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| << | < | > | >> |IndicePrefazione ix Elenco dei collaboratori xiii Introduzione xix Capitolo 1 - Dentro il cervello 1 1. Scopriamo come funziona il cervello senza doverci guardare dentro 2 2. L'elettroencefalogramma (EEG): per avere il quadro generale della situazione 6 3. La tomografia a emissione di positoni (PET): per misurare l'attività in maniera indiretta 7 4. La risonanza magnetica funzionale (fMRI): la tecnica più all'avanguardia 8 5. La stimolazione magnetica transcranica (TMS): per accendere e spegnere parti del cervello 10 6. La neuropsicologia, il mito del 10% e perché usiamo il cervello nella sua interezza 11 7. Impariamo a conoscere il sistema nervoso centrale 15 8. Viaggio all'interno della corteccia e dei quattro lobi 20 9. Il neurone 23 10. Scopriamo gli effetti della funzione cognitiva sul flusso sanguigno cerebrale (CBF) 26 11. Perché gli esseri umani non funzionano come i pulsanti di un ascensore 30 12. Costruiamo il nostro homunculus sensoriale 33 Capitolo 2 - La vista 39 13. Comprendere l'attività visiva 40 14. Capire i limiti della vista 46 15. Vedere, agire 51 16. Come mappare il proprio punto cieco 55 17. Cogliere i vuoti nel campo visivo 59 18. Quando il tempo si arresta 62 19. Sbloccare le fissazioni oculari per reazioni più rapide. L'effetto "gap" 65 20. Illudersi di vedere in 3D 67 21. Gli oggetti si muovono, l'illuminazione non dovrebbe 72 22. La profondità è importante 76 23. La differenza tra luminosità e luminanza. L'illusione dell'ombra sulla scacchiera 84 24. Creare una profondità illusoria con un paio di occhiali da sole 88 25. Percepire il movimento quando tutto è fermo 92 26. L'adattamento 95 27. Mostrare il movimento senza che si muova nulla 99 28. L'estrapolazione motoria. L'effetto "flash-lag"103 29. Trasformare quadratini scorrevoli in piedi in marcia 107 30. Comprendere l'illusione dei serpenti rotanti 110 31. Ridurre al minimo le distanze immaginarie 116 32. Esploriamo il nostro sistema di difesa 122 33. Il rumore neurale non è un difetto, ma un elemento fondamentale 124 Capitolo 3 - L'attenzione 129 34. I dettagli e i limiti dell'attenzione 130 35. Contare più in fretta tramite il subitizing 134 36. Percepire la presenza e la scomparsa dell'attenzione 137 37. Catturare l'attenzione 143 38. Mai guardarsi indietro 147 39. Evitare le falle nell'attenzione 150 40. Cecità ai cambiamenti 156 41. Per rendere un oggetto invisibile basta concentrarsi (su qualcos'altro) 159 42. Il cervello punisce gli elementi che lanciano falsi allarmi 162 43. Potenziare l'attenzione visiva con l'aiuto dei videogame 165 Capitolo 4 - L'udito e il linguaggio 171 44. Percepire la collocazione temporale degli eventi con le orecchie 172 45. Identificare la direzione da cui provengono i suoni 174 46. Individuare la tonalità 179 47. Non perdete l'equilibrio! 182 48. Identificare i suoni ai margini della certezza 184 49. Il linguaggio è una rete a banda larga per l'immissione di dati nella nostra testa 186 50. Dare grandi nomi a concetti importanti 189 51. Interrompere il sovraccarico del memory-buffer durante la lettura 193 52. Usare il parallelismo per un'elaborazione dei dati efficace 198 Capitolo 5 - L'integrazione 203 53. Esprimere i dati temporali in forma sonora, e quelli spaziali in forma luminosa 204 54. Meglio non suddividere l'attenzione su più fronti 207 55. Confondere l'identificazione dei colori con segnali ambigui 210 56. Non andate in quella direzione! 213 57. Combinare le modalità per aumentare l'intensità 218 58. Guardarsi provoca sensazioni più intense 221 59. Sentire con gli occhi: l'Effetto McGurk 224 60. Prestare attenzione alle voci "gettate" 226 61. Parlare da soli 229 Capitolo 6 - Il movimento 235 62. Il fenomeno della scala mobile fuori uso: quando prende il sopravvento il "pilota automatico" 236 63. Tenersi sotto controllo 239 64. Modellare il proprio schema corporeo 243 65. Perché non riusciamo a farci il solletico da soli? 247 66. Raggirare metà della propria mente 253 67. Gli oggetti chiedono di venir utilizzati 257 68. Mettere alla prova la propria lateralità manuale 261 69. Usare la metà destra del cervello, e anche la sinistra 265 Capitolo 7 - Il raziocinio 273 70. Adoperare i numeri con cautela 273 71. Pensare alle frequenze più che alle probabilità277 72. Smascherare i traditori 283 73. Convincere gli altri a sentirsi meglio: l'effetto placebo 286 74. Mantenere lo status quo 290 Capitolo 8 - L'unione 297 75. Cogliere la gestalt 298 76. Per farsi notare, bisogna sincronizzarsi 301 77. Vedere una persona come luci in movimento 305 78. Animare gli oggetti 310 79. Interpretare gli eventi come causa ed effetto 313 80. Agire senza saperlo 318 Capitolo 9 - La memoria 323 81. Portare gli oggetti nella parte anteriore della mente 324 82. I messaggi subliminali sono deboli e semplici 328 83. Simulare familiarità 331 84. Mantenere intatte le proprie fonti (se ci si riesce) 335 85. Creare falsi ricordi 340 86. Modificare il contesto per costruire ricordi duraturi 346 87. Potenziare la memoria attraverso l'uso del contesto 349 88. Pensarsi forti 353 89. Aprirsi un varco nella memoria 358 90. Vivere un'esperienza extracorporea 362 91. Entrare nella penombra: lo stato ipnagogico 364 92. Rendere piacevole la dipendenza dalla caffeina 364 Capitolo 10 - Gli altri 375 93. Comprendere cosa rende un volto speciale 376 94. Comunicare le emozioni 380 95. Fatevi felici! 384 96. La memoria "calda" e quella "fredda" 388 97. Seguire lo sguardo altrui 392 98. Scimmiottamenti 396 99. Disseminare malumore 400 100.Siamo quello che pensiamo 403 Indice analitico 407 |
| << | < | > | >> |Pagina IXPrefazioneNel corso degli ultimi vent'anni, pochi sviluppi sono stati tanto cruciali per le scienze della mente quanto lo sradicarsi, progressivo e costante, della metafora del cervello-come-computer, che aveva dominato buona parte delle nostre teorie sull'attività cognitiva negli anni Sessanta e Settanta. La metafora è venuta meno per varie ragioni. In parte, perché l'intelligenza artificiale si è rivelata una faccenda ben più complicata di quel che avevamo immaginato; poi, perché abbiamo sviluppato nuovi strumenti per comprendere e visualizzare la biologia del cervello, che in fin dei conti non ha l'aspetto di un microprocessore; infine, perché un influente gruppo di scienziati ha iniziato a esplorare il ruolo vitale delle emozioni nel funzionamento del cervello. Se è vero che il cervello contiene elementi simili alle porte logiche del calcolo digitale (e alcuni autorevoli ricercatori continuano a descrivere l'attività della mente umana come una sorta di calcolo), in generale oggi si accetta la premessa che computer e cervello siano due cose assai diverse, benché con alcune competenze in comune: giocare a scacchi, per esempio, o correggere gli errori di ortografia. A una prima occhiata, il libro che avete in mano potrebbe essere accusato di far rivivere la vecchia idea del cervello-come-computer: dopo tutto, il suo titolo originale è Mind Hacks, e il termine hack viene dall'industria del software. Tuttavia, io credo che questo libro appartenga a un modo di intendere il cervello spiccatamente contemporaneo, che usando la terminologia dei creatori di software si potrebbe definire utente-centrico. Le meraviglie della scienza della mente non sono più un fatto da contemplare esclusivamente in laboratorio o nelle aule d'università; oggi possiamo indagare il funzionamento del cervello compiendo esperimenti sulla nostra testa. Possiamo esplorare l'architettura cerebrale semplicemente provando a fare uno dei tanti esercizi contenuti nelle pagine che seguono. Il desiderio di esplorare la coscienza non è certo una novità, anzi è uno degli istinti più antichi dell'uomo; l'innovazione sta nell'esplorare la coscienza con la guida della scienza empirica. C'è stata l'epoca di Freud, quella della psichedelia, e quella della meditazione. Questo volume suggerisce che stia prendendo piede una nuova forma d'introspezione, che in un altro contesto ho chiamato "neuroscienza ricreativa". Trovo che il concetto di hack cerebrale sia fantastico. Matt Webb e Tom Stafford sono riusciti a mettere insieme in questo libro una raccolta di "giochi mentali" stupefacente, che vi farà apprezzare le modalità con cui il cervello dà forma alla realtà che percepite. Vale però la pena di evidenziare una sottile distinzione tra l'uso che si fa del vocabolo hack nel campo del software e il modo in cui gli autori lo impiegano qui. Nella programmazione, un hack è qualcosa che si fa a uno strumento preesistente, per arricchirlo rispetto all'insieme delle sue caratteristiche originali; quando si fa un hack, si modifica una porzione di codice, e si piega il software al servizio della propria volontà: gli si fa fare qualcosa a cui i suoi creatori non avevano mai pensato. Gli hack mentali che vi diletteranno e susciteranno la vostra perplessità nelle pagine che seguono vanno prevalentemente nella direzione opposta. Quando ci si sottopone a questi esperimenti, ciò che si avverte non è tanto l'asservimento del cervello alla volontà, quanto piuttosto la sua bizzarra autonomia. Questi "giochi" ci sorprendono perché ci rivelano la logica nascosta del cervello: gettano luce sugli inganni, le scorciatoie e le congetture latenti che il cervello umano costruisce intorno al mondo. Per lo più, questi meccanismi restano invisibili, o sono talmente onnipresenti che non ne percepiamo più l'esistenza. Sono un modo per scostare la cortina della coscienza e intravedere, anche solo di sfuggita, i congegni che stanno dietro. Una tale esperienza corre il rischio di turbarci in profondità, proprio perché ci fa intuire che il cervello non sempre è al servizio della volontà, e si fa presto a scivolare lungo una china esistenziale ("e del resto, la volontà di chi?.."). Ma si tratta di un viaggio che chiunque abbia interesse per la mente non può lasciarsi sfuggire. Il nostro cervello possiede una sua vita autonoma, del tutto distinta da quel che crediamo di sapere di noi stessi. È un pensiero inquietante, ma il fatto che sia inquietante non lo rende meno reale. Sfogliando le pagine che seguono, vi sentirete senza dubbio intimoriti dagli strani atteggiamenti cognitivi che potete innescare semplicemente seguendo una banale serie d'istruzioni. Tuttavia, ho il sospetto che proverete anche un rinnovato senso di meraviglia per i misteri della coscienza, oltre a imparare qualche aneddoto mozzafiato da sfoggiare al prossimo cocktail party. Dunque è un'avventura interiore quella che vi attende. Mi auguro che riesca a scombussolarvi piacevolmente i pensieri. Steven Johnson, Brooklyn, New York | << | < | > | >> |Pagina XIXIntroduzioneFermatevi un momento a riflettere su tutto quel che accade mentre leggete questo testo: i vostri occhi che si spostano e convergono sulle parole, la grattatina al braccio che vi date pigramente mentre ragionate, i gesti, i rumori e tutte le altre distrazioni esterne che cercano di catturare la vostra attenzione e che dovete rimuovere. Come avviene tutto questo? Detto tra noi, c'è un segreto: non è affatto semplice. Il cervello umano è un ambiente dove le informazioni vengono elaborate in maniera tremendamente complessa. Considerate, per esempio, il processo della vista. Uno dei compiti della vista è percepire il movimento che è in corso in ogni minima porzione del campo visivo, insieme alla velocità e alla direzione in cui si muovono gli oggetti, e trasmetterlo al cervello. Ma un altro compito, altrettanto importante, è vedere un viso nella luce che cade sulla retina, rendersi conto dell'emozione che esprime, e cercare di rappresentare all'interno del cervello anche tale nozione. In certa misura, il cervello è un organo modulare, e questo dovrebbe fornire una via d'accesso per chi si proponga di esaminarlo, ma le cose sono meno chiare di quel che sembrano. I sottosistemi di elaborazione del cervello sono disposti a strati uno sull'altro. Tuttavia, le loro funzionalità si mescolano piuttosto che organizzarsi in una progressione ordinata. Spesso lo stesso compito viene eseguito in molti luoghi diversi, e con varie modalità. Insomma, non si tratta di un meccanismo preciso come un congegno a orologeria o un programma computerizzato: il medesimo input può produrre output differenti; le azioni automatiche e quelle intenzionali sono fortemente intrecciate, spesso in maniera inestricabile; funzionalità che appaiono del tutto isolate dall'esperienza cosciente esibiscono inaspettatamente risultati diversi nel momento in cui mutano le aspettative coscienti. Le trasformazioni, che le informazioni subiscono a livello cerebrale, sono ulteriormente complicate da vincoli di natura storica, computazionale e architettonica. Lo sviluppo evolutivo ha reso difficile al cervello fare marcia indietro: la sua struttura deve necessariamente riflettere la sua crescita e i suoi mutamenti interni. L'elaborazione dei dati deve avvenire il più rapidamente possibile (stiamo parlando di risposte nell'ordine delle frazioni di secondo), ma esistono dei limiti alla velocità con cui le informazioni possono viaggiare tra le parti fisiche del cervello. Di tutti questi vincoli si deve tenere conto. La domanda che viene spontaneo porsi è: da dove partire per capire quel che succede? La neuroscienza cognitiva studia la biologia cerebrale che fa da supporto alle funzioni mentali. Si serve di varie metodologie, come il brain scanning e i modelli computazionali, che abbina a una concezione dei fenomeni psicologici finalizzata a scoprire dove, come e perché il cervello li scateni. Non si identifica né con la neuroscienza classica (che potremmo definire una "ricognizione a bassa quota" della biologia cerebrale), né con il concetto che molti hanno della psicologia (e cioè: un'esplorazione metaforica della vita interiore dell'individuo); piuttosto, è un modo di osservare la mente umana volto a isolare, con precisa sequenzialità, gli elementi e le regole fondamentali che plasmano l'esperienza e l'azione cosciente. Se concentriamo la nostra attenzione sia sul substrato biologico che sul sovrastante fenomeno della coscienza, possiamo sciogliere il nodo misterioso del cervello. Non c'è bisogno di essere neuroscienziati per raccogliere i frutti di questa ricerca. Questo libro è una collezione di indagini sui meccanismi sequenziali di funzionamento del cervello. Più che di un manuale, si tratta di un grande buffet. Ogni "esperimento" proposto, nel suo piccolo, esplora e dimostra un'operazione cerebrale. Osservando come il cervello risponde allo stimolo, possiamo scorgere tracce delle strutture presenti al suo interno e del modo in cui decidono di organizzarsi, il che ci consente di ampliare le nostre conoscenze su come il cervello sia assemblato. Allo stesso tempo, abbiamo cercato di mostrare come non ci sia una vera separazione tra la sensazione volontaria di autoconsapevolezza della mente e la natura automatica delle reazioni cerebrali. La distinzione in comportamenti volontari e automatici è più sfumata di quel che si pensa: l'impiego delle competenze cognitive è un misto di virtuosismi inconsci e di moti intenzionali, come può esserlo l'uso che facciamo delle mani, di una penna, o di un tornio. In un certo senso, cerchiamo di comprendere le facoltà che sorreggono la mente. Se ci riesce di capire in che misura i vuoti visivi vengono continuamente riempiti, o quali sono i suoni e le luci che cattureranno senz'ombra di dubbio la nostra attenzione (e quali, invece, quelli che ci lasceranno indifferenti): allora, saremo in grado di progettare strumenti e interfacce migliori, che siano in armonia con la nostra architettura mentale e non viceversa. Riusciremo a comprendere noi stessi un po' meglio; a saperne un po' di più, in maniera molto reale, sul modo in cui funzioniamo.
Tra l'altro, è divertente. Ecco la chiave di tutto. La neuroscienza
cognitiva è una disciplina relativamente giovane: quello all'interno del
cervello è un viaggio piacevole, disponibile da poco tempo. Gli effetti che
registriamo sono reali, non si discute ancora intorno alla spiegazione del
perché si verifichino. Sostanzialmente, partecipiamo alla mappatura di questo
nuovo territorio proprio mentre ci divertiamo a esplorarlo. Durante la stesura
di questo volume, abbiamo passato un bel po' di tempo a osservare i nostri
sistemi d'attenzione che saettavano da una parte all'altra della stanza, a
vederci spiare i gesti delle persone con cui chiacchieravamo, a giocare con
i colori dei segnali stradali e con la vista periferica. Questa è stata la parte
divertente. Ma siamo anche stati affascinati dalle argomentazioni della
letteratura scientifica, e abbiamo compreso meglio alcuni aspetti della nostra
vita di ogni giorno, per esempio perché certi siti web ci diano fastidio e certi
altri risultino particolarmente efficaci. Se, attraverso questo libro, siamo
riusciti a rendere quell'universo un po' più accessibile, allora l'operazione ha
avuto successo. Qualora, dopo esservi dati un'occhiata in giro, vi capiti di
trovare nuove applicazioni per le nostre idee, e nuovi argomenti che non abbiamo
trattato, fateci senz'altro sapere. Ci interessa!
Perché "Mind Hacks"? I mezzi di comunicazione hanno affibbiato una pessima reputazione al termine hacking, usandolo unicamente in riferimento a quegli individui che, armati soltanto dei loro PC, irrompono nelle reti computerizzate e causano disagi enormi. Nel mondo dei sistemisti e degli sviluppatori digitali, invece, la parola hack rimanda a un rimedio improvvisato per risolvere un problema, o a un metodo ingegnoso per ottenere rapidamente un risultato. Essere definiti hacker, insomma, è un complimento, poiché indica che la persona in questione è "creativa", che ha le abilità tecniche per trovare in fretta le soluzioni giuste. La serie "Hacks" di O'Reilly, di cui l'edizione originale di questo volume fa parte, è un tentativo di recuperare il significato positivo del termine, documentando i modi in cui si può fare un hacking produttivo e divulgando l'etica, tipica degli hackers, della partecipazione creativa fra i non iniziati. Osservare come altri affrontano reti e problemi è spesso il modo più rapido per prendere confidenza con una nuova tecnologia. Il cervello, come tutti i sistemi nascosti, è un eccellente terreno di ricerca per la curiosità degli hacker. Grazie agli sviluppi della neuroscienza cognitiva, siamo in grado di soddisfare almeno parzialmente questa curiosità e di dare spiegazioni dei fenomeni psicologici, invece di limitarci a segnalarli, gettando così luce sul funzionamento interno del cervello. Alcuni hack di questa raccolta documentano gli stratagemmi utilizzati dal cervello per risolvere determinati problemi; esaminando il cervello dal di fuori in tale maniera, è difficile non restare incantati dal suo funzionamento. Altri ci rivelano le nostre bizzarrie mentali, e possiamo servircene in modi inaspettati per imparare a districarci in questo labirinto, che solo da poco tempo è stato aperto all'esplorazione. Questo libro si rivolge a tutti coloro che vogliono saperne un po' di più su quel che avviene all'interno delle loro teste, e a quanti hanno voglia di affrontare gli esperimenti che proponiamo, giocando con l'interfaccia tra se stessi e il mondo. Lasciarsi coinvolgere è semplicissimo: in fondo, un cervello ce l'abbiamo tutti. | << | < | > | >> |Pagina XXVImpostazione del volumeIl libro è suddiviso in 10 capitoli, organizzati per argomento: Capitolo 1. Dentro il cervello. La questione non è semplicemente "come guardiamo dentro al cervello?" ma anche "come facciamo a spiegare quel che vediamo?" Esiste una serie di metodi per farsi un'idea di come il cervello sia strutturato (per esempio, si possono misurare le sue reazioni dall'esterno, o lo si può fotografare dall'interno): la descrizione di tali metodi occupa la prima metà del capitolo. L'altra metà cerca di rispondere alla seconda domanda. Contemplando lo spettacolo che abbiamo di fronte, ne esamineremo i punti di riferimento, ed esploreremo la nostra geografia cerebrale. Capitolo 2. La vista. Il sistema visivo abbraccia competenze assai vaste: dal modo in cui muoviamo gli occhi, a come ricostruiamo e rappresentiamo il movimento a partire dalle immagini grezze. La vista è uno dei sensi più importanti. È un organo ad alta definizione e (a differenza, per esempio, del tatto) funziona a lunga distanza, il che si riflette nella lunghezza del capitolo. Capitolo 3. L'attenzione. L'attenzione è uno dei meccanismi che usiamo per filtrare le informazioni prima che giungano a un livello di consapevolezza cosciente. In certi casi è un fenomeno intenzionale (si può decidere di prestare attenzione), in altri automatico (ci sono cose che catturano l'attenzione indipendentemente dalla volontà individuale). Qui ci occupiamo del suo funzionamento e dei suoi limiti. Capitolo 4. L'udito e il linguaggio. Di solito i suoni sono in relazione agli eventi: un rumore corrisponde normalmente a qualcosa che ha appena avuto luogo. In questo capitolo daremo uno sguardo a come funzionano le nostre orecchie, poi passeremo ad analizzare il linguaggio e alcune delle modalità con cui diamo un senso a parole e frasi. Capitolo 5. L'integrazione. È raro servirsi soltanto di un senso: in genere l'essere umano sfrutta tutte le informazioni che riesce a trovare, integrando la vista, il tatto, le inclinazioni linguistiche e altri input. Quando i nostri sensi sono in armonia, la percezione che abbiamo del mondo è più nitida. Qui osserviamo come le varie operazioni si mescolino inevitabilmente (anche quando non lo vorremmo), e cosa accade quando i cinque sensi sono in disaccordo. Capitolo 6. Il movimento. In questo capitolo prendiamo in esame il corpo: come sia facile confondere l'immagine che il cervello ha del nostro corpo, e come il corpo venga impiegato per interagire con il mondo. Come, quando pensate di camminare, non facciate che illudervi, e perché qualcuno preferisce usare una mano piuttosto che l'altra. Capitolo 7. Il raziocinio. Non siamo costruiti come macchine logiche perfette, ma per tirare avanti alla meglio nel mondo. In certi casi ciò emerge dai rompicapi che sappiamo risolvere, o dalle fregature che prendiamo. Capitolo 8. L'unione. I cinque sensi ci forniscono gli strumenti per ricostruire ciò che avviene nell'universo che ci circonda. Non siamo in grado di percepire immediatamente causa ed effetto di un fenomeno: vedremo solo due eventi che accadono all'incirca nello stesso momento e nello stesso luogo. Lo stesso discorso vale anche per gli oggetti più complessi: per quale ragione vediamo un organismo intero e non un torso, una testa e un fascio di arti? Per ricostruire gli oggetti e i legami di causa-effetto il cervello segue una serie di semplici principi, che illustreremo in questo capitolo. Capitolo 9. La memoria. Non saremmo umani se in noi non fosse in corso un continuo processo di apprendimento e di modificazione, che ci fa diventare persone sempre diverse. In questo capitolo mostriamo come l'apprendimento cominci a livello della memoria in intervalli di tempo brevissimi (in genere, minuti). Inoltre, esploriamo alcuni dei modi in cui si manifestano le funzioni dell'apprendere e del ricordare. Capitolo 10. Gli altri. Le altre persone costituiscono una parte fondamentale dell'ambiente attorno a noi, ed è corretto dire che il cervello ha un modo particolare di relazionarsi agli altri. Per esempio, siamo bravissimi a leggere le emozioni altrui, e forse ancora più bravi a mimarle, tanto che spesso non possiamo fare a meno di scimmiottare chi ci sta di fronte. Parleremo di entrambi gli aspetti in questo capitolo. | << | < | > | >> |Pagina 1CAPITOLO 1Dentro il cervello
[Esperimenti 1-12]
Non è mai del tutto vero affermare: "Responsabile della funzione X è unicamente questa parte del cervello". Prendete, per esempio, il sistema visivo [->13]: coinvolge molte parti diverse del cervello, e nessuna delle aree interessate è responsabile esclusiva di tutto il processo visivo. L'attività visiva comprende numerose sottofunzioni, molte delle quali subiscono una riorganizzazione nel caso una o più aree cerebrali siano fuori uso. In alcune tipologie di danni cerebrali, è possibile che l'individuo sia ancora in grado di vedere, ma non di percepire l'oggetto in movimento, o di capire di che colore è. Ciò che possiamo fare è rilevare quali parti sono attive nel momento in cui il cervello svolge un certo compito (dal riconoscere un viso al suonare il pianoforte) e formulare delle ipotesi. Possiamo dare un input e stare a vedere che output riceviamo: è quello che si potrebbe definire un approccio da "scatola nera" allo studio della mente. Oppure possiamo esplorare il cervello dall'esterno, cercando di capire quali abilità manchino alle persone affette da determinate forme di danni cerebrali. Questo secondo orientamento, che fa parte della neuropsicologia [->6], è un importante metodo di lavoro per gli psicologi. Può accadere che piccoli ictus isolati disattivino regioni molto specifiche del cervello e (benché capiti più raramente) anche certi incidenti possono danneggiare minuscole aree cerebrali. Osservare quali competenze non sono più disponibili nei pazienti affetti da tali patologie ci dà validi indizi sulle funzioni cui corrispondono le varie regioni del cervello. Un altro metodo è la sperimentazione di laboratorio sugli animali, rimuovendo di proposito porzioni di cervello e osservando le reazioni che si ottengono. Si tratta, in entrambi i casi, di metodi basati sulla patologia. Esistono però altre tecniche, meno invasive. Una di queste alternative consiste in un'accurata procedura di sperimentazione, che confronti: tipi di risposta, tempi di reazione, e come muta la risposta del soggetto a determinati stimoli in un certo lasso di tempo. È l'attività della psicologia cognitiva [->1], la scienza il cui scopo è trarre conclusioni sulla struttura del cervello attraverso un'opera di reverse engineering (metodologia di analisi che consente, partendo dal modello fisico dell'oggetto, di risalire alla sua descrizione matematica e di individuarne i meccanismi di funzionamento, [N.d.T.]) dall'esterno. Questa disciplina ha una storia di tutto rispetto; negli ultimi tempi, tuttavia, è stato fatto un ulteriore passo avanti. Abbinando le tecniche della psicologia cognitiva a moderni metodi di imaging e tecniche di stimolazione [->2-5], siamo in grado di osservare e manipolare il cervello dall'esterno, senza dover necessariamente rimuovere parte della calotta cranica ed estrarlo. Questi nuovi metodi della medicina nucleare sono così importanti, e ci riferiamo a essi così spesso nel corso del volume, che abbiamo deciso di fornire un riassunto e una breve spiegazione di alcune delle tecniche più comuni in questo capitolo. Affinché le teorie sviluppate nel corso del testo risultino comprensibili, dopo aver esaminato le varie tecniche della neuroscienza faremo un rapido tour del sistema nervoso centrale [->7], dal midollo spinale al cervello [->8], fino al singolo neurone [—>9]. Ma quello che ci interessa davvero è capire come la biologia si manifesti nella vita di ogni giorno. Per esempio: che cosa significa il fatto che i nostri sistemi decisionali sono formati da neuroni e non da silicio, come nei computer? Significa che non siamo un software installato su un hardware. Nell'essere umano le due cose sono una sola, e le proprietà fisiche del nostro substrato mentale trapelano senza sosta nella vita quotidiana: la presenza dei neuroni è evidente ogni volta che reagiamo con maggiore velocità a luci più intense [->14], mentre le nostre radici biologiche si rivelano quando durante una riflessione impegnativa aumenta il nostro flusso sanguigno [->10]. Infine, daremo un'occhiata all'immagine del corpo che il cervello pensa di avere, e faremo conoscenza con il nostro homunculus sensoriale [->12]. | << | < | > | >> |Pagina 239 Il neurone
C'è un'autentica tempesta elettrica in corso nella nostra testa: 100
miliardi di cellule nervose si lanciano a vicenda segnali e sono responsabili di
ogni nostro pensiero e azione.
Un neurone, noto anche come cellula nervosa o cellula cerebrale, è una cellula specializzata che trasmette un impulso elettrico attraverso fibre che la collegano ad altri neuroni. Questi sono i conduttori dei circuiti personali di ogni essere umano.
Ciò che segue è una descrizione semplificata delle caratteristiche generali
delle cellule nervose: quelle che inviano segnali dai sensi al cervello, dal
cervello ai muscoli, o da una cellula nervosa all'altra. È quest'ultima classe
di cellule, quelle a cui la maggior parte di noi si riferisce quando diciamo
"neuroni", che c'interessa maggiormente in questa sede. In ogni caso, tutte le
cellule nervose condividono lo stesso "design" di base.
Il neurone è costituito da un corpo cellulare provvisto di ramificazioni, che possono essere molto lunghe (per esempio, nella giraffa alcuni neuroni si estendono lungo tutto il collo) o molto corte (cioè estendersi solo per pochi millimetri fino alla cellula adiacente). All'interno del neurone, i segnali si trasmettono in un'unica maniera. Le ramificazioni che ricevono i messaggi in entrata si chiamano dendriti. Quelle che convogliano i messaggi in uscita, in genere un po' più lunghe, sono dette assoni. Nella maggior parte dei casi esiste un unico lungo assone, che si dirama sulla punta prima di connettersi ad altri neuroni (fino a 10.000). Il punto di giunzione dove l'assone di una cellula incontra i dendriti di un'altra è detto sinapsi. Per traghettare il segnale attraverso la fessura sinaptica vengono utilizzate sostanze chimiche chiamate neurotrasmettitori. Ogni neurone rilascia un solo tipo di neurotrasmettitore, sebbene possa avere recettori per molti tipi diversi. L'arrivo del segnale elettrico all'estremità dell'assone scatena l'emissione delle riserve di neurotrasmettitore, le quali attraversano la fessura (che non è poi molto ampia) e si legano ai siti recettori dell'altra cellula: cioè a quei punti della superficie del neurone che sono programmati per congiungersi alla particolare sostanza chimica in questione. Mentre, per passare da un neurone all'altro, il segnale fa uso dei neurotrasmettitori, all'interno della cellula è di tipo elettrico. Il segnale elettrico viene inviato lungo il neurone sotto forma di potenziale di azione. È quel che s'intende quando si parla di impulsi, segnali, picchi ecc., o quando, nel gergo dell'imaging cerebrale, ci si riferisce all' accensione di una determinata area del cervello (basandosi sull'aspetto dell'attività come si evidenzia nelle immagini riprodotte). I potenziali d'azione sono l'unità d'informazione fondamentale nel cervello, la moneta universale del mercato neurale. Le due caratteristiche principali dei neuroni, da un punto di vista computazionale, sono le seguenti: • Sono binari. Un neurone, o lancia un segnale oppure no, e tutti i segnali emessi hanno le stesse dimensioni (chiariremo questo punto più avanti). I segnali binari impediscono al messaggio di annacquarsi, poiché i neuroni comunicano tra loro coprendo distanze che risultano enormi se confrontate con la scala molecolare su cui operano. • Codificano le informazioni in base al ritmo con cui inviano i segnali, non all'intensità dei segnali inviati. Le dimensioni dei segnali restano invariate, e le informazioni contenute al loro interno sono codificate in base alla frequenza con cui il segnale è emesso. Un segnale più intenso sarà indicato da una maggiore frequenza di picchi, non da singoli picchi più elevati. Tutto ciò viene definito rate coding o codificazione in frequenza. Sommati insieme, questi due aspetti rivelano che il vero linguaggio del cervello non è semplicemente una questione di picchi (cioè di segnali inviati dai neuroni), ma anche e soprattutto della loro distribuzione nel tempo. Sia nel caso che il neurone postsinaptico (quello che si trova sul lato ricevente della sinapsi) generi un nuovo picco, o un impulso, sia che non accada nulla, lo scambio è condizionato dall'intreccio dei seguenti fattori: • la quantità di neurotrasmettitore liberata; • l'interazione con neurotrasmettitori diversi, rilasciati dagli altri neuroni; • la distanza in termini di spazio e tempo; • l'ordine con cui i neuroni rilasciano i loro rispettivi neurotrasmettitori.
Su queste informazioni immediate influisce poi la storia di tutti
gli scambi intercorsi in precedenza tra i due neuroni: le occasioni in cui un
particolare neurone ha causato l'emissione di neurotrasmettitore dell'altro, o
quelle in cui i neurotrasmettitori di entrambi sono stati rilasciati
contemporaneamente per ragioni indipendenti. Tutti questi aspetti condizionano
le probabilità che l'interazione avvenga di nuovo.
Dopo che ha trasportato (o non ha trasportato, come può anche accadere) il segnale oltre la fessura sinaptica, il neurotrasmettitore viene decomposto da enzimi specializzati e poi riassorbito, per essere riemesso quando arriverà un nuovo segnale. L'azione di molti farmaci consiste nell'influire sulla frequenza, sulla dose di emissione di un dato neurotrasmettitore, e sulla rapidità con cui viene decomposto e riassorbito. | << | < | > | >> |Pagina 39CAPITOLO 2La vista
[Esperimenti 13-33]
L'enigma della vista sta nell'abisso che si apre tra la sensazione grezza raccolta dall'occhio (dovuta alla caduta della luce sulla retina) e la ricca percezione che abbiamo di colori, forme, movimenti, tridimensionalità degli oggetti e delle scene che ci circondano. In questo capitolo rovisteremo un po' tra i modi in cui il nostro cervello rende possibile tutto ciò. Cominceremo con una panoramica sul sistema visivo [->13], sui limiti della vista [—>14] e sulla natura attiva della percezione visiva [->15]. L'organo della vista presenta una serie di limitazioni a cui normalmente non prestiamo attenzione, come il punto cieco [->16] o i 90 minuti di cecità che sperimentiamo ogni giorno quando la vista si disattiva e le pupille prendono a guizzare qua e là [->17]. Esamineremo entrambi questi fenomeni e daremo un'occhiata anche ad alcune tattiche e scorciatoie con cui il sistema visivo ci semplifica la vita: presumere che il sole stia in alto [->20 e 21], sottrarsi a forme scure in rapida espansione [->32] (un espediente utile per accelerare l'elaborazione, per esempio per schivare velocemente un oggetto), e accorgimenti come l'uso di neuroni rumorosi [->33] per estrapolare un segnale dal rumore visivo. Lungo il percorso ci soffermeremo a riflettere su come percepiamo la profondità [->22 e 24] e il movimento [->25 e 29] (considerando sia la percezione corretta che quella erronea del movimento). Infine ci occuperemo di una (apparentemente banale) illusione ottica, l'illusione dei serpenti rotanti [->30], che ci ha fatto cascare un po' tutti. Ma, qualche volta, venir raggirati può essere divertente. | << | < | > | >> |Pagina 172CAPITOLO 4L'udito e il linguaggio
[Esperimenti 44-52]
Le orecchie non sono semplicemente "occhi sonori". Rispetto ai segnali luminosi, i suoni contengono informazioni di natura ben diversa sull'ambiente circostante. Mentre la luce tende a essere continua, il suono si verifica quando uno o più oggetti subiscono una trasformazione: vibrano, si scontrano, si spostano, si rompono, esplodono... L'udito è il senso degli eventi, più che delle scene. Il sistema uditivo, di conseguenza, elabora i dati acustici in maniera differente rispetto a come avviene l'elaborazione delle informazioni visive: se il ruolo dominante della vista è dirci dove una cosa è, quello dell'udito è rivelarci quando accade [->44]. Dei cinque sensi, l'udito è il primo che sviluppiamo nel ventre materno. Le regioni cerebrali responsabili dell'udito sono le prime a terminare il processo di sviluppo detto mielinazione, durante il quale i "filamenti" connettivi dei neuroni vengono rivestiti con un tessuto adiposo che li isola, aumentando la velocità dei segnali elettrici. Per contro, il sistema visivo completa quest'ultimo stadio della mielinazione solo pochi mesi dopo la nascita. L'udito è anche l'ultimo senso ad abbandonarci quando perdiamo conoscenza (quando ci si addormenta, per esempio, gli altri sensi si allontanano e i suoni sembrano dilatarsi), e il primo a essere ripristinato quando ritorniamo coscienti. Siamo animali visivi, ma facciamo un uso costante dei suoni per mantenere un controllo a 360° sul mondo attorno a noi. Con l'udito integriamo la nostra percezione visiva: un film completamente privo di partitura musicale risulta anomalo e senza vita, ma di norma non ci accorgiamo quasi della colonna sonora. In questo capitolo prenderemo in esame alcune caratteristiche delle colonne sonore, come la stereofonia [->45] e l'altezza [->46]. Naturalmente, l'udito è anche il senso su cui si basa il linguaggio. Nei prossimi paragrafi cercheremo di illustrare come, quando si sente fisicamente un suono, si percepiscono anche i significati che veicola [->49] perfino sulla soglia della percezione [->48]. Come nel caso della vista, quel che percepiamo non corrisponde del tutto a ciò che fisicamente si trova nel nostro campo uditivo. Al contrario, si tratta di un'efficace costruzione acustica allestita dal nostro cervello. Per concludere, faremo un'analisi di tre aspetti che ci consentono di comprendere il linguaggio: il simbolismo sonoro nascosto nelle parole [->5O], il modo in cui suddividiamo le frasi in sintagmi [->51] e come facciamo a sapere con esattezza "qeul ceh singifiacno quetse parloe" [->52]. | << | < | > | >> |Pagina 323CAPITOLO 9La memoria
[Esperimenti 81-92]
Il fenomeno del priming (il processo tramite il quale un'esperienza recente aumenta l'accessibilità di alcuni elementi presenti nella psiche) viene citato più volte in questo libro. Se un concetto viene attivato nel cervello, altri concetti ad esso associati saranno a loro volta leggermente attivati, preparandosi così a emergere alla coscienza o all'esperienza. Le associazioni automatiche stanno alla base dell' Effetto Stroop [->55], e la misurazione di un certo tipo di priming è il modo in cui ci prepariamo inconsciamente a fare uso di un certo oggetto, semplicemente posandovi lo sguardo [->67]. Nel primo esperimento di questo capitolo ci immergeremo nel priming [—>81]: lo vedremo manifestarsi sotto forma di percezione subliminale [->82], e venir coinvolto nella formazione dei falsi ricordi. La memoria costituisce infatti l'argomento fondamentale di questo capitolo. Osserveremo la maniera in cui si formano i falsi ricordi e le impressioni di familiarità fittizia [->83, ->84 e ->85], usando il priming allo scopo di attivare idee di cui non si è avuta un'esperienza diretta. Vedremo anche come costruire ricordi forti e veridici sotto forma di apprendimento. L'apprendimento sottintende implicitamente il contesto, la situazione in cui ci si trova mentre si sta imparando (questa è un'ulteriore manifestazione della natura associativa della mente). Lo sfruttamento di questa caratteristica può aiutare innanzitutto ad apprendere in modo più efficace [->86], e poi a migliorare le proprie capacità di richiamo in futuro [->87]. Esiste perfino un ingegnoso stratagemma per potenziare la memoria facendo uso, tra le altre cose, delle nostre intrinseche abilità di navigazione [—>89]. Lungo il percorso, ci fermeremo a esaminare una serie di esperimenti riguardanti la veridicità dell'immaginazione. Per esempio, il fatto che pensare ai propri muscoli li può rafforzare [->88], o perlomeno può aumentare il controllo che ne abbiamo. O la ragione per cui, pur vivendo la vita da dietro ai nostri occhi, spesso la ricordiamo come se fosse un film vissuto in terza persona [->90]. Vedremo anche per quale motivo dovremmo addormentarci in treno per allentare le briglie dell'immaginazione [–>91]. Ultima, ma (specialmente all'interno della comunità degli hacker) certamente non meno importante: la caffeina. Perché la gente si arrabbia tanto, se gli si serve un caffè preparato in maniera diversa da come lo prendono regolarmente? E tutto questo cos'ha a che vedere con l'apprendimento? Se riuscite a capirlo, farete dell'assuefazione alla caffeina qualcosa di piacevole [–>92]. | << | < | > | >> |Pagina 36892 Rendere piacevole la dipendenza dalla caffeina
La caffeina va ad alterare chimicamente il meccanismo cerebrale della
ricompensa, esaltando il valore che attribuiamo non soltanto alla (sacra)
tazzina del mattino, ma a tutto ciò che le è collegato.
Senza essermi preparato un caffè, non potrei neppure mettermi a scrivere questo capitolo per voi. Qualche giorno bevo il tè, ma in genere il caffè è il mio stimolante preferito, e una tazza del caro vecchio "liquido di accensione creativa" è ciò di cui ho bisogno per dare il via alla scrittura al mattino.
Dopo aver bevuto una tazza di caffè, la caffeina si diffonde nel corpo e
impiega meno di 20 minuti per raggiungere ogni cellula e ogni fluido (sì, ogni
fluido) di cui siamo composti. In breve tempo condiziona anche il sistema di
comunicazione operante per mezzo dei neurotrasmettitori cerebrali. Sappiamo per
certo che la più importante azione della caffeina nel corpo umano consiste
nell'aumentare l'influenza della dopamina, sebbene sia meno chiaro come ciò
avvenga. L'eccitazione del sistema dopaminergico è qualcosa che la caffeina ha
in comune con stimolanti socialmente meno accettabili quali la cocaina e
l'anfetamina, ma essa porta a questo effetto in modo diverso.
Tramite il sistema dopaminergico, la caffeina stimola un'area sottocorticale (il cervello al di sotto della corteccia cerebrale [->8]) denominata nucleus accumbens, nota per essere fortemente coinvolta nelle sensazioni di piacere e di ricompensa. Il sesso, il cibo, tutte le droghe e addirittura le barzellette provocano un aumento della risposta neuronale in quest'area del cervello. Ciò che accade con le droghe è che esse alterano chimicamente il sistema circuitale evoluto del cervello per trovare fattori di ricompensa: insomma, l'arte di riconoscere il bello della vita, e di imparare a ottenerne di più. In ogni caso, resta incerto se la maggior parte delle persone dipendenti dalla caffeina tragga reali vantaggi dal proprio bisogno di consumare regolarmente questo stimolante liquido tra i più socialmente accettabili. Mentre alcuni guastafeste dichiarano che chi è dipendente cerca soltanto di evitare gli spiacevoli effetti dell'astinenza, più probabilmente gran parte delle persone che trae beneficio dalla caffeina ne fa un uso più o meno ottimale per aiutarsi nella vita. Uno studio si è addirittura spinto ad affermare che "il consumo regolare di caffeina sembra essere benefico, e i consumatori di dosi elevate mostrano di possedere un funzionamento mentale migliore". Non si tratta di una banale ricerca edonistica, bensì del desiderio di incrementare le proprie prestazioni. Il caffè è strettamente associato a due cose: mantenersi svegli e svolgere un proficuo lavoro mentale. Si può addirittura dimostrare un suo intervento positivo sulle prestazioni fisiche. L'associazione con il lavoro mentale creativo è leggendaria, per quanto non siano chiare le dinamiche cognitive con le quali avviene. Già nel 1933 alcuni esperimenti avevano dimostrato che una tazza di caffè può aiutare a risolvere gli enigmi scacchistici, ma — date le massicce testimonianze aneddotiche — si considerò irrisoria l'esigenza di prove scientifiche. Come ha detto il matematico Paul Erdos: "un matematico è un meccanismo che traduce il caffè in teoremi". Accademici, designer, programmatori e professionisti creativi di ogni sorta simpatizzerebbero certamente. Ma questo esperimento non concerne gli effetti della caffeina che creano dipendenza, né la stimolazione mentale che ci fornisce. Qui ci occupiamo del modo in cui il caffè esercita la sua magia su di noi senza nemmeno doverci passare tra le labbra. Il caffè ha già effetto prima ancora di essere pronto. Per partire in quarta, devo prepararmene una tazza (cioè organizzarmi mentalmente per farlo), ma non necessariamente berla. |