Copertina
Autore Domenico Starnone
Titolo Segni d'oro
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1990, UE 1151 , pag. 143, dim. 125x194x10 mm , Isbn 978-88-07-81151-7
LettoreRenato di Stefano, 1991
Classe narrativa italiana
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Pagina 34

Anch'io conclusi: boh. Non avevo mai coluto sapere se qualcosa tra noi due non andava. A parer mio stavamo insieme da tanto tempo che ormai era impossibile scoprire se qualcosa andava oppure no. Avremmo dovuto ricordarci di quando tra noi andava tutto, ma chi se lo ricordava piu? Certo ci dicevamo spesso: ti ricordi? come fanno tutte le coppie. E io pensavo alla biancheria che usava, a quella che poi aveva imparato a usare, ai colori, a una notte, a certi giorni. Lei non so. Ma ricordavamo come se ci ricordassimo di una coppia conosciuta al mare o che avevamo visto sbaciucchiarsi in macchina mentre attendeva che il semaforo diventasse verde. Noi eravamo adesso un'altra cosa. Ex compagni d'arme. Ci erano cambiate molte cose intorno: luoghi, persone, idee, credenze, contraddizioni primarie e secondarie. Ne avevamo viste tante, che ci pareva di non vederci più. Le dissi: va tutto bene, dormi, sogni d'oro.

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Pagina 63

... E passai a raccontarle con tono elevato che avevo ricevuto una proposta di lavoro che la mia formazione mi impediva di accettare. Aveva presente quando Foscolo fuggì da Milano per non sottostare alle richieste del generaele Bellegarde? Identico. Una volta si diceva: la coscienza. Io preferivo dire: la formazione. "La formazione, d'altra parte, è una cosa che si deforma continuamente" spiegai al terzo bicchiere. Perciò. A tratti propendevo a pensare che ora che i filosofi avevano interpretato il mondo e noi avevamo provato a cambiarlo e lui invece era cambiato per conto suo e anzi cambiava ogni giorno di più, conveniva ritirarsi in un cantuccio a contemplarlo in pace. Per ora non sapevo dirle altro.

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Pagina 143

Dopo, serenamente, progettai di andare in riva al Sacco con un bicchiere di carta e rovesciarmi in gola acqua infetta come se fosse cicuta; caso mai citando a mente il Socrate di Platone, ma stravolgendolo, declamando che bevevo non per riaffermare la validità delle Leggi, madri e nutrici, ma per protestare contro la loro forza prescrittiva che ci induceva a confondere la cicuta con il vin santo e viceversa. Non lo feci per non scoprirmi in scacco anche nella volonta di morte. Guido Sani Mortella mi aveva onestamente avvisato, tempo prima: "Col Sacco ci si potrebbe fare l'acqua minerale." Non volevo avvelenarmi con un veleno che si sarebbe rivelato farmaco. O aspirare a lacerarmi le viscere e facilitarmi, invece, la digestione.

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