Copertina
Autore Bruce Sterling
Titolo La forma del futuro
EdizioneApogeo, Milano, 2006, Saggi , pag. 174, ill., cop.fle., dim. 138x210x11 mm , Isbn 978-88-503-2478-1
OriginaleShaping Things [2005]
TraduttoreLeo Sorge
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe sociologia , informatica: reti , informatica: sociologia , design
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Indice

Presentazione                              vii

 1. A tutti gli interessati                  1
 2. Il domani ricicla l'oggi                 5
 3. Vecchio vino in bottiglie nuove         13
 4. Il personale è storico                  23
 5. Metastoria                              37
 6. Una società sincronica                  45
 7. Produttori d'immondizia                 57
 8. La dura necessità del glamour           65
 9. L'utente finale beve GingilloVino       75
10. Signori, lo SPIME                       83
11. Arfidi                                  93
12. Una Internet di cose                   101
13. Il modello è il messaggio              105
14. Fabbricare                             113
15. L'economia degli SPIME                 119
16. Le domande dei designer                125
17. Il domani di domani                    147
18. Ubopia o oblio                         153

Estrazione                                 161
Nota del designer                          165
Ringraziamenti dell'autore                 171

 

 

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Pagina 1

1.
A TUTTI GLI INTERESSATI



Questo libro si occupa degli oggetti creati e dell'ambiente, questo vuol dire che è un libro su tutto. Visto da una certa distanza, è un argomento piccolo.

I lettori ideali di questo libro sono quelle ambiziose anime giovani (di tutte le età) che vogliono intervenire costruttivamente nel processo della trasformazione tecnosociale. Il che significa che questo libro si rivolge a chi progetta e a chi pensa, a ingegneri e scienziati, imprenditori e operatori della finanza e a chiunque altro abbia a cuore capire perché un tempo le cose erano come erano, perché oggi le cose sono come sono e come sembra stiano diventando.

Il mondo dell'artificiale organizzato si sta trasformando secondo modalità mal comprese e poco esplorate. Questo per due ragioni.

Primo, compaiono nuove forme progettuali e produttive che non hanno alcun precedente storico e sono destinate a creare novità sostanziali.

Secondo, i modi di produzione usati attualmente non sono più sostenibili. Hanno scale enormi, la loro storia è lunga, e hanno conosciuto lunghe fasi di ricerca e sviluppo, ma non possono andare avanti nella forma attuale. Lo status quo usa forme di energia e di materia arcaiche, limitate e tossiche: danneggiano il clima, avvelenano la popolazione e fomentano guerre per le risorse. Non hanno futuro.

Quindi abbiamo davanti una bella sfida: sapremo guidare in modo creativo i fortissimi vettori della prima ragione e, al contempo, gestire strategicamente le terribili conseguenze della seconda? Se ci riusciremo, allora potremo godere di un qualche futuro. Ecco qual è l'oggetto di questo libro.

La ricerca per un mondo sostenibile può aver successo, oppure può fallire. Se fallisce, il mondo diventerà impensabile. Se funziona, il mondo diventerà inimmaginabile.

In pratica, sarà un po' metà e metà: in alcune cose avremo successo, in altre no. Quindi il mondo di domani sarà in parte impensabile e in parte inimmaginabile. Gli attori effettivi si bilanceranno tra queste due condizioni, con tanto di progetti e piedi di porco.

Spero che questo libro possa essere uno stimolo per chi è impegnato nella preparazione dei nuovi progetti.

Spero che vi divertiate a leggerlo almeno la metà di quanto mi sono divertito io a pensarlo.

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Pagina 5

2.
IL DOMANI RICICLA L'OGGI



Userò termini particolari in un modo particolare, che al di fuori del contesto di questa discussione potrebbero generare confusione. Quindi li scriverò in lettere MAIUSCOLE: MANUFATTI, MACCHINE, PRODOTTI, GINGILLI. Poi c'è lo "SPIME", un neologismo recentissimo e centrale per la tesi di questo libro, per cui ho reso in MAIUSCOLO anche questo termine. In questo modo si sottolinea che sto parlando di classi di oggetti all'interno di relazioni variabili oggetto-essere umano, e non di specifici MANUFATTI, MACCHINE, PRODOTTI, GINGILLI o SPIME.

Usando questa particolare terminologia intendo mettere in rilievo la continua interferenza tra oggetti e persone. Sto descrivendo un'infrastruttura di supporto umano irrevocabilmente legata alla classe di persone – e da essa generata – necessaria a crearla e mantenerla. Mentalmente, separare gli uomini e gli oggetti è più semplice che intenderli insieme come sistema ampio e interdipendente: gli esseri umani sono vivi, gli oggetti sono inerti; le persone possono pensare, gli oggetti semplicemente giacciono lì. Ma questa divisione tassonomica ci rende ciechi riguardo ai modi e ai mezzi attraverso cui gli oggetti mutano e lascia in ombra quelle aree d'intervento nelle quali la progettazione può dare nuova forma alle cose. Un intervento che sia efficace non ha luogo nel regno degli uomini, né in quello degli oggetti, bensì in quello del tecnosociale.

Così, scrivendo in maiuscolo MANUFATTI, intendo oggetti artificiali semplici, fatti a mano, usati con le mani, azionati dall'energia dei muscoli. I MANUFATTI vengono creati uno per volta, localmente, affidandosi a processi empirici e alla saggezza popolare anziché a una qualsiasi comprensione astratta dei principi della meccanica. Le persone all'interno di una infrastruttura di MANUFATTI sono "Cacciatori e Agricoltori".

Con MACCHINE indico manufatti complessi, proporzionati con precisione, composti di molte parti mobili essenziali, che sfruttano una qualche sorgente di energia di origine né umana né animale. Le MACCHINE richiedono strutture di supporto specializzate quanto a conoscenze tecnologiche, capacità distributive e finanziarie. Le persone all'interno di un'infrastruttura di macchine sono "Avventori". Allora, qual è la differenza?

Come tracciare una linea tra una tecnocultura di MANUFATTI e una tecnocultura di MACCHINE?

Io traccio due linee divisorie. La prima è la Linea di non ritorno. La seconda è la Linea dell'Impero.

Ci accorgiamo che c'è stata una rivoluzione nella tecnocultura quando non si può tornare volontariamente alle condizioni precedenti. Un marinaio può diventare agricoltore, ma se i marinai dell'era delle MACCHINE di ferro e vapore ritornano alla precedente era dei MANUFATTI di legno e vele, allora moriranno di fame a milioni. La tecnosocietà collasserà, senza alcuna possibilità di scelta. È questa la Linea di non ritorno.

Comprendiamo che questa rivoluzione è diventata il nuovo status quo quando anche il più fiero propugnatore della tecnocultura precedente non può materialmente sopraffare e sconfiggere il nuovo.

È il vantaggio materiale di forgiare oggetti che rende inespugnabile la nuova tecnocultura. La tecnocultura imperiale può eruttare i suoi oggetti e i suoi processi a grande distanza, in quantità a piacere.

Laddove questo tipo di capacità produttiva manca, ci si trova vincolati a posizioni difensive o coloniali. Questa è la Linea dell'Impero.

Per queste ragioni sono incline a datare l'avvento della tecnocultura delle MACCHINE al tramonto dei Mongoli, avvenuto all'alba del sedicesimo secolo. Prima di quel tempo, una cultura di MANUFATTI di archi e cavalli poté oscurare la terra con le sue orde selvagge. Dopo quella data, non appena la meccanizzazione prese il comando, il mondo cadde alla mercé dell'Occidente.

Con il termine PRODOTTI intendo oggetti largamente distribuiti, disponibili commercialmente, realizzati anonimamente e uniformemente in quantità massicce con una divisione programmata del lavoro e con tecniche da catena di montaggio rapide e non artigianali, basate su economie di scala operanti su interi continenti e sostenute da efficientissimi sistemi finanziari, informativi e di trasporto. Le persone che partecipano a un'infrastruttura di PRODOTTI sono dette "Consumatori".

Direi che l'avvento della tecnocultura dei PRODOTTI può essere datato al periodo intorno alla Prima Guerra Mondiale.

I GINGILLI sono oggetti altamente instabili, baroccamente multifunzionali, modificabili e facilmente programmabili dall'utente, e destinati a una vita breve. I GINGILLI offrono tale sovrabbondanza di funzionalità che inserirvi delle opzioni è più economico che semplificarli.

Solitamente i GINGILLI sono collegati a fornitori di servizi di rete: non sono oggetti autonomi, bensì interfacce. Coloro che fanno parte di un'infrastruttura di GINGILLI sono "Utenti finali".

A differenza dei MANUFATTI, delle MACCHINE e dei PRODOTTI, i GINGILLI hanno un numero di funzionalità sufficiente a infastidire seriamente le persone. Il loro impiego richiede un'interazione intensa e continuata: aggiornamenti, attenzioni, accessori, messaggi indesiderati, minacce alla sicurezza e così via.

L'epoca dei GINGILLI inizia nel 1989.

Gli SPIME sono oggetti industriali il cui supporto informativo è talmente ampio e ricco da renderli materializzazioni di un sistema immateriale. Gli SPIME iniziano e finiscono come dati. Sono progettati sullo schermo, fabbricati con mezzi digitali e le loro tracce possono essere seguite passo per passo nello spazio e nel tempo durante il loro soggiorno terreno.

Gli SPIME sono sostenibili, migliorabili, identificabili in modo univoco e fatti di sostanze che possono essere — e saranno — reincanalate nel flusso produttivo degli SPIME che verranno. Oggetti eccellenti per l'applicazione di tecniche di data-mining, gli SPIME sono i protagonisti di un processo storico.

Le persone all'interno di un'infrastruttura di SPIME sono "Intermediari".

Daterei l'alba degli SPIME al 2004, quando il Ministero della Difesa degli Stati Uniti impose senza preavviso alle migliaia di suoi fornitori di allegare alle forniture militari le etichette RFID (Radio Frequency Identification). Se questo cambiamento si rivelerà un effettivo vantaggio militare e se inoltre si estenderà ampiamente ai sistemi d'inventariazione commerciale, allora molto probabilmente si verificherà davvero una transizione di primaria importanza.

Presto o tardi gli SPIME arriveranno tra noi, non foss'altro perché sono già qui in forme primitive. Al momento attuale non possiamo sapere se si tratta di uno sviluppo importante o solo di una visione. Tecnicamente il potenziale è molto ampio, ma quante energie progettuali saranno richiamate da queste opportunità? Chi oserà impiegare queste potenzialità come strumenti d'intervento tecnosociale? C'è una Linea del non ritorno? E una Linea dell'Impero? E se la risposta è positiva, dove sono queste linee?

Quando ci renderemo conto che abbiamo bisogno di queste strutture per vivere? Che non possiamo fare a meno dei vantaggi che ci daranno — a meno di conseguenze spiacevoli? E quando organizzazioni impregnate di SPIME capiranno di poterle imporre a coloro che le rifiutano o che non riescono ad adottarle?

Se dovessi tirare a indovinare, direi trent'anni. Tra trent'anni, le cose propriamente intese come SPIME saranno tutt'intorno a noi. Fate attenzione, questa prospettiva non è del tutto rosea. È importante riconoscere esplicitamente tutto ciò che è indesiderabile in qualsiasi trasformazione tecnologica, pensare prima al lato nascosto, pensare in modo cautelativo. Nell'impegnarci con una tecnologia che si presenta così adatta ad attività come la sorveglianza, lo spionaggio, l'invasione della privacy, le intrusioni spietate in spazi sociali finora riservati, giochiamo col fuoco. Nulla di nuovo: il fuoco ha due milioni di anni. Ma è bene conoscerlo, sapere quali sono le cose che permette di fare (o di non fare). Se ci limitiamo a lanciare fiammiferi accesi, non otterremo granché.

Come difendersi dalla pesantezza dei costi esterni della tecnologia e dalle possibilità che qualcuno abusi deliberatamente della tecnologia? Credo che l'antidoto giusto sia una cultura di progetto: pensare al design, al progetto; agire in modo progettuale, da designer. Questo libro si rivolge a quanti, designer e creatori di progetti, vogliono essere agenti attivi in un mondo tecnosociale. Non posso fare di voi degli angeli morali (peraltro neanch'io lo sono, né sono molto interessato a esserlo), ma posso aiutarvi a capire che potreste essere voi a costruirvi il futuro.

Certamente non è questa la fine della storia. Anche se ha esito favorevole, la storia non finisce perché abbiamo creato SPIME e possiamo gestirli con successo. Affrontando nel modo migliore le sfide, individualmente godremo la nostra vita e non la guasteremo ai nostri discendenti; come cultura, avremo ottenuto più futuro. Dovrebbe essere questa la condizione del successo e il motivo per scrivere libri come questo.

Spenderò la maggior parte di questo piccolo libro esplorando che cosa possano essere gli SPIME o che cosa possano diventare, e come la gente interagisca con loro. Ancora non ci sono veri SPIME: si tratta di concetti speculativi e immaginari. Proverò a sostenere comunque questa tesi: gli SPIME possono realmente diventare oggetti genuini nel futuro e meritano l'attenzione dei designer. Spero di persuadervi che i giovani intelligenti farebbero bene ad abituarsi a queste idee.

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Pagina 45

6.
UNA SOCIETÀ SINCRONICA



Una SOCIETÀ SINCRONICA sincronizza molte
storie.
All'interno di una SOCIETÀ SINCRONICA
qualsiasi oggetto degno di considerazione
— da parte di uomini o di macchine — genera
una piccola storia.
Queste storie non sono archivi polverosi
immobilizzati in carta e inchiostro. Sono risorse
informative,
manipolabili in tempo reale.



Una SOCIETÀ SINCRONICA genera miliardi e miliardi di traiettorie catalogabili, indagabili, tracciabili: schemi di progettazione, produzione, distribuzione e riciclaggio che sono conservati in forma estremamente dettagliata. Sono le microstorie delle persone in relazione agli oggetti: sono le registrazioni degli oggetti fabbricati nella loro transizione dalla materia grezza — attraverso l'uso — all'evanescenza e di nuovo alla materia grezza. Queste microstorie informazionali sono soggette a sviluppi praticamente senza fine. Riuscire a sfruttare questo potenziale è una opportunità fondamentale e una sfida per il design di domani. È qualcosa che non è mai stato fatto prima, un luogo dove i modellatori degli oggetti di domani hanno l'occasione di sviluppare possibilità che nessuna delle generazioni precedenti aveva a disposizione. Chiamerò questo luogo "punto metastorico", perché è il miglior modo di riassumerlo — ma quando sarà il momento di esemplificarlo davvero mediante cose reali, beni materiali reali e relazioni immateriali reali, sarà sempre un "punto progettuale".

Non saranno gli storici a farlo. Saranno i designer. In particolare lo faranno i designer del ventunesimo secolo, perché non solo era impossibile, ma addirittura impensabile per i designer precedenti. È un regno di opportunità progettuali lasciato immacolato da tutti i nostri predecessori.

Questa vasta massa digitale di miliardi e miliardi di storie è impegnativa e, per certi versi, anche rischiosa. Richiede grandi risorse in banda passante, velocità di elaborazione e memoria. Abbiamo tutti i motivi per ritenere — sulla base di linee di tendenza cinquantennali certe — che queste risorse continueranno a esistere. Inoltre, dato che renderanno possibili nuovi modelli di comportamento e nuove relazioni tra esseri umani, ambiente e relativi oggetti, tali risorse hanno un grande valore.

La sostenibilità non è mai un obiettivo statico. Può essere solo un processo. Le precedenti idee sulla "sostenibilità" non sono, né mai lo saranno, difendibili.

[...]

Una società veramente sostenibile deve esserlo abbastanza da prevalere sull'imprevisto. Per definizione, l'imprevisto non può essere pianificato. Ciò implica la necessità di affidarsi alla serendipità. Non possiamo sapere tutto ciò che dovremmo sapere; per questo servono grandi riserve di conoscenze non pianificate.

C'è il conosciuto, il conosciuto-sconosciuto e lo sconosciuto-sconosciuto. Quando lo sconosciuto-sconosciuto arriva alla nostra porta, è necessario imparare a conoscerlo in modo esaustivo e a gran velocità. Generare nuova conoscenza è una buona cosa, ma, in un mondo dotato di archivi splendidi, accedere a conoscenze che non sapevi di avere è più veloce e più affidabile che andare a scoprirle.

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Pagina 111

Proprio non posso sprecare tempo cercando di dire a Internet cos'è conveniente per me. È un approccio del tutto privo di senso. Semplicemente buttateci dentro di tutto, voi tutti, ovunque siate! Saranno affari miei come tirare fuori ciò di cui ho bisogno. Voi date quello che date, io darò quello che darò. Poi cercherò le mie risposte in questa massa traboccante.

Non posso sprecare tempo ed energia a dire a te di cosa "ho bisogno", o definire i miei problemi che tu dovresti "risolvere". Mi basterà usare un motore di ricerca per seguire le tracce di altri che creano collegamenti e che fanno ricerche. Se è stato abbastanza valido per gente come me, allora con ogni probabilità sarà abbastanza buono anche per me. Per Google funziona. Io voglio un mondo che sia il Google di se stesso.

Chi è il padrone dello SPIME? Questo modello tridimensionale che aspira alla materialità... oggetto di nuovo conio che sta esplorando un lungo insieme di interazioni uomo-oggetto? Chi può modificarlo? Cosa se ne può fare? La questione della proprietà degli SPIME non potrà mai trovare un accordo. Proprio perché la questione è irrisolvibile qui c'è un interesse economico. Non ci sono soluzioni permanenti alla questione degli SPIME. Solo Avventori e Consumatori immaginano che i problemi di appartenenza fisica e proprietà intellettuale abbiano soluzioni permanenti; l' Utente sa che è un gioco delle tre carte, mentre gli Intermediari di SPIME non si preoccupano neanche delle carte – sono essi stessi le carte.

Dove c'è un problema non risolvibile di proprietà intellettuale c'è una carriera da SPIME. È lì che io Intermedio. Quando viene il momento giusto (e se si riesce più o meno a identificarlo), salgo lungo la curva a S e vado a Intermediare in qualche area più avanzata.

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Pagina 147

17.
IL DOMANI DI DOMANI



Guardate bene le persone che usano Internet con maggior frequenza. Si potrebbe pensare che questi Utenti siano molto lontani dalle dure esigenze del lavoro manuale; dopotutto, non è come essere nelle miniere di carbone.

Ora non c'è bisogno di rispolverare tutti gli stereotipi; senza dubbio oggi ci sono veri minatori dalla morbida pelle immacolata e dalla capigliatura ondulata alla moda. Ma ogni tanto è bene passare del tempo con veri hacker. Io lo faccio, lo faccio molto, perché sono interessanti. Questi padroni dell'universo digitale, i programmatori estremi che costruiscono e mantengono Internet, solitamente sono tizi corpulenti, usano il poggiapolso da tastiera, indossano occhiali spessi e a mezz'età soffrono di attacchi di cuore.

Non sono nati in quel modo. Purtuttavia, non lo sono diventati per caso. Lo sono diventati per cronico, ripetuto abuso. Non è un problema digitale, è un problema fisico.

Ancora una volta riguarda un sistema industriale che crudelmente sacrifica carne umana a vantaggio di macchinari malfunzionanti. Queste persone si siedono, digitano e fissano lo schermo. Tutto il giorno, per tutti i giorni. Alla fine ciò ha effetti negativi su di loro. Il danno è abbastanza lento e sottile da passare a lungo inosservato.

Il passo successivo all' Intermediario di SPIME – il domani del domani – non è né un oggetto, né una persona. È un Biote, che possiamo definire un'entità al contempo oggetto e persona.

Un Biote è la logica interazione, lo sfumarsi della frontiera tra Intermediario e SPIME. Tutto ciò sta accadendo già ora, ma non possiamo percepirlo e misurarlo.

Oggi, ogni essere umano, tutto ciò che respira, porta su di sé una gran quantità di effluente industriale. Il mondo industriale e quello naturale hanno interagito per un periodo sufficientemente lungo e intenso da diventare una specie di schiuma planetaria. Gli alberi e l'erba hanno assorbito per due secoli vomito di ciminiera; sedimenti, fertilizzanti e pesticidi hanno spazzato i continenti e sono stati continuamente frullati nel mare. Il corpo umano respira, mangia, beve e secerne, assemblando flussi di materia ed energia, e poiché il corpo umano vive in una nuvola di microscopica immondizia, le persone sono sempre più composte di effluente.

Il corpo umano può essere visto come una spugna di acqua calda salata, con intorno un guscio di pelle; ecco perché tutto ciò che viene emesso finisce in parte all'interno di noi stessi.

Alcune sostanze artificiali sono "bioaccumulative"; il nostro metabolismo le risucchia dalla biosfera in maniera preferenziale e cerca di farne strutture. Questi processi sono involontari e hanno luogo al di là della nostra consapevolezza.

Un Biote è un individuo che sa tutto questo e può gestirne le conseguenze. È nella posizione di microgestire e progettare i processi che informano la sua stessa anatomia. Le tecniche che permetteranno a individui e gruppi di far ciò in modo economico, efficace e naturale, sono lontane decenni.

Quanto lontane? Azzardiamo un'ipotesi.

Se l'epoca Consumatore/PRODOTTO è durata dalla seconda guerra mondiale al 1989, e l'epoca Utente/GINGILLO dal 1989 al 2030 circa (altri quarant'anni), qualora l'epoca Intermediatore/SPIME avesse all'incirca lo stesso sviluppo temporale allora l'epoca dei Bioti dovrebbe arrivare intorno all'anno 2070. Ritengo che il 2070 sia una data ragionevole per una situazione nella quale la bio-chimica umana sarà abbastanza nota da diventare un complesso medico-industriale. In un mondo di Bioti le industrie principali non si occuperanno di MANUFATTI, MACCHINE, PRODOTTI, GINGILLI o SPIME, ma di tecnologie che diano forma agli esseri umani. Le persone che lo faranno saranno al contempo modellatori e modellati, l'utente e lo strumento in una sola entità.

Le tecnologie alla guida di una tecnosocietà di Bioti saranno la cibernetica, la biotecnologia e la scienza cognitiva.

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