Copertina
Autore Pietro Tarallo
Titolo Messico
EdizioneWhite Star, Vercelli, 2006 [1997], Il segno della storia , pag. 128, ill., cop.ril.sov., dim. 23,5x28,8x1,6 cm , Isbn 978-88-540-0482-5
LettoreGiovanna Bacci, 2007
Classe paesi: Messico
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Indice


Introduzione                                14

Civiltà misteriose da scoprire              30

Armonie barocche e grattacieli sul mare     66

Una natura incontaminata                   104



 

 

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Pagina 15

INTRODUZIONE


"Era indomito il Messico, indomito e resistente; ed era un popolo che viveva senza speranza, disinteressato. Gaio anche, ridente nella sua indifferenza... Quei meravigliosi indigeni! Erano così sereni e belli perché adoravano la morte, perché adoravano Moloch? La loro accettazione della morte, la loro intrepida accettazione del nulla, era questo che li rendeva così inflessibili e disinteressati"? Così scriveva, nel 1926, David Herbert Lawrence (1885-1930) nel suo romanzo "Il serpente piumato", opera fra le più belle dello scrittore inglese, ambientata in un Messico affascinante e selvaggio, che testimonia come tanta simbologia arcaica permanga immutata attraverso i secoli e come questi popoli siano legati al loro passato da un indissolubile sortilegio. Ma il "Serpente piumato", ossia il dio terrifico Quetzalcoatl, è anche un simbolo di grande importanza nelle civiltà precolombiane in quanto rappresenta l'unione tra cielo e terra.

La vita e la morte. Il piacere e il dolore. La ricchezza e la miseria. La felicità e la tristezza. Il sorriso e il pianto. L'allegria e la malinconia. Il benessere e la fame. La gioia e l'afflizione. La fortuna e la disgrazia. Tutto questo in Messico rappresenta le facce speculari della stessa medaglia, il dritto e il rovescio di un destino arcano voluto da imperscrutabili divinità antiche, ma anche da quelle più recenti: gli dèi dell'Olimpo precolombiano, assetati di sangue e crudeli, la Trinità e i Santi del Paradiso cattolico, ieratici e compassionevoli, imposti con la Croce e con la spada.

Quella del Messico è una storia senza tempo, fitta di misteri e tempestata di dolori, iniziata circa 65 milioni di anni fa: arco di fuoco, impastato di lava incandescente e lapilli, il territorio messicano si formò infatti durante l'era Cenozoica. Si verificarono allora le immani eruzioni responsabili dell'emersione della massa continentale e dei corrugamenti che, successivamente, costituirono i sistemi montuosi laterali e meridionali. Retaggio di quel turbolento passato geologico sono gli innumerevoli coni vulcanici (più di 100) che dominano ancora oggi le maggiori cime della Sierra Madre Occidentale, a ovest, e della Sierra Madre Orientale, a est, che racchiudono l'Altopiano Messicano. Le due catene montuose longitudinali, prolungamento naturale delle Montagne Rocciose, vanno progressivamente avvicinandosi verso sud sino a saldarsi a sud-est di Puebla nei massicci della Sierra Madre del Sur.

Questo è il cuore del Paese, là dove svettano i vulcani Popocatépetl e Iztaccíhuatl, l'uno alto 5432 metri, l'altro 5286 ma non meno imponente. Nelle regioni meridionali, invece, la Cordigliera si abbassa improvvisamente fino a toccare i 219 metri dell'istmo di Tehuantepec. Più a sud si estendono la regione montuosa del Chiapas, il lagunoso bassopiano del Tabasco e la piatta penisola carsica dello Yucatàn, appartenenti geologicamente già all'America Centrale. Il Messico è come una gigantesca "falce di luna" che si inarca dagli Stati Uniti fino al Belize e al Guatemala: un territorio sterminato (1.972.547 kmq), racchiuso fra il Tropico del Cancro e il Mare dei Caraibi, l'Oceano Pacifico e il Golfo del Messico. Paese spettacolare, dove la natura nel corso dei millenni ha creato ambienti e paesaggi di incomparabile bellezza.

Quello che stupisce, in particolare, è la varietà incredibile della vegetazione, complessa e multiforme. In Messico sono infatti censite 30.000 specie di piante e di fiori, tra cui 1000 diverse orchidee, mentre il 22% della superficie totale è ricoperto da boschi e foreste.

Le regioni asciutte e semidesertiche della Baja California, la lunga penisola che si incunea nell'Oceano Pacifico, e quelle dell'Altopiano Settentrionale sono caratterizzate da steppe con piante xerofite: diffusissimi sono i cactus (famosi quelli "a candelabro"), le yucche, le opunzie, le mamillarie e gli arbusti spinosi. Le zone dell'Altopiano Centrale sono più verdeggianti, ricoperte da boschi di pini silvestri, conifere di diverse specie e querce. A sud si estende la foresta tropicale, un mondo verde avviluppato dalle liane, fatto di palme, cedri, banani, felci arboree, orchidee. Endemici sono la sapotiglia (conosciuta anche come "pianta del chicle'), che produce un lattice utilizzato anche per preparare il chewing-gum, e la ceiba, albero maestoso dalla corteccia liscia e grigia. Il bassopiano del Tabasco, in buona parte paludoso, conserva vaste foreste tropicali umide, mentre nello Yucatàn prevalgono quelle asciutte e le savane.

Anche la fauna è lo specchio fedele della singolare posizione geografica del Messico. Proprio perché non esiste una barriera ecologica in senso stretto, la fauna ha potuto stanziarsi in tutte le regioni del Paese in maniera uniforme, dando vita a connubi spesso sconcertanti: accanto a orsi, linci, lupi, coyote, castori e cervi, vivono giaguari, puma, tapiri, armadilli, formichieri e scimmie. Nelle lagune e nelle paludi vi sono alligatori, testuggini, iguane e ben 267 varietà di anfibi.

Numerosissime sono le specie di uccelli (1424) fra cui cormorani, pellicani, oche selvatiche, aironi, fenicotteri e ben 50 varietà di colibrì. Non mancano i rettili (685), come il potente boa constrictor, che può raggiungere la lunghezza di sei metri, e i velenosissimi serpenti a sonagli, di cui esistono ben 13 specie. Per proteggere questo importante patrimonio naturale sono stati creati 44 parchi nazionali, 2 parchi marini e 24 riserve della biosfera, per un totale di 8 milioni di ettari. Lungo le coste, fra lagune ed estuari, con un buon binocolo e molta pazienza si possono ammirare uccelli, anfibi e balene; in particolare, quelle degli Stati di Sinaloa, Baja California, Guerrero, Nayarit, Chiapas, Tabasco e Yucatàn sono ricche di riserve e parchi naturali, visitati ogni anno da migliaia di turisti estasiati dalla superba bellezza di tali scenari. Assai più difficile è penetrare nelle giungle del Quintana Roo, del Chiapas e di Veracruz. Sulla Sierra di Chihuahua, nello Stato di Durango e nei deserti del nord occorre preventivare alcuni giorni di vere e proprie spedizioni per ammirare puma e linci.

Appuntamenti da non perdere sono, in inverno, il passaggio delle balene al largo delle coste della Baja California e, da novembre a marzo, la migrazione di 250 milioni di farfalle Monarca che dal Canada arrivano nella riserva El Rosario, nello Stato di Michoàcan, vicino a Valle de Bravo, a ovest di Città del Messico.

Tuttavia, ancor più della natura, sono soprattutto le antiche civiltà ancora avvolte nel mistero che rendono intrigante questo Paese. I più antichi insediamenti messicani risalgono a 22.000 anni fa: si trattava con ogni probabilità di popoli appartenenti alla grande migrazione che dalla Siberia si mosse alla volta dell'America, attraverso lo Stretto di Bering, per poi scendere verso sud. Un flusso ininterrotto, terminato intorno all'8000 a.C.. Una volta insediatisi, questi popoli diedero vita a fiorenti civiltà che crearono centri urbani dí grande bellezza e sistemi sociali complessi molto progrediti. Nel Messico centrale e meridionale, intorno al 1200 a.C., si sviluppò la grande civiltà degli Olmechi, gli uomini della terra del caucciù: i centri più importanti sono San Lorenzo (che sorse a partire dal 1200 a.C. nei pressi di Acayucan, nello Stato di Veracruz) e La Venta (nello Stato di Tabasco, la cui fondazione risale all'800 a.C.). Di questi siti archeologici si perse addirittura la memoria, tanto che le monumentali sculture in basalto raffiguranti enigmatici volti dall'espressione corrucciata vennero scoperte solo nel 1939.

Gli Olmechi furono gli artefici della prima civiltà organicamente strutturata, che influenzò quelle successive anche per quanto riguarda la religione, tanto che le loro divinità principali - il bambino-giaguaro dio della pioggia, il serpente piumato, il dio del fuoco e il dio del mais - divennero parte del pantheon azteco.

Dall'altra parte del Messico, a Monte Albàn, nel 300 a.C., gli Zapotechi fondarono la città più popolata del tempo, che giunse a contare 10.000 abitanti. Tipici di questa civiltà sono i bassorilievi dei cosiddetti danzantes, enigmatiche figure che spesso hanno somiglianze nell'espressione del volto con le sculture olmeche.

Sicuramente gli Zapotechi conoscevano la scrittura e il computo del tempo e, assieme agli Olmechi, diedero un notevole contributo artistico, architettonico e religioso allo sviluppo delle altre culture mesoamericane. In particolare, la piramide a piani sovrapposti, sovrastata dal tempio, che venne edificata proprio a Monte Alban, diventerà un elemento architettonico tipico di tutto il Messico precolombiano. Essa rappresentava il luogo deputato di cerimonie sacre, riunioni sociali, sacrifici, giochi rituali e danze.

Paragonati ai Greci per le sofisticate conoscenze astronomiche, matematiche e scientifiche, ai Romani per le capacità costruttive e per la rete dei canali di irrigazione, agli Egizi per i templi a forma di piramide, ai Fenici per l'abilità dei loro marinai e i commerci via mare, i Maya rimangono però ancora avvolti nel mistero e la loro origine è tutt'oggi al centro di innumerevoli speculazioni. Gli storici ritengono che si siano sviluppati nella regione del Petén, nel Belize e infine nello Yucatàn a partire dal 2000 a.C; dal 250 a.C. fino al 900 d.C. la cultura maya raggiunse il suo massimo splendore.

Fu l'epoca delle grandi piramidi-tempio, dei palazzi sontuosi e della rete viaria lunga più di 3000 chilometri. Dinastie ereditarie, ritenute discendenza diretta degli dèi, governavano le popolose e ricche città (più di 4000) sorte in un'area assai vasta, che dallo Yucatàn arrivava fino all'Honduras, al Belize, al Guatemala e all'El Salvador; città che diedero vita a un "impero" forte e potente, suddiviso in moltissimi regni indipendenti. Poi, improvvisamente così come erano apparsi, verso l'inizio del X secolo d.C. i Maya andarono incontro a un rapidissimo declino. Gli archeologi propongono diverse teorie. La terra divenuta improduttiva, perché troppo sfruttata, negò quel mais che i Maya avevano divinizzato: così, terribili carestie e pestilenze, seguite a un rapido incremento demografico, li avrebbero distrutti. Altri sostengono che si sterminarono fra loro, una volta incrinatosi il sistema politico legato agli equilibri fra città e città.

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Oggi gli Estados Unidos Mexicanos sono una repubblica federale presidenziale, di cui fanno parte 31 Stati e un distretto federale, che comprende la capitale, Città del Messico. Ogni Stato dispone di un'ampia autonomia, ciascuno con propri governatore e assemblea elettivi e una propria costituzione.

Il 2000 è stato un anno particolare per la politica messicana: dopo 71 anni di governo ininterrotto, infatti, il Partito Rivoluzionario Istitituzionale ha ceduto il passo al Partito d'Azione Nazionale, pur restando una forza importante all'interno del Paese.

Nell'immaginario collettivo il Messico non è solo natura e grandi civiltà, ma anche un cocktail esplosivo i cui ingredienti sono le vestigia coloniali, i mariachi (i suonatori dai grandi sombreros che cantano romantiche canzoni d'amore), il sole, le spiagge, la tequila (il liquore che incendia il palato), gli indios, le senoritas dai languidi occhi neri e i machos dai capelli lucidi di brillantina. Un Messico affascinante, tutto da scoprire nel corso di un viaggio che per forza di cose deve aver inizio dalla sua caotica, folle, incredibile capitale, Mexico City, "el Monstruo".

Con ventidue milioni di abitanti è la seconda megalopoli del mondo dopo Tokyo, una brulicante distesa di palazzi e strade senza fine capace di riservare inedite sorprese: i resti di un tempio azteco, il Tempio Mayor, nel cuore del suo tessuto urbano; cattedrali barocche che si ergono a pochi metri da giganti in cemento armato; il Museo di Antropologia, la più completa raccolta al mondo di reperti preispanici; le opere dei più famosi muralisti, da Ribera a Orozco, che ornano le facciate e gli interni di innumerevoli palazzi pubblici; le oasi verdi, ordinate e surreali di San Angel, Coyocàn, Zona Rosa, che si aprono nel bel mezzo di un delirio architettonico senza capo né coda. Tutto attorno si sgranano le maggiori Ciudades Coloniales, fondate dai conquistadores a partire dalla metà del Cinquecento, impreziosite da palazzi nobiliari, monasteri e superbe cattedrali adornate dagli indios secondo i modelli stilistici in voga nella Spagna del tempo, ma rivisitati secondo la propria sensibilità. Ecco allora Tepotztlàn, dove il Convento di San Francesco Saverio rappresenta un valido esempio di arte coloniale; Morelia, la cui cattedrale è una testimonianza splendida della Nueva Espana; Querétaro, con le maestose arcate dell'acquedotto settecentesco; San Miguel de Allende, gioiello d'arte barocca; Guanajuato e le sue miniere d'argento; Guadalajara, con i suoi charros, i cowboy messicani; Zacatecas, con i palazzi e le chiese impreziosite da delirio churrigueresco, Io stile architettonico tutto messicano ridondante di decorazioni e di fregi. Splendide e preziose bellezze di un Messico che incanta comunque e sempre.

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