Copertina
Autore Patrick Süskind
Titolo Il Profumo
EdizioneLonganesi, Milano, 1996 [1985], La Gaja Scienza 144 , pag. 261, dim. 145x213x20 mm , Isbn 978-88-304-0587-5
OriginaleDas Parfum [1985]
TraduttoreGiovanna Agabio
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa tedesca , sensi
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Pagina 9 [ inizio libro ]

1


Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell'epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-just, Fouché, Bonaparte ecc., oggi è caduto nell'oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.

Al tempo di cui parliamo, nella città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone; le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell'umido dei piumini e dell'odore pungente e dolciastro di vasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali.

Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese, c'era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. li contadino puzzava come il prete, l'apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d'estate sia d'inverno. Infatti nel diciottesimo secolo non era stato ancora posto alcun limite all'azione disgregante dei batteri, e così non v'era attività umana, sia costruttiva sia distruttiva, o manifestazione di vita in ascesa o in declino, che non fosse accompagnata dal puzzo.

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Pagina 24

4


Madame Gaillard, sebbene non avesse neppure trent'anni, aveva già vissuto la propria vita. Esteriormente dimostrava l'età che in realtà aveva, e nello stesso tempo due, tre, cento volte di più, proprio come la mummia di una ragazza; ma interiormente era già morta da tempo. Quando era bambina suo padre le aveva dato un colpo sulla fronte con l'attizzatoio, poco più su della radice del naso, e da allora lei aveva perso l'olfatto e qualsiasi senso di calore umano e di freddezza umana e soprattutto qualsiasi passione. Quell'unico colpo l'aveva resa estranea alla tenerezza come all'avversione, estranea alla gioia come alla disperazione. In seguito, quando andò a letto con un uomo, non provò nulla, e nulla provò quando partorì i propri figli. Non portò il lutto per quelli che le morirono e non si rallegrò per quelli che le restarono. Quando il marito la picchiava non si scomponeva, e non provò nessun sollievo quando lui morì di colera all'Hótel-Dieu. Le uniche due sensazioni che conosceva erano un lievissimo offuscamento dell'animo quando si avvicinava l'emicrania mensile, e un lievissimo rasserenamento dell'animo quando l'emicrania se ne andava. Per il resto questa donna insensibile non provava nulla.

D'altra parte... e forse proprio a causa della sua totale mancanza di emozioni, Madame Gaillard possedeva un senso spietato dell'ordine e della giustizia. Non prediligeva nessuno dei bambini a lei affidati e non ne trascurava nessuno. Somministrava tre pasti al giorno e non un solo boccone di più. Cambiava le fasce ai piccoli tre volte al giorno e solo fino a quando compivano due anni. Dopo questo termine, chi continuava a farsela addosso riceveva un ceffone senza alcun rimprovero e un pasto in meno. Madame Gaillard spendeva la metà esatta della retta per i suoi pupilli, e teneva per sé l'altra metà esatta. Nei tempi buoni non cercava di aumentare il suo guadagno, ma nei tempi duri non lasciava perdere neppure un soldo, neanche quando si trattava di vita o di morte. Diversamente il mestiere non sarebbe più stato redditizio. Aveva bisogno di denaro. Aveva fatto i suoi conti con precisione estrema. Da vecchia voleva assicurarsi un vitalizio e inoltre avere abbastanza da potersi permettere di morire in casa, anziché crepare all'Hotel-Dieu come suo marito. Anche la morte di lui non le aveva fatto né caldo né freddo. Ma aveva orrore di quella morte pubblica, assieme a centinaia di estranei. Voleva potersi permettere una morte privata, e per questo le occorreva tutto il margine di guadagno proveniente dalla retta. C'era l'inverno, è vero, e in quel periodo su due dozzine di piccoli pensionanti ne morivano tre o quattro. Tuttavia anche così se la cavava sempre molto meglio della maggior parte delle altre madri adottive, e il suo reddito superava di gran lunga quello dei grandi brefotrofi statali o religiosi, la cui percentuale di perdite spesso ammontava a nove decimi. Poi c'era anche molto ricambio. Ogni anno Parigi produceva più di diecimila nuovi trovatelli, bastardi e orfani. In tal modo era possibile consolarsi di più d'un ammanco.

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Pagina 44

Stava quasi male per l'eccitazione. Non era ancora riuscito a scoprire neppure la direzione da cui veniva l'odore. Talvolta, prima che un minimo soffio gli alitasse incontro, passavano minuti, e ogni volta era sopraffatto dall'orribile angoscia di averlo perso per sempre. Infine lo salvò l'estrema speranza che l'odore arrivasse dall'altra riva del fiume, da qualche luogo in direzione sud-est.

Si staccò dal muro del Pavillon de Flore, s'immerse tra la folla e si fece strada attraverso il ponte. Ogni due passi si fermava, si alzava sulle punte dei piedi per poter annusare oltre le teste delle persone, dapprima non sentiva nulla, tanto era agitato, poi percepiva finalmente qualcosa, fiutava l'odore, anche più forte di prima, capiva di essere sulla strada giusta, s'immergeva di nuovo, di nuovo si seppelliva tra la moltitudine di curiosi e di pirotecnici che tenevano sempre le fiaccole vicine alle micce dei razzi, perdeva il suo odore nel fumo acre della polvere, era colto dal panico, di continuo urtava qualcuno e dava spintoni e s'immergeva di nuovo tra la folla: dopo minuti interminabili raggiunse l'altra riva, l'Hótel de Mailly, il Quai Malaquest, lo sbocco di Rue de Seine...

Qui si fermò, si concentrò e annusò. Eccolo. Lo teneva stretto. Come un nastro, l'aroma si srotolava giù per Rue de Seine, inconfondibilmente chiaro e tuttavia sempre molto delicato e molto fine. Grenouille sentì che gli batteva il cuore, e seppe che non era lo sforzo della corsa a farlo battere, bensì la sua eccitata impotenza in presenza di quell'odore. Tentò di ricordare qualcosa che gli si potesse paragonare, e dovette scartare tutti i paragoni. Quell'odore aveva in sé una freschezza: ma non la freschezza dei limoncelli o delle arance amare, non la freschezza della mirra o della scorza di cannella o della menta verde o delle betulle o della canfora o degli aghi di pino, non quella della pioggia di maggio o del vento gelido o dell'acqua di fonte... e nello stesso tempo aveva un calore: ma non come il bergamotto, il cipresso o il muschio, non come il gelsomino o il narciso, non come il legno di rosa e non come l'iris... Quell'odore era un miscuglio di fugace e di intenso, no, non un miscuglio, un tutto unico, e inoltre era debole e lieve e tuttavia forte e deciso, come una pezza di sottile seta cangiante... ma no, neppure come seta, bensì come un latte dolcissimo, in cui il biscotto si scioglie... cose che con tutta la buona volontà possibile non andavano d'accordo: latte e seta! Indescrivibile, quell'odore, indescrivibile, impossibile classificarlo in qualche modo, in realtà non poteva esistere. E tuttavia era là, nella sua splendida naturalezza. Grenouille lo seguì, con il cuore che batteva ansioso, poiché sentiva che non era lui a seguire il profumo, bensì il profumo ad averlo catturato, e ora lo attirava irresistibilmente a sé.

Risalì Rue de Seine. Per strada non c'era nessuno. Le case erano vuote e silenziose. Là gente era giù al fiume nei pressi dei fuochi d'artificio. Nessun odore umano febbrile disturbava la quiete, nessun puzzo acre di polvere. La strada sapeva dei consueti odori d'acqua, di escrementi, di ratti e di scarti di verdura. Ma al di sopra fluttuava, tenue e chiaro, il nastro che guidava Grenouille. Dopo pochi passi, la scarsa luce notturna del cielo fu inghiottita dalle case alte, e Grenouille proseguì al buio. Non aveva bisogno di vedere nulla. L'odore lo conduceva con sicurezza.

Dopo cinquanta metri piegò a destra in Rue des Marais, un vicolo se possibile ancora più buio, largo appena una spanna. Stranamente l'odore non divenne molto più intenso. Divenne soltanto più puro, e per questo, per la sua purezza in continuo aumento, acquisì una forza d'attrazione sempre maggiore. Grenouille camminava senza volontà propria. A un certo punto l'odore lo portò decisamente a destra, apparentemente al centro del muro di una casa. Si aprì un passaggio basso, che conduceva nel cortile interno. Come un sonnambulo, Grenouille entrò nel passaggio, attraverso il cortile interno, svoltò un angolo e arrivò in un secondo cortile interno più piccolo, finalmente illuminato: il luogo era un quadrato grande soltanto qualche passo. Dal muro sporgeva una tettoia di legno obliqua. Sotto la tettoia, su un tavolo, era appiccicata una candela. Una fanciulla era seduta a questo tavolo e puliva mirabelle. Prendeva i frutti da un canestro alla sua sinistra, li privava del gambo e del nocciolo con un coltello e li gettava in un secchio. Poteva avere tredici o quattordici anni. Grenouille si fermò. Capì subito qual era la fonte dell'odore che aveva annusato per più di mezzo miglio fino all'altra riva del fiume: non questo sudicio cortile interno, non le mirabelle. La fonte era la fanciulla.

Per un attimo fu talmente confuso che credette realmente di non aver mai visto in vita sua una cosa bella come quella fanciulla. Tuttavia vedeva solo il suo contorno da dietro, contro la candela. Naturalmente pensò di non aver mai sentito un odore così buono. Ma poiché conosceva gli odori umani a migliaia, odori di uomini, di donne, di bambini, non riusciva a comprendere come un essere umano potesse emanare un odore tanto squisito. In genere le persone avevano odori insulsi o miserabili. I bambini avevano un odore insipido, gli uomini un odore di orina, di sudore acre e di formaggio, le donne di grasso rancido e di pesce in via di decomposizione. Di nessunissimo interesse, del tutto ripugnanti erano gli odori delle persone. E dunque, per la prima volta in vita sua, Grenouille non si fidò del suo naso e dovette chiamare in aiuto gli occhi per credere a quello che stava annusando. Ma la confusione dei suoi sensi non durò a lungo. In realtà gli servì soltanto un attimo per accertarsi con i suoi occhi, dopo di che si abbandonò senza riserva alcuna alle percezioni del suo senso olfattivo. E annusò che era una persona, annusò il sudore delle sue ascelle, il grasso dei suoi capelli, l'odore di pesce del suo sesso; annusò tutto col massimo piacere. Il suo sudore aveva un profumo fresco come la brezza del mare, il sebo dei suoi capelli dolce come olio di noce, il suo sesso come un mazzo di ninfee bianche, la pelle come fiori d'albicocco... e l'insieme di tutte queste componenti dava un profumo così ricco, così equilibrato, così affascinante, che tutto ciò che Grenouille aveva annusato fino allora in fatto di profumi, anche tutto ciò che per gioco aveva creato dentro di sé come costruzioni olfattive, d'un tratto divenne puro nonsenso. Centinaia di migliaia di odori sembravano non valere più nulla di fronte a quest'unico odore. Questo solo era il principio superiore secondo il quale si dovevano classificare gli altri profumi. Era la pura bellezza.

Per Grenouille era chiaro che senza il possesso di quel profumo la sua vita non aveva più alcun senso. Doveva conoscerlo fìn nei minimi dettagli, fin nell'ultima e più minuta delle sue particelle: ricordarlo soltanto nel suo insieme non gli bastava. Voleva imprimere come con un marchio questo profumo da apoteosi nel caos della sua anima nera, analizzarlo con la massima esattezza e da allora in poi pensare, vivere, annusare soltanto secondo le strutture interne di questa formula magica.

Si avviò lentamente verso la fanciulla, sempre più vicino, finché, sotto la tettoia, si fermò a un passo dalle sue spalle. Lei non lo udì.

Aveva capelli rossi e portava un vestito grigio senza maniche. Le sue braccia erano di un bianco candido, e le mani erano gialle per il succo delle mirabelle tagliate. Grenouille stava curvo sopra di lei e aspirava il suo odore ora totalmente puro, cosí come saliva dalla sua nuca, dai suoi capelli, dalla scollatura del suo vestito, e lo lasciava scorrere dentro di sé come una lieve brezza. Non si era mai sentito così bene. Ma la fanciulla provò una sensazione di freddo.

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9


A quel tempo a Parigi c'erano almeno una dozzina di profumieri. Sei di loro vivevano sulla riva destra, sei sulla riva sinistra e uno proprio nel mezzo, e cioè sul Pont au Change, che collegava la riva destra con l'Ile de la Cité. Su questo ponte avevano costruito da entrambi i lati case a quattro piani, così fitte che attraversandolo non si riusciva a vedere il fiume in nessun punto, e si aveva invece l'impressione di trovarsi in una strada del tutto normale, con solide fondamenta e per di più estremamente elegante. In effetti il Pont au Change era considerato un centro commerciale tra i più raffinati della città. Qui si trovavano i negozi più rinomati, qui c'erano gli orafi, gli ebanisti, i migliori produttori di parrucche e di borse, i fabbricanti di biancheria intima e delle calze più fini, corniciai, venditori di stivali da cavallerizzo, ricamatori di spalline, fonditori di bottoni d'oro e banchieri. E qui c'erano anche il negozio e l'abitazione del profumiere e guantaio Giuseppe Baldini. Sopra la sua vetrina si stendeva un lussuoso baldacchino laccato di verde, e lì accanto era appeso lo stemma di Baldini, tutto in oro, un fiacone d'oro dal quale usciva un mazzo di fiori d'oro, e davanti alla porta c'era un tappeto rosso, che ugualmente riportava lo stemma di Baldini sotto forma di ricamo in oro. Quando si apriva la porta, risuonava un carifion persiano, e due aironi d'argento cominciavano a sprizzare dai becchi acqua di viole in una coppa dorata, anch'essa con la forma a fiacone dello stemma di Baldini.

Poi, dietro al banco in legno di bosso chiaro, c'era Baldini in persona, vecchio e rigido come una colonna, in parrucca incipriata d'argento e giacca blu gallonata d'oro. Una nuvola d'acqua di frangipani, con cui si spruzzava tutte le mattine, lo avvolgeva in modo quasi visibile e spostava la sua figura in una vaga lontananza. Nella sua immobilità sembrava l'inventario di se stesso. Solo quando risuonava il carillon e gli aironi cominciavano a sprizzare - entrambe le cose non avvenivano molto di frequente - d'un tratto la vita si risvegliava in lui, la sua figura si ammorbidiva, diventava piccola e irrequieta e volava fuori, tra ripetuti inchini, da dietro il banco, talmente in fretta che la nuvola d'acqua di frangipani riusciva a malapena a seguirlo, per pregare i clienti di accomodarsi e di assistere all'esibizione dei profumi e dei cosmetici più pregiati.

Baldini ne aveva a migliaia. La sua offerta partiva dalle essences absolues, da olii di fiori, tinture, estratti, secrezioni, balsami, resine e altre droghe in forma secca, fluida o cerosa, passava a diverse pomate, paste, ciprie, saponi, creme, sachets, bandoline, brillantine, creme da barba, gocce antiverruca e finti nei, per finire con acque da bagno, lozioni, sali profumati, aceti da toilette e una serie infinita di profumi veri e propri. Ma Baldini non si accontentava di questi prodotti della cosmesi tradizionale. La sua ambizione consisteva nel radunare nel suo negozio tutto ciò che in genere emanava un profumo o che in qualche modo serviva al profumo. E cosí, accanto alle pasticche, ai coni e ai nastri d'incenso, si trovavano anche tutte le spezie possibili, dai semi d'anice alla scorza di cannella, sciroppi, liquori e distillati di frutta, vini di Cipro, Malaga e Corinto, miele, caffè, tè, frutta secca e candita, fichi, caramelle, cioccolato, marroni, persino capperi, cetrioli e cipolle in salamoia e tonno marinato. E poi ancora ceralacca odorosa, carta da lettera profumata, inchiostro per lettere d'amore all'olio di rose, cartelle da scrivania di pelle spagnola, portapenne in legno di sandalo bianco, cassettine e cassapanche in legno di cedro, pot-pourri e coppe per petali di fiori, incensieri d'ottone, fiaconi e vasetti di cristallo con tappi d'ambra molata, guanti profumati, fazzoletti, cuscinetti per aghi da cucito imbottiti di fiori di macis e tappeti impregnati di aroma di muschio, che potevano riempire una stanza di profumo per più di cent'anni.

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Pagina 58 [ Muzio Frangipane ]

(...) Questo Pélissier infatti non era certo un maestro profumiere e guantaio qualificato. Suo padre non era stato nient'altro che un fabbricante d'aceto, e fabbricante d'aceto era anche Pélissier, niente di più. E solo perché, quale fabbricante d'aceto, era autorizzato a maneggiare alcolici, si permetteva di fare irruzione nella categoria dei profumieri veri e propri e là di imperversare come una puzzola. Che bisogno c'era di un profumo nuovo a ogni saison? Era proprio necessario? Il pubblico era stato soddisfattissimo anche prima con acqua di viole e con semplici bouquet di fiori, che forse si potevano variare in minima parte ogni dieci anni. Per millenni gli uomini si erano accontentati di incenso e mirra, di pochi balsami, di olii e di erbe aromatiche fatte seccare. E anche quando avevano imparato a distillare con l'ampolla e l'alambicco, e a estrarre per mezzo del vapore il principio odoroso dalle erbe, dai fiori e dai vari legni sotto forma di olio essenziale, a torchiarlo con presse di legno di quercia dai semi, dai chicchi e dalle bucce di frutta, o a carpirlo ai petali dei fiori con grassi accuratamente fìltrati, il numero di profumi era stato ancora moderato. Allora una figura come Pélissier sarebbe stata del tutto impensabile, perché allora già soltanto per fabbricare una semplice pomata occorrevano capacità che questo sofisticatone d'aceto non si sarebbe mai sognato d'avere. Non soltanto bisognava saper distillare, bisognava anche saper fare pomate ed essere a un tempo farmacista alchimista e artigiano, mercante, umanista e giardiniere. Bisognava saper distinguere il grasso di reni di montone dal sego di bovino giovane e una violetta Vittoria da un'analoga violetta di Parma. Bisognava padroneggiare il latino. Bisognava sapere quando si deve raccogliere l'eliotropio e quando fiorisce il pelargonio e che il fiore del gelsomino al levar del sole perde il suo profumo. Ovviamente questo Pélissier non aveva la più pallida idea di cose simili. Probabilmente non aveva mai lasciato Parigi, in vita sua non aveva mai visto un gelsomino in fiore. Per non dire poi che possedeva soltanto un'ombra di quell'enorme, furfantesca abilità necessaria per strizzar fuori da centinaia di migliaia di gelsomini un piccolo grumo di concrète o un paio di gocce di essence absolue. Probabilmente conosceva soltanto questi, conosceva il gelsomino soltanto come liquido concentrato marrone scuro contenuto in una boccetta, che si trovava nella cassaforte accanto a molte altre boccette da cui lui attingeva per creare i suoi profumi alla moda. No, una figura come quel bellimbusto di Pélissier non si sarebbe retta in piedi nel buon tempo antico, quando le cose si facevano a regola d'arte. Per questo gli mancava tutto: carattere, formazione, modestia e il senso di subordinazione corporativa. I suoi successi nel campo dei profumi erano dovuti unicamente e soltanto a una scoperta, che il geniale Muzio Frangipane - un italiano, del resto! - aveva fatto già duecento anni prima e che consisteva in questo: le sostanze aromatiche sono solubili in alcool etilico. Frangipane, mescolando le sue polverine odorose con l'alcool e trasfondendo in tal modo il loro aroma in un liquido volatile, aveva liberato l'aroma dalla materia, aveva spiritualizzato l'aroma, aveva scoperto l'aroma come aroma puro, in breve: aveva creato il profumo. Che grande opera! Che impresa sensazionale! Davvero paragonabile soltanto alle conquiste più importanti dell'umanità, come l'invenzione della scrittura da parte degli Assiri, la geometria euclidea, le idee di Platone e la trasformazione dell'uva in vino da parte dei Greci. Un'impresa proprio da Prometeo! E tuttavia, come tutte le grandi imprese dello spirito danno non soltanto luce, ma anche ombra, e procurano all'umanità, oltre che bene, anche miserie e sciagure, purtroppo anche la meravigliosa scoperta di Frangipane ebbe nefaste conseguenze: poiché ora, dopo aver imparato a fissare in tinture l'essenza dei fiori e delle erbe, dei legni, delle resine e delle secrezioni animali e a travasarle in boccette, l'arte del comporre profumi era pian piano sfuggita ai pochi universalmente esperti del mestiere e rimaneva aperta ai ciarlatani, anche se erano dotati soltanto di un naso discretamente fine, come ad esempio quella puzzola di Pélissier. Senza curarsi di come avesse avuto origine il contenuto prodigioso delle sue boccette, lui poteva limitarsi a seguire i suoi ghiribizzi olfattivi e miscelare quel che gli veniva in mente al momento o che il pubblico al momento desiderava.

Certo che quel bastardo di Pélissier a trentacinque anni possedeva già un patrimonio superiore a quello che lui, Baldini, era riuscito infine ad accumulare nella terza età con duro e tenace lavoro. E quello di Pélissier aumentava di giorno in giorno, mentre quello di Baldini di giorno in giorno diminuiva. Nei tempi passati non sarebbe mai avvenuta una cosa del genere! Che un artigiano rispettabile e un commerçant arrivato dovesse lottare per la pura sopravvivenza, era cosa che datava soltanto da pochi decenni! E cioè da quando ovunque e in tutti i campi era scoppiata questa febbrile mania di rinnovamento, questo sfrenato impulso all'attivismo, questa furia di sperimentazione, questa megalomania nel commercio, nel traffico e nelle scienze!

Oppure la follia della velocità! A che scopo avere tutte quelle strade nuove che stavano costruendo ovunque, e i nuovi ponti? A che scopo? Che vantaggio c'era nel poter andare fino a Lione in una settimana? A chi poteva importare? O recarsi oltre Atlantico, in un mese raggiungere l'America a gran velocità... come se per millenni non si fosse sopravvissuti egregiamente senza questo continente. Che cosa aveva perso l'uomo civilizzato nella foresta vergine degli indiani o presso i negri? Andavano persino in Lapponia, su al nord, tra i ghiacci eterni, dove vivevano selvaggí che divoravano i pesci crudi. E volevano scoprire ancora un altro continente, che dicevano si trovasse nei mari del sud, dovunque fosse. E a che scopo questa follia? Perché anche gli altri si comportavano così, gli spagnoli, i maledetti inglesi, quegli impertinenti degli olandesi, con cui poi si era costretti ad azzuffarsi, cosa che non ci si poteva proprio permettere. Trecentomila lire costa una nave da guerra, bene, e in cinque minuti, con un solo colpo di cannone, è affondata, addio per sempre, pagata con le nostre tasche. La decima parte su tutte le entrate pretende ultimamente il signor ministro delle Finanze, e questo è rovinoso, anche quando non si paga questa quota, perché già solo l'atteggiamento mentale nel suo insieme è dannoso.

La sventura dell'uomo ha origine dal fatto che non vuole starsene quieto nella sua stanza, nel luogo che gli compete. Dice Pascal. Ma Pascal era stato un grand'uomo, un Frangipane dello spirito, un lavoratore di quelli giusti, e oggi uno così non è più consultato. Oggi leggono libri sediziosi, di ugonotti o di inglesi. Oppure scrivono trattati o cosiddette grandi opere scientifiche, in cui mettono in dubbio tutto e tutti. Non c'è più niente che debba andar bene, ora d'un tratto deve cambiar tutto. Adesso in un bicchier d'acqua pare ci siano bestioline piccolissime, che prima non si vedevano; la sifilide sembra essere una malattia del tutto normale e non più una punizione del Signore; si dice che Dio abbia creato il mondo non più in sette giorni, bensì in milioni di anni, sempre che sia stato lui; i selvaggi sono esseri umani come noi; i nostri figli li educhiamo in modo sbagliato; e la terra non è più rotonda come è sempre stata, bensì appiattita sopra e sotto al pari di un melone... come se questo fosse importante! In ogni campo si chiede, si fruga, si indaga, si spia e si fanno esperimenti d'ogni genere. Non basta più dire di una cosa che cos'è e com'è... ora tutto dev'essere dimostrato, possibilmente con testimoni e con cifre e con certe prove ridicole. Questi Diderot e d'Alembert e Voltaire e Rousseau o comunque si chiamino tutti gli imbrattacarte - tra loro ci sono persino religiosi e signori della nobiltà! - sono proprio riusciti a contagiare tutta la società con la loro perfida inquietudine, con il loro puro e semplice desiderio di essere scontenti e di non essere soddisfatti di nulla al mondo, in breve con l'enorme caos che regna nelle loro teste!

Dovunque si guardasse, c'era un'agitazione febbrile. La gente leggeva libri, persino le donne.

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Pagina 129

26


Teatro di queste sfrenatezze era - e come avrebbe potuto essere altrimenti! - il suo impero interiore, in cui aveva sepolto i tratti fondamentali di tutti gli odori nei quali si era imbattuto. Al fine di rallegrarsi l'animo, evocò dapprima gli odori più antichi, più remoti: l'esalazione fumosa e ostile della camera da letto di Madame Gaillard; l'odore secco e coriaceo delle sue mani; il fiato dal sentore d'aceto di padre Terrier; il sudore isterico, caldo e materno della balia Bussie; il puzzo di cadaveri del Cimetière des Innocents; l'odore d'assassina di sua madre. E sguazzava nel disgusto e nell'odio, e gli si rizzavano i capelli in testa di piacevole orrore.

Talvolta, quando questo aperitivo di nefandezze non lo aveva animato a sufficienza, si permetteva anche una piccola digressione su Grimal, e gustava il puzzo delle pelli grezze, carnose, e delle conce, oppure immaginava le esalazioni riunite di seicentomila parigini nella calura afosa e opprimente della piena estate.

E poi d'un tratto - questo era il senso dell'esercizio - il suo odio accumulato erompeva con potenza orgiastica. Piombava come un temporale su questi odori che si erano permessi di offendere il suo illustre naso. Li tempestava come fa la grandine su un campo di grano, polverizzava quelle carogne come un uragano e le annegava in un immenso diluvio purificatore di acqua distillata. Così giusta era la sua collera. Cosi grande la sua vendetta. Ah! Che momento sublime! Grenouille, quel piccolo uomo, tremava dall'eccitazione, il suo corpo si torceva in voluttuoso piacere e s'inarcava verso l'alto, dimodoché per un momento urtava con la testa contro il tetto della galleria, per poi ricadere lentamente indietro e rimanere disteso, rilassato e profondamente soddisfatto. Era davvero troppo piacevole questo gesto eruttivo di estinzione di tutti gli odori sgradevoli, davvero troppo piacevole... Questo numero era quasi il preferito in tutta la successione scenica del suo grande teatro interiore, poiché comunicava quel sentimento meraviglioso del giusto sfinimento che fa seguito soltanto alle imprese davvero importanti, eroiche.

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Pagina 160

D'un tratto lo sopraffece una grande contentezza. Non ebbra, come quella che aveva provato un tempo in seno alla montagna durante le sue orge solitarie, bensì una contentezza molto fredda e sobria, qual è quella prodotta dalla consapevolezza del proprio potere. Adesso sapeva di che cosa era capace. Con mezzi estremamente scarsi, grazie al proprio genio, aveva ricreato il profumo dell'uomo, e l'aveva centrato cosi bene al primo tentativo, che anche un bambino si era fatto ingannare da lui. Adesso sapeva che poteva fare ancora di più. Sapeva che poteva migliorare questo profumo. Avrebbe potuto creare un profumo non soltanto umano, bensi sovrumano, un profumo angelico, così indescrivibilmente buono e vitale che chi l'avesse annusato ne sarebbe stato affascinato e avrebbe dovuto amare con tutto il suo cuore lui, Grenouille, il portatore di quel profumo.

Sì, amarlo dovevano, quando erano soggiogati dal suo profumo, non soltanto accettarlo come un loro pari, amarlo fino alla follia, all'abnegazione, tremare d'estasi dovevano, gridare, piangere di gioia senza sapere perché, in ginocchio dovevano cadere, come sotto il freddo incenso di Dio, non appena sentivano l'odore di lui, di Grenouille! Voleva essere il dio onnipotente del profumo, così come lo era stato nella sua fantasia, ma ora nel mondo reale e regnando su uomini reali. E sapeva che ciò era in suo potere. Poiché gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all'orrore, davanti alla bellezza, e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non potevano sottrarsi al profumo. Poiché il profumo era fratello del respiro. Con esso penetrava negli uomini, a esso non potevano resistere, se volevano vivere. E il profumo scendeva in loro, direttamente al cuore, e là distingueva categoricamente la simpatia dal disprezzo, il disgusto dal piacere, l'amore dall'odio. Colui che dominava gli odori, dominava i cuori degli uomini.

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Richiuse gli occhi. I profumi del giardino alarono su di lui, netti e ben distinti, come le bande colorate di un arcobaleno. E tra essi ce n'era uno prezioso, quello che gli interessava. Grenouille si sentì ardere di gioia e gelare di paura. Il sangue gli salì alla testa come a un monello colto sul fatto, poi scivolò nel centro del suo corpo, e risalì di nuovo e di nuovo ridiscese, e lui non riusciva a controllarsi. Troppo improvvisa era stata quest'aggressione olfattiva. Per un attimo, per la durata di un respiro, per l'eternità gli sembrò che il tempo si fosse raddoppiato o fosse scomparso del tutto, poiché non sapeva più se l'adesso fosse adesso e se il qui fosse qui o non piuttosto l'adesso fosse allora e il qui fosse là, e cioè Rue des Marais a Parigi, settembre 1753: il profumo che veniva fluttuando dal giardino era il profumo della fanciulla dai capelli rossi che aveva ucciso allora. L'aver ritrovato questo profumo sulla terra lo faceva piangere di felicità... e il fatto che poteva non esser vero lo spaventava a morte.

Gli vennero le vertigini, barcollò un poco e dovette appoggiarsi al muro, e lì si lasciò scivolare lentamente a terra a gambe piegate. Raccogliendosi e cercando di tenere a freno il suo spirito, cominciò a inalare il fatale profumo con inspirazioni brevi, meno rischiose. E constatò che il profumo dietro al muro era estremamente simile al profumo della fanciulla dai capelli rossi, ma non dei tutto uguale. Naturalmente proveniva anch'esso da una fanciulla con capelli rossi, su questo non c'era dubbio. Nella sua immaginazione olfattoria, Grenouille vedeva questa fanciulla davanti a sé come in un quadro: non stava ferma, ma saltava qua e là, si accaldava e poi si riacquietava, evidentemente giocava a un gioco in cui bisognava muoversi rapidamente e poi rapidamente fermarsi... con un'altra persona, dall'odore peraltro assolutamente insignificante. Aveva la pelle di un bianco abbagliante. Aveva occhi verdastri. Aveva lentiggini sul viso, sul collo e sul seno... cioè - Grenouille trattenne il respiro per un attimo, poi annusò a fondo e cercò di richiamare il ricordo olfattivo della fanciulla di Rue des Marais - ... cioè, questa fanciulla non aveva ancora seno nel vero senso della parola! Aveva soltanto un accenno di seno. Aveva appena un inizio di curve di seno, infinitamente delicato e dall'aroma esile, picchiettato di lentiggini, che cominciava a gonfiarsi forse soltanto da pochi giorni, forse soltanto da poche ore, in realtà da quel momento. In breve, la fanciulla era ancora una bambina. Ma che bambina!

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Il carnefice, Monsieur Papon, che da anni non aveva più avuto delinquenti cui spezzare le ossa, si fece forgiare dal fabbro una pesante spranga di ferro a sezione quadrata e con questa si recò al macello per esercitarsi su carcasse di animali. Gli erano concessi soltanto dodici colpi, con i quali doveva spaccare le dodici articolazioni senza danneggiare le parti più importanti del corpo, come ad esempio il petto o il capo: un compito difficile, che richiedeva la massima sensibilità nella punta delle dita.

I cittadini si prepararono all'avvenimento come a un giorno di gran festa. Era ovvio che nessuno avrebbe lavorato. Le donne stirarono il loro abito festivo, gli uomini spolverarono le giacche e si fecero lucidare gli stivali fino a renderli splendenti. Chi possedeva un grado militare o una carica, chi era capo di una corporazione, avvocato, notaio, direttore di una confraternita o comunque una persona importante, preparò l'uniforme e il costume ufficiale con decorazioni, sciarpe, catene e la parrucca incipriata col bianchetto. I credenti decisero di riunirsi post festum per la messa, ì seguaci di Satana per una piccante messa luciferina di ringraziamento, la noblesse colta per una seduta spiritico-magnetica nei palazzi dei Cabris, dei Villeneuve e dei Fontmichel. Nelle cucine già si cuoceva e si arrostiva, dalle cantine si portava su il vino, al mercato si acquistavano fiori da decorazione, nella cattedrale l'organista e il coro della chiesa facevano le prove.

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Avevano formato un cerchio attorno a lui, venti, trenta persone, e questo cerchio si stringeva sempre più. Presto il cerchio non riuscì più a contenerle tutte, ed esse cominciarono a premere, a spingere e a incalzare, ognuno voleva essere più vicino al centro.

E poi d'un tratto crollò in loro l'ultima inibizione, il cerchio si sfasciò. Si precipitarono su quell'angelo, si avventarono su di lui, lo gettarono a terra. Ognuno voleva toccarlo, ognuno voleva una parte di lui, una piccola piuma, un'ala, una scintilla della sua fiamma meravigliosa. Gli strapparono dal corpo i vestiti, i capelli, la pelle, lo fecero a brandelli, affondarono unghie e denti nella sua carne, gli si buttarono addosso come iene.

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Pagina 259 [ fine libro ]

Quando poi trovarono il coraggio di farlo, dapprima con circospezione e in seguito senza più riserve, dovettero sorridere. Erano traordinariamente fieri. Per la prima volta avevano compiuto un gesto d'amore.

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