Copertina
Autore Flora Annie Steel
CoautoreJ. Lockwood Kipling [illustrazioni]
Titolo Fiabe indiane dei cinque fiumi
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2007, Grande Fiabesca , pag. 320, ill., cop.fle., dim. 16,8x24x2,2 cm , Isbn 978-88-7226-997-8
OriginaleTales of the Punjab [1894]
TraduttoreCarla Muschio
LettoreSara Allodi, 2008
Classe classici indiani , favole , bambini
PrimaPagina


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Indice


Incroci di destini 5
Prefazione 11
Ai piccoli lettori 15
Il signor Zzz 19
Le nozze del ratto 31
Il principe fedele 41
Il cattivo affare dell'orso 51
Il principe Cuordileone ed i suoi tre amici 59
L'agnellino 77
Bopoluchi 83
La principessa Melanzana 89
Il valente Vittorino, abile tessitore 99
Il figlio di sette madri 107
Il passero ed il corvo 119
La tigre, il bramino e lo sciacallo 125
Il re dei coccodrilli 129
Il Piccolo Astragalo 135
La stretta alleanza 141
I due fratelli 147
Lo sciacallo e l'iguana 161
Morte e sepoltura della povera passerotta 165
La principessa Peperoncina 177
Fagiolina e Lenticchia 185
Lo sciacallo e la pernice 191
La donna serpente e il re Alì Mardan 197
L'anello meraviglioso 203
Lo sciacallo e la pavoncella 213
Il chicco di granoturco 217
Il contadino e l'usuraio 223
Il Signore della Morte 227
I lottatori 231
La leggenda di Gwashbrari,
la regina dal cuore di ghiaccio 235
L'intelligente moglie del barbiere 239
Lo sciacallo e la signorina coccodrillo 249
La nascita di Raja Rasalu 253
Come Raja Rasalu si presentò al mondo 257
Come Raja Rasalu
venne abbandonato dagli amici 261
Come Raja Rasalu uccise i giganti 265
Come Raja Rasalu divenne uno yogi 271
Come Raja Rasalu
viaggiò fino alla città di re Sarkap 277
Come Raja Rasalu spinse l'altalena
delle settanta belle fanciulle figlie di re 279
Come Raja Rasalu
giocò a chaupur con re Sarkap 285
Il re che venne fritto 291
Il principe Mezzofiglio 299
La madre e la figlia adoratrici del sole 307
Il principe Rubino 311
 

 

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Pagina 15

AI PICCOLI LETTORI



Ti piacerebbe sapere come si raccontano queste storie? Vieni con me e vedrai. Ecco! Dammi la mano e non avere paura, perché poggi i piedi sul tappeto del Principe Hassan. E adesso! "Ehi, presto! Abracadabra!". Ed eccoci in un villaggio del Punjab.

È il tramonto. Sopra la pianura sconfinata, vasta e ininterrotta come la volta celeste che le sta sopra, il limpido cielo rovente si raffredda piano piano diventando ombra. Gli uomini lasciano il lavoro in mezzo ai campi che, come un'oasi nel deserto, circondano il villaggio di case di fango e, con l'aratro sulle spalle, spingono verso casa i loro torelli. Le donne mettono da parte il filatoio e preparano il semplice pasto della sera. Le bambine giungono a frotte, con il loro cestino in testa, dai margini del villaggio, dove per tutto il giorno hanno lavorato impastando, mettendo a seccare e impilando i panetti di combustibile così necessari in quella terra priva di legname. I bambini, seminascosti da una nube di polvere, spingono le mandrie di sparuto bestiame e i massicci bufali neri nei recinti di siepi di rovi. È finita la giornata, una giornata che è stata tanto dura e laboriosa anche per i bambini, e con la notte giungono il riposo e il gioco. Il villaggio, così deserto prima, si anima di voci; gli anziani fanno grappolo sulla porta dei cortili, i più piccini corrono urlando per gli stretti vicoli. Ma, mentre la breve vita del crepuscolo indiano si spegne nel buio, le voci ad una ad una si zittiscono e non appena spuntano le stelle i bambini scompaiono. Ma non vanno a dormire: fa troppo caldo, perché il sole che ha picchiato tutto il giorno con tanto vigore sui muri d'argilla, sui pavimenti e sui tetti si è lasciato dietro un ricordo di caldo e bisogna aspettare la mezzanotte perché si levi una brezza fresca che porterà sollievo e riposo. E allora, come trascorrere quelle lunghe ore di buio? In tutto il villaggio non si troverà una lampada o una candela; l'unica luce – e anche quella usata con parsimonia, solo se è necessario – è la pallida fiamma fumosa di una lucerna ad olio. Eppure, nonostante questo, le ore, per quanto sia buio, non sono noiose perché questo, nel villaggio indiano, è il momento delle storie; non solo per scelta, ma per obbedire al noto precetto che vieta questo passatempo ozioso tra l'alba e il tramonto. Andate laggiù a chiedere al piccolo Kaniya com'è che lui, il più bravo del villaggio a raccontar storie, non apre mai la bocca se non dopo il tramonto: Kaniya si aprirà in un largo sorriso che gli arriva alle orecchie e, facendo balenare gli occhi neri e i denti bianchi, risponderà che quando un bambino sfaccendato, maschio o femmina, racconta una storia di giorno, un viaggiatore perde la strada. E Naraini, la pastorella, abbasserà la testa e si coprirà il viso bruno con il suo velo cencioso se lo domandate a lei; e il piccolo Ram Jas scuoterà la sua testa rasata per dire di no; ma neanche uno dei bambini del villaggio, con la loro pelle scura e nuda, cederà alla vostra richiesta di storie.

No, no! Dall'alba al tramonto, quando anche i piccoli devono faticare, neanche una parola; ma dal tramonto all'alba, quando nessuno può lavorare, le lingue si sciolgono, eccome, perché quello è il tempo delle storie. Allora, finita la misera cena, i bambini trascinano all'aperto le loro brande di corda dalle gambe di legno e si mettono giù come uccellini nel nido, tre o quattro in un letto, mentre altri si ammassano su stuoie stese a terra e alcuni, che si intrufolano per un'oretta da vicoli lontani, chiedono un posto o qua o là.

In alto luccicano le stelle, le zanzare cantano nell'aria rovente, i cani del villaggio abbaiano a nemici immaginari e dai nidi affollati, a turno, si leva la voce di un bambino che racconta una storia, vecchia oppure nuova, storie che si narravano all'alba del mondo e verranno narrate al suo tramonto. Il piccolo uditorio ascolta, sonnecchia, sogna, e ancora l'astuto sciacallo trova qualcuno che gli tiene testa, oppure Bopoluchi, coraggiosa e fiera, ritorna ricca e vittoriosa dal covo dei briganti. Udite! È la voce di Kaniya e i sonnolenti ascoltatori hanno un fremito di attesa quando attacca con la vecchia, antica formula:

"C'era una volta...".

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Pagina 19

ONCE upon a time a soldier died, leaving a widow and one son. They were dreadfully poor, and at last matters became so bad that they had nothing left in the house to eat. 'Mother,' said the son, 'give me four shillings, and I will go seek my fortune in the wide world.'...


IL SIGNOR ZZZ



C'era una volta un soldato che morì lasciando una vedova e un figlio. Erano spaventosamente poveri e venne un giorno in cui la situazione fu così grave da non avere in casa più nulla da mettere sotto i denti.

"Madre, — disse il figlio — dammi quattro scellini e io andrò per il grande mondo a cercar fortuna".

"Povera me! — rispose la madre. — Dove potrò trovare quattro scellini, io che non ho neanche un soldino per comperare del pane?".

"C'è quella vecchia giacca di mio padre, — ribatté il ragazzo — guarda nella tasca: magari ci trovi qualcosa".

E lei guardò e, meraviglia! c'erano sei scellini nascosti proprio in fondo alla tasca!

"Più di quanto mi aspettavo — disse ridendo il ragazzo. — Guarda, mamma, i due scellini sono per te: puoi vivere con questi fino al mio ritorno, e con il resto pagherò il mio viaggio finché non avrò trovato la mia fortuna".

E così partì in cerca di fortuna e nel cammino si imbatté in una tigre che si leccava una zampa e gemeva per il dolore. Era giusto in procinto di fuggire da quella terribile creatura quando essa lo chiamò con voce flebile, dicendo: "Ragazzo gentile! Se mi toglierai questa spina ti sarò grata per sempre".

"No che non lo faccio! – rispose il ragazzo. – Eh! Se faccio per estrarla e ti fa male, basterà un colpetto della tua zampa per ammazzarmi".

"No, no! — esclamò la tigre. — Volgerò il muso verso questo albero e quando comincerà il dolore batterò lì".

A questa condizione il figlio del soldato acconsentì; quindi estrasse la spina e quando provò dolore la tigre diede un tale colpo all'albero che il tronco andò in pezzi. Poi si rivolse al figlio del soldato e disse grata: "Prendi come ricompensa questa scatola, figliolo, ma non aprirla se non dopo aver viaggiato per nove miglia".

Allora il figlio del soldato ringraziò la tigre e si avviò in cerca di fortuna con la sua scatola. Ecco che quando ebbe percorso cinque miglia sentì che la scatola pesava sicuramente più che all'inizio e pareva farsi sempre più pesante ad ogni passo che faceva. Arrancando cercò di andare avanti — non poteva far di meglio per trasportare la scatola — ma quando ebbe percorso circa otto miglia e un quarto perse la pazienza. "Credo che quella tigre sia una strega che pratica su di me i suoi sortilegi, — disse — ma io non sopporterò oltre questa assurdità. Sta' lì, vecchia scatola sventurata! Sa il cielo cosa contieni e a me non importa saperlo".

Nel dire questo scagliò la scatola a terra: il colpo la fece aprire e ne uscì un omettino. Era alto solo una spanna ma la barba era lunga una spanna e un quarto e si trascinava a terra.

Il minuscolo omettino si mise subito a battere i piedi dando al ragazzo una solenne sgridata per aver buttato la scatola a terra con tanta violenza.

"Dico io! — esclamò il figlio del soldato, incapace di trattenere il sorriso di fronte a quella ridicola figuretta — pesi proprio molto per la tua stazza, vecchio mio! E quale sarebbe il tuo nome?"

"Signor Zzz!" fu la secca risposta dell'omettino alto una spanna, che continuava a pestare i piedi dalla gran rabbia.

"Dico io! — rispose il figlio del soldato. — Se la scatola non conteneva altro che te, sono contento di non essermi dato pena di trasportarla oltre".

"Questo non è gentile, — ringhiò l'ometto. — Magari se tu l'avessi trasportata per tutte le nove miglia avresti potuto trovare qualcosa di meglio; ma non importa. Per te basto io, in tutti i casi, e ti servirò fedelmente secondo gli ordini della mia padrona".

"Servirmi! Allora vorrei tanto che tu mi servissi la cena, perché sto morendo di fame! Eccoti quattro scellini come ricompensa".

Non appena il figlio del soldato ebbe detto questo e consegnato il denaro, il signor Zzz con sibili e colpi, bim! bum! drin!, come una grossa ape, volò per l'aria fino ad una pasticceria della vicina città. L'omettino alto una spanna si mise lì, trascinando a terra la barba lunga una spanna e un quarto, proprio accanto al grande vaso dei dolciumi e strillò con voce acutissima: "Ho! Ho! Signor pasticciere, portatemi dei dolci! ".

Il pasticciere guardò in tutto il negozio, e fuori della porta, e sulla strada, ma non vide nessuno, perché il piccolo signor Zzz era completamente nascosto dal vaso dei dolciumi. Allora l'ometto gridò ancora più forte: "Ho! Ho! Signor pasticciere, portatemi dei dolci!". E quando il pasticciere guardò invano cercando il cliente, il signor Zzz si arrabbiò e corse a dargli un pizzicotto sulla gamba ed un calcio al piede, dicendo: "Furfante impudente! Vuoi dire che non vedi me? Ma come, se sono sempre stato lì vicino al vaso dei dolciumi!".

Il pasticciere si scusò molto rispettosamente e corse a prendere i dolci migliori per questo piccolo cliente tanto irritabile. Il signor Zzz ne scelse circa mezzo quintale e poi disse: "Svelto, avvolgili come puoi e mettimeli in mano e io li porterò a casa".

"Non peseranno poco, signore," sorrise il pasticciere.

"E a te che importa, vorrei sapere? — replicò seccamente il signor Zzz. – Fa' come ti dico e basta e questi sono i soldi". Dicendo questo fece tintinnare in tasca i quattro scellini.

"Come volete, signore," rispose l'uomo tutto allegro mentre raccoglieva i dolci in un grande involto e li metteva sulla mano tesa del minuscolo omettino, sicuro di vederlo soccombere sotto il peso; ma, meraviglia, quello, bum bum! drin drin! sfrecciò via con i soldi ancora in tasca.

Si posò in un negozio di granaglie e candele, si mise dietro un cesto di farina e strillò a pieni polmoni: "Ho! Ho! Signor candeliere, portatemi della farina!".

E quando il negoziante ebbe guardato per tutto il negozio, e fuori della vetrina, e lungo la strada, senza vedere nessuno, l'omettino alto una spanna, che trascinava la barba a terra, tornò a strillare più forte di prima: "Ho! Ho! Signor candeliere, portatemi della farina!".

E, non ricevendo risposta, andò su tutte le furie e corse a mordere la gamba a quel disgraziato negoziante, gli diede pizzicotti e calci dicendo: "Briccone spudorato! Non far finta di non vedere me! Ma come, se ero lì proprio vicino a te dietro quella cesta!".

E il negoziante si scusò con molto ossequio per l'errore e chiese al signor Zzz quanta farina volesse.

"Un quintale, — rispose l'omettino — né più né meno. Preparami il pacchetto da portar via".

"Vostro Onore avrà sicuramente un carretto o un animale da soma, — disse il negoziante — perché un quintale è un carico pesante".

"E a te che importa? — urlò il signor Zzz scalpitando. — Non ti basta che ti paghi?". Dopo di che fece tintinnare ancora una volta i soldi che aveva in tasca.

E così il mercante di candele e granaglie impacchettò la farina e la posò sulla mano tesa dell'omettino, aspettandosi con certezza che ne sarebbe rimasto schiacciato, ma il signor Zzz, con un guizzo, op! volò via con gli scellini ancora in tasca. Bum! Drin! Bum!

Proprio allora il figlio del soldato si stava chiedendo che ne fosse del suo servitore alto una spanna, quand'ecco che con un frullio atterrò al suo fianco, si deterse il viso col fazzoletto come se fosse terribilmente accaldato e stanco e disse premuroso: "Spero bene che adesso sia sufficiente quanto ho portato, voi uomini avete un appetito tanto poderoso!".

"Più che sufficiente, direi," rise il ragazzo guardando gli enormi pacchetti.

Allora il signor Zzz preparò delle focacce sulla piastra; il figlio del soldato mangiò tre di queste e una manciata di dolci, ma l'omettino alto una spanna ingollò tutto il resto dicendo a ogni boccone: "Voi uomini avete un appetito così terribile! Un terribile appetito!".

Poi il figlio del soldato e il suo servitore signor Zzz viaggiarono a lungo finché non giunsero alla città del re. Ecco che il re aveva una figlia chiamata Principessa Bocciolo Aperto che era così graziosa, tenera, sottile e bella che pesava solo come cinque fiori. Ogni mattina la pesavano su una bilancia d'oro e il piatto si spostava sempre quando vi deponevano il quinto fiore, né uno di meno né uno di più.

Ecco che accadde che il figlio del soldato scorgesse la graziosa, tenera, sottile e bella Principessa Bocciolo Aperto e, naturalmente, se ne innamorò pazzamente. Non riusciva a dormire né a mangiare la cena e per tutto il giorno non faceva altro che dire al suo ometto fedele: "Oh, carissimo signor Zzz! Oh, carissimo signor Zzz! Portatemi dalla Principessa Bocciolo Aperto così che io possa vederla e parlarle".

"Portarti? – rispondeva sprezzante e brusco quel piccoletto. – Sarà facile! Figuriamoci, sei dieci volte più grosso di me. Dovresti essere tu a portare me!".

Tuttavia, dopo che il figlio del soldato ebbe pregato e implorato, pallido e languido a furia di pensare alla Principessa Bocciolo Aperto, il signor Zzz, che aveva il cuore gentile, si lasciò commuovere e disse al ragazzo di sedersi sulla sua mano. Allora con un portentoso bum! bim! bum! sibilando volarono via e dopo un secondo erano al palazzo. Essendo notte la principessa dormiva; tuttavia il rimbombo la svegliò ed ella si spaventò non poco nel vedere un bel giovanotto in ginocchio ai suoi piedi. Naturalmente si mise a strillare ma smise subito quando il figlio del soldato con la massima cortesia e lingua forbita la implorò di non allarmarsi. E poi conversarono insieme di cose deliziose mentre il signor Zzz stava di sentinella alla porta; ma prima aveva appoggiato verticalmente un mattone così che non sembrasse che spiasse la giovane coppia.

Ecco che quando fu quasi per albeggiare il figlio del soldato e la Principessa Bocciolo Aperto, stanchi di conversare, si addormentarono; al che il signor Zzz, essendo un servitore fedele, si disse: "E ora che si fa? Se il mio padrone rimane qui addormentato qualcuno lo scoprirà e lo ammazzeranno, quant'è vero che mi chiamo Zzz; ma se lo sveglio, scommetto dieci a uno che rifiuterà di andar via".

E allora senza grande sforzo mise una mano sotto il letto e bim! bum! lo trasportò in un ampio giardino fuori della città. Lo depose lì all'ombra dell'albero più grande, sradicò un albero appena inferiore a questo, se lo mise in spalla e prese a marciare avanti e indietro per fare la guardia.

Ben presto tutta la città entrò in gran subbuglio perché era stata portata via la Principessa Bocciolo Aperto e tutti dal primo all'ultimo erano in giro a cercarla. A un certo punto il Capo delle Guardie cieco da un occhio giunse all'ingresso del giardino.

"Che vai cercando?" esclamò il valente signor Zzz brandendo l'albero.

Il Capo delle Guardie cieco da un occhio non vedeva altro che i rami, ma rispose con decisione: "Cerco la Principessa Bocciolo Aperto!".

"Aperto sarai tu! Vattene dal mio giardino, forza!" strillò l'omettino alto una spanna, con la barba lunga una spanna e un quarto che si trascinava a terra; e dicendo questo diede un tale colpo con l'albero al pony del Capo delle Guardie che esso sfrecciò via quasi disarcionando il cavaliere.

Il pover'uomo andò subito dal re dicendo: "Vostra Altezza! Sono convinto che la figlia di Vostra Maestà, la Principessa Bocciolo Aperto, si trovi nel giardino di Vostra Altezza, oppure fuori città, dato che lì c'è un albero che combatte furiosamente".

All'udir questo il re convocò tutti i suoi cavalli e cavalieri, si diresse al giardino e tentò di entrarvi, ma il signor Zzz dietro l'albero li mise tutti in rotta: metà rimasero uccisi e gli altri fuggirono. Però il rumore della battaglia aveva svegliato la giovane coppia e, siccome ormai erano convinti di non poter più vivere l'uno senza l'altra, decisero di fuggire insieme. E così quando si concluse il combattimento il figlio del soldato, la Principessa Bocciolo Aperto e il signor Zzz partirono per girare il mondo.

E il figlio del soldato era così deliziato per la fortuna che aveva avuto nel conquistare la principessa che disse al signor Zzz: "Ormai la fortuna l'ho fatta: non ho più bisogno di te, puoi tornartene dalla tua padrona".

"Bah! — disse il signor Zzz. — I giovani pensano sempre così; comunque, fa' come ti pare, ma prendi questo pelo della mia barba e se dovessi trovarti nei guai, brucialo nel fuoco e io verrò in tuo soccorso".

E così il signor Zzz guizzò via; il figlio del soldato e la Principessa Bocciolo Aperto vissero felici e viaggiarono insieme finché infine non si persero in una foresta vagando per qualche tempo senza niente da mangiare. Quando stavano per morire di fame vennero scoperti da un bramino che, udendo la loro storia, disse: "Ohimè! Poveri figlioli! Venite a casa mia e vi darò qualcosa da mangiare".

Ora, se avesse detto "vi mangerò" sarebbe stato molto più vicino al vero, perché non era affatto un bramino ma un terribile vampiro che amava divorare bei giovanotti ed esili fanciulle. Però, non sapendo niente di tutto questo, la coppia lo seguì allegramente fino a casa. Era molto cortese e quando furono giunti a casa disse: "Vi prego, preparatevi quello che volete mangiare, perché io non ho il cuoco. Queste sono le mie chiavi; aprite tutti gli stipi tranne quello dalla chiave d'oro. Intanto io andrò a raccogliere legna da ardere".

Allora la Principessa Bocciolo Aperto si mise a fare da mangiare mentre il figlio del soldato apriva tutti gli stipi. Vi trovò deliziosi gioielli, abiti, piatti e tazze e così tante borse d'oro e d'argento che la sua curiosità ebbe il sopravvento sulla discrezione e, ignorando l'avvertimento del bramino, disse: "Sono deciso a vedere che cosa meravigliosa è nascosta nello stipo dalla chiave d'oro". E così lo aprì e, oh! era pieno di teschi umani, ben ripuliti e perfettamente lustri. A questo terribile spettacolo il figlio del soldato tornò di corsa dalla Principessa Bocciolo Aperto e disse: "Siamo perduti! Siamo perduti! Questo non è un bramino ma un orrendo vampiro!".

In quel momento sentirono che era alla porta e la principessa, che era molto coraggiosa e non perdeva mai la testa, fece appena in tempo a gettare il capello magico nel fuoco prima che comparisse il vampiro, coi denti aguzzi e gli occhi feroci. Ma in quello stesso momento si udì nell'aria un rumore, bum! bum! drin!, che si avvicinava sempre più. Allora il vampiro, che conosceva bene il suo nemico, si trasformò in una forte pioggia che cadeva a catinelle, sperando così di far affogare il signor Zzz, ma lui si trasformò in un vento di tempesta che respinse la pioggia. Allora il vampiro si fece colomba, ma il signor Zzz, che la inseguì come falco, la mise così alle strette che essa fece appena in tempo a trasformarsi in rosa e cadere in grembo a Re Indra seduto alla corte celeste ad ascoltare il canto di alcune danzatrici. Allora il signor Zzz, veloce come il pensiero, si tramutò in un anziano musico e, mettendosi in piedi accanto al bardo che strimpellava la chitarra, disse: "Fratello, sei stanco; lascia che sia io a suonare".

E suonò così meravigliosamente e cantò con tale profonda dolcezza che Re Indra disse: "Come ti potrò ricompensare? Dì ciò che vuoi e l'avrai".

Allora il signor Zzz disse: "Non chiedo altro che la rosa che Vostra Altezza tiene in grembo".

"Avrei preferito che tu chiedessi di più, o di meno, — rispose Re Indra. — Non è altro che una rosa; però è caduta dal cielo; comunque ora è tua".

Così dicendo gettò la rosa verso il suonatore e, meraviglia! i petali caddero a terra come una cascata. Il signor Zzz si inginocchiò e li raccolse immediatamente, ma un petalo che gli sfuggì si trasformò in un topo. Allora il signor Zzz, veloce come un lampo, si mutò in gatto, che catturò il topo e lo inghiottì.

E per tutto questo tempo la Principessa Bocciolo Aperto e il figlio del soldato, scossi e tremanti, avevano atteso la fine del combattimento nella capanna del vampiro; ma ad un tratto, con un bim! bum! giunse vittorioso il signor Zzz, scosse il capo e disse: "Voi due fareste meglio ad andare a casa perché non siete capaci di badare a voi stessi".

Poi raccolse nella mano tutto l'oro e i gioielli, mise sull'altra mano la principessa e il figlio del soldato e in un turbine tornò alla casa dove la povera madre — che era vissuta tutto questo tempo con i due scellini — fu ben felice di vederli.

E allora il signor Zzz, con un bum! drin! bum! più forte del solito, senza neanche aspettare di essere ringraziato, schizzò via e scomparve alla vista e non se ne seppe più nulla.

Ma il figlio del soldato e la Principessa Bocciolo Aperto vissero per sempre felici e contenti.

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