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| << | < | > | >> |Pagina 7 [ inizio libro ]Il tassista aveva una barba a pizzo, una reticella sui capelli e un codino legato con un nastro bianco. Pensai che fosse un sikh, perché la mia guida li descriveva esattamente così. La mia guida si intitolava: India, a travel survival kit, l'avevo acquistata a Londra più per curiosità che per altro, perché forniva sull'India informazioni assai bizzarre e a prima vista superflue. Solo più tardi mi sarei accorto della sua utilità. L'uomo correva troppo forte per il mio temperamento e suonava il clacson con ferocia. Mi parve che sfiorasse i pedoni di proposito, con un sorriso indefinibile che non mi piaceva. Alla mano destra portava un guanto nero, e anche questo non mi piacque. Quando imboccò Marine Drive parve calmarsi e si allineò tranquillamente in una delle file del traffico, dalla parte del mare. Con la mano guantata indicò le palme del lungomare e l'arco del golfo. «Quello è Trobay», disse, «e davanti a noi c'è l'isola di Elephanta, ma non si vede. Sono certo che vorrà visitarla, i battelli partono ogni ora dal Gateway of India». | << | < | > | >> |Pagina 108 [ fine libro ]I corridoi che portavano alle camere avevano una tettoia di legno lustro, a pensilina, come un chiostro che dava sul buio della vegetazione che cresceva a ridosso dell'albergo. Dovevamo essere fra i primi a ritirarci, i clienti erano rimasti quasi tutti sulle sdraio della terrazza a sentire musica. Camminavamo fianco a fianco, in silenzio, in fondo alla balconata frullò per un attimo una grossa falena.«C'è qualcosa che non mi torna nel suo libro», disse Christine, «non so bene cosa, ma non mi torna». «Lo credo anch'io», risposi. «Senta», disse Christine, «lei è sempre d'accordo con le critiche che le faccio, è insopportabile». «Ma ne sono proprio convinto», affermai, «davvero. Deve essere un po' come quella sua fotografia, l'ingrandimento falsa il contesto, bisogna vedere le cose da lontano. Méfiez-vous des morceaux choisis». «Quanto si trattiene?», mi chiese. «Parto domani». «Così presto?». «I miei topi morti mi aspettano», dissi io, «ognuno ha il suo lavoro». Cercai di imitare quel gesto di rassegnazione che lei aveva fatto parlando del suo lavoro. «Anche a me mi pagano per questo».
Lei sorrise e infilò la chiave nella porta.
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