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| << | < | > | >> |Pagina 3Sulle terre rosse e su una parte delle terre grigie dell'Oklahoma le ultime piogge furono leggere, e non lasciarono traccia sui terreni arati. Le lame passarono e ripassarono spianando i solchi piovani. Le ultime piogge fecero rialzare in fretta il mais e sparsero colonie di gramigna e ortiche ai lati delle strade, tanto che le terre grigie e le terre rosso-scure cominciarono a sparire sotto una coltre verde. Nell'ultima parte di maggio il cielo si fece pallido, e scomparvero le nuvole che in primavera avevano indugiato così a lungo con i loro alti pennacchi. Il sole prese a picchiare giorno dopo giorno sul mais in erba, fino a screziare di bruno gli orli di ogni baionetta verde. Le nuvole ricomparvero, e si dileguarono senza tornare più. La gramigna si fece di un verde più scuro per difendersi dal sole, e smise di propagarsi. Il suolo si ricoprì di una crosta dura e sottile, e man mano che il cielo impallidiva, anche il suolo impallidiva, facendosi rosa nelle terre rosse e bianco nelle terre grigie. | << | < | > | >> |Pagina 104[...] Disse: "Ma', ci sono due che arrivano dalla strada, e m'hanno chiesto se gli diamo un boccone".Tom udì la voce della madre, il timbro basso e pacato che ben ricordava, affabile e dimesso. "Falli entrare," disse Ma'. "C'è un sacco di roba. Digli che si devono lavare le mani. Il pane è pronto. La carne la tolgo ora dal fuoco." E dal fornello si levò lo sfrigolio del grasso stizzito. Pa' entrò in casa, liberando l'ingresso, e Tom guardò la madre. Stava pescando dalla padella le fette di carne increspate. Lo sportello del forno era aperto, e lasciava scorgere le spesse pagnotte scure allineate sulla piastra. Ma' guardò verso la porta, ma Tom aveva il sole alle spalle, e Ma' vide solo una sagoma scura che si stagliava sul giallo bagliore del sole. Annuì affabilmente. "Entrate," disse. "Fortuna che stamattina ho fatto un sacco di pane." Tom rimase fermo a guardare. Ma' era robusta, ma non grassa: appesantita dalle gravidanze e dal lavoro. Indossava un'ampia veste accollata di tela grigia su cui un tempo erano stampati dei fiori colorati, ma ormai il colore s'era sbiadito e i piccoli disegni floreali erano solo di un grigio un po' più chiaro dello sfondo. La veste arrivava fino alle caviglie, e i suoi piedi larghi e forti, scalzi, si muovevano lesti e agili sull'assito. I capelli fini e grigi erano raccolti in una piccola crocchia sulla nuca. Le maniche della veste coprivano fino al gomito le braccia forti e lentigginose, e le mani erano pienotte e delicate, come quelle di una bambina paffuta. Si era voltata e guardava nel sole. La sua faccia carnosa non era dolce: era risoluta, garbata. I suoi occhi nocciola sembravano aver vissuto ogni tragedia possibile, salendo come gradini il dolore e la sofferenza fino a raggiungere una comprensione sovrumana e un sommo equilibrio. Sembrava conoscere, accettare, gradire il suo ruolo di cittadella della famiglia, di roccaforte inespugnabile. E poiché il vecchio Tom e i figli non potevano conoscere sofferenza o paura se lei non denunciava sofferenza e paura, aveva imparato a rinchiudere l'una e l'altra dentro se stessa. E poiché, quando succedeva qualcosa di lieto, loro la guardavano per vedere se in lei ci fosse gioia, si era abituata a trarre motivo di riso da faccende che non ne avevano. Ma meglio della gioia era l'equilibrio. Il senso della misura dà affidamento. E il grande e umile ruolo di Ma' in seno alla famiglia le aveva conferito dignità e una nitida, equilibrata bellezza. Il suo ruolo di risanatrice aveva dato alle sue mani sicurezza, nerbo, sapienza; il ruolo di arbitro l'aveva resa remota e infallibile come una dea. Sembrava sapere che se lei avesse vacillato, l'intera famiglia avrebbe tremato, e che se un giorno si fosse trovata a cedere o a disperare davvero, l'intera famiglia sarebbe crollata, avrebbe smarrito ogni volontà di funzionare. Ma' guardò verso l'aia assolata, verso quella sagoma scura di uomo. Pa' le si era messo accanto, fremendo di eccitazione. "Può entrare," gridò. "Può entrare, signore." E Tom, un po' a disagio, varcò la soglia. Ma' alzò lo sguardo dalla padella, sorridendo. Poi la sua mano si abbassò adagio lungo il fianco, e la forchetta cadde rumorosamente sull'assito. I suoi occhi si spalancarono, le pupille si dilatarono. Respirava affannosamente, con la bocca aperta. Chiuse gli occhi. "Dio mio, grazie," disse. "Oh Dio mio, grazie!" Poi di colpo il suo viso si fece ansioso. "Tommy, non è che sei ricercato? Non è che sei scappato?" "No, Ma'. Libero sulla parola. Ho i documenti qui." Si toccò il petto. Lei gli si avvicinò con delicatezza, silenziosa con i suoi piedi scalzi, e aveva il viso pieno di meraviglia. Con la piccola mano gli toccò il braccio, saggiò il vigore dei muscoli. Poi le dita salirono fino alla guancia come avrebbero fatto le dita di un cieco. E la sua gioia ebbe qualcosa del dolore. Tom strinse tra i denti il labbro inferiore e lo morse. Gli occhi della madre si posarono stupiti sul labbro morso, e videro il sottile filo di sangue sui denti e la goccia di sangue che scendeva sul labbro. Allora Ma' capì, e riprese il controllo, e la sua mano ricadde. Il fiato le uscì dalla bocca come un'esplosione. "Bene!" gridò. "Lo sai che a momenti partivamo senza te? E ci chiedevamo poi come facevi tu a trovarci." Raccolse la forchetta, pettinò il grasso crepitante e vi pescò un ricciolo scuro di maiale croccante. Poi tolse dal fuoco la caffettiera bollente. Il vecchio Tom ridacchiò: "Te l'abbiamo fatta, eh, Ma'? Te la volevamo fare e ci siamo riusciti. Eri lì come una pecora al macello. Peccato che non c'era Nonno a vederti. Era come se t'avevano dato una martellata in mezzo agli occhi. Se c'era Nonno si dava tante di quelle manate che si faceva uscire l'osso del fianco... come quando ha visto Al che pigliava a fucilate quel dirigibile dell'esercito. Sai Tommy, un giorno c'è arrivato sopra la testa quell'affare lungo mezzo miglio, e Al piglia la doppietta e gli spara addosso. E Nonno gli grida: 'Non sparare agli uccellini, Al; aspetta che passa il capofamiglia!', e s'è dato tante di quelle manate che s'è fatto uscire l'osso del fianco." Ma' ridacchiò e prese da uno scaffale una pila di piatti di stagno. Tom chiese: "Dov'è Nonno? Non l'ho visto quel vecchio caprone." Ma' posò i piatti sul tavolo della cucina e v'impilò accanto le tazze. Disse, quasi sottovoce: "Oh, lui e Nonna dormono nel fienile. Di notte gli tocca alzarsi un sacco di volte. Erano sempre lì che inciampavano sui bambini". Pa' s'intromise: "Già, e ogni notte Nonno s'imbestialiva. Inciampava addosso a Winfield, e Winfield strillava, e Nonno s'imbestialiva e si pisciava nelle mutande, e allora s'imbestialiva di più, e alla fine eravamo tutti lì a strillare come matti". Le parole gli uscivano dalla bocca tra una risata e l'altra. "Oh, ce la siamo spassata. Una notte ch'eravamo lì a strillare e bestemmiare tutti quanti, tuo fratello Al, che ora si crede un grand'uomo, si gira verso il Nonno e gli fa: 'Perdio, Nonno, perché non ti pigli la tua roba e te ne vai a fare il pirata?'. Be', Nonno s'è imbestialito così tanto ch'è andato a pigliare il fucile. E a Al quella notte gli è toccato dormire nel campo. Ma ora Nonna e Nonno dormono tutt'e due nel fienile." Ma' disse: "Così s'alzano e escono ogni volta che gli serve. Pa', vagli a dire che Tommy è tornato. Nonno è il suo preferito". "Certo," disse Pa'. "Non ci avevo pensato." Uscì dalla porta e attraversò l'aia dondolando energicamente le braccia. Tom lo guardò allontanarsi, poi la voce della madre attirò la sua attenzione. Stava versando il caffè nelle tazze. Non lo guardava. "Tommy," gli disse, titubante, timida. "Sì?" Lo strano imbarazzo della madre suscitò la sua timidezza. Entrambi si sapevano timidi, e il saperlo li rendeva ancor più timidi. "Tommy, te lo devo chiedere... non sei arrabbiato?" "Arrabbiato, Ma'?" "Non t'hanno avvelenato di rabbia? Non t'hanno riempito di odio? Non è che in quella prigione t'hanno fatto qualcosa che t'ha guastato e riempito di odio?" Tom la guardò di sbieco, la studiò, e i suoi occhi sembravano chiedersi come facesse a sapere certe cose. "N-n-no," disse. "Magari per un po' sì. Ma io mica sono orgoglioso come tanta gente. A me quella roba mi scivola addosso. Che c'è, Ma'?" Ma' lo stava guardando a bocca aperta, come per ascoltare meglio, e con gli occhi attenti per capire meglio. Il suo viso cercava la risposta che si nasconde sempre sotto le parole. Disse, agitata: "Io ho conosciuto Pretty Boy Floyd. Ho conosciuto sua madre. Erano brava gente. Lui aveva il diavolo in corpo, ma come ce l'hanno tutti i ragazzi". Tacque, poi le parole proruppero. "Io non la so tutta fino in fondo, ma questo lo so. Pretty Boy ha fatto un piccola cosa brutta e quelli gli hanno fatto male, l'hanno pigliato e gli hanno fatto così male ch'è diventato una bestia, e allora ha fatto un'altra cosa brutta, e quelli gli hanno fatto male di nuovo. E lui è diventato una bestia furiosa. Gli hanno sparato come a un topo di fogna, e allora gli ha sparato pure lui, e gli hanno dato la caccia come a un coyote, e lui azzannava e ringhiava come un lupo. Pazzo di rabbia. Non era più un ragazzo e manco un uomo, era solo una bestia furiosa piena di odio. Ma la gente che lo conosceva non gli ha mai fatto male. Lui non ce l'aveva con loro. Alla fine l'hanno pigliato e l'hanno ammazzato. Non m'importa se i giornali dicono ch'era cattivo: è così ch'è andata davvero." Tacque e si leccò le labbra asciutte, e tutto il suo viso era una domanda ansiosa. "Io lo devo sapere, Tommy. T'hanno fatto male come a lui? T'hanno fatto impazzire di rabbia?" Tom aveva le labbra stirate sui denti. Abbassò gli occhi sulle sue grosse mani piatte. "No," disse. "Io non sono come lui." Tacque e si osservò le unghie rotte, che erano striate come dorsi di conchiglia. "Io quella roba l'ho scansata tutt'il tempo che sono stato dentro. Non sono così arrabbiato." Ma' sospirò e disse, sottovoce: "Benedetto Gesù!". | << | < | > | >> |Pagina 221Seduti sugli sgabelli, davanti alla tazza con il cucchiaino dentro. Chiacchierando con Mae. Mentre Al ascolta senza fare commenti, continuando a sfregare la sua piastra. La voce di Bing Crosby s'interrompe. Il giradischi si abbassa e il disco torna al suo posto nel mucchio. La luce viola si spegne. Il nichelino, quello che ha messo in marcia l'intero sistema, quello che ha convinto Bing Crosby a cantare e un'intera orchestra a suonare, scivola tra i due punti di contatto e cade nella scatola dove finiscono gli incassi. Quel nichelino, diversamente da gran parte dei suoi simili monetari, ha effettivamente portato a termine un lavoro, è stato fisicamente responsabile di una reazione.Il vapore sprizza dalla valvola del bricco. Il compressore del frigorifero ronza piano per qualche istante, poi si ferma. Il ventilatore elettrico nell'angolo scuote piano la sua testa avanti e indietro, spazzando l'ambiente con una brezza calda. Sulla nazionale, sulla 66, le macchine filano via. "Poco fa s'è fermata una macchina del Massachusetts," disse Mae. Big Bill afferrò la tazza dall'alto, bloccando il cucchiaino tra l'indice e il pollice. Risucchiò un po' d'aria insieme al caffè, per raffreddarlo. "È così su tutta la 66. Macchine da tutto il paese. Tutte dirette all'Ovest. Mai viste così tante. E pure roba di lusso." "Stamattina abbiamo visto un incidente," dice il suo collega. "Una macchina grossa. Una Cadillac fuoriserie, roba di gran lusso, bassa, color crema, fuoriserie. È finita contro un camion. Tutt'il cofano rientrato, pestata come una fisarmonica. Doveva andare sui centocinquanta. Quello che guidava s'è infilzato col piantone del volante, era lì che si torceva come un verme sull'amo. Gran bella macchina. Roba di gran lusso. Ridotta a un rottame da quattro soldi. Il tizio era da solo." Al alzò lo sguardo dalla piastra. "E il camion?" "Cristo, non era manco un camion vero. Uno di quegli arnesi modificati pieni di fornelli e padelle e materassi e polli e bambini. Il tizio colla Caddy ci ha passati sui centocinquanta... s'è quasi messo su due ruote per passarci, ma poi c'era una macchina e allora ha sterzato di botto e ha beccato in pieno la camionetta. Mi sa ch'era sbronzo marcio. Cristo, c'erano coperte e polli e bambini che volavano dappertutto. Un bambino c'è rimasto secco. Mai visto un macello così. Ci siamo fermati. Il vecchio che guidava il camion era lì impalato che guardava il bambino morto. Impossibile cavargli manco una parola. Intronato preciso. Cristo santo, la 66 è piena di quelle famiglie che vanno all'Ovest. Mai viste così tante. E va sempre peggio. Chissà da dove diavolo vengono." "Chissà dov'è che vanno," disse Mae. "Ogni tanto si fermano qui per fare benzina, ma è difficile che si comprano qualcosa. Dice che rubano. Noi non lasciamo mai niente in giro. Qui non hanno mai rubato niente." Big Bill, biascicando la torta, alzò lo sguardo verso la finestra. "Meglio che la tua roba la leghi. Ne sta arrivando una passata." Una Nash del '26 stava faticosamente lasciando la nazionale. Il sedile posteriore era zeppo di sacchi, pentole e padelle, e in cima al mucchio, stipati contro il tetto, c'erano due bambini. Sul tetto, un materasso e una tenda ripiegata; picchetti da tenda legati sui predellini. L'auto andò a fermarsi davanti alle pompe di benzina. Ne scese adagio un uomo con i capelli neri e la faccia squadrata. I due bambini si lasciarono scivolare giù dal carico e toccarono terra. Mae girò intorno al bancone e si fermò sulla soglia, dietro la porta a rete. L'uomo indossava pantaloni di lana grigia e una camicia blu scuro, chiazzata di sudore sul dorso e sotto le ascelle. I bambini erano in tuta di tela e nient'altro, tute di tela lacere e rattoppate. Erano entrambi biondi, con i capelli corti e ritti tutt'intorno alla testa, tagliati a macchinetta. Avevano la faccia striata di polvere. Andarono dritti verso la pozzanghera sotto il rubinetto dell'acqua, e piantarono i piedi nudi nel fango. L'uomo chiese: "Possiamo avere un po' d'acqua, signora?". Mae lo guardò con aria infastidita. "Certo, là c'è il tubo". E a voce bassa, di sopra la spalla, disse: "Quello lo tengo d'occhio". Osservò l'uomo mentre svitava lentamente il tappo del radiatore e infilava il tubo nel bocchettone. Una donna nell'auto, una donna con i capelli biondi, disse: "Vedi se magari te lo danno loro". L'uomo sfilò il tubo dell'acqua e riavvitò il tappo. I bambini gli presero il tubo dalle mani, lo alzarono sopra la testa e bevvero avidamente. L'uomo si tolse il cappello scuro e sudicio e si fermò con strana umiltà davanti alla porta a rete. "Non è che ci può vendere un filone di pane, signora?" Mae disse: "Questa non è una panetteria. Noi col pane ci facciamo i sandwich". "Capisco, signora." La sua umiltà era insistente. "Abbiamo bisogno di pane, e m'hanno detto che per un bel pezzo di strada non c'è niente." "Se vendiamo il pane poi restiamo senza." Il tono di Mae vacillava. "Abbiamo fame," disse l'uomo. "Perché non vi comprate un sandwich? Abbiamo degli ottimi sandwich, e pure hamburger." "Ci piacerebbe tanto, signora. Ma non possiamo. Tocca che ci facciamo bastare dieci centesimi per quanti siamo." E aggiunse, imbarazzato: "Siamo un po' scarsi di tutto". Mae disse: "Con dieci centesimi non ve lo comprate un filone. Quí abbiamo solo filoni da quindici centesimi". Da dietro di lei, Al grugnì: "Buon Dio, Mae, dagli quel pane". "Ma se non passa il fornaio restiamo senza." "E allora restiamo senza, perdio," disse Al. Poi abbassò lo sguardo seccato sull'insalata di patate che stava mescolando. Mae scrollò le spalle grassocce e lanciò un'occhiata ai camionisti come per sottolineare cosa le toccava subire. Mentre lei teneva aperta la porta a rete, l'uomo entrò, portando con sé lezzo di sudore. I bambini s'infilarono dietro di lui e andarono subito verso la vetrinetta con i dolciumi, e rimasero lì a guardare con gli occhi spalancati – non tanto per smania o speranza o neanche desiderio, quanto per una sorta di stupore di fronte alla possibilità che esistessero cose del genere. Erano quasi uguali sia d'altezza sia di lineamenti. Uno si grattò una caviglia impolverata con le unghie dell'altro piede. L'altro gli bisbigliò un messaggio segreto, e tutt'e due irrigidirono di colpo le braccia, tanto che i loro pugni stretti nelle tasche trasparivano dalla logora tela blu della tuta. Mae aprì un cassetto e ne trasse un lungo filone di pane avvolto nella carta oleata. "Questo è un filone da quindici centesimi." L'uomo si rimise in testa il cappello. Rispose con umiltà inflessibile: "Non... non può tagliarmene un pezzo da dieci centesimi?". Al disse, ringhiando: "Perdio, Mae. Dagli il filone". L'uomo si voltò verso Al. "No, vogliamo comprarne solo dieci centesimi. Purtroppo abbiamo i soldi contati, signore, dobbiamo arrivare fino in California." Mae disse, rassegnata: "Le do questo per dieci centesimi". "Ma è come se gliene rubo un pezzo, signora." "Su, forza... Al dice di pigliarlo." Spinse sul bancone íl pane incartato. L'uomo cavò dalla tasca posteriore un grosso borsellino di pelle, ne sciolse le stringhe e lo aprì. Era ingombro di monete d'argento e banconote bisunte. "Magari vi pare strano che siamo così tirati," si giustificò l'uomo. "Ma dobbiamo fare un migliaio di miglia, e non sappiamo se ce la facciamo." Frugò con l'indice nel borsellino, individuò una moneta da dieci centesimi e la prese. Quando la mise sul bancone, notò che c'era rimasto attaccato un penny". Fece per riporre il penny nel borsellino, poi si accorse dei figli incantati davanti ai dolciumi. Andò lentamente verso di loro. Indicò nella vetrinetta i bastoncini di menta. "Sono quelli da un penny l'uno, signora?" Mae si avvicinò e guardò nella vetrinetta. "Quali?" "Quelli lì, colle strisce colorate." I due bambini alzarono gli occhi sulla donna e smisero di respirare; le loro bocche erano socchiuse, i loro corpi seminudi erano rigidi. "Ah, quelli. Be', no... quelli vengono un penny ogni due." "Be', allora me ne dà due, grazie." Posò con cura la moneta di rame sul bancone. I bambini liberarono lentamente il fiato trattenuto. Mae gli porse i bastoncini. "Su, pigliateli," dice l'uomo. I due bambini allungarono timidamente la mano, presero ciascuno un bastoncino e lo abbassarono lungo il fianco senza guardarlo. Però si guardarono tra loro, e avevano un sorriso impacciato agli angoli della bocca. "Grazie, signora." L'uomo prese il pane e uscì dalla porta, e í due bambini lo seguirono con passo rigido, stringendo contro le gambe i due bastoncini bianchi striati di rosso. Saltarono come scoiattoli oltre il sedile anteriore e in cima al carico, e lì come scoiattoli si rintanarono dove nessuno li vedesse. L'uomo salì in macchina e mise in moto, e con un rombo e uno sbuffo oleoso di fumo bluastro la vecchia Nash imboccò la nazionale e riprese il suo cammino verso l'Ovest. I camionisti e Mae e Al li seguirono con lo sguardo dalla finestra della bettola. Big Bill si voltò. "Quelli non erano bastoncini un-penny-due," disse. "E a te che ti frega?" ribatté rabbiosamente Mae. "Quelli erano bastoncini da cinque centesimi l'uno," disse Bill. "Tocca andare," disse l'altro. "Piantala di perdere tempo." Misero tutt'e due la mano in tasca. Bill posò una moneta sul bancone. L'altro la guardò, rimise la mano in tasca e posò anche lui una moneta. Si voltarono e uscirono dalla porta. "Ci vediamo," disse Bill. Mae lo chiamò: "Ehi! Aspetta un attimo. E il resto?". "Va' al diavolo," disse Bill, e la porta a rete sbatté. Mae li guardò salire in cabina, guardò íl grosso camion avviarsi con la marcia bassa, ascoltò il crepitio del cambio passare da una marcia all'altra fino a quella di crociera. "Al..." disse piano. Al alzò lo sguardo dall'hamburger che stava pressando per metterlo tra due pezzi di carta oleata. "Che c'è?" "Guarda lì." Gli indicò le monete accanto alle tazze: due pezzi da mezzo dollaro. Al si avvicinò e guardò, poi tornò alla sua postazione. "Camionisti," disse Mae con rispetto, "e dopo quelle 'merdesecche'." | << | < | > | >> |Pagina 247"Quand'hai ammazzato quel tizio... dopo... te lo sei mai sognato? T'ha fatto stare male?""No." Be', non ci hai mai pensato?" "Certo. Mi seccava ch'era morto." "Non ti bruciava la coscienza?" "No. Loro m'hanno condannato e io ho pagato." "Lì... era... molto brutto?" Tom disse nervosamente: "Ascolta, Al. Ho pagato, e ora è finita. Non mi va di tornarci sopra. Quello è il fiume, e lì c'è la città. Vediamo di trovarci una biella e al diavolo tutt'il resto". "Per Ma' tu sei il figlio preferito," disse Al. "Quando non c'eri ti moriva appresso. Senza farsi vedere. Era come se si piangeva nella gola. Ma noi lo capivamo cos'è che pensava." Tom si abbassò il berretto sugli occhi. "Dammi retta, Al. È meglio che parliamo d'altro." "Ti volevo solo raccontare che faceva Ma'." "Ho capito... ho capito. Ma non mi va. Per me è meglio... mettere un piede davanti all'altro." Al sprofondò in un silenzio offeso. "Ti volevo solo raccontare," disse, dopo qualche istante. Tom lo guardò, e Al mantenne gli occhi dritti davanti a sé. Il camion alleggerito procedeva sobbalzando rumorosamente. Tom ritrasse le lunghe labbra sui denti, e rise piano. "Lo so, Al. Capace che la prigione m'ha toccato un po' il cervello. Magari un giorno te ne parlo. Sai, è roba che può servire. Roba utile. Ma mi sa ch'è meglio se per un po' me la scordo. Forse più avanti mi passa. Ma ora quando ci penso mi smuove le budella, e non mi piace. Ascolta, Al, questo te lo dico: il carcere è solo un modo per farti diventare pazzo un poco per volta. Capisci? Quelli diventano pazzi, e tu li vedi e li senti, e dopo un po' ti cominci a domandare se sei pazzo pure tu. Certe volte di notte quando urlano ti pare che sei tu quello che urla... e certe volte sei tu." Al disse: "Cristo. Non te ne parlo più, Tom". "Trenta giorni va bene," disse Tom. "E centottanta giorni va bene. Ma più di un anno... non lo so. È una roba che al mondo non c'è niente di uguale. C'è dentro qualcosa di mostruoso, proprio nell'idea di mettere la gente dentro una cella. Oh, al diavolo! Non mi va di parlarne. Guarda il sole come brilla su quelle finestre." Il camion era entrato nella zona delle stazioni di servizio, e sul lato destro della strada c'era uno sfasciacarrozze: uno spiazzo recintato da ferro spinato, con al centro un capanno di lamiera ondulata e pile di vecchi pneumatici davanti all'ingresso, ciascuno con segnato il suo prezzo. Dietro al capanno c'era una piccola baracca fatta con rottami di ferro, rottami di legno e pezzi di latta. Le finestre erano parabrezza incastrati nelle pareti. Lo spiazzo erboso era disseminato di carcasse, auto con il muso sfondato e ritorto, auto sfasciate coricate su un fianco e senza più le ruote. Motori arrugginiti abbandonati per terra e contro le pareti del capanno. Un gran mucchio di ferraglia, parafanghi e fiancate di camion, ruote e assi, in un'atmosfera di disfacimento, di muffa e di ruggine; metallo contorto, motori sventrati, un mare di relitti. Al arrestò il camion sul terriccio intriso d'olio di fronte al capanno. Tom scese e guardò nel vano semibuio. "Non vedo nessuno," disse, e chiamò: "C'è qualcuno? Cristo, speriamo che hanno una Dodge del '25". Dietro il capanno sbatté una porta. Uno spettro d'uomo avanzò nella penombra. Magro, sudicio, con la pelle bisunta tesa sui tendini incordati. Gli mancava un occhio, e l'orbita vuota e paonazza pulsava a ogni movimento dell'occhio buono. Aveva i jeans e la camicia lustri e rigidi di grasso incrostato, e le sue mani erano vizze, screpolate e sfregiate. Il labbro inferiore era carnoso, e pendeva fino ad arricciarsi. Tom domandò: "Sei tu il principale?". L'unico occhio scintillò. "Io lavoro per il principale," ringhiò l'uomo. "Che volete?" "Avete una Dodge del '25? Ci serve una biella." "Non lo so. Se il principale c'era ve lo diceva, ma non c'è. Se n'è andato a casa." "Possiamo cercare un po' in giro?" L'uomo si soffiò il naso con le dita e si pulì la mano sui pantaloni. "Da dove venite?" "Dall'Est, andiamo all'Ovest." "Bene, cercate quanto vi pare. Potete pure bruciare tutto quanto, non me ne frega niente." "Il principale non ti sta simpatico, eh?" L'uomo si avvicinò trascinando i piedi, e il suo unico occhio scintillava. "Lo odio," disse piano. "Io quel figlio di puttana lo odio! Ora se n'è andato a casa. Nella sua casetta." Le parole incespicavano sul labbro pendulo. "Ha quel modo... ha quel modo di pigliarti e di farti a pezzi. Ha una figlia di diciannove anni, bellissima. Mi fa: 'T'andrebbe di sposarla?'. Me lo dice così, sul muso. E oggi viene e mi fa: 'C'è un ballo, ti va d'andarci?'. A me, me l'ha detto a me!" Nell'occhio si formarono lacrime, e dall'orbita paonazza colarono lacrime. "Un giorno, perdio... un giorno mi metto in tasca una chiave inglese. Quando dice quella roba mi guarda sempre l'occhio. E giuro, giuro che gli stacco la testa dal collo colla chiave inglese, un pezzettino per volta." Ansimava di rabbia. "Un pezzettino per volta, gliela stacco dal collo." Il sole scomparve dietro le montagne. Al stava guardando le carcasse sparse nello spiazzo. "La Dodge là in fondo, Tom! Mi sa che è una '25 o '26." Tom si voltò verso il guercio. "Ti secca se guardiamo?" "No, perdio! Pigliatevi tutto quello che vi pare." Si avviarono tra le carcasse d'auto, fino a una berlina arrugginita e con le gomme a terra. "È proprio una '25," gridò Al. "Possiamo smontare il carter, amico?" Tom s'inginocchiò e guardò sotto il cofano. "Il carter l'hanno già smontato. Si sono portati una biella. Ce n'è una che pare andata." S'infilò sotto la macchina. "Piglia un cric e alziamola, Al." Smosse la biella sull'albero a gomiti. "È tutta incrostata di grasso." Al azionò lentamente il cric. "Piano," gridò Tom. Prese da terra una scheggia di legno e grattò via lo strato di grasso dal cuscinetto e dai dadi del cuscinetto. "Com'è a gioco?" chiese Al. "Be', è un po' lenta, ma non è male." "E spessore?" "È piena di zeppe. Non è troppo consumata. Sì, può andare. Ora dagli un'altra girata. Abbassa piano... fermo così! Va' a pigliare qualche attrezzo sul camion." Il guercio disse: "Vi porto la cassetta degli attrezzi". Si avviò trascinando i piedi in mezzo alle auto arrugginite, e dopo qualche istante tornò con una cassetta di ferro piena di attrezzi. Tom ne cavò una chiave a tubo e la porse ad Al. "Smontala. Non perdere zeppe e non far cadere i dadi, e attento alle coppiglie. Spicciati. Tra un po' fa buio." Al s'infilò sotto la macchina. "Tocca che ci procuriamo una cassetta come quella," gridò. "Con una chiave inglese non andiamo da nessuna parte." "Se ti serve aiuto chiama," disse Tom. Il guercio indugiava li accanto. "Vi posso dare una mano se volete," disse. "Lo sai che ha fatto quel figlio di puttana? Se ne viene coi suoi pantaloni bianchi e mi fa: 'Su, vieni a farti un giro col mio yacht'. Perdio, uno di questi giorni gli stacco la testa!" Ansimava. "È da quand'ho perso l'occhio che non vado con una donna. E lui mi viene a dire quella roba." E grosse lacrime scavavano solchi nel lerciume intorno al suo naso. Tom disse, spazientito: "Perché non te la squagli? Mica c'è qualcuno che ti costringe a restare". "Già, parlare è facile. Ma è dura trovare lavoro quando ti manca un occhio." Tom si voltò verso di lui. "Stammi a sentire, amico. Tu quell'occhio lo tieni in bella vista. E sei sporco, puzzi. Pare che lo fai apposta a farti schifare. Così ti puoi piangere addosso. Sfido che non riesci a trovarti una donna, con quell'occhio vuoto sempre all'aria. Mettici sopra qualcosa e lavati la faccia. Non c'è bisogno che stacchi la testa a nessuno colla chiave inglese." "Ti dico ch'è dura quando ti manca un occhio," disse l'uomo. "Le cose non le vedi come le vedono gli altri. Non vedi quant'è lontana la roba. Vedi tutto piatto." Tom disse: "Dici un sacco di stronzate. Una volta ho conosciuto una puttana con una gamba sola. Ti credi che la dava via per un quartino nei vicoli? No, perdio! Quella si faceva dare mezzo dollaro extra. Diceva: 'Quante donne con una gamba sola ti sei fatto? Nessuna!' diceva. 'Ecco,' diceva, 'questa è una roba speciale, e ti costa mezzo dollaro extra.' E perdio se quel mezzo dollaro glielo davano! E quando uscivano si sentivano fortunati, perché lei gli diceva che portava fortuna. E ho conosciuto un gobbo... in un posto dove stavo. Sai com'è che si guadagnava la vita? Si lasciava toccare la gobba per buona fortuna. Cristo santo, e a te ti manca solo un occhio". L'uomo farfugliò: "Cristo, uno ci resta male quando vede che la gente lo scansa". "E tu tappatelo, perdio. Lo tieni lì all'aria come il culo di una vacca. È che ti piace piangerti addosso. Tu non hai niente che non va. Comprati un paio di pantaloni bianchi. Scommetto che la sera ti sbronzi e te ne vai a letto a frignare. Serve una mano, Al?" | << | < | > | >> |Pagina 263"Per fortuna è roba che passa," disse Pa'. "Ora andiamo all'Ovest, ci troviamo un lavoro e ci compriamo un pezzo di terra coll'acqua per coltivarla."Sul limitare della veranda c'era un uomo lacero. Dalla sua giacchetta nera colavano brandelli di stoffa. La tuta di panno grezzo aveva due buchi all'altezza delle ginocchia. La faccia era nera di polvere, striata di chiaro dove il sudore aveva sciolto il sudiciume. Voltò di scatto la testa verso Pa'. "Allora avete un bel po' di soldi." "No, soldi non n'abbiamo," disse Pa'. "Ma siamo in tanti per lavorare, e siamo tutti robusti. Lì le paghe sono buone, e se mettiamo tutt'assieme ce la possiamo cavare bene." L'uomo lacero aveva spalancato gli occhi mentre Pa' parlava, e quando finì scoppiò a ridere, e la sua risata diventò una specie di nitrito stridulo. Tutte le facce si voltarono verso di lui. La risata si fece incontenibile e si trasformò in tosse. Gli occhi dell'uomo erano rossi e pieni di lacrime quando riuscì finalmente a dominare gli spasmi. "Andate all'Ovest e... oh, Cristo!" Ricominciò a ridere. "Andate all'Ovest... lì le paghe sono buone... oh, Cristo!" Si bloccò e disse in tono sarcastico: "Magari a raccogliere arance? Andate a raccogliere pesche?". Il tono di Pa' era dignitoso. "Facciamo quello che ci danno da fare. Lì c'è un sacco di roba per chi vuole lavorare." L'uomo lacero ridacchiò piano. Tom si voltò stizzito. "Che ci trovi di così fottutamente buffo?" L'uomo lacero smise di ridere e fissò con aria astiosa le assi della veranda. "Andate tutti in California, scommetto." "Te l'ho detto io," disse Pa'. "Bella scoperta." L'uomo lacero disse lentamente: "Io... ci sono stato. Sto tornando da lì". Le facce si voltarono di scatto verso di lui. Gli uomini erano tesi. Il sibilo della lampada si ridusse a un singhiozzo e il padrone abbassò sul tavolato le gambe anteriori della sedia, si alzò e regolò la lampada finché il sibilo non tornò teso e costante. Si rimise seduto, ma stavolta senza inclinare la sedia. L'uomo lacero si voltò verso le facce. "Me ne vado a morire di fame. Preferisco morire di fame tutt'in una volta." Pa' disse: "Ma che diavolo racconti? Io ho un volantino che dice che lì le paghe sono alte, e sul giornale ho visto una roba che dice che cercano gente per raccogliere la frutta". L'uomo lacero si voltò verso Pa'. "Nel tuo paese hai un posto dove stare?" "No," disse Pa'. "Ci hanno cacciati. Hanno spianato la casa col trattore." "Allora non ci torneresti?" "No, per niente." "Be', non mi va di scoraggiarti," disse l'uomo lacero. "Macché scoraggiarmi. Io ho un volantino dove c'è scritto che cercano uomini. Perché lo facevano se non cercavano uomini? Quella roba costa soldi. Non si mettevano a farla se non cercavano uomini." "Non mi va di scoraggiarti." Pa' disse rabbiosamente: "Ora che hai cominciato a ragliare vai fino in fondo. Sul mio volantino c'è scritto che cercano uomini. Tu ti sei messo a ridere e hai detto che non è vero. Allora, chi è il bugiardo?". L'uomo lacero fissò gli occhi rabbiosi di Pa'. Sembrava rammaricato. "Il volantino ha ragione," disse. "Cercano uomini." "E allora perché ti sei messo a ridere?" "Perché non sai che uomini cercano." "Che accidenti vuoi dire?" L'uomo lacero prese una decisione. "Ascolta," disse. "Il tuo volantino quanti uomini dice che gli servono?" "Ottocento, e per una fattoria piccola." "Era un volantino giallo?" "Be'... sì." "Col nome del tale... tizio e caio, appaltatore?" Pa' infilò una mano in tasca e tirò fuori il volantino ripiegato. "Proprio così. Come lo sai?" "Ascolta," disse l'uomo. "È una fregatura. A quel tale gli servono ottocento uomini. Allora stampa cinquemila di quegli affari, e magari li leggono in ventimila. E magari due o tremila di loro si mettono in viaggio per via di quel volantino. Gente che non sa più dove sbattere la testa." "Ma non ha senso!" "Aspetta che vedi in faccia il tizio che ha messo in giro il volantino. Lo vedrai, o magari vedi uno che lavora per lui. Sei lì che stai accampato in un fosso, tu e altre cinquanta famiglie. E arriva lui. Guarda nella tua tenda per vedere se hai ancora roba da mangiare. Se non ce n'hai più ti dice: 'Vuoi lavorare?'. E tu dici: 'Certo, signore. Mi fa felice se mi fa lavorare'. E lui dice: 'Un posto ce l'ho'. E tu dici: 'Quando comincio?'. E lui ti dice dove devi andare e a che ora, e poi se ne va. Magari gli servono duecento uomini, perciò lo dice a cinquecento, e loro lo dicono ad altra gente, e quando tu arrivi nel posto che t'ha detto ce ne trovi mille. Allora lui dice: 'La paga è di venti centesimi l'ora'. E magari metà di quei mille se ne vanno. Ma ce ne sono ancora cinquecento che sono così maledettamente affamati che sono pronti a lavorare pure per un tozzo di pane. E quell'uomo ha un contratto per la raccolta delle pesche, o magari del cotone. Ora capisci? Più uomini riesce a mettere insieme, e più sono affamati, e meno li paga. E quando può piglia gente coi figli piccoli, perché così... al diavolo, ho detto che non mi va di scoraggiarti." Le facce in circolo lo guardavano freddamente. Gli occhi soppesavano le sue parole. L'uomo lacero cominciò a sentirsi a disagio. "Ho detto che non mi va di scoraggiarti ma lo sto facendo. Devi andare avanti. Non devi tornare indietro." Il silenzio incombeva sulla veranda. E la luce sibilava, e un nugolo di falene vorticava intorno alla lampada. L'uomo lacero continuò nervosamente: "Ora ti dico come devi fare quando quel tizio ti dice che ha il lavoro. Ora te lo dico. Chiedigli quanto ti paga. Chiedigli di scrivere su un pezzo di carta quant'è che ti paga. Chiediglielo. Perché se non lo fai t'assicuro che ti frega". Il padrone si sporse in avanti sulla sedia, per guardare meglio l'uomo lacero. Si grattò tra i peli grigi che aveva sul petto. Disse freddamente: "Non è che sei uno di quei piantagrane? Non è che sei un agitatore?". E l'uomo lacero gridò: "Giuro su Dio che non lo sono! ". "Ce n'è un sacco in giro," disse il padrone. "Mettono zizzania. Non si fanno gli affari loro. Aizzano la gente. Ce n'è un sacco in giro. Li sbatteremo fuori da questo paese. Se uno vuole lavorare, bene. Se non vuole, meglio che se ne va al diavolo. Non ci serve gente che mette zizzania." L'uomo lacero drizzò la schiena. "Vi volevo dire com'è che vanno le cose," disse. "C'è voluto un anno per farmelo capire. C'è voluto che mi morivano due figli e mia moglie per farmelo capire. Ma non ve lo posso dire. Lo so, perché manco a me poteva dirmelo qualcuno. Non ve lo posso dire di quelle due creature sdraiate nella tenda colla pancia gonfia e a momenti manco più la pelle sulle ossa, a tremare come cagnolini, e io che correvo di qua e di là in cerca di lavoro... non per soldi, non per uno straccio di paga!" urlò. "Cristo Iddio, solo per una tazza di farina e un cucchiaio di sugna. E poi è arrivato il coroner. 'I bambini sono morti per arresto cardiaco,' ha detto. L'ha scritto sul suo pezzo di carta. Tremavano, vi dico, e avevano la pancia gonfia come una vescica di maiale." Il cerchio taceva, e le bocche erano socchiuse. Gli uomini respiravano piano, e guardavano. L'uomo lacero lanciò un'occhiata agli uomini in cerchio, poi si voltò e si allontanò in fretta nell'oscurità. Il buio lo inghiottì, ma i suoi passi si udirono ancora a lungo, passi strascicati sull'asfalto; e una macchina passò sulla nazionale, e i fari illuminarono l'uomo lacero che si trascinava sull'asfalto, con la testa china e le mani nelle tasche della giacchetta nera. Gli uomini erano a disagio. Uno disse: "Be', s'è fatto tardi. È ora d'andare a dormire". Il padrone disse: "Un agitatore, sicuro. Ce n'è tanti in giro di questi tempi". Poi tacque. E spinse di nuovo lo schienale della sedia contro la parete e si grattò la gola. Tom disse: "Passo un attimo a vedere Ma', poi ci facciamo un pezzo di strada". I Joad si allontanarono. Pa' disse: "Per voi la roba che ha detto quel tizio è vera?". | << | < | > | >> |Pagina 392I randagi, i questuanti, adesso erano emigranti. Le famiglie che erano vissute in un piccolo podere, che erano vissute e morte in quaranta acri di terra, che si erano nutrite o avevano patito la fame con il raccolto di quaranta acri, adesso avevano tutto lo sconfinato Ovest per peregrinare. E sciamavano in cerca di lavoro; e le strade erano fiumi di gente, e i fossi lungo le alzaie erano file di gente. E altra gente arrivava dietro di loro. Le grandi arterie pullulavano di gente che emigrava. Nel Middlewest e nel Southwest era vissuta una semplice schiatta di contadini che non erano cambiati con l'industria, che non avevano mai lavorato la terra con le macchine e non conoscevano il potere e il pericolo delle macchine in mani private. Non erano cresciuti nei paradossi dell'industria. I loro sensi non erano ancora ottenebrati dalle incongruenze della vita industriale. Ma all'improvviso le macchine lí scacciarono, e si ritrovarono a dover sciamare lungo le strade. La vita randagia li cambiò; le grandi arterie, i bivacchi lungo la strada, la paura della fame e la fame stessa li cambiarono. I figli affamati li cambiarono, l'interminabile vagare li cambiò. Erano emigranti. E l'ostilità li cambiò, li saldò, li unì; l'ostilità che induceva i centri abitati a raggrupparsi e a equipaggiarsi come per respingere un invasore, manipoli armati di manici di piccone, garzoni e bottegai armati di fucili, per difendere il mondo contro gente del loro stesso sangue. Nell'Ovest si diffuse il panico di fronte al moltiplicarsi degli emigranti sulle strade. Uomini che avevano proprietà temettero per le loro proprietà. Uomini che non avevano mai conosciuto la fame videro gli occhi degli affamati. Uomini che non avevano mai desiderato niente videro la vampa del desiderio negli occhi degli emigranti. E gli uomini delle città e quelli dei ricchi sobborghi agrari si allearono per difendersi a vicenda; e si convinsero a vicenda che loro erano buoni e che gli invasori erano cattivi, come fa ogni uomo prima di andare a combatterne un altro. Dicevano: Quei maledetti Okie sono sporchi e ignoranti. Sono maniaci sessuali, sono degenerati. Quei maledetti Okie sono ladri. Rubano qualsiasi cosa. Non hanno il senso della proprietà. E su quest'ultima cosa avevano ragione, perché come può un uomo senza proprietà conoscere l'ansia della proprietà? E i difensori dissero: Sono sporchi, portano malattie. Non possiamo lasciarli entrare nelle scuole. Sono stranieri. Ti piacerebbe veder uscire tua sorella con uno di quelli? Gli indigeni si suggestionarono fino a crearsi una corazza di crudeltà. Formarono drappelli, squadre, e li armarono: li armarono di manici di piccone, di fucili, di gas. Il paese è nostro. Non possiamo lasciare che questi Okie facciano i loro comodi. E gli uomini che venivano armati non possedevano la terra ma pensavano di possederla. E i garzoni che di notte facevano la ronda non possedevano nulla, e i piccoli bottegai possedevano solo debiti. Ma anche un debito è qualcosa, e anche un salario è qualcosa. Il garzone pensava: Io prendo quindici centesimi a settimana; che faccio se un maledetto Okie si accontenta di dodici? E il piccolo bottegaio pensava: Come la reggo la concorrenza di uno che non ha debiti? E gli emigranti sciamavano per le contrade, e nei loro occhi c'era la fame, e nei loro occhi c'era il desiderio. Non avevano discorsi, non avevano criteri, non avevano altro che la loro quantità e il loro bisogno. Quando c'era lavoro per un uomo, dieci uomini lottavano per averlo – e la loro unica arma era il ribasso di paga. Se quello lavora per trenta centesimi, io ci sto per venticinque. Se quello lavora per venticinque centesimi, io ci sto per venti. No, pigliate me, ho fame. Lavoro per quindici centesimi. Lavoro per qualcosa da mangiare. I miei figli. Dovreste vederli. Gli sono spuntati dei cosi neri, pustole, e non riescono a muoversi. Gli ho dato della frutta che c'era per terra, e gli s'è gonfiata la pancia. Pigliate me. Lavoro per un pezzetto di carne. Ed era un affare, perché le paghe scesero e i prezzi rimasero alti. I grossi proprietari erano contenti e fecero distribuire altri volantini per far arrivare altra gente. E le paghe scesero e i prezzi rimasero alti. In attesa di tornare ai tempi della schiavitù. A quel punto i grossi proprietari e le imprese inventarono un nuovo metodo. Un grosso proprietario acquistava un conservificio, e quando le pesche e le pere erano mature, abbassava il prezzo della frutta sotto il costo di coltivazione. Così, in quanto proprietario del conservificio, pagava a se stesso un prezzo basso per la frutta e faceva profitti mantenendo alto il prezzo del prodotto in scatola. I piccoli coltivatori che non possedevano conservifici persero le loro fattorie, che vennero assorbite dai grossi proprietari, dalle banche e dalle imprese che possedevano anche i conservifici. Con l'andar del tempo le fattorie diventarono sempre meno. I piccoli coltivatori si trasferirono in città, giusto il tempo di sfruttare fino all'osso i risparmi, gli amici, i parenti. Poi finirono anche loro sulle grandi arterie. E le strade pullulavano di gente assetata di lavoro, pronta a tutto per il lavoro. E le imprese e le banche stavano scavandosi la fossa con le loro stesse mani, ma non se ne rendevano conto. I campi erano fecondi, e i contadini vagavano affamati sulle strade. I granai erano pieni, e i figli dei poveri crescevano rachitici, con il corpo cosparso di pustole di pellagra. Le grosse imprese non capivano che il confine tra fame e rabbia è un confine sottile. E i soldi che potevano servire per le paghe servivano per fucili e gas, per spie e liste nere, per addestrare e reprimere. Sulle grandi arterie gli uomini sciamavano come formiche, in cerca di lavoro, in cerca di cibo. E la rabbia cominciò a fermentare. | << | < | > | >> |Pagina 583"Hmm," fece Tom. 'Ascolta, Ma'. È da un po' che passo giorno e notte nascosto qui da solo. Lo sai a chi pensavo? A Casy! Quello parlava un sacco. Io mi seccavo a sentirlo. Ma ora ho pensato alla roba che diceva, e me la ricordo... tutta quanta. Dice che una volta era andato nel deserto per cercare la sua anima, e aveva scoperto che lui non ce l'aveva un'anima tutta sua. Dice che aveva scoperto che lui aveva solo un pezzetto di un'anima grande e grossa. Dice che il deserto non andava bene, perché il suo pezzetto di anima non serviva a niente se non stava con tutti gli altri pezzetti, e non faceva un'anima intera. E strano che me lo ricordo. Mi pareva che manco lo stavo a sentire. Ma ora so che uno se sta da solo non serve a niente.""Era un brav'uomo," disse Ma'. Tom continuò: "Una volta m'ha detto una roba della Bibbia, ma non faceva paura come la Bibbia. Me l'ha detta due volte, e me la ricordo. Dice che l'aveva pigliata dal Predicatore." "E com'era, Tom?" "Era così: 'Due sono meglio di uno, perché le loro fatiche trovano il giusto compenso. Se due cadono, uno aiuta l'altro a alzarsi. Ma sventura per chi è da solo, perché non ha nessuno per rialzarlo'. Questo è un pezzo." "Continua," disse Ma'. "Continua, Tom." "Ce n'è solo un altro po'. 'Se due si coricano insieme, si scaldano tra loro; ma uno che sta da solo come fa a scaldarsi? E se qualcuno gli va contro, in due lo difendono, e una corda a tre capi non si spezza facilmente." "E era scritto nella Bibbia?" "Casy diceva di sì. Lo chiamava 'Il Predicatore'." "Zitto... Senti?" "È solo vento, Ma'. Lo conosco il vento. E allora ho pensato, Ma'... i sermoni dicono sempre che devi restare povero tutta la vita, e che quando non hai niente non te la devi pigliare, perché tanto dopo che muori mangerai tutta la carne che vuoi nei piatti d'oro. Ma quella cosa del Predicatore dice che quando sei in due puoi avere una paga più alta per il tuo lavoro." "Tom," disse Ma'. "Cos'è che vuoi fare?" Tom tacque a lungo. "Ho pensato a com'era lì al campo del governo, che quelli come noi se la sbrogliavano da soli, e se c'era una zuffa la sistemavano da soli; e pure se non c'erano sbirri che ti sbattevano la pistola sotto il naso, tutto filava più liscio di come potevano farlo filare gli sbirri. E allora mi sono chiesto se non potevamo rifare la stessa cosa dappertutto. Sbattere fuori gli sbirri perché non sono la nostra gente, e metterci uniti per quello ch'è nostro... coltivare tutti la nostra terra." "Tom," ripeté Ma'. "Cos'è che vuoi fare?" "Quello che ha fatto Casy," rispose lui. "Ma l'hanno ammazzato." "Sì," disse Tom. "È stato lento a scansare. Non stava facendo niente di contro la legge, Ma'. Io qui ho pensato un sacco, ho pensato che la nostra gente vive come i maiali e che la terra la lasciano abbandonata, o magari c'è uno che ha milioni di acri mentre centomila bravi contadini muoiono di fame. E allora ho pensato che se tutta la nostra gente si metteva insieme e urlava, come urlavano quelli alla fattoria di Hooper, che erano pure pochi..." Ma' lo interruppe: "Tom, quelli ti daranno addosso, e poi ti faranno a pezzi come hanno fatto con Pretty Boy Floyd". "Mi daranno addosso lo stesso. Danno addosso a tutti quelli come noi." "Non vuoi ammazzare nessuno, vero?" "No. Ma ho pensato che tanto sono un fuorilegge lo stesso, magari potrei pure farlo... Non ce l'ho ancora chiaro in testa, Ma'. Non mi chiedere roba che non so. Non me la chiedere." Rimasero acquattati in silenzio nel buio della caverna di rovi. Ma' disse: "Come faccio a sapere che ti succede? Capace che t'ammazzano e io manco lo so. Capace che ti fanno male. Come faccio a saperlo?". Tom fece una risatina imbarazzata. "Be', magari è come diceva Casy, che uno non ha un'anima tutta sua ma solo un pezzo di un'anima grande... e così..." "E così che, Tom?" "E così non importa. Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutt'i posti... dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c'è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c'è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be', allora sarò negli urli di quelli che si ribellano... e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito... be', io sarò lì. Capisci? Perdio, sto parlando come Casy. È che lo penso tutt'il tempo. Certe volte è come se lo vedo." "Non riesco a capire," disse Ma'. "Non ci riesco." "Manco io," disse Tom. "È solo roba che m'è venuta di pensare. Ti viene di pensare un sacco quando non ti puoi muovere. Devi tornare al campo, Ma'." "E tu ti devi pigliare i soldi." Tom rimase in silenzio per qualche istante. "Va bene," disse. "E... Tom... più avanti, quando si sistema tutto, tu devi tornare da noi. Ce la farai a trovarci?" "Certo," disse Tom. "Ora è meglio che vai. Su, dammi la mano." La guidò verso l'imbocco del cunicolo. Le dita di Ma' tenevano stretto il suo polso. Tom scostò la coltre di rovi e uscì con lei. "Segui il campo fino al sicomoro che c'è in fondo, lì scendi al torrente e passi dall'altra parte. Ci vediamo." "Ci vediamo," disse Ma', e si allontanò in fretta. Aveva gli occhi umidi e brucenti, ma non pianse. Si avviò nella boscaglia incurante del rumore che facevano i passi sulle foglie. E mentre camminava, dal cielo cupo cominciò a venir giù pioggia, gocce grosse e rade che si abbattevano pesantemente sulle foglie secche. Ma' si fermò e rimase immobile in mezzo alla boscaglia madida. Si girò, fece tre passi verso la montagnola di gelsi; poi tornò a girarsi e si avviò in fretta verso il campo dei vagoni. Oltrepassò la condotta e s'inerpicò sull'argine fino alla strada. La pioggia era cessata, ma il cielo era ancora coperto. Ma' udì uno scalpiccio alle sue spalle sulla strada, e si voltò a guardare, inquieta. La fioca luce di una torcia elettrica rimbalzava sulla strada. Ma' riprese a camminare verso i vagoni. Dopo qualche istante, un uomo la raggiunse. Tenne educatamente la torcia puntata sulla strada, evitando di illuminarle il viso. "Buona sera," disse. Ma' disse: "Salve". "Mi sa che arriva un po' di pioggia." "Spero di no. Se piove bloccano la raccolta. A noi la raccolta ci serve." "Anche a me serve. Lei è accampata giù ai vagoni?" "Sì." I loro passi risuonavano insieme sulla strada. "Io ho venti acri di cotone. Un po' in ritardo, ma ora è pronto. Sto venendo a vedere se lì ai vagoni trovo qualche bracciante per raccogliere da me." "Ne trova quanti ne vuole. La stagione è quasi finita." "Speriamo. Il mio campo è a solo un miglio da qui, da quella parte." "Noi siamo sei," disse Ma'. "Tre uomini, io e due bambini." "Domani metto il cartello. Due miglia, su per questa strada." "Domattina siamo lì." "Speriamo che non piove." "Speriamo," disse Ma'. "Venti acri si fa presto a raccoglierli." "Prima si fa e meglio è. Il mio cotone è in ritardo. Se l'è presa comoda." "Quant'è la paga?" "Novanta centesimi." "Va bene. Ho sentito che l'hanno prossimo la calano a settantacinque o magari a sessanta." "L'ho sentito anch'io." "Ci saranno rogne," disse Ma'.
"Già. Lo so. Noi piccoli non ci possiamo fare niente. Le
paghe le decide l'Associazione, e noi dobbiamo ubbidire. Sennò, addio fattoria.
Noi piccoli dobbiamo sempre subire."
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