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| << | < | > | >> |IndiceIl diamante del Rajà Storia d'una scatola da nastri 9 Storia d'un giovane prete 47 Storia di una casa con le persiane verdi 70 L'avventura del principe Florizel e di un detective 112 Robert Louis Stevenson di Emilio Cecchi 123 |
| << | < | > | >> |Pagina 9All'età di sedici anni in una scuola privata, poi in uno di quei grandi istituti pei quali l'Inghilterra va giustamente famosa, Mr. Harry Hartley aveva ricevuto l'educazione d'un gentiluomo. Mostrava, a quel tempo, una notevole avversione allo studio; e, poiché l'unico parente che gli era rimasto era uomo inetto ed ignorante, Harry poté fin da allora sciupare liberamente il suo tempo in ogni genere di eleganze e di frivole spensieratezze. Due anni più tardi egli era diventato orfano e quasi mendico. Per indole ed educazione Harry era affatto incapace di dedicarsi ad ogni pratica iniziativa. Sapeva solo cantare sentimentali canzonette e accompagnarsele con garbo sul cembalo: essere grazioso, quantunque timido, cavaliere, e aveva una spiccata inclinazione per gli scacchi. Natura, poi, l'aveva dotato del più grazioso aspetto si potesse immaginare. Biondo, roseo, occhi di colomba e un leggiadro sorriso a fior di labbra, egli possedeva anche un'aria piena di piacevole malinconia e tenerezza e dei modi assai garbati e carezzevoli. Ma, insomma, non era uomo da guidare un'armata o da presiedere un Consiglio di Stato. Un caso fortunato e qualche raccomandazione gli procurarono un posto di segretario privato presso il maggior generale sir Thomas Vandeleur C. B. Sir Thomas Vandeleur era uomo sui sessanta, di voce grossa, iracondo e alquanto prepotente. Si diceva che per qualche motivo o in compenso d'un servigio, sulla natura del quale eran corse strane voci che furono poi ripetutamente smentite, il Rajà di Kashgar aveva donato a questo suo ufficiale il sesto dei più grossi diamanti del mondo. Dono ch'ebbe la virtù di tramutar di colpo il generale, da quel poveraccio che era, in un riccone, da oscuro soldato in uno dei più eleganti viveurs della società londinese. Il possessore del diamante del Rajà era ben accolto perfino nei circoli più intimi tanto che, a lungo andare, aveva finito per trovare anche una giovane e bella fanciulla di buona famiglia che, pur di poter chiamar suo il diamante, si rassegnò a sposare sir Thomas Vandeleur. Si soleva dire a quei tempi che come simile chiama simile, così un gioiello n'aveva chiamato un altro. Certo la persona di lady Vandeleur non solo era essa stessa un gioiello, e dei più sfolgoranti, ma sapeva mostrarsi al mondo montata in una incastonatura delle più preziose. Autorevoli intenditori del genere assicuravano ch'ella era una delle tre o quattro donne più ben vestite d'Inghilterra. L'ufficio di Harry come segretario del generale non era affatto gravoso, ma bisogna dire che Harry aveva un'antipatia particolare per il lavoro conti nuato: gli dava noia sporcarsi le dita d'inchiostro: e il fascino di lady Vandeleur e delle sue toilettes lo richiamava spesso dalla biblioteca al salotto. Con le donne Harry aveva parecchia entratura, discorreva di mode con brio e con calore, e non era mai tanto felice come quando poteva disquisire sulla tinta d'un nastro o correre dalla modista con qualche commissione per la sua signora. Tanto che, in breve, la corrispondenza di sir Thomas rimase pietosamente in arretrato e la sua signora ebbe in Harry un'altra cameriera. Ma un bel dì il generale, ch'era uno de' generali meno accomodanti del mondo, balzò su dal suo seggiolone e, in un accesso d'ira, con uno di quei gesti esplicativi che raramente si usano fra gentiluomini, fece conoscere al suo segretario che non aveva bisogno più oltre dei suoi servigi. Disgraziatamente la porta era aperta e Mr. Hartley dové ruzzolar giù tutti i gradini della scala con la testa in avanti. Quando si levò da terra era tutt'ammaccato e profondamente avvilito. Dire che si sentiva tagliato così bene per quella vita nella casa del generale! Sempre in compagnia di persone piacevoli, poco lavoro, cena abbondante; poi quelle care soddisfazioni nel salotto della signora, la quale, in cuor suo, egli infiorava dei più dolci nomi. Subito, appena oltraggiato dal piede soldatesco, si precipitò da lei e le narrò la dolorosa istoria. — Eh, mio caro Harry — rispose la signora che soleva chiamarlo a nome come un ragazzino — mai, nemmeno per isbaglio, tu hai il bene di fare ciò che il generale ti ordina. Lo stesso è di me, dirai. Ma con questa differenza: che noi donne possiamo farci perdonare un lungo anno di disobbedienza con un pronto atto di sommissione. Sono dolente assai, Harry, di perderti; ma dacché non puoi più restare in questa casa dove fosti insultato, ti faccio i miei auguri e saluti, e ti prometto di fare in modo che il generale abbia a pentirsi del suo contegno violento. Harry perdé la disinvoltura; gli vennero le lacrime agli occhi, e fissò lady Vandeleur con aria di tenero rimprovero. — Signora mia — diss'egli — ch'è mai un'ingiuria? In una settimana è bell'e scordata. Ma abbandonare gli amici, ma dover infrangere certi legami d'affetto... Fu incapace di proseguire poiché la commozione gli faceva groppo alla gola, e cominciò a piangere. Lady Vandeleur lo fissò con uno sguardo un po' indagatore. «Sta a vedere — ella pensava — che questo scioccherello si crede innamorato di me. E, infine, perché non potrebb'essere mio domestico anziché domestico del generale? È buono, ha bei modi, s'intende di toilettes. E ciò almeno varrà a tenerlo lontano dai pericoli, poiché egli è davvero troppo grazioso per non aver qualche amoruzzo...». La notte stessa ne parlò al generale ch'era già bell'e pentito della sua villania, e Harry passò senz'altro nella giurisdizione femminile della casa, dove la vita, per breve tempo, gli fu proprio celestiale. Vestiva con rara squisitezza, portava delicati fiori all'occhiello, e sapeva intrattenere gli ospiti della signora con garbo elegante e dilettoso. Era superbo di servire sì bella dama e gli ordini che da lei riceveva, eran per lui altrettanti segni del suo favore. E si compiaceva di mostrarsi in quella nuova qualità agli altri uomini, che poi lo deridevano, lo schernivano per quel suo impiego da cameriera, da garzone di modista. Quanto al Iato morale della cosa Harry poco ci badava. Una certa immoralità pareva a lui dote essenzialmente virile, e il passar la giornata in compagnia d'una bella signora, occupandosi di acconciature e di ritocchi, gli sembrava come stare sù una graziosa isola, in mezzo alle burrasche della vita. | << | < | > | >> |Pagina 47Il reverendo Mr. Simon Rolles eccelleva nello studio delle scienze morali e più che mediocri progressi aveva fatto nello studio della divinità. La pubblicazione d'una sua tesi sul Concetto cristiano delle obbligazioni sociali gli aveva anzi procacciato una certa celebrità all'Università di Oxford, e, fra gli studiosi di problemi religiosi, si diceva che il giovine Rolles stava lavorando a un'opera assai importante intorno all'autorità dei Padri della Chiesa. Tutta questa dottrina e questi ambiziosi disegni eran tuttavia ben lontani dal dare qualche pratico indirizzo alla sua vita; ed egli era in cerca della sua prima cura d'anime, quando, un giorno, vagabondando a caso per quei paraggi di Londra dove avvennero i fatti testé narrati, fu indotto dall'aspetto tranquillo e signorile del giardino, dal bisogno di studio e di solitudine e dalla modicità del prezzo dell'alloggio, a prender dimora presso Mr. Raeburn, il giardiniere proprietario della casa di Stockdove Lane. Dopo aver sgobbato sette o otto ore intorno a S. Ambrogio o a S. Grisostomo, Mr. Rolles aveva l'abitudine ogni pomeriggio di fare un passeggino di qualche oretta in mezzo ai rosai del giardino, meditando. Anzi, di consueto, era quello uno dei momenti più fecondi della sua giornata. Tuttavia né la sua disposizione al meditare, né l'entusiasmo con cui si metteva attorno ai problemi religiosi, eran così forti da sottrarre lo spirito del nostro filosofo dai più tenui contatti e urti della vita. Così che, quando vide il segretario del generale Vandeleur tutto lacero e sanguinante in compagnia del padrone di casa, quando s'accorse che tutt'e due mutavan di colore e cercavan eludere le sue domande, e, soprattutto, il primo che negava la sua identità così sfacciatamente, ben presto dimenticò i suoi Santi e i suoi Padri e si pose a meditare su quella strana faccenda. «Non v'è dubbio, — pensava — quello era proprio Mr. Hartley in persona. Ma come diavolo è piovuto qua dentro? E perché nega il suo nome? E che affari può egli avere con quel birbante del mio padrone?». Mentre si faceva queste domande, un'altra circostanza attirò la sua attenzione. Mr. Raeburn era apparso alla finestra terrena vicino alla porta, e, a caso, i suoi occhi s'erano scontrati con quelli di Mr. Rolles. Subito, come interdetto e spaventato, il giardiniere aveva calate giù a furia le cortine. «Uhm, sarà cosa bellissima, — pensò Mr. Rolles — ma ci vedo poco chiaro. Quest'uomo ha un certo fare soppiattone, come chi non vuol essere scorto. Giurerei che que' due stanno combinando qualche marachella». Quell'agente di polizia segreta che, dal poco al tanto, dorme in ciascuno di noi, si destò nel petto di Mr. Rolles e reclamò luce. Allora, con un passo vispo, alquanto in contrasto col suo portamento austero, s'avviò a fare il giro del giardino. Di lì a poco arrivò al luogo dove Harry era saltato dal muro, e scorse il rosaio tutto guasto, e, lì presso, il terreno calpestato. Levò lo sguardo al muro e vide che i mattoni in quel punto erano sbreccati e che un brandello di pantalone svolazzava impigliato in uno di quei cocci di bottiglia che ne incoronavano la cima. Era quello, dunque, il modo che usava l'amico per entrare in un giardino come si deve, a visitare de' rosai? Si chinò e, fischiettando, si dié ad esaminare il terreno. Poté subito stabilire il punto dove Harry aveva toccato terra, e quello dove il piede largo e piatto di Mr. Raeburn era affondato nel terreno per lo sforzo da lui fatto nel pigliar per il collo il giovinotto. Anzi, dopo più attento esame, gli sembrò perfino distinguere segni di dita che dovevano aver brancicato qua e là a raccogliere qualcosa che vi si fosse rovesciato e sparso. «La cosa comincia a diventare interessante». E, proprio in quella, scorse un oggetto che stava quasi tutto sprofondato nel terreno. Svelto lo disotterrò, e vide ch'era un elegante astuccio rilegato in marocchino con cerniera e fregi dorati. Questo astuccio stava profondamente calcato entro il terreno, e perciò era sfuggito alle affrettate ricerche di Mr. Raeburn. Mr. Rolles lo aprì, e scoppiò in un grido di meraviglia. Davanti a lui, adagiato sul suo posatoio di velluto verde, stava un diamante di straordinaria grandezza e dell'acqua la più bella. Era grosso quanto un uovo d'anitra, assai finemente faccettaro, e senza macchia. E poiché il sole vi batteva su, un fulgore come di scintilla elettrica ne sprizzava fuori, sì che pareva ardere fra le sue mani, come se mille fiamme avvampassero dentro al suo cuore. Il giovine prete poco s'intendeva di pietre preziose, ma il diamante del Rajà era tal portento che si raccomandava da sé. La favolosa bellezza della pietra affascinava lo sguardo del prete, l'idea del suo sconfinato valore confondeva il suo spirito. Ben sapeva egli che quel tesoro valeva anni ed anni delle sue ricerche episcopali, che con quello avrebbe potuto costruir cattedrali più belle di quelle d'Ely o di Colonia, che, potendone disporre, non avrebbe più sofferto le penurie della sorte e abbandonarsi intieramente alle sue inclinazioni di studioso, senza stenti, senza incomodi, senza agitazioni. E intanto se l'andava rigirando fra le mani e quello gli spediva su raggi sempre più vividi, che lo ferivano proprio diritto al cuore. Spesso azioni decisive furono operate d'un tratto e senza che vi pigliasse parte la ragione. Era il caso di Mr. Rolles, che, data una rapida occhiata all'ingiro, e non vedendo che il giardino pieno di sole e gli alberi e le finestre della casa con le cortine calate, rinchiuse l'astuccio, lo intascò e s'avviò verso lo studio con la sveltezza d'un ladro. | << | < | > | >> |Pagina 70Francis Scrymgeour, contabile alla Banca di Scozia in Edimburgo, era giunto all'età di venticinque anni vivendo una sua quieta, onorata, domestica vita. La madre gli era morta ch'egli era ancora in tenera età, ma il padre, uomo tutto senno e probità, lo aveva fornito d'una eccellente istruzione e allevato a metodiche e frugali abitudini. Francis, ch'era d'indole docile e affettuosa, profittò con zelo di questi insegnamenti e si dedicava, cuore e anima, al suo ufficio. Una passeggiata al pomeriggio della domenica, qualche pranzetto fuorivia co' membri della sua famiglia, una escursione ogni anno attraverso la Scozia, erano le uniche distrazioni sue. Sì che ben presto venne nelle grazie de' suoi superiori e si guadagnava uno stipendio di dugento sterline all'anno, con la prospettiva che, col tempo, gli sarebbe stato aumentato del doppio. Pochi giovani erano più felici, più laboriosi, più volonterosi di Francis Scrymgeour. Talvolta, a sera, dopo aver letto il giornale, si metteva a suonare il flauto per rallegrare la siesta del padre suo, delle cui qualità egli aveva grande venerazione. Un giorno egli ricevette un biglietto della celebre ditta «Writers to the Signet» dove lo si richiedeva di un immediato convegno. Sulla busta era scritto «Personale e confidenziale» ed era indirizzata presso la banca anziché a casa sua. Ciò che indusse il giovine Francis ad accorrere subito all'invito. Il membro più anziano della ditta, uomo di modi gravi, lo ricevette con una certa solennità, lo pregò di sedere, poi con un linguaggio d'affari si dié a spiegargli di che si trattava.
Una persona, che pel momento doveva restare
innominata, ma ch'egli asseriva essere degna e
di condizione, desiderava fare a Francis un prestito
annuale di quattrocento sterline. La somma era
stata depositata presso la ditta sotto la responsabilità del gerente stesso e di
due amministratori che dovevano pure restare anonimi. Ma questa
liberalità era fatta sotto certe condizioni, le quali,
tuttavia, egli confidava che il suo cliente non
avrebbe trovate né eccessive né disonorevoli. E
qui ripeté i due aggettivi con particolare energia.
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