Copertina
Autore Anna Tonelli
Titolo Stato spettacolo
SottotitoloPubblico e privato dagli anni '80 a oggi
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2010, Ricerca , pag. 184, cop.fle., dim. 14,5x21x1,2 cm , Isbn 978-88-6159-458-6
LettoreRiccardo Terzi, 2010
Classe paesi: Italia: 1980 , paesi: Italia: 1990 , paesi: Italia: 2000 , media , sociologia , politica
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Indice

  1 Premessa


    PRIMA PARTE


    1.  Gli anni Ottanta


 12 1.  Il privato nella società

 12 1.1 Il corpo
 16 1.2 Il tempo libero
 25 1.3 Il ballo
 29 1.4 Il sesso

 32 2.  Il privato nella politica

 32 2.1 Il Psi: dal garofano di Craxi ai balli di De Michelis
 49 2.2 Il Pci: i 'compagni' fra falce e martello e sentimenti
 66 2.3 L'aborto in aula e nelle piazze

 69 3.  Il privato nei media

 69 3.1 L'amore in prima pagina
 73 3.2 Il protagonismo via etere
 78 3.3 La 'piazza' televisiva


    SECONDA PARTE


    2.  Gli anni Novanta


107 1.  I nuovi partiti

109 1.1 La Quercia sulle ceneri comuniste
112 1.2 La Lega e il celodurismo
117 1.3 Il familismo di Forza Italia
126 1.4 La nuova destra
130 1.5 L'arcipelago cattolico

    3.  Oggi

145 1.  Il corpo come luogo pubblico
147 1.1 Il privato esibito
152 1.2 Le unioni civili
155 1.3 Ridiscutere la 194
158 1.4 Il doppio "caso Veronica"


173 Indice dei nomi

 

 

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Premessa


                                    Quando in anticipo sul tuo stupore
                                 verranno a chiederti del nostro amore
                          a quella gente consumata nel farsi dar retta
                                                   un amore così lungo
                                           tu non darglielo in fretta.

              Fabrizio De Andrè, Verranno a chiederti del nostro amore



Introducendo il libro di Roger-Gérard Schwartzenberg L'état spectacle, uscito in Francia nel 1977 e tradotto in Italia nel 1980, Tullio De Mauro cita il giudizio dell'autore secondo il quale l'Italia figura "tra i paesi nella cui vita politica pare più povera la componente spettacolare". "Dobbiamo esserne orgogliosi?", si chiedeva allora l'attento studioso della lingua e del costume italiano. A trent'anni da quella affermazione, l'interrogativo non è risolto, di fronte a un panorama profondamente mutato in cui la "componente spettacolare" è diventata invece preminente.

A partire dagli anni Ottanta, con una tendenza che si amplifica nei periodi successivi, anche in Italia si assiste alla progressiva spettacolarizzazione non solo della politica, ma del "vissuto", individuale e collettivo. Un'occupazione della scena pubblica che accorcia fino a eliminare i confini fra pubblico e privato, con la dimensione intima e domestica a manifestarsi sul "palcoscenico" quotidiano come ricerca di riconoscimento e identità.

In questo senso si può parlare di Stato spettacolo come spazio pubblico dove ogni fotogramma fa parte di una messa in scena più complessa che comprende gli aspetti simbolici e rituali, ma anche le relazioni e i comportamenti, a funzionare da schermo dove riflettersi, esibirsi e identificarsi. L'affermazione della politica spettacolo con un'attenzione crescente dei leader a ostentare il privato in pubblico e a trasformare le occasioni politiche in eventi mediatici, investe solo una parte di questa sfera pubblica, costituendo il nocciolo centrale di una strategia che mira alla dimensione spettacolare della politica contemporanea. Ma lo Stato che si mette in vetrina coinvolge altri settori in grado di toccare temi e argomenti trasversali che interessano l'ethos, la mentalità, la socialità, il formarsi del senso comune. Su questo intreccio deve essere concentrata l'analisi che non può riguardare solo la nascita e lo sviluppo della politica spettacolo, ma un campo più ampio che insiste sulle relazioni fra politica e società, legge e diritti, etica e morale, comunicazione e informazione, solo per annoverare alcuni argomenti di approfondimento.

Con un'incidenza determinante dei media, a partire dal modello televisivo, lo Stato spettacolo cambia i comportamenti e le abitudini, sostituendo i sogni e le speranze collettive degli anni Sessanta e Settanta con la supremazia del privato che si fonde nel pubblico. I sentimenti, le emozioni, gli amori, le passioni e i divertimenti escono da un ambito declinato al singolare per andare a formare una cultura, una esperienza, una forma di conoscenza destinate a incidere sul modo collettivo di interpretare sé e il mondo.

È un ulteriore approfondimento e specificazione della "società dello spettacolo" fotografata nel '67 da Guy Debord che interpreta i rapporti sociali fra gli individui mediati dalle immagini. Qui siamo di fronte a una realtà mediale in cui il quotidiano ha senso solo se immerso in una dimensione pubblica.

Tale trasformazione ha un incipit ben identificato negli anni Ottanta con lo sviluppo di un capitalismo consumista abilitato a incidere su uno stile di vita capace di omologare gruppi consistenti di cittadini. Si assiste alla nascita di un inedito paese di consumatori, con la frenesia dell'acquisto come status symbol, la fiducia illimitata nelle libere professioni, l'illusione nei guadagni facili degli investimenti in Borsa. In questo trionfo di una cultura individualista e arrivista, orientata all'arricchimento e al riconoscimento sociale, si afferma il fenomeno del rampantismo, incarnato da coloro che aspirano a posizioni di potere, pur spinti da "un'ambizione disgiunta dai meriti e dalle risorse". In tali valori di successo e affermazione personale, il Censis individua "una sorta di neopaganesimo strisciante" fondato su "varie dominanze e possessioni (di consumo, di potere, di autonomia personale ecc.)" trasformate negli unici "riferimenti più profondi e veri".

Il rifugio nell'individualismo trova espressione sia all'interno di una società che spalanca le porte al privato con l'irrompere di affetti e passatempi, sia attraverso l'amplificazione dei media che registrano confessioni, racconti personali, rivelazioni dirette a sempre più accentuate forme di protagonismo. Non è quindi un privato "chiuso", finalizzato a realizzarsi in riservatezza, bensì a trovare una propria ragione nel rendersi visibile sulla passerella della quotidianità.

La preminenza data al privato contagia inevitabilmente anche la politica sotto un duplice profilo: da una parte si avvia una personalizzazione dei leader delle diverse formazioni partitiche con i riflettori puntati sugli aspetti pubblici e privati che finiscono per mettere in secondo piano culture politiche e programmi; dall'altra si tende a inserire temi che riguardano sia la sfera intima e personale sia il collettivo spettacolarizzato all'interno di una strategia di comunicazione politica sempre più orientata al marketing elettorale.

La capacità di uscire dagli schemi tradizionali con uno stile diretto e spontaneo rende Sandro Pertini il primo presidente della Repubblica che inaugura una nuova stagione di presenza sulla scena pubblica: la sua non è volutamente una politica spettacolo, ma un modo di agire – anche politico – che proietta il ruolo istituzionale fuori dal tradizionale protocollo, passando dalla partecipazione alle operazioni di soccorso di un bambino precipitato in un pozzo (in diretta tv) e dagli abbracci alle vittime del terrorismo all'esultanza davanti ai goal degli Azzurri nel campionato mondiale di calcio a Madrid.

Il nuovo corso di una politica che si identifica nel forte carisma del leader che valorizza comizi e congressi come arene spettacolari viene intrapreso da Bettino Craxi che avvia "una mutazione antropologica dei caratteri del socialismo italiano rispetto alla sua tradizione sociale e politica".

Amplificato e reso ancora più spettacolare dalla condotta di Gianni De Michelis che frequenta feste mondane e discoteche, tale stile politico basato sull'enfasi attribuita all'immagine, diventa il carattere fondante di un sistema che non conosce successivamente alcuna battuta d'arresto.

Da Craxi a Berlusconi, passando per la crisi della 'repubblica dei partiti' degli anni Novanta, si verifica un'osmosi fra sfera privata individuale e scena politica pubblica speculare alle trasformazioni di una società che vuole finire sotto i riflettori.

Crollata la fede nelle ideologie, svanito il senso di appartenenza politica, dissolto il collante delle culture politiche di massa, prevale la logica di un individualismo che si realizza nella spettacolarizzazione di sé, o meglio nello spettacolo di una società che si mostra e mostra la facciata superficiale ed emozionale. Le relazioni sociali trovano fondamento sia nel rapporto fra privati come individui sia fra privati come pubblico, compreso il caso in cui coinvolgano istituzioni e apparati.

Anche la politica, come la vita quotidiana, si immedesima nelle regole del reality show dove manifestare passioni e dolori, in un circuito in cui le emozioni sostituiscono i valori, i sentimenti le ideologie, i riti le identità sociali.

La quotidianità spettacolarizzata non è più appannaggio esclusivo dell'audience televisiva, ma diventa modello esistenziale: per il comune cittadino come per il rappresentante delle istituzioni, per il personaggio pubblico come per l'uomo qualunque. Un modello capace di abbattere le distinzioni sociali, i gap generazionali, le identità territoriali.

È evidente che in un arco cronologico pur relativamente ristretto si registrano differenze e variazioni dettate anche da risposte specifiche, ma seguendo un filo rosso unificante rintracciabile nella centralità della scena pubblica. Il successo di You Tube o di social network quali Facebook e Twitter (utilizzati peraltro nelle campagne elettorali) costituisce solo l'ultima prova di come lo Stato spettacolo continui a mantenere la propria essenza, con l'ausilio anche dei progressi della tecnologia e dell'informatica per mettere in scena se stesso, proiettandosi in una sfera globale dove si verifica il predominio dei soggetti pubblici in una sfida in cui anche l'egemonia culturale viene giocata sullo spazio pubblico.


Quando è iniziata la presente ricerca, circa tre anni fa, il cosiddetto "caso Berlusconi" era ben lungi dall'ipotesi di poter essere inserito come nuovo tassello nella storia del rapporto fra pubblico e privato nella politica contemporanea con le conseguenze che la cronaca fornisce ogni giorno. A conclusione delle riflessioni dedicate all'"Oggi" è stata inserita dunque anche l'ultima puntata dello Stato spettacolo centrata sul privato/pubblico del presidente del Consiglio in carica. La considerazione di un osservatore politico acuto quale Filippo Ceccarelli è stata facilmente profetica: "E chissà gli storici del futuro, viene anche da pensare — ove mai dovranno applicarsi alle cronache della crisi coniugale del Cavaliere". Questo libro di storia ne è una conferma.

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1. Gli anni Ottanta


Ci sono molteplici fattori che concorrono a individuare gli anni Ottanta come un periodo che conosce una discontinuità rispetto al passato. All'indomani dell'omicidio di Aldo Moro che comporta una frattura in un tessuto già disomogeneo e disgregato, la società italiana pare attraversata da spinte e controspinte che contribuiscono a disegnare uno scenario diverso. È troppo riduttivo utilizzare unicamente la categoria politologica per cercare di decifrare tali cambiamenti, anche se non è irrilevante il peso esercitato dalla politica nel condizionare, e in alcuni casi accelerare, il corso di crisi e rinascita.

È solo intrecciando i vari piani, con un'attenzione all'interazione fra cultura, costume e mentalità, che si può interpretare il mutamento che investe l'individuale e il collettivo. Un processo di trasformazione rapido, ma che si sviluppa come un fiume carsico, anche a partire dalle contraddizioni emerse e sviluppate negli anni precedenti. Non è un caso che per gli anni Ottanta venga coniata la definizione di "riflusso", a significare l'abbandono della politicizzazione a favore del privato, con la centralità dell'individualismo rispetto alla collettività e la sostituzione dell'impegno con il disimpegno e l'evasione.

La stagione dei movimenti che per un decennio ha segnato la vita del paese con l'esigenza di partecipazione attiva di quanti non si riconoscono più nei partiti e nelle associazioni, anche ricorrendo alla violenza come mezzo di espressione, si esaurisce all'inizio degli anni Ottanta, allorché le identità collettive lasciano il posto ai desideri individuali.

Il "trionfo del privato", titola una raccolta di saggi che coglie da subito l'inversione di tendenza in atto. Ma è giusto partire da quelle anticipazioni che hanno fornito un'interpretazione quasi in diretta del mutamento per articolare più compiutamente l'analisi. Pur condividendo la tesi di Galli della Loggia che riferisce la crisi politica al tramonto delle ideologie, è necessario però fare un passo avanti per capire quanto la disgregazione di alcuni valori abbia contribuito a farne nascere altri, spesso proprio in antitesi o in contraddizione con i primi. Occorre chiedersi se il rifugio nel privato sia stato solo una reazione all'incapacità della politica e dei partiti a dare risposte di cambiamento e a gestire le tensioni in campo. E ancora se i fanatismi e per certi versi anche il dogmatismo del protagonismo collettivo abbiano finito per far prevalere la società dell'io sulla società del noi, per usare una terminologia sociologica. A questi quesiti non corrisponde un'unica risposta. Il periodo che precede il "riflusso" determina alcune rotture sul piano del costume che vengono negate nel successivo, ma senza per questo giustificare facili sillogismi. Già Pierpaolo Pasolini, riconosciuto e acuto interprete del suo tempo tanto da annunciare prima ciò che sarebbe diventato poi analisi, aveva individuato "l'ideologia edonistica" come baricentro di una società dove l'esplosione del mercato era destinata a segnare il tramonto della civiltà contadina e dei partiti di massa. Quella che si rivela come una profezia di Pasolini si trasforma ben presto in realtà. Sociologi e osservatori del costume parlano di "riflusso moderato" di fronte a "voglia di evasione, prevalenza della sfera privata su quella politica, cioè rovesciamento della filosofia nata sulle barricate del '68, fine della grande illusione della democrazia di base come strumento per rivoluzionare il rapporto cittadini-potere". Indro Montanelli che ha sempre guardato con distacco e fastidio le manifestazioni di piazza si interroga sulle pagine de "Il giornale nuovo" su quali possano essere le conseguenze del riflusso, avvertendo i pericoli di una deriva nel "qualunquismo e nella crisi di idee e valori".

Anche le analisi del Censis confermano come "il riflusso nel privato non è stata una causa ma un effetto della crisi delle identità collettive, visto che i soggetti collettivi non riescono a dar senso alla presenza dei singoli al loro interno".

Basta solo sovrapporre i vari eventi che si succedono in pochi anni per capire quanto sia difficoltoso dare una direzione univoca in termini di comportamenti individuali e collettivi. Fattori e presenze internazionali, intersecati con il livello nazionale, restituiscono un quadro le cui sfumature sono sempre più orientate a privilegiare il colore della conservazione, non ultima la ristrutturazione della società nell'epoca del post-fordismo. Il successo della politica reaganiana, l'intransigenza lodata di Margaret Thatcher, la presenza forte di due personaggi pubblici come Papa Giovanni Paolo II e il presidente della Repubblica Sandro Pertini, la "marcia dei quarantamila" a Torino con i quadri di fabbrica a minare le ragioni dei picchetti operai di Mirafiori, preparano un terreno fertile per un'inversione di tendenza capace di stemperare gli impeti di protesta della fase precedente.

In questo senso un contributo decisivo a sopire il movimentiamo ribellistico è determinato dalla pur momentanea crescita economica in grado di far dimenticare l'aspra congiuntura della crisi petrolifera della metà degli anni Settanta. Il paese assiste a una ripresa produttiva accompagnata da un'euforia collettiva che, enfatizzando la fine dei sacrifici, si manifesta attraverso una crescita vertiginosa dei consumi e degli investimenti in Borsa. In un trend favorevole in cui si riduce l'inflazione (a fronte però di un debito pubblico che si innalza a livelli incontrollabili), si arriva addirittura a parlare di "secondo miracolo economico", soprattutto "grazie al made in Italy e, sul piano sociale, al trionfo del consumismo" con l'esplosione dei beni voluttuari.

La parola "benessere" conquista il paese, incentivando la sensazione di vivere un momento di grande prosperità, in cui tutto è concesso e possibile. L'ostentazione del lusso e degli agi diventa il tratto fondante di una società che celebra modelli legati ai traguardi economici, al guadagno facile, al trionfo della libera professione: connotati espressi nel cosiddetto "rampantismo", ossia una politica che diventa filosofia di vita, capace di incentivare i motori del successo e della carriera, facendo credere che a tutti venisse data la "possibilità di avanzamento individuale" e vivere "nell'illusione dell'opulenza". La voglia di partecipare alla favola di un mondo dorato si traduce in quella "cultura del narcisismo" in cui convivono gli aspetti esteriori legati alla moda e alla cura del fisico. In questo periodo si evidenziano le interpretazioni che George Vigarello, pur in un altro contesto, attribuisce alla storia della bellezza, applicando "i criteri di un'estetica fisica" a un immaginario "che affiora sulla superficie dei corpi, quello della tonicità, dei ritmi, dei movimenti".

I valori della parsimonia, del risparmio, dell'etica dell'acquisto vengono sostituiti, come conferma il Censis, dal "mondo del pieno consumo, della soggettività, dell'autoreferenza", introducendo una definizione che solo all'apparenza potrebbe risultare come un paradosso: "la soggettività di massa", a dimostrare come la volontà dell'individuo diventi volontà di massa.

In questo contesto dove tutto diventa spettacolarizzato, le trasformazioni sociali e di costume hanno nella cultura televisiva e dell'intrattenimento di massa il proprio megafono. Una pubblicità dell'amaro Ramazzotti che celebra la "Milano da bere" funziona da icona della comunicazione di massa per eleggere il luogo "da vivere, da sognare". Il privato diventa pubblico, con uno spazio crescente occupato dai piaceri, dai sentimenti, dalle passioni, dalle biografie personali, dalle confessioni via cavo o via etere.

Il ripiegarsi sulle ragioni del cuore, a sancire il primato dell'amore sulla liberazione sessuale, confermato dal successo sorprendente di un libro come Innamoramento e amore di Francesco Alberoni che, alla prima uscita nel '79, raggiunge la vetta delle vendite, costituisce solo il segnale più esplicito di come la società abbia scelto il privato come proprio riferimento. Anche se una penna arguta come quella di Ruggero Guarini invita a riflettere con più lungimiranza "sull'abisso immaginario che separa la Rivoluzione dalla Scuffia", con gli intellettuali critici a definire sarcasticamente Alberoni un "maestrino del pensiero", è evidente come questo nuovo incedere e insistere sul sentimento e il sentimentalismo rappresenti una spia da non sottovalutare. Tanto che anche la politica, su sollecitazione dei media sempre più proiettati a puntare sul personale, si adegua a organizzare una comunicazione moderna basata sull'emozione e sullo spettacolo delle vite vissute.

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2. Gli anni Novanta


1. I nuovi partiti

Al di là della disputa storica e politologica sui termini cronologici e fattuali della fine della prima Repubblica, è indubbio che gli anni Novanta rappresentino il periodo in cui muta profondamente lo scenario politico e, conseguentemente, il modo di percepire la politica. Ma non solo. Cambia anche l'atteggiamento nei confronti del paese, con gli interrogativi sul senso di Stato, di etica pubblica, di cultura politica. Per dirla con Guido Crainz, si aprono e si ampliano i motivi per "indagare, l'appannarsi, se non lo sgretolarsi, di una ragion d'essere della nazione".

Le ragioni di una trasformazione radicale dei vecchi sistemi ed equilibri si riscontrano nell'intreccio fra eventi internazionali sui quali hanno un peso decisivo il crollo del muro di Berlino e la disintegrazione del sistema comunista, e nazionali con l'inchiesta Mani Pulite a svelare il connubio politica-affari per delegittimare i partiti.

Il sistema politico è il primo a recepire e a subire le conseguenze di questi processi con lo sgretolamento delle ideologie e dei valori che finora avevano garantito la coesione sociale e fondato le identità collettive. Scoppola imputa alla "crisi della democrazia dei partiti" una sorta di "incapacità di autoriforma". Ma su queste radicalizzazioni si innestano anche mutamenti visibili nel sentire comune e nella mentalità che a volte precedono, a volte seguono le rotture politiche.

Di fronte alla "grande slavina", negli anni Novanta si assiste alla nascita e affermazione di nuove formazioni politiche, insieme al dissolvimento e successiva riformulazione di partiti storici alla ricerca di nuove strade. La sfiducia nel sistema politico tradizionale messo in crisi dalle inchieste giudiziarie favorisce il declino della partecipazione, innescando però forme alternative di militanza e ridisegnando "il panorama delle culture politiche e della loro presenza nella vita pubblica".

Mentre lo spirito anti-politico legittima la pur fugace apparizione di un "partito dell'amore" che candida due pornostar come Moana Pozzi e Ilona Staller insieme a pensionati e disoccupati, viene incentivata la volontà di presentare sulla scena protagonisti "diversi". La necessità di un leader forte e carismatico, il linguaggio "semplice ma completamente formulare" usato dai politici, lo strapotere televisivo che trasforma in personaggio anche chi siede in Parlamento, danno allo scenario politico un aspetto inedito.

Il riconoscimento della specificità territoriale, unito a uno spirito federalista e inizialmente secessionista, segnano l'ascesa della Lega che trova un collante forte nel rifiuto della partitocrazia di stampo romano, pur nella ricerca di valori e linguaggi popolari in grado di recepire umori e proteste nel segno di un nuovo tipo di appartenenza. Il modo di occupare la scena da parte dei leghisti guidati dal segretario carismatico Umberto Bossi, fonde la spettacolarità dei riti padani con una militanza di tipo tradizionale basata sul coinvolgimento forte dettato dalla condivisione di slogan, allocuzioni gergali con inclinazioni alla volgarità e al dialetto, frasi a effetto tratte da espressioni popolari.

Lontano dai canoni partitocratici classici, ma con caratteri mutuati direttamente dallo stile aziendale, Forza Italia è l'altra novità della scena politica di questo periodo. Un "partito azienda" che trova la sua ragione d'essere nel fondatore Silvio Berlusconi e nella simbiosi con il mezzo televisivo. Anche se già nel periodo precedente la televisione ricopre un ruolo centrale nella formazione dei comportamenti e degli stili di vita, negli anni Novanta tale centralità diventa ancora più incisiva, influenzando in maniera totale anche la comunicazione politica. Il partito creato da Berlusconi che è pure imprenditore televisivo, incarna la personalizzazione della politica, trasformando il modello televisivo in modello politico, con tratti non più distinguibili, facendo dell'"immagine del leader" uno dei punti fondanti.

Anche i partiti "storici", seppure con e per ragioni diverse, si trovano a cambiare non solo il nome, ma anche l'identità, nel tentativo di ricostruire dalle ceneri del passato forme inedite di partecipazione e organizzazione. Il passaggio dal Pci al Pds, dalla Dc al Ppi, dal Msi ad Allenza Nazionale non sono semplicemente trasformazioni nominali, ma processi politici che mettono in discussione il passato per proporsi come soggetti nuovi capaci di provare a rispondere anche ai mutamenti della società. Si tratta di percorsi complessi che determinano anche scissioni e discussioni aspre, ma che finiscono per ridefinire il rapporto fra politica e società, anche e soprattutto sulla scena pubblica, con il mezzo televisivo a scandire le immagini e i ritmi della politica.

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3. Oggi


1. Il corpo come luogo pubblico

Nell'era di You Tube, My Space e Facebook dove per conquistarsi un'identità occorre mettersi in Rete o in bacheca, i confini fra spazio pubblico e spazio privato si sono talmente sovrapposti da considerare naturale che la scena pubblica sia invasa da uno spettro molto ampio di questioni che vanno dalla politica all'etica, dai sentimenti al rapporto fra i sessi, dalla famiglia alla salute, abbracciando tutto il circolo dell'esistenza dalla nascita al decesso. "Non si teme di essere spiati, ma di non essere notati", annota il sociologo tedesco Wolfgang Sofsky che denuncia la passività dell'individuo di fronte alla "notorietà della privatezza".

La cronaca offre quotidianamente spunti e occasioni per rendere esplicita l'equazione fra pubblico e privato in un crescendo che contagia ogni tassello del "vissuto", sia che riguardi l'individuo che il gruppo o il collettivo. L'invadenza della tecnologia con mezzi sempre più sofisticati che monitorano istante per istante la vita quotidiana determinano il "declino dell'uomo privato", mettendo sullo stesso piano temi molto distanti fra loro come il divertimento e l'impegno politico, l'amore e il dolore, la privacy e la sicurezza, solo per fare alcuni esempi.

Lo strapotere dei media, la depoliticizzazione della società, l'omologazione dei comportamenti al modello televisivo producono come risultato una spettacolarizzazione del privato che fa leva sul dominio e l'ostentazione del corpo. Un corpo inteso nella sua accezione più larga, accogliendo al proprio interno non solo una connotazione estetica, ma pure proprietà che annoverano la procreazione, la sessualità, la malattia, i rapporti di coppia, la morte.

Quelli che vengono definiti comunemente temi etici in realtà si possono considerare terreni dove il privato finisce inevitabilmente per essere trasformato in discorso pubblico con il mutamento radicale del sentire comune. In questo nuovo scenario dove a dominare è la scena pubblica si calano – e molto spesso snaturano – scelte fondamentali quali l'aborto, la fecondazione assistita, il testamento biologico, le unioni civili, le famiglie allargate, l'eutanasia. Si tratta di casi che in altri periodi e in altri contesti hanno riguardato i rapporti fra religione e politica, fra cittadini e parlamento, fra legge e diritti, ponendo l'accento sulle priorità delle istanze della laicità, ma che nella società mediatizzata finiscono invece per essere ridotti a oggetto di spettacolarizzazione del privato.

Un caso così dolorosamente privato come quello di Eluana Englaro, la ragazza in coma irreversibile per la quale il padre chiedeva di interrompere l'alimentazione forzata seguendo la volontà espressa quando era nelle piene facoltà intellettive, rappresenta la testimonianza di come il passaggio verso la scena pubblica venga considerato un approdo naturale e inevitabile. Dove per "scena pubblica" si intende non solo rendere di dominio generale dolori, emozioni, sofferenze individuali fino a sottolineare gli aspetti più morbosi e ingombranti, ma pure far convergere in un unico palcoscenico le ragioni del diritto, della politica, dei media, della scienza, della religione, con un elenco che potrebbe allungarsi a dismisura.

Nella perdita della distinzione fra pubblico e privato va individuato, secondo Carlo Galli, l'evolversi di quella biopolitica di matrice foucaltiana, con il "potere politico che si fa potere di vita" dove appare sempre più netto "il nesso fra corpo umano e corpo politico, in cui si mostra che la politica ha a che fare, primariamente, con la vita e con la morte degli esseri umani, e che la sovranità è la decisione che opera su questa materia incandescente". La volontà di controllare e gestire i "corpi" dei cittadini significa far interagire poteri, saperi e tecnologie per intervenire su natalità, salute, mortalità, fertilità, longevità, facendo leva sulla "politicizzazione del corpo".

Prima e dopo il "caso Englaro" si evidenzia come anche l'area più intima della vita, quella che riguarda il diritto di decidere come vivere e come morire, non sia più relegata all'alveo della riservatezza e della libertà individuale, ma possa e debba essere affrontata pubblicamente. "Ora si vuole far diventare 'pubblico' il corpo di tutti noi", avverte Stefano Rodotà richiamando l'attenzione sulla pericolosità di "una ideologia riduzionista del senso e della portata dei diritti fondamentali, che vuole intromettersi nell'intera vita delle persone".

Ma il potere non solo si impadronisce del corpo di tutti, ma trasforma anche la vita privata in argomento pubblico. Mentre si discute su come orientare i comportamenti dei cittadini in materia di convivenza e procreazione, la scena politica elegge la dimensione privata come mezzo per acquistare consenso.

La "società intimista" dove Sennet fa discendere il "declino dell'uomo pubblico", si impone anche nel contesto italiano in cui i rappresentanti delle istituzioni, in ambito nazionale ma anche locale, si distinguono non tanto per le proposte o i provvedimenti da adottare, ma per la capacità di usare il privato in pubblico. Come a dire che la cultura politica è stata sostituita definitivamente dalla cultura dell'immagine, con l'esibizione del privato a fare da motore. Più importanti dei programmi diventano gli amori, i passatempi, le passioni, le confessioni dei vizi e delle debolezze. Perfino la malattia, come è accaduto per l'ictus del leader leghista Umberto Bossi che ha spettacolarizzato le difficoltà fisiche e la successiva 'rinascita'. In questo caso non siamo più in presenza di un'attenzione alla "vita privata" che Duby e Ariés ritenevano come spia indispensabile per studiare le evoluzioni della società e del costume, bensì di un privato che sostituisce la politica, o meglio che ne determina le scansioni in modo del tutto nuovo.

In questa logica cambia anche il linguaggio della politica, non solo in direzione di una semplificazione della terminologia o di un uso di simboli verbali e visuali, ma con l'utilizzo di parole evocative del privato per far presa sui cittadini. Il ricorrere all'espressione del "partito dell'amore" da parte di Berlusconi dopo l'aggressione subita a Milano per stemperare i toni di una contesa politica che poco ha a che fare con il gesto isolato di una persona con problemi psichici, è solo l'esempio più significativo – e sicuramente non ultimo – di come il lessico privato sia parte del discorso pubblico.

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1.4 Il doppio "caso Veronica"

Pur all'interno di una società che spettacolarizza il privato, una lettera inviata al quotidiano "la Repubblica" dalla moglie dell'ex presidente del Consiglio che chiede "pubbliche scuse" da parte del marito, apre un nuovo capitolo sul rapporto fra pubblico e privato. È il cosiddetto "caso Veronica" che trova il suo incipit il 31 gennaio 2007 (durante il secondo governo Prodi, con Berlusconi a capo dell'opposizione) e conoscerà una successiva puntata nell'aprile 2009 (con Berlusconi capo del governo).

Veronica Lario, moglie di Silvio Berlusconi, sceglie la classica "lettera al direttore" per esprimere la sua posizione di "donna offesa" dai comportamenti del marito verso altre donne durante una cena di gala. "A mio marito ed all'uomo pubblico – scrive firmandosi Veronica Berlusconi – chiedo quindi pubbliche scuse, non avendone ricevute privatamente, e con l'occasione chiedo anche se, come il personaggio di Catherine Dunne, debba considerarmi 'La metà di niente'".

Anche se la motivazione dell'uscita parte dalle frasi seduttive pronunciate dal marito nei confronti di alcune donne presenti alla festa televisiva, la lettera in questione riveste un'importanza centrale per una serie di motivi. Innanzitutto viene utilizzato un medium, in questo caso un giornale, che fa da cassa di risonanza per tutti gli altri mezzi, per comunicare il proprio privato dando un rilievo nazionale e internazionale all'accaduto.

In secondo luogo si sancisce il principio che a un uomo pubblico si debba rispondere con il mezzo pubblico, a rendere esplicita la simbiosi fra società politica e opinione pubblica. Come terza riflessione, va rilevato come il privato femminile finisca per essere difeso solo con un'esternazione pubblica, quasi a riprendere il vecchio slogan femminista degli anni Settanta "il personale è politico", pur inserito in un contesto molto diverso in cui, come rileva Chiara Saraceno, da "strumento per denunciare i rapporti di potere", l'assunto femminista nell'Italia berlusconiana è diventato "un'arma di potere".

La comunicazione di Veronica Berlusconi che rompe una condotta altrimenti riservata quando non imposta dai protocolli istituzionali, innesca la necessità di risposta del marito che si scusa pubblicamente con l'uso dello stesso mezzo: una dichiarazione diffusa attraverso i media in cui, "sfidato in pubblico", l'ex premier liquida i commenti pronunciati durante la cena come "battuta spensierata, riferimento galante, bagattella di un momento", presentando "la testimonianza pubblica di un orgoglio privato che cede alla tua collera come un atto d'amore". Anche se in questa risposta è evidente il calcolo politico di chi misura il consenso attraverso l'esposizione di sé, non bisogna sottovalutare la novità di una corrispondenza che frantuma definitivamente la barriera fra pubblico e privato.

Nello stile di Berlusconi non si tratta di un'anomalia rispetto a un copione che ha sempre mirato a spettacolarizzare il privato, finanche a sdrammatizzare i presunti tradimenti della moglie. La differenza sta nell'aver subìto l'esibizione del privato, con il ribaltamento dei ruoli nell'agire pubblico, pur all'interno di una stessa e studiata politica in cui la "vita privata" viene trasformata in "scienza politica".

Se il fronte più progressista insiste sulla legittimità dell'orgoglio femminile ferito con le teoriche femministe a richiamare la necessità da parte delle donne di non soccombere al pubblico potere, meno assolutori sono i giudizi di coloro che, temendo un contraccolpo di immagine, tendono a relegare il caso Veronica in "vicenda privata". Ma non mancano nemmeno i commenti compiaciuti sul premier "sciupafemmine" che non solo rappresenterebbe i desideri della maggioranza degli italiani, ma che incarna il mai sopito mito del capo virile e interprete dello spirito italico.

La lettera infatti provoca reazioni non sono in ambito familiare, ma anche nello scenario politico, proprio nel momento in cui in Parlamento si discute dei Pacs, allargando comunque la riflessione all'irruzione di amori e sentimenti esibiti nella vita politica italiana.

Il "caso Veronica" diventa "caso nazionale", trovando eco anche sui media internazionali che parlano di "melodramma italiano" ("The New York Times"), del "sessista Berlusconi" (Cnn), della "coppia Berlusconi che lava i panni sporchi in pubblico" ("Le Figaro"), solo per citare alcuni esempi di una molto più copiosa produzione giornalistica.

L'equivalenza fra privato e pubblico è ormai consegnata al giudizio storico costretto a registrare la sostituzione dei valori politici con i comportamenti pubblici, all'interno di quello che Edmondo Berselli chiama il "reality Italia" in cui "interpreti e spettatori sono sostanzialmente sullo stesso piano".

Maggiore risonanza, ma con una rilevanza politica più esplicita, ottiene il secondo "caso Veronica", datato 28 aprile 2009. Questa volta Veronica Berlusconi affida all'agenzia Ansa il suo pensiero relativo alle candidature nelle liste del Popolo della Libertà di "veline" e soubrette per le elezioni europee, non risparmiando pesanti giudizi sul comportamento del marito. "Qualcuno ha scritto – sostiene nelle dichiarazioni inviate alla principale agenzia di informazione – che tutto questo è a sostegno del divertimento dell'imperatore. Condivido, quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere". Le parole durissime della moglie del premier, innescate anche dalla presa di posizione delle donne di destra della Fondazione "Fare Futuro" contro "le veline candidate", vengono riprese da tutti i mezzi di comunicazione, rilanciando di nuovo la questione pubblico/privato destinata ad avere conseguenze di lungo termine. Anche se l'informazione "complice" o "addomesticata" dal presidente del Consiglio tenta di infangare l'immagine di Veronica Lario, la nuova "uscita" pubblica si trasforma in caso politico, con un valore aggiunto alla discussione sul tema in questione.

Appesantito dalla notizia della partecipazione del premier alla festa di compleanno di una diciottenne che lo chiama pubblicamente "papi", il "caso Veronica" diventa un tema per riflettere sull'ethos democratico, sulla selezione delle classi dirigenti, sul superamento di ogni cognizione di cultura politica, sul concetto stesso di democrazia. Commentatori, politologi, sociologi, editorialisti si interrogano su come sia cambiata la società contemporanea, a partire dalla gestione del potere da parte del premier. "Non si tratta di un affare privato – scrive Curzio Maltese –, ma di una questione politica. È importante ricordarlo, perché ci sono momenti in cui il fiume della cattiva politica tracima in dato antropologico permanente, e questo è il passaggio che stiamo vivendo".

Il cambiamento di costume, politico ma soprattutto antropologico, che si era rintracciato agli albori degli anni Novanta, assume con il berlusconismo una nuova forma, fino a giustificare o, ancor peggio, a eleggere come nuovi criteri di giudizio – anche politico – passerelle mediatiche o apparizioni quantomeno discutibili.

Carlo Galli definisce Berlusconi "l'uomo che parla alle viscere del paese" attraverso "affermazioni che cadono su un terreno sociale già preparato ad approvarle" e "parole che fanno il vero lavoro politico, plasmando e al tempo stesso confermando il senso comune degli italiani". Come a dire che la società e il presidente eletto dalla maggioranza degli italiani si riconoscono sullo stesso terreno dove politica ed etica vanno a formare un unico nodo.

Liquidate le esternazioni della moglie "ingannata dai giornali di sinistra", Berlusconi è però costretto a cambiare le liste elettorali togliendo i nomi delle ragazze immagine, anche se la polemica attorno alla frequentazione di minorenni da parte del premier è destinata ad aprire interrogativi politici di lunga durata. È ancora Veronica Lario ad annunciare attraverso i giornali, facendo intervenire l'avvocato, l'intenzione di divorziare, motivando la decisione con un giudizio definitivo verso il marito, descritto come "una persona che non sta bene". La campagna diffamatoria nei suoi confronti che arriva perfino a pubblicare foto di quando svolgeva il ruolo di attrice facendola sentire "come davanti a un plotone di esecuzione qualche secondo prima della fucilazione", proietta non solo il caso personale nella scena pubblica, ma determina a ricaduta conseguenze sempre più evidenti sul piano politico.

Mentre Berlusconi utilizza il salotto di Porta a Porta per la sua versione dei fatti ("è una menzogna che frequenti ragazze minorenni, Veronica si scusi e riconosca pubblicamente l'errore"), in una perfetta consonanza fra comportamento privato e stile televisivo, senza alcun contraddittorio e con un comizio da propaganda, una parte dei commentatori dei media si affretta a relegare le questioni sollevate in "caso privato". Anche se una firma qualificata come Barbara Spinelli riflette su un "privato che uccide la politica" finendo per far dimenticare "il bene comune che appartiene alla res publica", il dibattito tende a separare i piani per spostare l'attenzione su un altro angolo visuale. Ecco che allora la vicenda che sublima la sovrapposizione di privato e pubblico come identità politica, rischia di sgretolarsi davanti al tentativo di giustificare comunque il presidente del Consiglio. Una lettura di calcolo politico che però compromette un'interpretazione oggettiva e obiettiva che va in direzione opposta, ovvero in uno stile politico che ha fatto scuola, fino a portare a conseguenze imprevedibili il suo svolgimento. Riflettendo su questo aspetto, Umberto Eco evoca l'impero romano come modello in cui "si realizza, nella Storia, una fusione completa tra potere politico e affari personali" con "l'imperatore" a identificarsi nella figura di "padrone assoluto dello stato".

Relegare come "privata" la condotta di Berlusconi può essere un'efficace difesa di fronte al mancato controllo dei fatti da parte del protagonista, ma non è in grado di dare una spiegazione su una realtà che proprio sul privato esposto ha costruito le propria fondamenta. Fondamenta politiche, etiche, antropologiche, in cui la scena pubblica rappresenta una realtà contemporaneamente individuale e collettiva.

Il cosiddetto "caso Veronica" si trasforma così in "caso Berlusconi" dove a delimitarne la definizione non è l'irrisolto conflitto d'interessi fra politica e tv con un ruolo crescente però ricoperto dalla dipendenza mediatica, ma la convergenza (e divergenza) di interessi fra pubblico e privato, sulla quale è necessario riflettere intrecciando strumenti e metodologie della politologia, massmediologia, storia, sociologia, teoria politica.

In un panorama che oscilla fra "innocentisti" (il privato è privato) e "colpevolisti" (l'agire privato è pure agire pubblico), si inserisce l'inchiesta di un giornale come "la Repubblica" che, attraverso l'intervento di Giuseppe D'Avanzo, prima ricostruisce "la storia" come un tassello indispensabile per interpretare il nuovo rapporto fra "politica e società", poi invita il premier a rispondere a dieci domande sulle "incoerenze di un caso politico", di fronte alle quali Berlusconi sporgerà poi querela. Un "caso politico" con la prospettiva di aprire nuovi capitoli che comprendono poi la presenza di prostitute (escort, nel gergo giornalistico) alle feste organizzate dallo stesso premier, promesse di favori o raccomandazioni per carriere politiche o personali, promozioni politiche dettate da ragioni differenti da quelle di competenze professionali.

Un "caso politico" dunque dove il privato è centrale, fra imbarazzi degli alleati di governo, commenti increduli dei media internazionali, silenzi e successive reprimende delle varie voci del mondo cattolico, appelli da parte di una pur esigua rappresentanza femminile che si ribella contro il modello di una donna 'mercificata', secondo un nuovo "galateo politico" dove è contemplata solo la "donna ornamento". La stessa figlia del premier, Barbara Berlusconi, in un'intervista a "Vanity Fair" ribadisce che "un politico non ha privato", confermando come la comunicazione familiare si trasformi in comunicazione pubblica e politica.

Non è questa la sede dove esprimere un giudizio sul "caso Berlusconi", destinato peraltro a presentare ancora conseguenze di lunga durata, non solo sul piano politico. Certo è che in uno Stato spettacolo che ha iniziato il suo corso negli anni Ottanta, la politica berlusconiana ne ha elevato il valore all'ennesima potenza, "con l'idea che, in fondo, e in genere, Berlusconi siamo noi". Un "noi" riferito ai cittadini che si riconoscono in un premier che si compiace di "non essere un santo" esaltando vizi e virtù dell'uomo comune che trova nella condotta del presidente del Consiglio un banco di prova nel quale poi sublimare il modello. Secondo Ilvo Diamanti, Berlusconi ha saputo fondare il suo successo nel "falso mito del senso comune" con gli italiani pronti a percepire il premier "come uno di loro":

Questi italiani: individualisti e familisti, spacconi e donnaioli, un po' evasori, diffidenti verso i poteri pubblici, liberisti a parole, soprattutto quando si tratta degli altri. Innamorati dell'immagine, sperduti nel mondo dei media e della televisione, attratti dal gossip e dai salotti tivù. E quindi dal principale protagonista e autore della realtà mediale. Lui. Silvio Berlusconi.

Un'analisi che fa presagire come il berlusconismo possa sopravvivere al suo fondatore, avendo fondato un senso comune (in questo caso non falso) con radici profonde.

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