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| << | < | > | >> |Pagina 7Come ho potuto amarlo tanto?Lo guardava nella luce livida dell'alba. Ancora profondamente addormentato, le era a un tempo familiare ed estraneo, come se ai suoi occhi si offrisse la fedele riproduzione di una statua di cera. Quel suo viso. La curva del naso, i lobi delle orecchie. Era lo stesso uomo, la stessa carne che un tempo era stata un raggio di luce dentro di lei. Ora, però, aveva cessato di irradiare il calore della vita e dell'amore. L'uomo si rigirò tra le lenzuola e la sua barba le punse la guancia. Lei ebbe un moto di repulsione e si drizzò a sedere sul letto. Strano, come si è fatta rada la sua barba. Riprese a osservarlo. Sconcertata, si raddrizzò sulla schiena, appoggiandosi alla parete. Là fuori, nel corridoio: rumore di passi, il suono metallico di un secchio trascinato sul pavimento. «Chi sta facendo tutto questo baccano? Non è ancora l'alba!» protestò stridula una voce di donna. Era quell'arpia di Tong, il terrore di tutti gli inquilini della casa. «Scusi, scusi, è che si è rotto il manico del secchio», spiegò timidamente una voce maschile. Da Tong non giunse nessuna risposta. Il professor Le scese le scale, un ciabattare di sandali che si faceva sempre più lontano, e poi tornò a regnare la quiete. Poco mancava alle quattro del mattino e la città non si era ancora svegliata, anche se la luce dell'alba già si stendeva sui giardini e iniziava ad allungarsi nelle strade. Una luce avvelenata, una sorta di pozione malefica, tardo-primaverile, fatta di sole e nebbia insieme. Ebbe un brivido quando la testa di suo marito emerse dalle coperte, inerte e totalmente estranea in quella luce pallida e torbida, come una statua lignea in un museo. Bugiardo, ipocrita. E pensare che un tempo ero pazzamente innamorata di lui. Si erano conosciuti quando lei era al secondo anno di università, nella calura soffocante di un mattino di giugno. A Nguyen era stata assegnata la cattedra di Letteratura nel suo corso, frequentato per la maggior parte da studentesse. Istruite, romantiche, già allora perfettamente consapevoli delle proprie doti, tutte provavano una grande curiosità nei confronti di quel giovane professore di cui era nota la prodigiosa intelligenza, e tutte sognavano di attirarne l'attenzione. Nguyen non era né alto né basso, ma aveva gli occhi sfavillanti, i capelli di un nero corvino e il modo di parlare e la voce di chi è sicuro di sé. Se ne stava sulle sue, senza prestare più attenzione del necessario alle ragazze del corso di Linh, che pure erano famose per la bellezza e l'intelligenza. Faceva lezione in piedi davanti a loro, nel suo vestito modesto, con le mani imbrattate della polvere bianca del gesso e le dita macchiate d'inchiostro, incurante della forfora sulle spalle della giacca o del colletto della camicia a cui mancava un bottone. La sua passione per i classici era contagiosa. Parlava loro del Rinascimento italiano, degli aspetti progressivi del capitalismo, delle cause interne, strutturali, del crollo del sistema feudale, e della potenza creatrice delle aspirazioni individuali - di tutte quelle grandiose forze che recavano la promessa di guidare l'umanità nel cammino verso un umanesimo pienamente realizzato. Linh provava un'ammirazione sconfinata per la profondità e la vastità del sapere di Nguyen, i cui modi distaccati, di estremo riserbo, non facevano che ravvivare la fiamma di un amore sbocciato dentro di lei fin dal primo giorno. Aveva diciannove anni, allora, e la sua bellezza, sorprendente e delicata insieme, era tale da lasciare gli uomini come folgorati. Un anno prima, per consiglio della zia che l'aveva allevata, si era fidanzata con un ragazzo del suo quartiere che l'aveva conosciuta all'età di sedici anni e subito si era perdutamente innamorato di lei. Non era affatto brutto, il fidanzato, parlava con garbo ed era in grado di provvedere adeguatamente a lei. Non ci fosse stato l'incontro con Nguyen, la sua vita avrebbe seguito un corso regolare, ma l'incontro c'era stato, e pur di stare con lui Linh aveva sopportato l'esclusione dalla famiglia, lo scherno dei vicini, l'odio e il disprezzo dell'ex fidanzato. Oh sì, lo amavo più della mia vita. Se non si fosse innamorata a tal punto di lui, avrebbe potuto condurre una vita agiata, da donna ricca. Il fidanzato aveva promesso di aspettare per il matrimonio, dandole il tempo di terminare l'Università, ma intanto la famiglia di lui aveva già fatto dono di una grande casa, arredata con costosi mobili in legno pregiato - esattamente il tipo di lusso e di comodità che tutti sognano. Quando uscivano insieme si presentava sempre ben vestito, e di tanto in tanto sfoggiando una motocicletta nuova. La copriva di regali, perché voleva che anche lei fosse sempre vestita all'ultima moda. Dopo la rottura del fidanzamento, Linh si era trovata un lavoro come cucitrice e faceva i turni di notte in fabbrica per ripagare la zia dei regali di nozze che aveva dovuto restituire. Arrivava all'Università talmente esausta che spesso le capitava di addormentarsi tra una lezione e l'altra, anche nel bel mezzo di una conversazione con gli amici. E quante volte, durante quell'inverno gelido, aveva provato i morsi della fame mentre studiava, quando per lei una zuppa di tagliolini o un sandwich con carne di maiale erano un sogno... Invece di proseguire lungo il tracciato sicuro di quel matrimonio programmato, Linh si era fermata ad aspettare Nguyen. E durante i primi anni della loro vita in comune aveva finito per abituarsi alle privazioni, accontentandosi di pasti a base di verdure in salamoia e poco altro. Sì, lo amavo con tutto l'amore di cui una donna è capace. Ritornò con la mente ai loro appuntamenti nelle aule vuote dell'Università. E a quel giorno d'estate quando, all'ombra di un albero, spiegando la Divina Commedia, lui aveva rivolto a tutti i presenti una domanda, con quella sua voce profonda e seria: «Perché vi stupite tanto del fatto che gli avvenimenti possono cambiare i grandi personaggi, e addirittura il corso della loro esistenza? Smettete di pensare a loro come a dei santi. I santi esistono soltanto nell'immaginazione delle menti primitive, mentre noi, oggi, siamo abbastanza evoluti da sapere che i grandi uomini sono fatti al trenta per cento di ispirazione e al settanta di materialità pura, e che proprio per questo soffrono quando vedono i loro interessi minacciati, e commettono errori nel giudicare così come nell'agire». Nguyen aveva rovesciato dal loro piedistallo gli idoli che Linh adorava, ma solo per sostituirsi a essi. Da quel sorriso lieve che incurvava le sue labbra, da quell'ironia appena accennata, Linh assorbiva sicurezza e forza, e nelle profondità di quel suo sguardo riconosceva il palpito di un cuore profondamente sensibile. Un tremito la percorse mentre i ricordi legati alla passione d'amore per Nguyen traboccavano nel presente. Una volta, nell'oscurità di un cinema, lui le aveva sfiorato le dita con una carezza. Era Robinson Crusoe il film che proiettavano quella sera. Quella carezza l'aveva stregata, e lui le aveva sussurrato all'orecchio: «Robinson è un eroe d'altri tempi. Oggi essere un eroe è molto più difficile: non esiste lotta più ardua e più insidiosa di quella che l'uomo combatte contro sé stesso». Con un trasalimento ricordò di averlo osservato a lungo nell'oscurità del cinema, lui e quei suoi occhi sfavillanti, dolci e allo stesso tempo distanti. La bellezza dell'intelligenza che brillava nel suo sguardo: quei suoi occhi, così simili a due fiori galleggianti sull'acqua, misteriosi. Aveva dato una stretta alla mano di Nguyen, reprimendo il desiderio di coprirla di baci, di dirgli che lo adorava. Avevano vissuto insieme anni felici. Poi, un giorno, aveva scoperto le menzogne che Nguyen scriveva nei suoi articoli, e con quelle il disprezzo dei colleghi, le battute sarcastiche che circolavano sui suoi viaggi, e il vero motivo delle promozioni e degli aumenti di stipendio. «Non esiste lotta più ardua e insidiosa di quella che l'uomo combatte con la sua anima». La persona che aveva pronunciato queste parole si era abbassata ai peggiori compromessi. L'uomo dagli occhi sfavillanti, l'uomo dall'aura pensosa e dall'animo gentile, si era assoggettato, si era arreso. Aveva distrutto tutto ciò in cui lei aveva creduto, uccidendo il loro amore con un unico colpo fatale. Perché? Perché? | << | < | > | >> |Pagina 78La signorina Tong era la persona più potente nella casa in cui abitavano Nguyen e Linh, e tuttavia nessuno sapeva dire da dove venisse. Stando ai racconti degli inquilini più vecchi, era arrivata solo poche settimane dopo di loro in quella casa, mentre ancora si procedeva alla suddivisione degli appartamenti tra i quadri di Partito che avevano preso il controllo dell'amministrazione locale di Hanoi subito dopo la liberazione. Fin da subito la signorina Tong aveva reclamato per sé la prima stanza sul corridoio. A quell'epoca aveva trentun anni, era alta un metro e settanta e pesava quasi ottanta chili, un peso e una stazza che facevano di lei una vera e propria mostruosità agli occhi dei più giovani. E a tutti gli uomini indistintamente, dal più arrogante dei giovani al più spavaldo degli anziani, la signorina Tong incuteva un vero e proprio terrore, sicché tutti la sfuggivano come la peste. E lei, che di questo era perfettamente consapevole, non sprecava tempo a preoccuparsi del proprio aspetto, e tantomeno a inventarsi un'aria civettuola.Molti anni erano passati da allora. La signorina Tong era ancora nel pieno delle forze, ma aveva gli occhi spenti e il suo sguardo aveva assunto una certa fissità. Aveva messo su un negozietto dove vendeva melanzane sottaceto, peperoncino piccante in pasta, aceto e salsa di soia. Di sera invitava i ragazzini del vicinato a giocare a carte a casa sua. Se era lei a perdere, gli dava i chicchi di grano tostati; se invece erano loro a perdere, faceva in modo che non smettessero di giocare fino a tardi. Tuttavia, ogni volta che quella donna simile a un bue da tiro saliva lentamente le scale reggendo due secchi d'acqua, non si poteva fare a meno di percepire in lei la fragilità inerme e sconsolata dell'animale che si è smarrito. A percepirla per primo era stato il professor Le, che dopo aver discusso della sua situazione con gli altri quadri del quartiere aveva proposto agli inquilini della casa di nominarla coordinatrice del comitato che si occupava dell'igiene e dei problemi di sicurezza. Tutti si erano detti d'accordo, e da quel momento la signorina Tong era diventata la persona più potente della casa, responsabile non solo delle pulizie e della sicurezza, ma anche del controllo sulle forniture di gas e di elettricità. Era lei a organizzare i turni di lavoro e a raccogliere le quote per le riparazioni dei servizi igienici in comune, e ciò le aveva guadagnato, col passare del tempo, il rispetto generale per la dedizione che metteva nella sua attività «al servizio del popolo». A poco a poco, però, la signorina Tong era diventata prepotente, persino nei confronti del professor Le. Nessuno osava più contrastarla, e tanto meno farla aspettare, e chiunque si fosse dimenticato del proprio turno di guardia per la sicurezza tremava nel momento in cui quel donnone gigantesco si parava davanti alla porta, tabella dei turni alla mano: «Oggi è il tuo turno per la pulizia dei locali comuni!» Huong Ly era l'unica a rivolgere parole gentili a quell'anima persa, l'unica a passare una carezza su quelle guance paffute e grinzose. Spesso Nguyen e Linh lasciavano Huong Ly dalla signorina Tong prima di andare al lavoro. Entrambi avevano cercato di instaurare relazioni amichevoli e cordiali non solo con lei, ma anche con le altre famiglie che abitavano nella casa. Dalla tenda blu della loro finestra filtrava una luce rinfrescante, e pareva che dalla loro casa scaturisse una musica gradevole. Anche in quella nuova situazione che li vedeva estranei l'uno all'altra, entrambi si sforzavano di parlarsi sempre in termini rispettosi e con toni pacati. | << | < | > | >> |Pagina 193Nguyen continuò a parlarle in tono sommesso e dolce. «Prima o poi ti verrà presentato il conto. Una donna dovrebbe avere il desiderio di proteggere la propria felicità, come un uccello che protegge il suo nido. Tu, invece, non fai che svolazzare da un nido all'altro.»«E a te invece sarebbe piaciuto vedermi satolla di amore, come una di quelle stupide oche che passano la vita a lisciarsi le piume e a custodire il loro nido, cieche alla libertà. Mai! Non sarò mai la prigioniera di un uomo, anche se fosse l'aquila reale!» Ngoc Minh urlava, bagnandogli la faccia con spruzzi di saliva. Nguyen si asciugò la faccia. «Non posso certo impedirti di vivere la tua vita, però non posso stare insieme a te.» Ngoc Minh lo guardava come inebetita. Nguyen smise di parlare, e il tempo parve scorrere lentissimo, in uno spazio soffocante. Alla fine rialzò la testa. «Vuoi dell'altro tè?» Ngoc Minh non rispose. Dopo una lunga pausa disse, «Te ne sei andato via senza nemmeno salutarmi, come un ladro. È stata una cosa spregevole.» «Può darsi che sia stato un male», disse Nguyen, «ma il fatto è che mi sentivo insultato.» «E per quale motivo, di grazia?» «Anche dopo che sono venuto in casa tua c'erano sempre... continuavi a comportarti in quel modo, senza nessuna inibizione... e...» «Ma quanto sei retrogrado. Hai ancora dei cliché feudali impressi nel cervello, e poi quel tipo, Quyhn, è veramente simpatico.» Sbigottito, Nguyen domandò: «E il biologo anche?» Ngoc Minh fece un cenno di assenso. «Oh sì, quell'uomo è di un'intelligenza rara, un cervello di prim'ordine, come del resto ti ho già detto.» Nella mente di Nguyen nacque un pensiero che prese forma sulle sue labbra: «Questo vorrebbe dire che nello stesso tempo...» «Che differenza fa? Ti ho forse fatto del male? Perché devi rimanere incatenato a queste tue stupide idee? Amare più di una persona contemporaneamente è possibile.» Dopo una lunga pausa di riflessione, Nguyen parlò di nuovo: «Solo adesso ti capisco veramente. Qualche anno fa, se una donna avesse detto le cose che mi hai appena detto tu io sarei uscito da questa stanza. Oggi riesco ad ascoltare, e forse anche a capire il tuo punto di vista. Può darsi che per me sia arrivato il momento di prendere atto che la vita può essere guardata da punti di vista diversi, e persino contraddittori. Tuttavia non sento il bisogno di amare più donne contemporaneamente, né di stare con tutte loro». «Che strano», mormorò Ngoc Minh. «Che cosa?» «Parlo delle tue idee. Ho sempre pensato che gli uomini giocassero al gioco dei principi morali, mentre sotto sotto morivano dalla voglia di soddisfare i loro desideri più profondi e repressi. Tu invece stai in una categoria a parte.» Nguyen la scrutò attentamente. «Tu pensi che tutti, in fondo al cuore, la pensino come te e abbiano i tuoi stessi desideri, con la sola differenza che agli altri mancherebbe il coraggio di vivere come vivi tu. Tu pensi che tutti indossino la maschera ipocrita di un comportamento virtuoso che impersonano soltanto per vigliaccheria... È questo, semmai, a essere strano.» Ngoc Minh si fermò un attimo a riflettere. «A dire il vero non so se me la sento di credere alle tue parole.» «Questo è un tuo diritto. Ma se io fossi come te, quale corda invisibile mi terrebbe legato a questa stanza fredda? Cosa impedirebbe a un uomo normale, senza una donna, di...» Il pensiero nauseante dei loro rapporti sessuali gli impedì di continuare. Ngoc Minh gli pareva una bambina vorace, come se al mondo non esistesse altro che la fetta di torta che si preparavà a ingollare. La osservò ancora: l'ombretto blu sulle palpebre, steso in modo non uniforme, formava delle macchie di colore, dandole un'aria da clown. Intenerito, le disse: «Per amare ci vuole la passione, ma anche il rispetto. Una volta qualcuno mi ha detto che il segreto di una felicità duratura sta tutto in una donna che stima e rispetta il suo uomo. Ora, però, so che si sbagliava. Conquistare la felicità è molto più difficile. È un po' come attraversare un ponte sospeso: malsicuro, traballante, senza parapetto. Sta a te trovare l'equilibrio, ma ciò è possibile solo se l'equilibrio si basa su due centri di gravità, su tutte e due le parti in gioco». Ngoc Minh diventò rossa per l'umiliazione e per la rabbia. «Retorica inutile...» sibilò. «Gli uomini come te non sanno fare altro che ripetere all'infinito i vecchi cliché... e intanto la vita vera è sempre altrove, altrove...» Agitò la mano indicando la finestra che guardava sulla città. «Le tue teorie hanno lo stesso valore di un paio di cavoli marci!»
Buttandosi la borsa di pelle sulle spalle, si alzò. «Bene, allora ti saluto.
Tra tutti i miei amanti sei la persona migliore. Volevo portarti fuori, offrirti
qualche piatto veramente speciale, di quelli che piacciono a me, e invece mi è
toccato sorbire un altro sermone. Che occasione sprecata.»
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