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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 1. L'uomo dei miracoli 21 Gennaio 1996: «So come farmi amare» 21 Elogio della follia 27 Mitopoiesi 30 I primi miracoli 33 Villa San Martino ad Arcore 42 2. Tredici a tavola 47 Aggiungiamo qualche parola? 47 1980 50 1994 52 Calcio e teste mozzate a Palermo 53 Il biennio sabbatico di Dell'Utri 59 3. Televisione (e soldi) 67 Cibo per animali 67 Storia: la vecchia Rai 69 Aggirare la legge 78 Agganci politici 80 La loggia massonica P2 84 4. «Professione amicizia» 93 «L'importante è piacersi, piacersi, piacersi» 93 «[Craxi] è quello che ci deve fare la legge sulla televisione.» 99 Le ragazze del Drive In 106 L'intercettazione del 1988 119 5. La pax televisiva e l'espansione della Fininvest 121 Au revoir, Paris 126 Telecinco - Tre topini ciechi 130 6. L'operazione Mani pulite 145 «Mi capita persino di mettermi a piangere» 145 Un paese normale? 146 «Č Mangano» 156 7. Berlusconi scende in campo 181 La videocassetta 181 Il diavolo e l'acqua santa 187 L'azienda come macchina da guerra elettorale 195 Un piccolo inconveniente: l'indagine per corruzione 202 Il ritorno del rimosso: il problema della mafia 209 8. Berlusconi al potere 215 Perché Berlusconi ha vinto le elezioni 215 Il nuovo che avanza 220 Blind trust 222 Conflitto di giustizia 227 Il presidente del consiglio sul banco degli imputati237 9. Contrattacco 243 Ottimista nella sconfitta 243 Ancora con le spalle al muro 245 Drôle de guerre: la guerra di Mancuso 247 Il piano per distruggere Antonio Di Pietro 250 Il piano per distruggere Di Pietro, parte II 257 L'avvocato libico 260 Toghe sporche 263 10. Berlusconi è morto, viva Berlusconi! 269 Sconfitta 269 Gli errori del centrosinistra 272 L'inciucio, parte II 277 Il piano per distruggere Di Pietro, parte III 282 «Tutti i candidati amici miei, tutti eletti!» 286 Un patto con il diavolo? 290 Il governo Prodi 292 11. Trionfo 297 Una storia italiana 297 «Adatto a governare l'Italia?» 301 Perché la gente vota per Berlusconi? 310 12. Un governo personale 319 Le volpi nel pollaio 319 Leggi su misura 326 Laissez faire all'italiana 331 Ciò che è bene per Mediaset.. 338 Berlusconi Show 340 13. La conquista della stampa 347 Come addomesticare la stampa 347 Come addomesticare la Rai 352 Vittima del regime 362 Il caso «Corriere» 369 14. Basta con Berlusconi 381 Quando è troppo è troppo? 381 Il deragliamento di Mani pulite 387 Come abbassare lo standard morale 394 Il parlamento come guscio vuoto 398 Siamo tutti Berlusconi 401 Note 423 Bibliografia 435 Indice dei nomi 439 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Nell'estate del 1993 Silvio Berlusconi, l'uomo più ricco d'Italia nonché il proprietario del più grande impero televisivo ed editoriale del paese, condusse una serie di sondaggi per valutare la possibilità di fondare un suo partito politico e candidarsi alla carica di presidente del consiglio. Secondo uno di questi sondaggi il nome di Berlusconi era noto al 97 per cento dei potenziali elettori, mentre quello del presidente del consiglio dell'epoca, Carlo Azeglio Ciampi, era conosciuto solo dal 51 per cento del campione. Il magnate dei media che aveva portato in Italia Dallas, La ruota della fortuna e Baywatch, il presidente che aveva fatto vincere diversi scudetti al Milan, il miliardario i cui yacht, le cui ville e la cui bella moglie comparivano spesso sui rotocalchi, era molto più interessante di qualsiasi politico tradizionale presente sul mercato. Un altro sondaggio condotto tra i giovani rivelava che Berlusconi era il «più amato» di un lungo elenco di nomi: Arnold Schwarzenegger era al secondo posto e Gesù Cristo al terzo. La fine della guerra fredda aveva spazzato via i partiti politici tradizionali che avevano dominato l'Italia nei cinquant'anni precedenti. Le vecchie ideologie del XX secolo stavano svanendo e l'istituzione più influente ancora salda tra le macerie del Muro di Berlino era un'azienda televisiva. Berlusconi, ben consapevole di avere un'opportunità di colmare il vuoto così creatosi, si lanciò in quella che sarebbe stata una delle campagne elettorali più straordinariamente innovative della nostra era, forse il primo esempio in assoluto di campagna elettorale postmoderna. Nel giro di pochissimo tempo tutte le divisioni del grande impero berlusconiano - dai canali televisivi ai giornali fino ai grandi magazzini e alle società assicurative e finanziarie - furono convertite in ingranaggi di un'immensa macchina politica. I dirigenti pubblicitari contattarono le società che acquistavano spazi sui canali di Berlusconi. I mediatori finanziari e gli agenti assicurativi che lavoravano per le società di Berlusconi vennero arruolati nella campagna elettorale e furono messi al lavoro per trasformare le centinaia di migliaia (forse addirittura milioni) di clienti in elettori e sostenitori del partito. L'ufficio del personale dell'azienda pubblicitaria televisiva selezionò più di cento tra i suoi migliori venditori per candidarli alle elezioni parlamentari. I prescelti vennero sottoposti a provini negli studi televisivi, ricevettero lezioni di politica e si verificò come si sarebbero comportati sotto il fuoco di fila di una campagna elettorale. Vennero tutti obbligati ad acquistare un kit che comprendeva un libretto di 35 pagine, undici videocassette che spiegavano il programma del partito e alcune lezioni su come parlare in pubblico e in televisione. Alcuni consulenti dell'azienda, esperti nella valutazione di programmi televisivi, condussero dei focus groups per calibrare il messaggio di Berlusconi in modo che facesse presa sull'audience più vasta possibile. Il partito-azienda creò dei numeri telefonici a pagamento (circa 50 centesimi al minuto) grazie ai quali i cittadini potevano ascoltare gli ultimi interventi di Berlusconi e il movimento era in grado di raccogliere ulteriori fondi. All'inizio questo lavoro venne svolto relativamente in segreto. Berlusconi negò con energia di avere intenzione di presentarsi alle elezioni. Secondo la versione ufficiale stava contribuendo alla fondazione di un movimento politico che avrebbe promosso i valori di libertà e democrazia attraverso una serie di club. Il movimento venne chiamato «Forza Italia», l'urlo dei tifosi durante le partite della nazionale. Buona parte della fama e della popolarità di Berlusconi derivava proprio dal fatto di possedere una squadra di calcio, il Milan. Il patriottismo in Italia aveva toccato un minimo storico e il calcio era tra le pochissime cose in grado di suscitare sentimenti di intenso orgoglio nazionale. Per sfruttare questi sentimenti, Berlusconi ne assorbì gli slogan e i simboli. I componenti della sua «squadra» si sarebbero chiamati «azzurri», come i giocatori della nazionale. L'obiettivo di Berlusconi e dei suoi dirigenti era creare 8000 club Forza Italia, quasi uno per ogni città italiana di discreta grandezza. Neppure il numero era stato scelto a caso: in Italia ci sono 8000 parrocchie. Alla fine della seconda guerra mondiale, dopo il crollo del regime fascista, con le sue parrocchie la chiesa cattolica aveva costituito la spina dorsale della neonata Democrazia cristiana. Ma il potere della chiesa, come quello dei partiti, era in declino. «L'azienda della fede», come Berlusconi chiamava la chiesa, «non è in buone condizioni», disse a un pubblico aziendale nei tardi anni Ottanta, annunciando che intendeva acquistare una serie di monasteri e conventi abbandonati per farne dei luoghi di ritiro per le sue forze vendita, come in una sorta di trasferimento di potere simbolico dalla vecchia alla nuova chiesa. Con un club Forza Italia per ogni parrocchia, avrebbe completato il trasferimento. Il terreno venne preparato alla perfezione, come per il lancio di un nuovo prodotto, con voci sempre più pressanti sul progetto di Berlusconi e una serie di smentite che non facevano altro che dare una visibilità sempre maggiore alla sua figura. Poi, il 26 gennaio 1994, Berlusconi comparve sulle sue tre reti televisive private per annunciare che stava fondando un nuovo partito politico e si sarebbe candidato alla presidenza del consiglio. L'annuncio si presentava in tutto e per tutto come quelli che i presidenti americani trasmettono dalla sala ovale della Casa Bianca. Berlusconi era inquadrato nello studio della sua sontuosa villa settecentesca, seduto dietro a un'imponente scrivania. Sullo sfondo alcune fotografie di famiglia. Si rivolse alla nazione in tono solenne e autorevole. Pur essendo solo un privato cittadino e un neofita della politica, aveva già l'aspetto di un presidente. «Berlusconi [...] era il presidente "virtuale"», dice Giuliano Ferrara, uno dei suoi principali consiglieri politici e ghostwriter del discorso. «In quel momento ho capito che aveva cambiato la politica italiana.» Nel giro di soli due mesi Berlusconi sarebbe diventato presidente del consiglio anche nella «realtà». [...] La storia di Berlusconi è una delle grandi avventure politiche del tardo Novecento, un esempio stupefacente di ciò che accade quando i mezzi di comunicazione, il denaro e la politica uniscono le proprie forze in una società pressoché priva di regole. L'elezione dell'uomo più ricco del paese e del più grande proprietario di mezzi di comunicazione (peraltro imputato in numerosi processi penali) alla più importante carica pubblica ha creato una situazione strana e anomala e ha condotto a un nuovo modello di potere nel cuore dell'Europa. Sarebbe semplicistico liquidare Berlusconi come il prodotto bizzarro di una sottocultura italiana. L'Italia ha dei precedenti di tutto rispetto nel XX secolo come fucina di pessime idee che si sono poi diffuse in altre parti del mondo. Il fascismo è stato inventato in Italia, così come la mafia; e nella penisola il terrorismo di sinistra si è sviluppato più che in qualsiasi altra nazione europea. Con questo non si vuol dire che Berlusconi sia un fascista, un mafioso o un terrorista, ma che tutti questi fenomeni sono prodotti secondari di una democrazia debole con pochi controlli ed equilibri istituzionali. L'Italia, un paese giunto tardi all'unificazione e all'industrializzazione, è un luogo dove pur essendo presenti tutte le tensioni e i problemi della modernità, vi sono poche delle salvaguardie che esistono in nazioni più antiche e stabili; le idee vengono portate alle loro estreme conseguenze, e possono essere così osservate con particolare chiarezza. I rapporti sempre più stretti tra denaro, politica e televisione, ovunque estremamente importanti, in Italia, dove una grande azienda di comunicazione ha preso direttamente il potere, hanno raggiunto una sorta di apoteosi. Se Forza Italia contiene in sé le vestigia del passato del paese, Berlusconi è anche uno spiazzante personaggio d'avanguardia, una sorta di Citizen Kane al nandrolone. Non è un caso che anche il presidente della Thailandia sia l'uomo più ricco del paese, vi detenga il controllo della maggior parte dei mezzi di comunicazione e sia interessato all'acquisto di una squadra di calcio. O che Vladimir Putin, spesso ospite della villa di Berlusconi in Sardegna, abbia vinto agevolmente elezioni in apparenza democratiche, dopo avere assunto in pratica il controllo di tutti i canali televisivi russi. Vi sono di fatto anche dei forti parallelismi tra il fenomeno Berlusconi e il paese che ama definirsi la più antica democrazia senza soluzione di continuità del mondo, gli Stati Uniti. La personalizzazione della politica attraverso la televisione e il declino dei partiti politici tradizionali, l'ascesa di politici miliardari (Ross Perot, Steve Forbes, Jon Corzine e Mike Bloomberg, per citarne solo alcuni) che eludono le organizzazioni partitiche acquistando grandi quantità di spazio televisivo, sono tutte realtà ben presenti in America. Inoltre la deregulation e la politicizzazione dell'emittenza statunitense - a partire dall'eliminazione sotto Reagan della fairness doctrine e dei requisiti di interesse pubblico, e dalle recenti decisioni sotto Bush di allentare ulteriormente le restrizioni sulla concentrazione dei mezzi di comunicazione - seguono (con una certa ironia) il modello italiano. L'informazione è sempre più concentrata nelle mani di sei o sette conglomerati mediatici internazionali, uno dei quali è quello di Berlusconi, improntati perlopiù a interessi estremamente conservatori che spesso cooperano tra loro. Berlusconi ha lavorato gomito a gomito con il tedesco Leo Kirch e con Rupert Murdoch, usando proprietà intrecciate di aziende di comunicazione per dribblare le leggi antitrust dei diversi paesi. Lo stile più aggressivo e partigiano dei murdochiani Fox News e Rush Limbaugh Show ricorda in modo inquietante i tendenziosissimi canali di Berlusconi. Le affinità tra l'Italia di Berlusconi e l'America contemporanea non sono certo una coincidenza. Nell'arco di buona parte della sua carriera, il successo di Berlusconi, dal settore immobiliare alla televisione alla politica, è dovuto all'importazione in Europa di modelli americani. «Io sono a favore di tutto ciò che è americano ancora prima di sapere cos'è», ha dichiarato Berlusconi al «New York Times» nel 2001. «Al punto che mi chiamavano "amerikano"». Ha portato in Italia i quartieri residenziali suburbani, Dallas e Dynasty, Chi vuoi essere milionario? e L'isola dei famosi, i focus group, gli spot politici da 30 secondi e un «Contratto con gli italiani» basato sul «Contratto con l'America» di Newt Gingrich. Ma soprattutto, come altri politici-businessmen (Ross Perot) e candidati-celebrità (Arnold Schwarzenegger e il campione di wrestling Jesse «the Body» Ventura), ha attinto alla sfiducia e all'avversione profonda nei confronti della politica tradizionale, caratteristiche della democrazia moderna in un'epoca di declino della partecipazione politica. Ha contribuito a creare un modello continentale di anti-politica, l'idea resa popolare da Ronald Reagan che «il governo non è la soluzione, ma il problema».
Se a prima vista può apparire un fenomeno bizzarro, incomprensibile e
squisitamente italiano, osservandolo più da vicino Berlusconi sembra una figura
d'avanguardia, che esprime molte delle tendenze principali della politica dei
nostri giorni.
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