Copertina
Autore Antonio Tabucchi
Titolo Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa
SottotitoloUn delirio
EdizioneSellerio, Palermo, 1994, La memoria 325 , pag. 67, dim. 120x166x5 mm , Isbn 978-88-389-1056-2
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa italiana , narrativa portoghese , biografie
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Indice


    28 novembre 1935             9
    29 novembre 1935            27
    30 novembre 1935            47

    I personaggi che copaiono
        in questo libro         57


 

 

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Pagina 20

Pessoa alzò la mano e fece un gesto esoterico. Disse: ti assolvo, Alvaro, vai con gli dèi sempiterni, se tu hai avuto degli amori, se hai avuto un solo amore, tu sei assolto, perché sei una persona umana, è la tua umanità che ti assolve.

Posso fumare?, chiese Campos.

Pessoa fece un gesto affermativo con la testa. Campos tirò fuori dalla tasca un astuccio d'argento e prese una sigaretta, la infilò in un lungo bocchino d'avorío e l'accese. Sai, Fernando, disse, ho nostalgia di quando ero un poeta decadente, dell'epoca in cui feci quel viaggio in transatlantico nei mari d'Oriente, ah, allora sarei stato capace di scrivere versi alla luna, e ti assicuro, la sera, sul ponte, quando c'erano i balli a bordo, la luna era talmente scenografica, era talmente mia. Ma a quel tempo io ero stupido, facevo dell'ironia sulla vita, non sapevo godere la vita che mi era data, e così ho perso l'occasione, e la vita mi è sfuggita.

E poi?, chiese Pessoa.

E poi ho cominciato a voler decifrare la realtà, come se la realtà fosse decifrabile, ed è venuto lo sconforto. E con lo sconforto, il nichilismo, poi non ho più creduto a niente, neppure a me stesso. E oggi sono qui al tuo capezzale, come uno straccio inutile, ho fatto le valigie per nessun luogo, e il mio cuore è un secchio svuotato. Campos andò verso il tavolino e schiacciò il mozzicone di sigaretta in un piattino di porcellana. Bene, caro Fernando, disse, avevo bisogno di dirti queste cose ora che forse stiamo per lasciarci, devo andarmene, verranno anche gli altri a trovarti, lo so, e a te non resta più tanto tempo, addio.

Campos mise il mantello sulle spalle, infilò il monocolo all'occhio destro, fece un rapido gesto di saluto con la mano, aprì la porta, si soffermò un attimo e ripete: addio, Fernando. E poi sussurrò: forse non tutte le lettere d'amore sono ridicole. E chiuse la porta.

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Pagina 25

Io sono un uomo quasi senza istruzione, disse Caeiro, ho avuto una vita molto semplice, le ripeto, lei invece ha avuto una vita intensa, ha interpretato le avanguardie europee, ha inventato il Sensazionismo e l'Intersezionismo, ha frequentato i caffè letterari della capitale, mentre io passavo i miei dopocena facendo dei solitari con le carte alla luce del lume a petrolio, come è possibile che io sia diventato suo padre e il suo Maestro?

La vita è indecifrabile, rispose Pessoa, mai chiedere e mai credere, tutto è occulto.

Sì, riprese Caeiro, ma insisto, come è possibile che io sia diventato suo padre e il suo Maestro?

Pessoa si alzò sui cuscini. Respirava a fatica e la stanza ondeggiava davanti ai suoi occhi. Le dirò, caro Caeiro, rispose, il fatto è che io avevo bisogno di una guida e di un coagulante, non so se mi faccio capire, altrimenti la mia vita sarebbe andata in frantumi, grazie a lei ho trovato una coesione, in realtà sono io che l'ho eletta padre e Maestro.

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Pagina 44

[...] Lui ha sorriso gentilmente e ha detto: Samarcanda, che bella idea, signor Bernardo Soares, ma non uscirò mai dalla Penisola Iberica, mi basta il poco spagnolo che conosco e un po' di inglese per quando vengono i miei amici di Londra e li porto a giocare a biliardo alla Casa do Alentejo di Lisbona. Poi le luci sulla passeggiata a mare come d'incanto si sono spente, nella baia era restato acceso qualche lumicino, erano le luci dei pescherecci, e il signor Don Pedro mi ha detto: signor Bernardo Soares, la riaccompagno a casa. Durante il tragitto io ho parlato delle albe e dei tramonti, mi sentivo euforico e ho pensato: scriverò un capitolo euforico per il mio diario disforico. Il signor Don Pedro è stato molto discreto e non ha interrotto il mio cicaleccío. Io sono sceso davanti agli alberi del parco agitati dal vento e gli ho detto: grazie, signor Don Pedro, ho passato una delle serate più belle della mia vita. E lui mi ha risposto: sono io che la ringrazio, caro Bernardo Soares, sarei molto onorato di leggere fra i primi il suo diario, e non dimentichi che sono un grande ammiratore di Fernando Pessoa, glielo dica, lui non si fa mai vedere da nessuno e per me è impossibile dirglielo. E così glielo dico, caro Fernando Pessoa, le porto i saluti e l'ammirazione del signor Don Pedro. Grazie, disse Fernando Pessoa con un sorriso stanco.

Bernardo Soares gli accomodò il lenzuolo sul petto. Signor Pessoa, disse, temo di averla stancata con tutte le mie chiacchiere, mi scusi, forse sono stato inopportuno.

Niente affatto, rispose flebilmente Pessoa, è stato un piacere parlare con lei, ma credo di dover ricevere un'altra visita, una persona che negli ultimi tempi ho un po' trascurato, grazie, caro Soares, le faccio i migliori auguri per il suo Libro dell'Inquietudine.

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Pagina 52

Beh, disse Pessoa, in quel momento un'onda nera si era abbattuta sulla mia testa, vede, non sapevo più cosa fare, se considerarmi pazzo o se buttarmi nel Tago, avevo bisogno di una famiglia, di qualcuno che si curasse di me, che mi trattasse con affetto e dolcezza, e in quella famiglia ho trovato un focolare, e poi, quando restavo solo, perché a volte restavo solo in casa, c'era un cane, un bel cane nero che si chiamava Jó, un bastardo intelligentissimo al quale leggevo le mie poesie esoteriche, quel cane, ne sono certo, era la reincarnazione di una divinità dell'antico Egítto, lui raspava con la zampa sul pavimento e mi dettava la misura del verso, e con quella scansione animalesca e divina io scandivo il metro delle mie poesie, trasformandole in musica. Poi andavo a sedermi sul terrazzo e guardavo la baia, guardavo le barche dei pescatori che tornavano all'imbrunire, sentivo le voci dei marinai che si chiamavano allegramente fra di loro, respiravo l'odore del catrame e delle reti da pesca, e tutto era bello e antico, e così mi sono curato, ho dimenticato la morte e ho ricominciato a vivere.

Anch'io ho dimenticato la morte, disse António Mora, perché ho letto il paterno Lucrezio che insegna il ritorno della vita nell'Ordine della Natura, e ho capito che tutti gli atomi che ci compongono, queste particelle infinitesimali che sono il nostro corpo di ora, dopo torneranno nel ciclo eterno e saranno acqua, terra, fertili fiori, piante, la luce che dà la vista, la pioggia che ci bagna, il vento che ci scuote, la neve candida che ci avvolge col suo manto in inverno. Noi tutti ritorneremo qui sulla terra, o grande Pessoa, nelle innumerevoli forme che vuole la Natura, e forse saremo un cane, chiamato Jó, un filo d'erba o le caviglie di una giovane inglese che guarda stupita una piazza di Lisbona. Ma la prego, è presto per partire, resti ancora un po' fra noi, in quanto Fernando Pessoa.

Pessoa appoggiò una guancia sul cuscino e fece un sorriso stanco. Caro António Mora, disse, Proserpina mi vuole nel suo regno, è ora di partire, è ora di lasciare questo teatro d'immagini che chiamiamo la nostra vita, sapesse le cose che ho visto con gli occhiali dell'anima, ho visto i contrafforti di Orione, lassù nello spazio infinito, ho camminato con questi piedi terrestri sulla Croce del Sud, ho attraversato notti infinite come una cometa lucente, gli spazi interstellari dell'immaginazione, la voluttà e la paura, e sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei grandi boulevards delle capitali dell'Occidente, sono stato il placido Buddha dell'Oriente del quale invidiamo la calma e la saggezza, sono stato me stesso e gli altri, tutti gli altri che potevo essere, ho conosciuto onori e disonori, entusiasmi e sfinimenti, ho attraversato fiumi e impervie montagne, ho guardato placide greggi e ho ricevuto sul capo il sole e la pioggia, sono stato femmina in calore, sono stato il gatto che gioca per strada, sono stato sole e luna, e tutto perché la vita non basta. Ma ora basta, mio caro António Mora, vivere la mia vita è stato vivere mille vite, sono stanco, la mia candela si è consumata, la prego, mi dia i miei occhiali.

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