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| << | < | > | >> |IndiceIl libro che ho sempre sognato. Prefazione all'edizione italiana (Marco Malvaldi) XI Prefazione XVII Lezione 1 - L'essenza della fisica classica 1 Interludio 1 - Spazi, trigonometria e vettori 15 Lezione 2 - Moto 27 Interludio 2 - Calcolo integrale 43 Lezione 3 - Dinamica 53 Interludio 3 - Derivazione parziale 67 Lezione 4 - Sistemi con più di una particella 77 Lezione 5 - Energia 87 Lezione 6 - Il principio di minima azione 97 Lezione 7 - Simmetrie e leggi di conservazione 117 Lezione 8 - Meccanica hamiltoniana e invarianza per traslazione temporale 133 Lezione 9 - Il fluido di spazio delle fasi e il teorema di Gibbs-Liouville 149 Lezione 10 - Parentesi di Poisson, momento angolare e simmetrie 161 Lezione 11 - Forze elettriche e magnetiche 175 Appendice Forze centrali e orbite planetarie 195 Indice analitico 209 |
| << | < | > | >> |Pagina XIPisa, settembre 1989. Il giorno non me lo ricordo, ma l'episodio sì. E anche la classe: III D, liceo scientifico "Ulisse Dini". Per il piccolo Malvaldi è il giorno della prima lezione di fisica, ovvero della materia che sente più vicina, di quella che - senza conoscerla - ha già deciso essere la sua materia preferita, con la protervia tipica dell'adolescente che crede di capire tutto. Entra in classe, e si siede, la professoressa. Nome di battesimo, Lina. Come mia nonna. Ma le somiglianze finiscono lì. Lina era una bravissima, e temutissima, insegnante di matematica. Bravissima, perché le sue spiegazioni matematiche erano meravigliose: quando parlava di disequazioni, sistemi algebrici, calcolo infinitesimale, era incredibilmente chiara. Così come era incredibilmente chiara nel non ammetterti in classe se arrivavi anche con un solo secondo di ritardo. Al suono della campanella, Lina chiedeva all'alunno più vicino di chiudere la porta, ovviamente dandogli del lei. E da quel momento nessuno entrava più. Se qualcuno ci avesse provato, sarebbe stato ibernato dal suo sguardo azzurro e glaciale - non c'era nessun bisogno di parlare, l'errore ti si palesava dall'espressione della professoressa, un misto di incredulità e disapprovazione assoluta, la stessa faccia che avrebbe Antonia Klugmann se si trovasse un cane nel consommé. Insomma, spero di aver dato l'idea. Quando la professoressa parlava, si ascoltava e basta. E quel giorno, di fronte a un Malvaldi in trepida attesa di vedersi schiudere davanti i cancelli del Tempio della Fisica, la professoressa parlò così:
Nel sistema internazionale di misurazione, si definisce candela
internazionale la quantità di intensità luminosa in direzione perpendicolare
alla superficie emessa da una superficie di platino di uno su seicentomila metri
quadri alla temperatura di millesettecentosessantanove gradi Celsius. È una
delle sette unità di misura del Sistema internazionale di unità di misura.
Come probabilmente immaginate, dopo ci descrisse minuziosamente le altre sei. E continuò con un'ora di definizioni. Uscii dall'aula, dopo la lezione, scuotendo la testa. Se quella era la fisica, mi ero clamorosamente sbagliato. Meglio darsi alla filosofia. Prima di quella lezione, avevo deciso che avrei fatto Fisica senza avere idea di cosa fosse quella materia realmente. Avrei scoperto solo anni dopo, con enorme piacere unito a una punta di rimpianto, che anche la mia professoressa non ne aveva idea. La matematica, quella la sapeva benissimo, e la sapeva anche spiegare: era laureata in matematica, non in fisica. E quindi insegnava la fisica per definizioni e successive dimostrazioni, come la matematica. Ma la fisica non è matematica. Come dice Leonard Susskind all'inizio del primo capitolo di questo libro, scopo della fisica classica è predire il futuro. Se sai come è costruito il sistema, se sai tutto sul sistema, incluso come è disposto al momento di partenza, allora ne sai predire l'evoluzione da qui all'eternità. Ecco, quello che avete fra le mani è il libro che avrei voluto avere al liceo, al terzo anno. Un libro che non mi insegnasse la fisica, ma me la facesse capire. Mettiamo subito una cosa in chiaro: questo non è un libro divulgativo. O meglio, lo è, ma nel senso più alto del termine. Non ti vuole insegnare cos'è la fisica, ti vuole insegnare a fare fisica. | << | < | > | >> |Pagina 1Da qualche parte, nel paese di Steinbeck, due uomini stanchi siedono sul ciglio di una strada. Lenny si pettina la barba con le dita e dice: "Parlami delle leggi della fisica, George".
George guarda in basso per un po', poi scruta Lenny da sopra
la montatura degli occhiali. "Va bene, Lenny, ma solo
il minimo indispensabile."
CHE COS'È LA FISICA CLASSICA?
L'espressione fisica classica si riferisce alla fisica prima dell'arrivo della meccanica quantistica. La fisica classica include le equazioni di Newton per il moto delle particelle, la teoria di Maxwell - Faraday dei campi elettromagnetici e la teoria della relatività generale di Einstein , ma è molto più di una collezione di specifiche teorie per fenomeni specifici: si tratta di una serie di principi e regole - una "logica di fondo", potremmo dire - che governa tutti i fenomeni in cui l'incertezza quantistica non è essenziale. Queste regole generali sono chiamate meccanica classica. Il compito della meccanica classica è predire il futuro. Pierre-Simon Laplace lo dichiarò in questo famoso passaggio del suo Saggio filosofico sulle probabilità:
Possiamo guardare allo stato presente dell'universo come effetto del suo
passato e causa del suo futuro. Un'intelligenza che
conoscesse a un determinato istante tutte le forze che pongono
la natura in movimento e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la
natura è composta, se tale intelligenza fosse anche
abbastanza estesa da analizzare tali dati, ricondurrebbe a una
singola formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo
e dei più piccoli atomi; per una tale intelligenza niente sarebbe incerto e il
futuro, così come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.
Nella fisica classica, se si conosce tutto di un sistema a un certo istante
temporale e si conoscono anche le equazioni che ne
governano il cambiamento, si può predire il futuro. È ciò che
intendiamo quando diciamo che le leggi classiche della fisica sono
deterministiche.
Se possiamo dire la stessa cosa, ma scambiando il futuro con il passato, allora
le stesse equazioni ci dicono tutto degli eventi passati. Un tale sistema è
detto
reversibile.
SISTEMI DINAMICI SEMPLICI E SPAZIO DEGLI STATI
Una collezione di oggetti (particelle, campi, onde o altro) è definita sistema. Un sistema che coincida con l'intero universo, o che sia talmente isolato dal resto da comportarsi come se il resto non esistesse, è detto sistema chiuso. _________________________________________________________ | | Esercizio 1 Dal momento che questo concetto è molto importante in fisica teorica, pensa a cosa può essere un sistema chiuso e cerca di immaginare se un sistema chiuso possa davvero esistere. Quali assunzioni implicite sono necessarie per definire un sistema chiuso? Che cos'è un sistema aperto? |_________________________________________________________| Per avere un'idea di cosa significhino i termini deterministico e reversibile, cominceremo con alcuni sistemi chiusi molto semplici. Si tratta di sistemi molto più semplici di ciò che realmente studiamo in fisica, ma soddisfano regole che sono versioni rudimentali delle leggi della meccanica classica. Cominciamo con un esempio talmente semplice da essere banale. Immaginiamo un oggetto astratto che abbia un unico stato. Possiamo pensare a una moneta incollata su un tavolo che mostra sempre testa. In termini fisici, la collezione di tutti gli stati occupati da un sistema è il suo spazio degli stati. Lo spazio degli stati non è uno spazio ordinario: è un insieme matematico i cui elementi identificano tutti i possibili stati del sistema. In questo caso lo spazio degli stati consiste di un singolo punto - testa (T), per la precisione - poiché il sistema ha un solo stato. Predire il futuro di questo sistema è molto semplice: non succederà nulla e il risultato di qualsiasi osservazione sarà sempre T. Il sistema più semplice successivo ha uno spazio degli stati che consiste di due punti. In questo caso abbiamo un oggetto astratto e due possibili stati. Immaginiamo una moneta che può essere testa o croce (T o C; vedi la Figura 1). In meccanica classica ipotizziamo che i sistemi evolvano con regolarità, senza salti o interruzioni. Un comportamento di questo tipo è detto continuo. Ovviamente non si può passare da testa a croce in modo continuo. In questo caso il movimento si compie attraverso salti discreti. Ipotizziamo dunque che il tempo sia diviso in unità discrete definite da numeri interi. Un mondo la cui evoluzione sia discreta può essere chiamato stroboscopico. Un sistema che cambia con il passare del tempo è detto sistema dinamico, ed è più di uno spazio degli stati: include anche una legge del moto, o legge dinamica. La legge dinamica è una regola che predice il prossimo stato a partire da quello attuale. | << | < | > | >> |Pagina 13I LIMITI DELLA PRECISIONELaplace probabilmente è stato troppo ottimista riguardo alla predicibilità del mondo, anche limitandosi alla fisica classica. Di certo sarebbe stato d'accordo sul fatto che la predizione del futuro richiede una conoscenza perfetta delle leggi dinamiche che governano il mondo e una straordinaria potenza di calcolo, ossia quella che lui chiamava un'intelligenza "abbastanza estesa da analizzare tali dati". C'è tuttavia un altro elemento che potrebbe aver sottostimato: la possibilità di conoscere le condizioni iniziali con precisione quasi assoluta. Immaginiamo un dado con un milione di facce, ognuna delle quali etichettata con un simbolo in apparenza simile agli usuali numeri interi a singola cifra ma in realtà con sottilissime differenze, di modo che esistano un milione di etichette diverse. Se si conoscesse la legge dinamica e se fossimo capaci di riconoscere l'etichetta di partenza, si potrebbe determinare l'evoluzione futura del dado. Tuttavia, qualora l'intelligenza postulata da Laplace soffrisse di un leggero difetto di vista e non fosse capace di distinguere le diverse etichette, la sua capacità predittiva sarebbe limitata. Nel mondo reale è anche peggio. Lo spazio degli stati non ha solamente un numero enorme di punti: è infinito in maniera continua. In altre parole, è etichettato da una collezione di numeri reali, come per esempio le coordinate delle particelle. I numeri reali sono così densi che ognuno di essi è arbitrariamente vicino a infiniti altri numeri reali. La capacità di distinguere numeri così vicini tra loro è il "potere risolutivo" di ogni esperimento, che per ogni osservatore reale è limitato. In linea di principio, non possiamo conoscere le condizioni iniziali con infinita precisione: nella maggior parte dei casi, minime differenze nelle condizioni iniziali - lo stato iniziale - portano a grandi differenze nei risultati finali. Questo fenomeno è chiamato caos. Se un sistema è caotico (e la maggior parte dei sistemi lo è) ciò implica che, anche con un buon potere risolutivo, il tempo su cui il sistema è predicibile è limitato. La predicibilità perfetta non è raggiungibile, semplicemente perché siamo limitati dal potere risolutivo. | << | < | > | >> |Pagina 97Lenny si sentiva frustrato - non era un buon segno, considerando la sua corporatura e la sua forza - e gli faceva male la testa. "George, non riesco a ricordare tutta questa roba! Forze, masse, equazioni di Newton, impulso, energia. Mi avevi detto che non c'era bisogno di imparare cose a memoria per fare della fisica. Non puoi fare in modo che ci sia una sola cosa da ricordare?"
"Va bene Lenny, calmati. La farò semplice: tutto ciò che
devi ricordare è che l'azione è sempre stazionaria."
PASSAGGIO ALLA MECCANICA AVANZATA
Il principio di minima azione - più propriamente, principio di stazionarietà dell'azione - è l'espressione più compatta delle leggi della fisica classica. Questa semplice regola (può essere scritta in una sola riga) riassume tutto! Non solo i principi della meccanica classica, ma anche elettromagnetismo, relatività generale, meccanica quantistica, tutto ciò che si sa della chimica (fino ai costituenti fondamentali della materia, le particelle elementari). Cominciamo con un'osservazione generale sul problema principale della meccanica classica: determinare le traiettorie (o orbite) dei sistemi a partire dalle loro equazioni del moto. | << | < | > | >> |Pagina 99AZIONE E LAGRANGIANAPer formulare il principio di minima azione abbiamo bisogno degli stessi identici parametri necessari per formulare le equazioni di Newton. Bisogna conoscere le masse delle particelle e l'energia potenziale. Per una traiettoria definita, l'azione è un integrale che ha come estremi l'inizio della traiettoria in t0 e la fine in t1. Introdurrò semplicemente l'integrale - senza discutere le motivazioni - e in seguito esploreremo le conseguenze della sua minimizzazione. Alla fine otterremo le equazioni di Newton e, dopo aver controllato che tutto questo funzioni, nessuna motivazione sarà più necessaria: se si tratta di una procedura equivalente alle equazioni di Newton, di quale altra motivazione abbiamo bisogno? Prima di generalizzare, illustriamo il metodo per una singola particella che si muove su una retta. La posizione della particella al tempo t è data da x(t), e la sua velocità da ẋ(t). L'energia cinetica e l'energia potenziale sono date rispettivamente da Si potrebbe pensare a un errore nell'Equazione 1. L'energia è la somma di T e V, ma nell'integrale è contenuta la differenza. Perché la differenza e non la somma? Potresti provare a portare avanti la derivazione con T + V, ma otterresti il risultato sbagliato. La quantità T - V è chiamata lagrangiana del sistema, e si indica con il simbolo L. Ciò che bisogna conoscere per specificare L sono le masse delle particelle (per l'energia cinetica) e il potenziale V(x). Non è un caso, ovviamente, che queste siano le stesse quantità necessarie per scrivere le equazioni del moto di Newton. Pensiamo alla lagrangiana come funzione della posizione x e della velocità ẋ. È funzione della posizione perché l'energia potenziale dipende da x, ed è funzione della velocità perché l'energia cinetica dipende da ẋ. Dunque scriviamo Possiamo riscrivere l'azione come integrale della lagrangiana: Il principio di stazionarietà dell'azione è davvero notevole. Sembra quasi che la particella abbia poteri sovrannaturali per "sentire» tutte le possibili traiettorie e "scegliere" quella che rende stazionaria l'azione. Fermiamoci un istante per esaminare cosa stiamo facendo, e dove questo ci sta portando. | << | < | > | >> |Pagina 140SPAZIO DELLE FASI ED EQUAZIONI DI HAMILTONL'hamiltoniana è importante perché (tra le altre cose) esprime l'energia. Tuttavia il suo significato è molto più profondo: fornisce la base per una completa riorganizzazione della meccanica classica, ed è ancora più importante in meccanica quantistica. Nella formulazione lagrangiana (o formulazione di azione) della meccanica, l'attenzione è focalizzata sulla traiettoria del sistema nello spazio delle configurazioni. La traiettoria è descritta in termini delle coordinate q(t). Le equazioni sono equazioni differenziali del secondo ordine, per cui non è sufficiente conoscere le coordinate iniziali: bisogna anche conoscere le velocità iniziali. Nella formulazione hamiltoniana, ci si concentra sullo spazio delle fasi. Lo spazio delle fasi è lo spazio delle coordinate q¡ e dei momenti coniugati p¡. In effetti le q e le p sono poste sullo stesso piano, poiché il moto del sistema è descritto da una traiettoria nello spazio delle fasi. In termini matematici, la descrizione avviene attraverso un insieme di funzioni q¡(t) e p¡(t). Notiamo che la dimensionalità dello spazio delle fasi è doppia rispetto a quella dello spazio delle configurazioni. Cosa guadagniamo raddoppiando il numero delle dimensioni? La risposta è che le equazioni del moto diventano equazioni differenziali del primo ordine. In linguaggio meno tecnico, questo significa che il futuro del sistema è delineato una volta noto il punto iniziale nello spazio delle fasi. Il primo passo nella costruzione della formulazione hamiltoniana è la sostituzione delle q con le p. Per particelle descritte da coordinate cartesiane ordinarie, quantità di moto e velocità sono quasi la stessa cosa, differendo solo per un fattore di massa. Come al solito, la particella su una retta è un ottimo esempio. | << | < | > | >> |Pagina 175Nella tasca del cappotto portava sempre un magnete, la cui capacità di attirare chiodi e altri oggetti di metallo era per lui fonte di continuo stupore, così come il modo in cui faceva ruotare l'ago della sua bussola. Cosa c'era di magico in quel piccolo oggetto a forma di ferro di cavallo? Qualunque cosa fosse, Lenny non si stancava mai del suo giocattolo preferito. Quello che non sapeva è che l'intero pianeta Terra è un magnete. E che il magnete-Terra era una forza benevola, che lo proteggeva dalla mortale radiazione solare incanalando le traiettorie delle particelle cariche su orbite sicure. Per il momento, tutto questo era fuori dalla portata dell'immaginazione di Lenny.
"Parlami dei magneti, George."
CAMPI VETTORIALI
Un campo non è altro che una funzione dello spazio e del tempo che, di solito, rappresenta qualche quantità fisica variabile da punto a punto e nel corso del tempo. Due esempi presi dalla meteorologia sono la temperatura locale e la pressione dell'aria. Poiché la temperatura può variare, ha senso pensarla come funzione dello spazio e del tempo, T(x, y, z, t), o più semplicemente T(x, t). Naturalmente la temperatura e la pressione dell'aria non sono campi vettoriali. Non ha senso definire una direzione per queste quantità, e dunque non esistono componenti lungo le differenti direzioni: chiedere la componente y della temperatura è un'assurdità. Un campo che consiste semplicemente di un numero assegnato a ciascun punto dello spazio è chiamato campo scalare. La temperatura è un campo scalare. Esistono, tuttavia, anche campi vettoriali, come per esempio la velocità del vento locale, definita da modulo, direzione e componenti. Possiamo scriverla come ṽ(x,t), oppure tramite le sue componenti v¡(x,t). Altri esempi di campi vettoriali sono i campi elettrici e magnetici generati da cariche e correnti elettriche. Poiché tali campi variano nello spazio, possiamo costruire nuovi campi derivando quelli di partenza. Per esempio, le tre derivate parziali della temperatura ∂T/∂x, ∂T/∂y, ∂T/∂z possono essere considerate le componenti di un campo vettoriale chiamato gradiente di temperatura. Se la temperatura aumenta andando da nord verso sud, allora il gradiente punta verso il sud. Dedichiamo un po' di tempo ad approfondire i trucchi usati per creare nuovi campi da quelli vecchi usando la derivazione. | << | < | > | >> |Pagina 194ARRIVEDERCI (PER ORA)
Per quanto riguarda la meccanica classica, questo è tutto. Se
hai seguito fin qui, ora conosci il
Minimo teorico:
tutto ciò che devi sapere sulla meccanica classica per passare all'argomento
successivo. A presto!
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