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| << | < | > | >> |Pagina 15Chiunque esamini con la debita attenzione i Registri Annuali del Tempo vi troverà annotato che La Guerra è figlia dell'Orgoglio, e che L'Orgoglio è figlio della Ricchezza. Di queste due affermazioni la prima si può accettare senza difficoltà, ma non così la seconda: poiché l'Orgoglio è parente stretto della Miseria e del Bisogno, per via di padre o di madre, e talvolta di entrambi; e a dire il vero, quando tutti gli uomini hanno il necessario, i conflitti accadono di rado. Di solito le invasioni viaggiano da nord a sud, ovvero dalla Miseria all'Abbondanza. I motivi più antichi e naturali per le liti sono Lussuria e Avidità: le quali, anche se possiamo considerarle sorelle o affini dell'Orgoglio, sono certamente il prodotto del Bisogno. Poiché, per esprimerci nei termini degli scrittori di politica, possiamo osservare nella repubblica dei cani (che nella sua origine sembra una Istituzione dei Molti) che dopo un pasto esauriente lo Stato si trova sempre nella pace più profonda; e che tra loro le lotte intestine scoppiano quando capita che un grande osso sia afferrato da qualche cane leader, il quale o lo divide tra i pochi, e allora l'osso va a una oligarchia, o se lo tiene per sé, e allora nasce una tirannide. Tra i cani lo stesso ragionamento vale nei contrasti che osserviamo in seguito a una turgidezza in una qualunque delle loro femmine. Infatti, il diritto di possesso trovandosi in comune (essendo impossibile stabilire un diritto di proprietà in un caso così delicato), gelosie e sospetti abbondano in modo tale che in quella strada l'intera comunità entra in stato di guerra, con ogni cittadino contro ogni altro; finché qualcuno dotato di più coraggio, contegno o fortuna si impossessa della preda e se la gode; al che naturalmente sorgono grandi mal di fegato e invidie, e invettive contro il cane fortunato. Ancora, se guardiamo una qualunque di quelle repubbliche impegnate in una guerra internazionale, di aggressione o di difesa, troviamo che lo stesso ragionamento si applica ai motivi e ai pretesti di ciascuno; e che la povertà o il bisogno, in questa o quella dose (autentici o ritenuti tali, il che nel caso non fa differenza), rivestono una grande importanza, così come l'orgoglio, dalla parte dell'aggressore. Ora, chiunque si compiaccia di prendere questo schema, e o di ridurlo o di adattarlo a uno Stato Intellettuale, o Comunità di Cultura, vedrà ben presto il primo motivo della discordia tra i due grandi schieramenti attualmente scesi in campo, e potrà formarsi giuste conclusioni sui meriti di entrambe le cause. Ma lo sbocco ovvero gli eventi di questa guerra non sono altrettanto facili da prevedere; poiché la lite in corso è talmente attizzata dalle teste calde di entrambe le fazioni, e le pretese di qualunque genere sono talmente esorbitanti, da non consentire la minima apertura verso un accomodamento. Questa lite (a quanto ho sentito dichiarare da un vecchio residente dei dintorni) ebbe inizio a proposito di un piccolo lotto di terreno sito su di una delle due vette del Monte Parnaso; la più alta ed estesa delle quali era stata, a quanto pare, nel tranquillo possesso di certi inquilini, chiamati gli Antichi, mentre l'altra era occupata dai Moderni. Senonché questi ultimi, insoddisfatti della loro sede attuale, mandarono certi ambasciatori dagli Antichi, lagnandosi di un grande inconveniente, ovvero di come l'altezza di quella parte del Parnaso guastava completamente la vista dalla loro, specialmente verso oriente; pertanto, onde evitare una guerra, offrivano loro la scelta di questa alternativa: gli Antichi si compiacessero di spostare se stessi e i loro effetti giù verso la sommità interiore, che i Moderni avrebbero graziosamente ceduto, avanzando al loro posto; oppure, i predetti Antichi concedessero ai Moderni di venire con zappe e badili a spianare il predetto colle fino alla quota che trovassero opportuna. Al che gli Antichi risposero che non si sarebbero mai aspettati un'ambasciata simile da una colonia cui per pura benevolenza avevano concesso una simile prossimità. Che quanto alla propria sede, essi ne erano aborigeni, e pertanto parlar loro di un trasferimento o di una cessione era un idioma che non capivano. Che se l'altezza del colle dalla loro parte limitava la vista dei Moderni, questo era un inconveniente che non potevano evitare; ma suggerivano loro di considerare se quello svantaggio (ammesso che tale fosse) non venisse largamente compensato dall'ombra e dalla protezione che a essi consentiva. Che quanto allo spianare o scavare, il solo proporlo era follia o ignoranza, se essi sapevano, o anche se non sapevano, come quel lato del colle consistesse in una unica roccia, che avrebbe spezzato loro gli attrezzi e il cuore senza subire alcun danno. Che pertanto suggerivano ai Moderni di alzare il proprio lato del colle, piuttosto che sognarsi di abbattere quello degli Antichi: iniziativa alla quale essi avrebbero dato non solo il loro consenso, ma anche un ampio contributo. Tutto ciò fu respinto, con grande indignazione, dai Moderni, che continuarono a insistere sulle loro due alternative; e pertanto questa divergenza deflagrò in una lunga e ostinata guerra, alimentata per una delle parti in causa dalla decisione e dal coraggio di alcuni condottieri e alleati; ma, per l'altra, dalla grandezza dei loro numeri, che consentivano una continuità di nuove reclute dopo ogni sconfitta. In questa lite si esaurirono interi fiumi di Inchiostro, e la violenza di ambo le parti crebbe a dismisura. | << | < | > | >> |Pagina 41Difficile immaginare il trambusto che si levò tra i Libri alla conclusione di questa lunga tirata di Esopo. Come a un segnale, ambo le parti istantaneamente aumentarono la loro animosità fino a decidere di entrare in battaglia. Subito i due contingenti principali si ritirarono sotto le loro varie insegne fino ai luoghi più remoti della Biblioteca, dove presero le mosse complotti e consulti sull'emergenza attuale. I Moderni intrapresero dibattiti molto accesi sulla scelta dei loro capi, e solo il timore del nemico riuscì a tenere a freno tra di loro rivolte in questa occasione. I contrasti furono massimi nella Cavalleria, dove ogni singolo combattente pretendeva di avere il comando supremo, da Tasso e Milton a Dryden e Wither. La Cavalleria Leggera fu comandata da Cowley e Despreaux. Poi venivano gli Arcieri sotto i loro valorosi comandanti, Descartes, Gassendi e Hobbes; la loro potenza era tale che avrebbero potuto scoccare le loro frecce oltre l'atmosfera donde non sarebbero ricadute mai più, ma come quella di Evandro, sarebbero diventate meteore; o come la palla di cannone, stelle. Paracelso portò uno squadrone di lanciatori di granate di zolfo dai nevosi monti della Rezia. Venne poi un ampio contingente di Dragoni, di varie nazionalità, sotto la guida di Harvey, loro grande Aga: alcuni armati di falci, armi della Morte, altri di lance e lunghi coltelli, tutti avvelenati; altri ancora scagliavano proiettili di natura estremamente nociva, e usavano polvere bianca, che infallibilmente uccideva senza scampo. Poi venivano parecchi contingenti di fanti ad armatura pesante, tutti mercenari, sotto le insegne di Guicciardini, Davila, Polidoro Virgilio, Buchanan, Mariana, Cambden e altri. Gli Ingegneri erano comandati da Regiomontanus e Wilkins. Gli altri erano una folla confusa, guidata da Duns Scoto, Aquinate e Bellarmino; di massa poderosa, ma senza armi, coraggio o disciplina. Da ultimi venivano infiniti sciami di caloni, marmaglia disordinata guidata da Lestrange; furfanti e grassatori, che seguivano il campo solo per il saccheggio, tutti senza abiti a coprirli.L'esercito degli Antichi era molto più esiguo numericamente. Omero guidava la Cavalleria, Pindaro la Cavalleria Leggera; Euclide era capo ingegnere; Platone e Aristotele comandavano gli Arcieri, Erodoto e Livio i Fanti; Ippocrate i Dragoni. Gli Alleati, guidati da Vossio e Temple, occupavano la Retroguardia. Tutto tendeva violentemente verso una battaglia decisiva: la Fama, grande frequentatrice, che aveva un vasto appartamento in passato assegnatole nella Biblioteca Reale, [...] | << | < | |