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| << | < | > | >> |IndicePresentazione di Fulco Pratesi 5 I mammiferi 7 I carnivori 12 Gli orsi 16 Gli orsi nel mondo 19 L'Orso bruno in Europa 25 Gli orsi nel Plio-Pleistocene in Italia (di R. Sardella) 28 L'Orso bruno in Italia 31 La biologia dell'Orso bruno in Italia 39 La conservazione dell'Orso bruno 57 Come conservare l'Orso bruno in Italia 64 La gestione dei conflitti tra l'uomo e l'Orso bruno: un problema di convivenza 66 Epilogo 68 Letture consigliate 69 Appendice (di F. Cardini) 70 L'orso: una belva nell'immaginario medievale Note 78 Ringraziamenti 79 Illustrazioni 81 |
| << | < | > | >> |Pagina 7L'Orso è un mammifero: una parola che spiega poco, se non si ha un'idea almeno vaga delle caratteristiche di questo grande gruppo di animali. Durante una escursione scolastica in un'area protetta dell'Appennino centrale, una bambina, alla domanda "Che cosa è un mammifero?", diede la seguente, tenera, risposta: "I mammiferi, sono gli animali che hanno la mamma!". Al di là della ingenuità della risposta, nella semplice associazione fra le due parole (mamma e mammifero), quella bambina aveva colto una delle caratteristiche fondamentali dei mammiferi. Le femmine di tutti i mammiferi, infatti, partoriscono direttamente la propria prole, senza deporre uova (o ricorrere ad altre forme di riproduzione, in verità, non molto comuni nel mondo animale); i mammiferi, fin dalla nascita, sono in grado di percepire la realtà intorno a loro e, quindi, tutti i cuccioli hanno sempre modo di conoscere la "mamma" che li ha generati e che, proprio in quel momento, è lì vicino a loro. Dopo la nascita segue, tipicamente nei mammiferi, un periodo più o meno lungo di allattamento, nutrizione e svezzamento, che consolida il rapporto fra la madre ed i suoi figli. L'insieme di comportamenti che ha inizio con la nascita della prole e si conclude con lo svezzamento, viene complessivamente indicato come "cure parentali". L'esistenza di una stabile e riconoscibile interazioni fra genitori e figli, con la presenza di latte, mammelle e muscoli facciali specializzati (indispensabili per succhiare il latte efficacemente), costituisce un aspetto tipico dei mammiferi che, seppur molto suggestivo, non rappresenta però un carattere sufficiente per discriminare con certezza i mammiferi e per poterli così distinguere dagli altri animali. Esistono molte altre caratteristiche, più o meno evidenti che consentono di descrivere con una certa precisione un mammifero; ci soffermeremo però solo sulle particolarità più notevoli o curiose. | << | < | > | >> |Pagina 35L'Orso bruno dell'AppenninoL'Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) rappresenta uno degli elementi di maggior fascino e rilevanza fra le ricche risorse ambientali (e storiche) dell'Appennino Centrale. Come spesso è accaduto per altre specie di orsi, anche per l'Orso marsicano i ricercatori hanno dibattuto non poco sul reale significato tassonomico di questa specie. Il primo studioso che descrisse l'Orso marsicano, considerandolo una entità diversa da quelle sino ad allora conosciute, fu Giuseppe Altobello nel 1921. Giuseppe Altobello, medico e naturalista nato ad Isernia, che a cavallo tra Ottocento e Novecento indagò la fauna dell'Abruzzo e del Molise, ci ha lasciato un importante compendio sulla fauna delle due regioni e, nel volume dedicato ai carnivori, afferma testualmente: Il nostro Orso è sempre di colorito bruno-marrone, lavato di chiaro sulla testa, sul collo e sul dorso con arti decisamente bruni; le femmine hanno colorito più slavato sul corpo; i piccoli ancora più chiaro, tali da assumere una colorazione nocciola. Il pelo è ispido e ruvido negli adulti e morbido e lanoso nei giovani e nei piccoli. Trovo differenze notevoli col comune Orso bruno, specialmente nei denti e nelle ossa del cranio (...)
Ci troviamo quindi dinanzi ad una forma che differisce dalla specie tipo e
che essendo già stata chiamata comunemente Orso d'Abruzzo, può scientificamente,
per la regione che attualmente abita, nominarsi: Ursus arctos marsicanus
Purtroppo, il metodo utilizzato dallo studioso molisano non era all'altezza delle sue intuizioni ed egli non indicò, come impone la prassi dei tassonomi, quali erano esattamente i crani sui quali egli aveva condotto studi e misure. La sua scoperta dovette attendere oltre 70 anni prima di venir definitivamente perfezionata ed accettata dalla comunità scientifica internazionale. | << | < | > | >> |Pagina 39Le caratteristiche fisiche e struttura scheletrica Le dimensioni dell'Orso bruno sono piuttosto variabili: il peso medio nelle popolazioni italiane si aggira intorno ai 130 Kg nei maschi e circa 90 Kg nelle femmine, nemmeno troppo, se si considera che un Orso adulto può superare i 2 metri di altezza. L'Orso bruno è interamente ricoperto da una folta pelliccia di colore variabile dal marrone chiaro al bruno scuro, la colorazione può essere uniforme oppure variare in alcune parti del corpo, in genere le zampe, che possono assumere tonalità più scure. La pelliccia è formata da due tipi di peli diversi: al primo tipo appartengono peli lunghi fino a 15 cm, piuttosto rigidi e dritti, distribuiti abbastanza uniformemente sul corpo e che svolgono, principalmente, una funzione protettiva. Il secondo tipo di peli è a diretto contatto con l'epidermide; si tratta di peli corti, arricciati, lanuginosi, molto fitti ma distribuiti non uniformemente sul corpo: sono infatti presenti soprattutto nelle zone più esposte al freddo e rappresentano una efficace barriera contro la dispersione del calore. Abbastanza simili al primo tipo, anche se più corti e duri, sono i peli che crescono sotto le zampe fra i polpastrelli e la pianta. L'Orso bruno compie la muta del pelo ogni anno: durante l'estate il pelo invernale cade e viene sostituito da una nuova pelliccia che sarà completamente rinnovata solo durante l'autunno. Anche se la pelliccia in qualche maniera enfatizza la mole dell'Orso bruno, questo grande carnivoro ha comunque una struttura tozza e massiccia, da un punto di vista scheletrico le zampe risultano relativamente corte; il piede è largo e ben piantato, da plantigrado e le zampe sono dotate di unghioni lunghi e robusti, adatti a scavare e a divellere. La cassa toracica è molto ampia, le costole sono tutte saldate, o collegate da cartilagine, allo sterno, la colonna vertebrale si presenta molto robusta soprattutto nell'area cervicale, le vertebre della coda sono, invece, piccole e rudimentali. Come la maggior parte degli appartenenti all'Ordine dei Carnivori, l'Orso bruno possiede il baculum, un osso penico di forma cilindrica lungo circa 10 centimetri e inserito nel membro maschile. Il cranio rappresenta l'elemento di maggior compattezza, è abbastanza sviluppato in lunghezza ed è formato da ossa spesse, dotate di creste adeguate all'inserzione di muscoli poderosi. La forma e la struttura del cranio, benché massicce, non lasciano molto spazio al cervello; la capacità cranica è di circa 350 cm3, circa 1/3 della capacità del cranio umano. La dentatura è piuttosto singolare per un carnivoro. Infatti, l'Orso bruno possiede, complessivamente, 36-38 denti (variabile in funzione degli esemplari) nell'età adulta, i giovani, fino a circa 15 mesi, hanno denti non definitivi in numero minore (32), così come avviene nella specie umana. La dentatura definitiva risulta così ripartita: nella mascella 6 incisivi, 2 canini, 6 premolari e 4 molari e nella mandibola 6 incisivi, 2 canini, 4 (o 6) premolari. Soprattutto i molari ed i premolari non hanno le caratteristiche tipiche dei carnivori: i molari sono relativamente larghi, piatti e tubercolati sulla superficie, i denti ferini (ultimo premolare superiore ed il primo molare inferiore) non sono conformati come nei carnivori più tipici ed hanno perso la caratteristica di tagliare scorrendo l'uno sull'altro. Chiaramente, tutto questo suggerisce che l'Orso bruno ha una dieta onnivora: i denti possono frantumare e masticare, anche se la ridotta mobilità della mascella non consente i movimenti laterali di "macinamento".
Il sistema digerente dell'Orso bruno, nel corso dell'evoluzione di
questa specie, ha mantenuto le caratteristiche più tipiche dei carnivori: lo
stomaco è monogastrico (non contiene, cioè, cavità separate come avviene, ad
esempio, nei ruminanti), allungato e non adatto per una sosta prolungata del
cibo, l'intestino è abbastanza breve
e non è differenziato. Questo implica che l'Orso non è in grado di
sviluppare una digestione efficace ed è costretto ad assumere grandi quantità di
cibo dalle quali riesce a trarre però solo una piccola
quantità di energia.
I sensi dell'Orso bruno L'olfatto è certamente il senso maggiormente sviluppato nell'Orso bruno; questi animali riescono a percepire odori di cibo da grandissime distanze e con grande precisione possono localizzare, ad esempio, carcasse di animali morti. Questa qualità è così sviluppata da imporre ai turisti che frequentano aree remote a grande densità di Orsi bruni (ad esempio l'Alaska o la Siberia Orientale), di campeggiare in zone molto lontane dai luoghi dove si consumano i pasti, di lavarsi accuratamente e cambiarsi, prima di prepararsi per trascorrere la notte, e di lasciare il cibo in contenitori ermetici, magari colorati e ben visibili, ma irraggiungibili dagli orsi: sugli alberi o sotto terra. L'Orso bruno, infatti, dopo aver "fiutato" una pista odorosa, e specie se molto affamato, non esiterebbe a metter a soqquadro un campo, nutrendosi poi di quanto vi è di commestibile (turisti compresi...). La vista sembra essere uno dei sensi meno utilizzati, anche in considerazione del fatto che l'Orso bruno possiede un occhio abbastanza piccolo e non mostra, almeno in cattività, un grande interesse visivo; bisogna però ricordare che in qualche contesto di predazione, gli orsi fanno invece un totale affidamento su questo senso. Si pensi, ad esempio, alle popolazioni di Orso bruno in Nord America, che, occasionalmente nel corso dell'anno, si nutrono dei salmoni in risalita verso le aree di riproduzione: gli orsi sono in grado di catturare con grande precisione i pesci mentre questi risalgono le rapide di fiumi; la cattura viene effettuata "al volo", in un ambiente e con modalità tali che l'olfatto non può che fornire un contributo assai marginale. Non esistono esempi analoghi per i "nostri" orsi, ma non c'è motivo di credere che le cose in Europa siano diverse.
Rispetto all'uso dei sensi sarebbe forse meglio dire che, essendo
l'Orso un animale prettamente forestale, esso trascorre gran parte
del tempo in tipi di habitat in cui la vista, a causa della copertura
vegetale continua, non risulta essere di grande aiuto; questo può
portarlo ad usare preferenzialmente l'olfatto che non viene penalizzato da
elementi fisici di disturbo, quali possono essere gli alberi.
Riproduzione e sviluppo Gli orsi sono animali a crescita relativamente lenta: raggiungono l'età adulta e la maturità sessuale intorno ai 4 anni di vita e, almeno le femmine, possono cominciare a procreare anche a questa età. Per i maschi la "vita" è più difficile, in quanto per poter accoppiarsi è, solitamente, necessario sostenere dei combattimenti con altri individui dello stesso sesso, scontri nei quali prevalgono, per forza ed esperienza, gli esemplari più maturi. L'estro rappresenta il periodo dell'anno durante il quale le femmine sono in grado di accoppiarsi e corrisponde anche al periodo di maggiore attività sociale per gli orsi. L'Orso bruno è un animale solitario che non tollera, nel territorio che frequenta con maggiore regolarità, la presenza di altri individui, siano maschi o femmine; occasionalmente, soprattutto in condizioni di disponibilità di cibo sovrabbondante (ad esempio nel caso di fonti di alimentazione artificiali), può capitare che alcuni individui si ritrovino nella medesima località senza che nascano scontri. Ma quando una femmina va in calore, i suoi messaggi olfattivi cominciano a diffondersi nella foresta, l'interesse dei maschi per l'accoppiamento supera qualsiasi divisione territoriale e gli incontri e gli scontri fra maschi possono divenire frequenti e cruenti. Questo è spiegato anche dal fatto che, essendo l'Orso bruno un animale scarsamente sociale, non ha evolutivamente acquisito dei comportamenti ritualizzati, ad esempio di sottomissione o dominanza (come avviene, ad esempio, nel lupo e nel cane); quindi, non essendoci un linguaggio di relazione, i conflitti si risolvono solo sul piano fisico e i combattimenti, pur essendo finalizzati esclusivamente all'allontanamento dell'avversario, sono piuttosto brutali. In generale, il maschio che raggiunge per primo la femmina, se le è gradito, trascorre con essa alcuni giorni; il primo periodo di "convivenza" ha lo scopo di far abituare la femmina alla presenza del partner che, nel frattempo, può essere impegnato a scoraggiare, con comportamenti aggressivi, l'arrivo di qualche rivale. Nel momento in cui la femmina sembra essersi abituata alla presenza del maschio, possono cominciare gli accoppiamenti, per i quali è la femmina a stabilire modalità e frequenza: gli atti possono essere ripetuti nel corso della giornata e durare per alcuni giorni. I preliminari includono alcuni comportamenti codificati: esiste una forma di comunicazione gestuale e vocale fra i due sessi e la femmina può rimanere immobile invogliando il maschio con particolari vocalizzi, oppure può avvicinarsi molto e strofinarsi a lui assumendo le posizioni che favoriscono l'accoppiamento. Solo raramente sono stati osservati atteggiamenti di sottomissione della femmina nei confronti di maschi particolarmente aggressivi. L'accoppiamento dura abbastanza a lungo, da 10 a 20 minuti, durante i quali i due orsi rimangono legati in una sorta di abbraccio: il maschio copre la femmina da dietro, e fra i due animali ha luogo anche uno scambio di morsi simulati, i quali hanno lo scopo, come avviene in altri mammiferi, di inibire l'aggressività reciproca. Il motivo di un amplesso prolungato risiede probabilmente nel fatto che, così come avviene in altri carnivori, l'ovulazione è favorita dall'accoppiamento e, quindi, solo un contatto protratto nel tempo può garantire un buon successo riproduttivo. L'evoluzione ha dunque favorito i soggetti di questa specie naturalmente in grado di compiere una copula prolungata, a scapito degli individui, sia maschi sia femmine, più "sbrigativi". Gli accoppiamenti avvengono in genere all'inizio dell'Estate, dopo la conclusione dell'estro, maschio e femmina si separano e proseguono le proprie vite solitarie. Gli Orsi bruni non sembra siano animali monogami, anche in considerazione del fatto che, poiché il maschio non partecipa alle cure parentali, non avrebbe molto senso, da un punto di vista evolutivo e riproduttivo, mantenere un partner fisso senza che questo possa tradursi in un reale vantaggio per la coppia. Sembra dimostrato che entrambi i sessi possano avere più partner nel corso di una singola stagione riproduttiva e questo favorisce, nella stessa cucciolata, la presenza di orsetti con padri diversi. L'ovulo fecondato si impianta nell'utero solo dopo qualche mese, cioè a dire che lo sviluppo embrionale, pur se avviato al momento dell'accoppiamento, non procede in maniera continua: la suddivisione cellulare può interrompersi per un periodo di circa cinque mesi alla fine del quale si avvia lo sviluppo embrionale vero e proprio, per questo si dice che l'impianto è differito (rispetto al momento della fecondazione). Questo adattamento presenta notevoli vantaggi: il periodo di gestazione si può svolgere quasi interamente durante il letargo che l'Orsa trascorre al sicuro in una tana; durante l'estate l'Orsa non subisce alcuna limitazione nella mobilità e nella funzionalità generale ed è esposta in maniera minore a perdite del feto causate da traumi e stress: inoltre, in caso di carenze alimentari particolarmente gravi, tali da non consentire un accumulo di grasso sufficiente per il parto, il processo può interrompersi senza gravi conseguenze per la madre. L'effettivo sviluppo del feto, a fronte di una gestazione complessiva di circa otto mesi, avviene quindi in un tempo relativamente breve, meno di tre mesi. Il parto avviene all'interno della tana in febbraio e generalmente nascono due cuccioli, più raramente tre, molto piccoli: raggiungono raramente i 400 grammi di peso. Questo elemento favorisce un parto non molto traumatico e presenta il vantaggio che i cuccioli possono essere nutriti con un dispendio energetico per la madre proporzionato alla loro piccola taglia. I nuovi nati trascorro ancora qualche tempo (circa 2 mesi, in funzione della stagione) nella tana, allattati e stabilmente mantenuti al caldo dalla madre che li tiene vicino e li lecca, in modo da tenerli ben caldi. Alla nascita i cuccioli sono ricoperti da una leggera peluria che tende col tempo a trasformarsi in una folta pelliccia. Lo svezzamento e lo sviluppo procedono abbastanza rapidamente ed i piccoli orsi riescono a decuplicare il proprio peso in poche settimane. A Primavera inoltrata i cuccioli lasciano la tana e cominciano a seguire regolarmente la madre nei suoi spostamenti; gli orsetti ora hanno una dentatura completa, anche se provvisoria, e sono perfettamente autonomi, anche se non autosufficienti, e dipendendo ancora dalla madre per quanto riguarda il cibo. Le cure parentali prevedono anche una intesa e lunga fase di trasmissione "culturale", durante la quale i cuccioli imparano dall'esperienza della madre informazioni utilissime sul cibo, sull'uso degli habitat, sulla geografia del proprio territorio, sulla disponibilità d'acqua e di risorse alimentari. Per circa un anno e mezzo i cuccioli rimangono legati alla madre e con lei trascorrono anche il letargo che coincide con il compimento del loro primo anno di vita; solo con l'Estate successiva gli orsetti cominceranno ad essere completamente indipendenti, cercando di mangiare abbastanza e di accumulare il grasso sufficiente per trascorre l'incipiente autunno in una tana tranquilla. Lo sviluppo procede regolarmente negli anni seguenti ed il massimo vigore viene raggiunto intorno ai 10 anni di vita, a questa età le femmine sono ormai esperte ed i maschi sono abbastanza poderosi da soverchiare gli avversari e quindi riprodursi con successo.
L'Orso bruno, in assenza di interferenze umane quali il bracconaggio, di
solito muore di vecchiaia o a causa di cause fortuite, essendo abbastanza grande
da non temere predatori naturali; la dieta
onnivora gli consente di non dipendere dalla predazione attiva ed
anche un Orso bruno vecchio e malandato, di oltre 20 anni, grazie
alla fame ed all'esperienza può trovare di che sfamarsi nella foresta. Da questo
punto di vista l'Orso bruno può essere considerato
un animale tendenzialmente longevo, per il quale l'aspettativa di
vita massima, se così si può chiamare, è di circa 25 anni.
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