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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 7 Introduzione 11 1. Tre proposizioni sulle culture dell'informazione 17 2. Dinamica del network 57 3. Lavoro libero 101 4. Soft control 133 5. Il biopotere della comunicazione 173 Bibliografia 207 Glossario 218 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Questo libro tratta (tra le altre cose) d'informazione ed entropia, di cibernetica e termodinamica, di mailing list e talk show, dell'Umma elettronica e di teoria del caos, di web rings e web logs, di mobots (robot mobili), automi cellulari e della New Economy, di programmazione open source e di reality tv, di masse e moltitudini, di management della comunicazione e di guerra dell'informazione, di movimenti politici di rete, di architettura aperta, di flussi d'immagine e dell'interazione degli affetti e dei significati nella costituzione del comune. È un libro cioè su una formazione culturale, la cultura network, che sembra essere caratterizzata da un'inedita abbondanza di produzione informativa e da un' accelerazione delle dinamiche informatiche. In questo senso è un libro sul sovraccarico informativo (information overload) e su come si possa iniziare ad attraversarlo col pensiero. Vista l'abbondanza, l'accelerazione e il sovraccarico assoluto che costituisce la cultura globale contemporanea si è reso necessario assemblare e reinventare un metodo capace di rendere questa sconcertante variabilità intelligibile senza farsene sopraffare. Questo metodo ha privilegiato i processi sulla struttura e i processi non lineari su quelli lineari e ha così facendo attinto largamente dalla fisica e dalla biologia, dalla programmazione informatica e dalla cibernetica, ma anche dalla filosofia, dal pensiero sociologico e culturale (da Baudrillard a Lucrezio, da Deleuze a Guattari a Stuart Hall e Manuel Castells, da Michel Serres a Henri Bergson e Antonio Negri). Questo libro rimane soprattutto un tentativo di dare un nome a e stimolare la nostra comprensione di una cultura globale che si dispiega tanto in una molteplicità di singoli canali comunicativi quanto in un singolo ambiente informatico. Riuscire a pensare a qualcosa come ad una cultura del network, cioè una cultura comune a uno spazio di comunicazione reticolare, diseguale, complesso e globale, avere il coraggio di dare un nome a quell'assemblaggio eterogeneo che è la cultura globale contemporanea, implica innanzitutto provare a pensare simultaneamente il singolare e il molteplice, il comune e l'unico. Vista in primo piano e nel dettaglio, la cultura contemporanea (su tutte le scale dal locale al globale) appare un caleidoscopio di differenze e di impressionanti eterogeneità – ciascuna delle quali meriterebbe una riflessione puntuale e specifica. Eppure, piuttosto che presentarsi a noi in forma di frammenti distinti, ciascuno con la propria identità e struttura, queste differenze si mostrano sotto forma di strutture retiformi composte da formazioni culturali sovrapposte, reinvenzioni ibride, impollinazioni trasversali e variazioni singolari. È sempre più difficile pensare a specifiche formazioni culturali come entità distinte a causa della nostra consapevolezza della crescente interconnessione dei sistemi comunicativi. Non si tratta di speculare su un futuro dove «il nostro frigorifero parlerà alla nostra auto e gli ricorderà di comprare il latte prima di tornare a casa», ma di pensare in termini di un'interconnessione che non sia necessariamente meramente tecnologica. Si tratta di sottolineare una forte tendenza dei flussi informativi a risuonare al di fuori anche dei circuiti e canali più chiusi e quindi anche ad aprirsi ad un ambiente più grande. Ciò che per abitudine chiamiamo «messaggi mediatici» non viaggiano più da un emittente ad un destinatario, ma si dispiegano e interagiscono, si mescolano e si trasformano su un singolare (e tuttavia differenziato) piano informatico. L'informazione rimbalza da canale a canale e da medium a medium, cambia forma nel momento in cui viene decodificata e ricodificata dalle dinamiche locali, scompare o si propaga, amplifica o inibisce l'emergenza di relazioni di comunanza o antagonismo. Ogni produzione, o formazione culturale, cioè ogni produzione di senso e significato, è sempre più inseparabile dai più ampi processi informativi che determinano la diffusione di immagini e parole, suoni e affetti su un pianeta iperconnesso. Ma questo significa forse, come Paul Virilio ha recentemente suggerito seguendo la profezia di Albert Einstein, che una catastrofe intollerabile si è abbattuta sul pianeta e noi che oggi ne parliamo siamo le vittime di una esplosione informativa, di una bomba altrettanto distruttiva di quella atomica – la bomba informatica? L'informazione viene spesso descritta come un'entità corrosiva, addirittura distruttiva e maligna, che minaccia l'annientamento finale dello spazio-tempo e della materialità del corpo. Riecheggiando un sentimento diffuso, Virilio insinua che l'informazione è una forza capace di subordinare ogni differente durata locale alla sovra-determinazione di un tempo uniforme e di un unico spazio che è svuotato di ogni reale interazione umana. Da questo punto di vista, la cultura contemporanea è il luogo di una devastazione provocata dall'assordante rumore bianco dell'informazione, con la sua «violazione della linearità delle distanze e degli spazi temporali che in passato consentiva a ciascuno di vivere in un unico luogo relazionandosi faccia a faccia con altre persone e non attraverso la mediazione di una teleconferenza o dello shopping on line». Come si capirà dal libro, non penso si possa sostenere che questa dinamica informativa esprima semplicemente la nuova egemonia dell'«immateriale» sul materiale. Al contrario, se esiste un'accelerazione della storia e un annullamento delle distanze nell'ambiente informatico, essa rappresenta una distruzione creativa, un movimento produttivo che libera (piuttosto che semplicemente inibire) i potenziali sociali della trasformazione corporeale e incorporeale. In questo senso, una cultura della rete è inseparabile sia da un certo tipo di micro-fisica della rete (che è un processo fisico di differenziazione e di convergenza, di emergenza e di cattura, di apertura e di chiusura, di codificazione e di sovra-codificazione) sia da una micropolitica della rete (che implica l'esistenza di un intervento attivo nelle dinamiche dei flussi informatici). Il primo capitolo è un lungo confronto con la teoria dell'informazione e ha lo scopo specifico di capire meglio questa misteriosa entità fisica che ha iniziato a permeare il linguaggio e le pratiche della cultura contemporanea. Inizierà così col liberare il concetto di informazione da due pregiudizi che hanno effettivamente ostacolato la nostra comprensione delle dinamiche informative: l'idea che l'informazione sia «il contenuto di una comunicazione» e la nozione per cui l'informazione è «immateriale». Questa interpretazione della teoria dell'informazione (in particolare quella di Claude Shannon esposta nella ricerca del 1948 sulla «Teoria matematica della comunicazione») metterà in evidenza quegli aspetti dell'informazione che corrispondono o spiegano la dinamica informatica della cultura contemporanea (e quindi le torme della sua politica). Per questa ragione verranno formulate una serie di ipotesi che collegano la teoria dell'informazione ad una «cultura politica dell'informazione» si proverà a comprendere come questo cambiamento abbia trasformato e influenzato la cultura politica della rappresentazione (sia linguistica sia politica). Il rapporto tra concetti fisici come entropia e entropia negativa (negentropia), rumore e segnale, micro e macro, non linearità e indeterminatezza, porta alla produzione di una teoria non-immaterialista dell'informazione che potrebbe aiutarci a comprendere il «caos comunicativo» nel quale viviamo. Il secondo capitolo discute l'architettura delle reti e in particolare quella di Internet. In questo caso, Internet viene considerato un diagramma tecnico capace di sostenere lo sviluppo di uno spazio informatico influenzato dalle tendenze biofisiche dei sistemi aperti (come la tendenza alla produzione di divergenze, incompatibilità, e crescenti livelli di casualità e di disorganizzazione). L'ipotesi è che Internet non sia semplicemente un medium specifico ma la realizzazione dinamica di un progetto tecnico capace di sostenere l'apertura endemica dei sistemi. Il progetto di Internet (e i suoi protocolli tecnici) hanno anche prefigurato la costituzione di uno spazio elettronico neo-imperiale la cui principale caratteristica è l'apertura, ma anche la tendenza costitutiva all' espansione. Il capitolo esplora come la dinamica informatica rappresentata dalla filosofia del progetto di Internet venga attualizzata in una serie di figure topologiche e di sperimentazioni culturali come i fenomeni del blog, delle mailing list e dei web rings. Il terzo capitolo è un'indagine sul problema dell'«economia digitale» o «New Economy» (com'è ormai conosciuta). Il capitolo indaga in particolare il fenomeno del «lavoro libero» – la tendenza degli utenti a farsi coinvolgere attivamente nella produzione dei contenuti e del software per Internet. Le difficoltà inerenti al rapporto tra simili forme di produzione tecno-culturale volontaria e gratuita e la nostra comprensione del capitalismo contemporaneo costituirà il punto centrale di questo capitolo. Si seguiranno in particolare le suggestioni del marxismo postoperaista secondo il quale l'estensione della produzione alla totalità di un sistema sociale (la tesi della «fabbrica sociale») è collegata all'emergenza di un «general intellect» e di una «intellettualità di massa» evidenziando l'incapacità del capitale di assorbire la potenza creativa del lavoro che ha sguinzagliato con profitto. Il quarto capitolo è dedicato al problema del controllo dei sistemi caotici e auto-organizzati – un motivo ricorrente nella prima letteratura su Internet e teatro di veementi controversie tra le scienze umane e quelle naturali. Sviluppi recenti nella computazione biologica (come le ricerche sulla vita artificiale, le reti neurali e i robot mobili), implicano la produzione di una specie di «diagramma tecnico» del controllo che ha come contenuto la capacità produttiva autonoma di un grande numero di variabili interattive. Questo diagramma comporta l'interconnessione delle molte variabili; la decentralizzazione del comando; la modulazione delle regole locali e della condotta generale che va oltre quella specie di «selezione innaturale» di scopi ed obiettivi prefissati che catturano la potenza emergente e ricostituiscono l'individualità. Il capitolo sostiene che la dinamica dei flussi – una volta interpretata nei termini di un rapporto non lineare tra un grande numero di corpi semplici – è lontana dal costituire uno stato utopico di beatitudine pre-edipica, ma è diventata il campo operativo di un nuovo modo di controllo cibernetico (o soft control). Il quinto capitolo si rivolge infine alle implicazioni di tali ambienti informatici distribuiti ed interconnessi sulla nostra comprensione della dimensione politica della comunicazione. È ancora possibile parlare dei media come di una «sfera pubblica» in un'età di propaganda di massa, di oligopolio mediatico e di guerra dell'informazione? Il mondo si è veramente diviso tra un'opinione pubblica beneducata e connessa in rete e una massa passiva e manipolata dalla spazzatura televisiva? Il capitolo suggerisce che una riappropriazione delle proprietà della «massa» (o le implicazioni della «formazione di una massa») può aiutarci a districare le proprietà semantiche della comunicazione (le affermazioni significative che essa trasmette) da quelle intensive e affettive. Se la massa è un campo per la riproduzione degli affetti, essa non esclude ma include e avviluppa in se stessa la segmentazione di audience specializzate e la loro ulteriore micro-segmentazione su Internet. Questo ambiente comune, interconnesso dal flusso di immagini ed affetti, è il luogo dove emergono nuove modalità ed esperimenti politici (come ad esempio i movimenti globali che si sono organizzati su Internet contro le politiche economiche neoliberali e contro la guerra in Iraq). Il capitolo si conclude proponendo la cultura della rete come il luogo della costituzione politica del comune attraverso il biopotere della comunicazione. Dal principio alla fine di questo libro si è cercato di trovare un modo per tracciare una mappa di queste trasformazioni, non solo come tecnologie, ma anche come concetti, tecniche e campi. Concetti che hanno favorito una particolare percezione e una comprensione dei processi fisici e sociali; tecniche che si sono appropriate di questi concetti ai fini del controllo e dell'organizzazione; e campi sociali e culturali che hanno complicato dinamicamente l'operatività uniforme di queste tecniche. In nessun caso ho notato una relazione lineare di causa ed effetto tra le tecnologie e il cambiamento sociale o, su questo argomento, tra concetti, tecniche, processi e campi. Da un'altra prospettiva, voglio anche avvertire il lettore di avere deliberatamente enfatizzato la dimensione della comunicazione e dell'informazione rispetto ad altri aspetti del cambiamento sociale e culturale. Ciò non deve essere preso in nessun modo come l'indicazione di una presunta obsolescenza degli altri aspetti della cultura e della politica contemporanea. Tale enfasi opera nel libro come uno strumento metodologico per isolare, temporaneamente per gli scopi dell'analisi, un tipo specifico di processo. In particolare, il dinamismo eccezionale di tali ambienti informativi potrebbe portarci a trascurare la persistenza di stratificazioni e strutture persistenti nei settori analizzati. D'altra parte, è questo carattere dinamico che ha attirato la mia attenzione su questo argomento e ha mantenuto il mio interesse su questo progetto e perciò non posso che augurarmi che questo valga anche per i miei lettori. | << | < | > | >> |Pagina 57Le macchine, la realtà costruita dal capitalismo, non sono i fantasmi della modernità dopo la quale la vita può uscire sana e salva – rappresentano anzi le forme concrete in base alle quali la realtà si organizza e le connessioni materiali nelle quali la soggettività viene prodotta. Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum. TEMPI DI NETWORK Nel 1998, prendendo spunto dalla nozione di villaggio globale di McLuhan, la Swatch decise che era tempo di stabilire uno standard nel caos aggrovigliato della cultura di Internet – un mondo dove onde successive di navigatori globali affollano le chatrooms e i siti dei giochi online, incontrandosi e separandosi nelle intersezioni tra zone temporali sovrapposte, riunendosi e passandosi la fiaccola di un pianeta insonne e interconnesso. Visto che Internet stava unificando il globo in uno spazio elettronico comune, la Swatch si considerava come il più ovvio candidato per fornire un tempo unico all'altezza di tale trasformazione. Nell'immaginazione di questa azienda, i nuovi media che avevano catturato il tempo e gli interessi di una gioventù globale volubile e ricca formavano una metropoli elettronica che aveva un disperato bisogno di standard temporali. La multinazionale svizzera lanciò un nuovo tempo globale, detto anche tempo-Internet, distinto in «battiti Swatch». Ciascuno di questi battiti corrispondeva a poco più di un minuto. Così se «un navigatore di New York prende appuntamento in una chat con un cyber corrispondente di Roma, possono semplicemente incontrarsi in un "@ tempo" perché il tempo su Internet è il medesimo in tutto il mondo». Il tempo unico della Swatch fu un astuto tentativo di connettere la globalizzazione pervasiva del pianeta raggiunta dalla cultura consumistica globale degli anni Novanta ad un nuovo tipo di globalizzazione – impiantando il potere del marchio su quello del sistema interconnesso delle reti (internetwork). Geert Lovink ci ricorda come il tempo-internet della Swatch fu solo uno di almeno tre tentativi di proporre uno «standard temporale virtuale despazializzato inserito in reti che non si riferiscono più al tempo medio di Greenwich». Per Lovink, questi tentativi hanno dimostrato come «il lascito del nostro modello temporale ereditato dal XIX secolo che segmentava il pianeta in ventiquattro zone temporali distinte (e in due giorni simultanei) soddisfa sempre meno la nostra percezione nascente di una temporalità globale». Questa idea di un tempo globale corrispondente allo spazio globale è il cuore del problema di Internet: il suo rapporto con il mondo della localizzazione – dove il locale viene spesso fatto coincidere con il reale, l'eterogeneo e il corporeo. Recentemente questo dibattito si è sovrapposto ad una prospettiva precedente che considerava le reti dei computer come espressioni di processi di smaterializzazione e disincarnazione. L'uso quotidiano di Internet, la sua stretta relazione con l'attività ordinaria dell'apprendimento, del lavoro e della comunicazione, ha fatto molto per decostruire la nozione di cyberspazio come realtà virtuale. D'altra parte, è innegabile che Internet abbia raggiunto altri media come la televisione e il cinema tra i grandi accusati del processo di globalizzazione virtuale (e il connesso imperialismo tecnoculturale) del pianeta. I geografi sostengono che uno degli aspetti fondamentali della comunicazione risiede nelle sue modalità di formazione e deformazione della struttura dello spazio e del tempo. Le tecnologie della comunicazione fanno molto di più che connettere località diverse. Sentieri e strade, canali e ferrovie, telegrafi e satelliti modificano la velocità a cui merci, idee, micro-organismi, animali e persone s'incontrano e si trasformano reciprocamente. I mezzi di comunicazione plasmano attivamente ciò che connettono, creano nuove configurazioni topologiche e contribuiscono efficacemente alla costituzione di entità geopolitiche come città e regioni, nazioni o imperi. La nascita delle nazioni e del nazionalismo nel diciannovesimo secolo, per esempio, sarebbe stata stata impensabile senza la spinta centralizzata del sistema ferroviario, l'abbraccio omologante dei giornali nazionali e il potere sincronizzato delle aziende televisive nazionali. Il sistema stratificato della comunicazione modellato sullo Stato-Nazione è stato di recente testimone di un'altra trasformazione: la crescita delle reti in tempo reale della comunicazione globale come la televisione satellitare e le reti informatiche. Com'era prevedibile tale riconfigurazione dell'intero sistema comunicativo viene collegata all'emergenza di nuove formazioni geopolitiche e in particolare sembra dipendere inestricabilmente dallo spazio aperto e smisurato dell'impero globale, nato dopo la guerra fredda, e descritto nell'omonimo libro di Michael Hardt e Antonio Negri. Quella imperiale è una topologia comunicativa complessa creata dall'interazione di navigazioni aeree, navali e stradali, dalla televisione, dal cinema, dai computer e dai telefoni. Ciò che tuttavia tutti questi sistemi diversi sembrano avere in comune è la loro convergenza non tanto sulla figura della rete, ma su una sorta di iper-rete, un reticolo che connette potenzialmente un punto con tutti gli altri punti. La rete è quindi sempre meno una descrizione di un sistema specifico, e sempre più un modo di riferirsi alla formazione di un ambiente informativo singolo eppure multidimensionale – connesso dalle dinamiche della propagazione dell'informazione e segmentato dalle diverse modalità e canali di circolazione. Il topos del network non coincide, né può coincidere, con Internet, ma Internet esprime comunque una mutazione interessante del diagramma del network in rapporto agli assemblaggi politico-culturali della struttura neoimperiale del ventunesimo secolo. Risultato di un progetto di ricerca finanziato dal Dipartimento della Difesa statunitense, per un certo lasso di tempo la punta di diamante di un'altra rivoluzione economica guidata dagli Stati Uniti, un medium post-industriale con un veloce tasso di diffusione nei paesi del Terzo mondo, un mezzo globale di organizzazione, il medium della moltitudine, un mercato per le innovazioni tecnologiche, una tribuna per gli opinionisti, un mezzo per l'organizzazione collettiva, una sfida al regime della proprietà intellettuale, un nuovo strumento editoriale, un'agorà elettronica, un cyber-bazar, una fabbrica postindustriale o un ricettacolo di spazzatura globale – questa molteplicità per alcuni rende l'Internet un medium che può essere descritto solo per frammenti in maniera empirica e che in ogni caso non può essere considerato come rappresentativo di processi più ampi di globalizzazione.
È vero che, per quanto riguarda il potere effettivo di catturare le passioni
delle masse globali, per Internet non c'è partita rispetto alla capacità e al
potere della televisione che, dai canali locali a quelli nazionali fino alla Tv
satellitare come Cnn e Al-Jazeera, può contare su una più ampia accessibilità
della tecnologia necessaria (il televisore) e sull'alto impatto di immagini e
suoni trasmessi in tempo reale. Non possiamo nemmeno negare lo status di
minoranza degli utenti di Internet su scala globale alla luce del fatto che
nessun medium può superare l'abisso di diseguaglianze economiche spalancato
dalle politiche liberali del «Washington consensus» negli anni Ottanta e
Novanta. Sebbene abbia registrato una crescita esplosiva solo da un decennio, se
oggi Internet ci appare come il fondamento della tecnologia della comunicazione
globale, non è per i suoi numeri schiaccianti o per l'attrazione che ha sulle
masse. A differenza delle altre tecnologie della comunicazione sopra menzionate,
infatti, Internet è stato concepito e sviluppato come una
rete delle reti,
un sistema di interconnessione delle reti
(internetwork),
una formazione topologica che offre intuizioni stimolanti sulla dinamica di una
cultura network globale. Come sistema tecnico, Internet è composto da una serie
di protocolli interconnessi, diagrammi tecnici astratti che garantiscono la
resistenza della rete alla rapida trasformazione dell'hardware, dei server, dei
cavi e dei fili. Anche se i protocolli base di Internet sono cambiati con il
tempo, la filosofia che ha ispirato il loro progetto e quindi l'intera
architettura di Internet è stata costantemente regolata da una manciata di
principi fondamentali che sono sopravvissuti, almeno sino a questo momento, alla
scalabilità (cioè un spazio universale di indirizzi, una struttura stratificata
e modulare, il movimento distribuito dei pacchetti di dati e l'interoperabilità
di sistemi eterogenei). Tali principi implicano una forte concezione
dell'ambiente informatico inteso come formazione topologica dinamica e
caratterizzata da una tendenza alla divergenza e alla differenziazione. Questa
formazione pone il problema della
compatibilità
e della produzione di uno
spazio comune
da intendere come uno sforzo attivo all'interno di un ambiente instabile
o metastabile. In altre parole, oltre ad essere un assemblaggio concreto di
hardware
e
software,
il sistema di interconnessione delle reti
(internetwork)
è anche un diagramma tecnico astratto che implica una specifica produzione
dello spazio. Come vedremo più avanti, ciò che distingue il diagramma tecnico e
í principi progettuali che hanno guidato lo sviluppo di Internet è una tendenza
a interpretare lo spazio nei termini delle proprietà biofisiche dei
sistemi aperti.
Modellando questo spazio reticolare aperto, Internet diventa per noi molto
più di un medium tra gli altri, ma una rappresentazione generale del processo
che porta alla globalizzazione della cultura e della comunicazione.
SULLE GRIGLIE E SULLE RETI Il rapporto tra Internet e la produzione dello spazio è senza dubbio fondamentale per tutte le analisi teoretiche e analitiche della cultura di Internet. Un punto qualificante dell'analisi è la sua insistenza sulla pericolosa distanza che esiste tra questo mondo e il mondo della carne e degli spazi fisici. Se il dibattito iniziale sulle reti informatiche era dominato dall'immagine dello spazio di William Gibson nel quale gli utenti perdevano coscienza del mondo reale in un universo di forme astratte e di prospettive disincarnate, il dibattito contemporaneo si è spostato sul terreno della globalizzazione. Se prima l'immagine più comune del cyberspazio era quella di una realtà virtuale caratterizzata da un'interfaccia diretta e da un'immersione totale (con i guanti, gli occhiali di protezione, i microchip incorporati e gli elettrodi), oggi l'immagine è quella di uno spazio comune di flussi informatici nel quale si giocano le scommesse politiche e culturali della globalizzazione. Il dibattito su un cyberspazio trascendentale opposto al mondo della carne ha sviluppato un analogo discorso politico che oppone la spinta omogenea del globale al mondo eterogeneo del locale. | << | < | > | >> |Pagina 133Scrivendo nel 1934, pochi anni prima che il primo computer digitale venisse assemblato negli Stati Uniti, lo storico della tecnologia Lewis Mumford aveva invocato la fine della tirannia della tecnologia industriale a favore di una nuova età tecnologica – libera dal dominio della razionalità meccanica dell'orologio e dalla mortifera influenza sensoriale di materiali come ferro e carbone. Mumford pensava che il futuro dello sviluppo tecnologico risiedesse nel ritorno all'organico, un ritorno che egli significativamente considerava al cuore della ricerca sui moderni mass media. Lo studio dell'orecchio, della gola e della lingua erano stati fondamentali per lo sviluppo del fonografo, mentre la ricerca sul moto di cavalli, buoi, tori, levrieri, cervi e uccelli avrebbe fornito le basi per lo studio scientifico del rapporto tra immagini e movimento che produsse il cinema. Mumford affermò che, diversamente dal modello baconiano, l'innovazione tecnologica non è intrinsecamente collegata al dominio della natura, ma implica un rapporto più stretto con l' artifacialità del mondo naturale. La tecnica umana non è solo un'elaborata estensione dell'uomo, ma piuttosto rafforza il suo rapporto con diversi livelli dell'organizzazione naturale. Questi livelli vengono estrapolati e ridispiegati nel complesso delle macchine sociali all'interno delle quali si dispongono i segmenti umani e tecnici. La natura che emerge da questa interazione non è solo complessa, ma anche «artificiale», cioè creativa e produttiva. Lungi dall'essere sinonimo di un'essenza eterna e immutabile, il mondo naturale dà l'impressione di essere multiplo e complesso, dotato di una creatività ingegnosa, adattabile e sovrumana. Questo perchè le macchine, come avrebbero detto più tardi Georges Canguilhelm e Felix Guattari, possono essere qualcosa di più di meri meccanismi. L'appello di Mumford per una complicazione organica del mondo delle macchine non suona fuori luogo in un'epoca nella quale i networks comunicativi vengono spesso descritti come auto-regolati, evolutivi e orizzontali. Soprattutto l'esplosione del fenomeno Internet ha marcato l'inizio di una corsa al paragone tra i suoi meccanismi e quelli di altri sistemi dotati di una logica simile (dagli sciami ai mercati). Attingendo alle intuizioni della biologia della popolazione, gli apologeti del libero mercato e dei sistemi auto-regolati dal basso privi di controllo centrale (bottom-up) hanno sottolineato l'ubiquità di questa logica nel regno dell'«artificiale e dell'organico». I sostenitori della New Economy affermavano di essere stati ispirati dall'ubiquità dei processi evolutivi e dalla loro capacità non solo di discriminare tra l'adatto e il non adatto, ma anche di produrre la molteplicità della vita in quanto tale. Quest'uso della teoria dell'evoluzione evidenziava l'esistenza di una natura artificiale che si compone e decompone attraverso tecniche specifiche e complesse che essa stessa produce in maniera immanente e senza alcun piano o scopo prefissato. Ispirato dal lavoro di due formidabili pionieri come John von Neumann e Stanislav Ulam, il campo della computazione biologica – l'argomento di questo capitolo – si è confrontato con la tecnicità della natura quale si manifesta nei processi evolutivi e perciò è stato spesso accusato di essere un tentativo fuorviante di naturalizzare le relazioni tecniche e sociali – sostenendo così le tesi di coloro che pensano che l'auto-regolazione che è alla base di Internet sia dovuta all'azione benefica delle forze del libero mercato. La computazione biologica, in effetti, è fondamentalmente interessata all'analisi dei fenomeni organizzativi dal basso (bottom-up), simulando le condizioni del loro emergere in un medium artificiale – il computer digitale. Il termine 'computazione biologica' si riferisce ad un grappolo di sub-discipline nelle scienze informatiche – come la vita artificiale (che mira a evolvere dinamiche naturali nelle simulazioni computerizzate); la mobotica (la progettazione di robot mobili capaci di apprendere dai loro errori); e le reti neurali (un approccio bottom-up all'intelligenza artificiale che inizia con semplici reti di neuroni invece che da un gruppo di istruzioni dall'alto o top-down). Queste sotto-discipline condividono un comune riferimento al lavoro John von Neumann negli anni cinquanta sugli automi cellulari - un gioco simile al cinese 'go' che prevede una scacchiera aperta e una popolazione di quadratini vincolati solo da regole d'interazione locali. Gli automi cellulari di von Neumann si sono dimostrati capaci di computazione universale (proprio come la macchina universale di Turing).
Dai tempi di von Neumann, la computazione biologica si è sviluppata in un
campo di ricerca ben finanziato e proficuo con importanti applicazioni in
diversi settori, dall'animazione alla ricerca sul cancro. La biologia
computazionale ha assorbito le intuizioni della teoria del caos, della biologia
molecolare, della demografia e naturalmente della teoria evoluzionista. Il suo
campo d'interesse è quello della produzione di
fenomeni emergenti
capaci di superare le istruzioni dei programmatori. La computazione biologica
esplora il piano più ampio di macchine astratte di organizzazione dal basso, di
cui Internet appare specifica istanza e prodotto. Ciò che contraddistingue
queste macchine astratte è la loro mancanza di qualità. Esse non sono delle
macchine tecniche più di quanto non siano delle macchine naturali, né possono
essere descritte come macchine biologiche piuttosto che come macchine sociali.
La loro simulazione implica la descrizione di un diagramma astratto che mette in
relazione entità, leggi e capacità quasi indefinite – moltitudini acentriche,
regole locali, dinamiche globali, la capacità di generare fenomeni emergenti, la
relativa imprevedibilità, la refrattarietà al controllo. Ciò che la computazione
biologica si domanda è: come si formano questi sistemi? Da che cosa sono
composti? Quali regole li spiegano? Come possono essere ricreati e quali
modalità di controllo si adattano meglio al loro immenso potenziale e alla loro
tendenza alla refrattarietà?
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