah,» disse Elsie «sarà qualcosa di psicologico legato alla mia infanzia. Per certi versi fa venire la nausea anche a me». | << | < | > | >> |Pagina 172«Però non mi è piaciuto che quel poliziotto in borghese ieri sera sia venuto a cercarmi» disse Mike sottovoce. «Non mi è piaciuto proprio».«Figlio mio, sta' tranquillo per un paio di settimane» disse padre Socket. «Non andare da nessuna parte, non fare niente di niente». «Ma le ragazze...». «Le ragazze le porterò io a Ramsgate» disse padre Socket. «Una alla volta». Mike Garland fu confortato dalle parole del suo anziano compare, l'uomo che egli venerava ormai da otto anni, da quella sera d'estate in cui lo aveva sentito predicare proprio a Ramsgate. Era successo in una casa privata, prima che avesse inizio la seduta. Mike, appena uscito dal carcere di Maidstone dove aveva scontato una condanna per adescamento, si era profondamente commosso quando lo aveva sentito dire: «Fra di noi cìè che non appartiene alla razza umana, chi le è estraneo, e purtuttavia è costretto a camminare tra gli uomini con una maschera, fingendo di farne parte. Chi ha orecchie per intendere intenda». Dopo la seduta, Mike gli aveva detto: «Le sue parole mi hanno molto commosso ». Poi padre Socket lo aveva adottato. All'epoca Mike aveva quarant'anni e lavorava come cameriere in un albergo enorme. Quell'inverno aveva intenzione di tornare a Londra e trovarsi un posto da domestico presso un privato, dato che a suo tempo se l'era cavata bene come maggiordomo, con molte e proficue attività collaterali. Padre Socket, però, aveva rivoluzionato tutti i suoi piani. Gli aveva messo in testa grandi idee, e Mike cominciò a conoscere una tardiva fioritura interiore. Padre Socket gli citava i classici e André Gide, e benché lui all'atto pratico non li leggesse, per la prima volta in vita sua si era reso conto che al mondo esistevano libri in cui la sua omosessualità, fino a quel momento incerta e senza fede, trovava un sostegno. Aveva lasciato il posto di cameriere e si era preparato a diventare un chiaroveggente. L'aspetto fisico lo aiutava; Mike era sbocciato. Padre Socket l'aveva istruito nella teoria e nella pratica della chiaroveggenza, e quell'esuberante rigoglio spirituale vissuto in età matura effettivamente lasciava intendere che avesse spiccate doti di sensitivo. Due volte alla settimana, dunque, la villa di padre Socket a Ramsgate si riempiva di militari in pensione e vedove benestanti — la clientela si componeva principalmente di queste ultime ed ex colonnelli che andavano a farsi predire il futuro da Mike. «Ci sono dei sistemi per facilitare la percezione,» gli aveva detto padre Socket «e il chiaroveggente darebbe prova di leggerezza, o meglio di superbia, se non se ne servisse». Così gli aveva insegnato a osservare bene i suoi soggetti e, nelle ore diurne, a procurarsi informazioni utili sulla loro vita privata. Il suo passato al servizio di alberghi e privati gli giovava, perché fra il personale di hotel e pensioni Mike era di casa e sapeva riconoscere un cameriere bendisposto. «Ma non dobbiamo trascurare le piccole necessità della vita» diceva padre Socket. «La bolletta del gas bisogna pur pagarla». Mike conosceva un fotografo ambulante, e sapeva quali ricchi signori, durante un fine settimana illecito, uscivano a prendere aria sul lungomare con le loro amichette. Le coppie venivano fotografate, il fotografo consegnava al signore uno scontrino, lo scontrino veniva gettato. Mike comprava le foto a un prezzo più alto del consueto «tre scatti per sette sterline e sei» ma non ci perdeva, e anche se certi dipendenti degli alberghi doveva pagarli di tasca sua, le bollette del gas di padre Socket venivano sempre saldate. «Mai toccare una donna,» gli diceva padre Socket «perché una donna non può entrare nel Regno. Se hai a che fare con una donna, la virtù ti abbandonerà. Dovresti leggere i classici in proposito». Con padre Socket al fianco, Mike si sentiva sicuro in tutte le sue attività, estive e invernali. Non era più un avventuriero senz'arte né parte che bazzicava l'illegalità sempre pieno di risentimento. Ormai si era riconciliato col mondo; era diventato qualcuno. Grazie agli insegnamenti di padre Socket aveva una religione e uno stile di vita. Alto, eretto, le gote bianche e rosee, Mike non sembrava il classico tipo dell'adoratore, eppure adorava padre Socket ed era geloso di qualunque potenziale accolito provasse a farsi avanti; non avrebbe tollerato la presenza di nessun altro. Ora, dopo otto anni così propizi, Mike stentava a credere che la semplice visita di un poliziotto in borghese potesse turbare quella roccia amorevole che traduceva Orazio e recitava Shelley, che conosceva la patristica e studiava la cabala. L'impresa di quell'inverno, prosecuzione dell'attività avviatal'estate precedente, consisteva in una proiezione privata della durata di mezz'ora, nella quale venivano mostrati due film intitolati rispettivamente Tutta la verità sul nudismo e Le vie della natura. Le tre ragazze che dopo la proiezione entravano in scena di persona erano più o meno comprese nel prezzo del biglietto. Secondo Mike, il loro impiego non era necessario. «Mettiamo il caso che la polizia faccia un'irruzione. È più facile far sparire il film che le ragazze». «Ma lo spettacolo perderebbe le sue attrattive» aveva obiettato padre Socket «se non ci fosse un assaggio di carne vera. Personalmente, preferisco l'arte più elitaria del film; ma bisogna tener conto dei gusti rozzi del volgo». Avevano sistemato le ragazze presso l'ignara Freda Flower, che padre Socket conosceva in quanto vedova e spiritista e che, con gesto commovente, gli regalava sempre cinquanta sigarette a Natale e un mazzo di garofani in memoria dell'esimio Sir Oliver Lodge. «Freda prenderà in casa le ragazze» aveva detto padre Socket. «Dopo quello che le ha fatto Patrick Seton con la storia dei risparmi, quella brava donna avrà bisogno di soldi». Mike però non vedeva di buon occhio il fatto che le ragazze alloggiassero da Freda. «Mai avere commerci con una donna... Le donne ti rubano la virtù». Ultimamente, una leggera inquietudine lo aveva indotto a chiedersi se padre Socket non fosse più interessato alle donne di quanto desse a intendere. C'era una certa Elsie che gli faceva da dattilografa, della quale lui era gelosissimo. E poi quelle ragazze... Rabbrividendo come in un lampo di chiaroveggenza, Mike aveva scacciato il pensiero. Tuttavia, quando padre Socket gli disse: «Le ragazze le porterò io a Ramsgate, una alla volta. Tu non devi farti vedere in giro. L'idea che sia venuto da te questo poliziotto non mi piace affatto. Sei sicuro che fosse un poliziotto? Gli hai chiesto le credenziali? Bisogna sempre chiedere le credenziali»... Quando gli disse così, Mike ripensò alle sue perplessità iniziali rispetto a Freda Flower e gli tornò il dubbio improvviso che padre Socket stesse arrivando a un'età — la soglia dei sessantadue — in cui rischiava di rammollirsi. Allora, in un empito di chiaroveggenza e apprensione guardò il suo protettore ed eterno sostegno e gli disse: «Padre, mai avere commerci con le donne. A loro il Regno è negato. Le donne succhiano la virtù...». «Non avere timore, figliolo» lo interruppe padre Socket. «Ormai hai quarantotto anni,» gli disse dandogli una pacca sulla spalla «devi sopportare quel che accade». «La sventura sembra incombere» ribatté Mike sovrastandolo. «Tanto per cominciare, ieri ci è andata male con Elsie Forrest. Dovevamo farci dare quella lettera. Forse la fortuna ci ha voltato le spalle».
«Te l'avevo detto di non farti vedere con quella
vestaglia e la faccia impiastricciata» lo rimproverò
padre Socket. «Te l'avevo detto che la ragazza non è
affidabile. Cosa avrà pensato mai?».
|