Copertina
Autore Patrick Tort
Titolo Darwin e la filosofia
SottotitoloReligione, morale, materialismo
EdizioneMeltemi, Roma, 2006, Universale 19 , pag. 90, cop.fle., dim. 120x190x9 mm , Isbn 978-88-8353-452-2
OriginaleDarwin et le Philosophie
EdizioneKimé, Paris, 2004
TraduttoreTelmo Pievani
LettoreLuca Vita, 2006
Classe antropologia , filosofia , scienze naturali , scienze sociali , biologia , evoluzione
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Indice

  7 Introduzione
    Darwin: la dichiarazione di indipendenza della natura
    Telmo Pievani

    Darwin e la filosofia


 19 Capitolo primo
    Sull'importanza delle definizioni

 29 Capitolo secondo
    Sull'ateismo di Darwin

 41 Capitolo terzo
    Sugli studi filosofici di Darwin

 53 Capitolo quarto
    Darwin, anello mancato e ritrovato del materialismo
    di Marx

 69 Capitolo quinto
    Darwin e Hobbes

 77 Capitolo sesto
    L'effetto reversivo non è un concetto filosofico

 83 Bibliografia

 87 Indice dei nomi

 

 

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Pagina 36

Una genealogia materialista della morale

L'antropologia di Darwin si edifica dunque su una base tanto chiaramente opposta alla religione — ridotta in sostanza alla credulità superstiziosa — quanto può esserlo la sua visione naturalistica del mondo. Se per la sua cultura, i suoi affetti e le sue proprie convinzioni aderisce alla morale dei Vangeli, egli sa per contro che questi non ne sono l'origine profonda e nemmeno l'espressione credibile e coerente, né il sublime fondamento. Il mito cristiano, al pari di tutti gli altri miti, è legato per sua costituzione alla metafora e all'allegoria. Il suo senso profondo è dettato dalla sfida che contiene, e questa sfida è civilizzatrice, quindi politica.

Nel 1871, con L'Origine dell'uomo, Darwin esplicita il ricongiungimento dell'uomo alla serie animale e, per conseguenza, l'evoluzione culturale (sociale, intellettuale, religiosa e morale) all'evoluzione biologica. Compiendo il gesto indispensabile di coerenza e di completamento discorsivo che gli detta la razionalità trasformista, egli compie allo stesso tempo, dal punto di vista della Chiesa, il gesto più grave. In effetti, se la Chiesa, attraverso le sue revisioni successive, poteva integrare, a prezzo di concessioni interpretative sul dogma, il contenuto naturalista dell' Origine delle specie, che riguardava espressamente solo i gruppi vegetali e animali, per contro essa non ha mai potuto spingersi fino a integrare una concezione unicamente biogenetica dell'evoluzione dell'uomo e delle manifestazioni individuali e sociali della sua coscienza, includendo naturalmente la morale, ed è ciò che sperimentiamo ancora oggi. Se lo spettro dell'immoralità congenita del darwinismo è stato brandito da tutti gli avversari cristiani di Darwin — i quali, invariabilmente, applicano alle società umane un darwinismo "bestiale" stabilito all'insegna della "legge del più forte" ignorando, e questa fu la regola dominante, la genealogia della morale e l'etica del soccorso introdotte nel 1871 –, è proprio perché l'antropologia filogenetica di Darwin racchiudeva questa teoria delle origini naturali della morale che rendeva superfluo e riduceva alla sua condizione di mito civilizzatore il racconto biblico del Decalogo, introducendo in sua vece un insieme di determinazioni immanenti perfettamente in grado di spiegare la maniera in cui si genera, evolutivamente, una morale senza obbligazioni trascendenti, una morale senza Dio.


Una "secolarizzazione della morale"?

L'assunzione dell'antropologia darwiniana su basi teoriche e testuali restaurate nel 1983 (Tort 1983), ha permesso di rispondere a questa domanda. Nell' Origine dell'uomo (1871), Darwin attribuisce in maniera logica all'azione persistente della selezione naturale il trionfo tendenziale degli istinti sociali in seno all'umanità che progredisce sulla strada della civilizzazione. Lo sviluppo degli istinti sociali – le cui manifestazioni primordiali negli animali superiori e, singolarmente, negli esseri umani sono legate alla formulazione della diade sessuale così come all'estensione crescente delle cure parentali – è accompagnato da una costellazione di conseguenze psico-affettive e comportamentali che, con l'aumento delle capacità razionali, istituzionalizzano l'altruismo e i comportamenti di solidarietà sulla base di una simpatia sempre più diffusa. Così, mentre la simpatia dischiude i comportamenti individuali al riconoscimento dell'altro come proprio simile, facendo in tal modo regredire la legge guerresca della competizione e dell'eliminazione dei vinti, la razionalità apre in modo coestensivo i comportamenti collettivi all'invenzione di forme di organizzazione che integrano questa evoluzione morale all'universo del costume, delle istituzioni e della legge. La selezione naturale si trova in tal modo all'origine delle istanze (simpatia e ragione) la cui evoluzione congiunta, in quanto facoltà, determina la propria estenuazione come meccanismo eliminatorio, e le assicura, gradualmente e senza rotture, per mezzo di un meccanismo di rovesciamento progressivo che ho sempre paragonato alla torsione del nastro di Möbius, un nuovo trionfo evolutivo fondato non più sul vantaggio biologico ma sul vantaggio sociale. Laddove la selezione naturale elimina, la civilizzazione, essa stessa selezionata nei suoi meccanismi fondatori, protegge. Nella civilizzazione, la selezione naturale favorisce i comportamenti anti-selettivi, mentre la razionalità, essa stessa selezionata, istituisce le regole di una vita sociale da cui l'eliminazione tende a essere vantaggiosamente proscritta. La morale individuale e collettiva si trova in tal modo spiegata al di fuori di ogni riferimento a un dogma dell'obbligazione trascendente. Essa è, a un tempo, un prodotto e un operatore dell'evoluzione. Essa è, fin dentro il suo stesso carattere normativo, la risultante di un'evoluzione congiunta di facoltà e una produttrice di regole di comportamento che si inscrivono in una tendenza evolutiva che essa contribuisce, simultaneamente, a ridefinire. Essa è un fatto dell'evoluzione umana che si teorizza in quanto tale tramite il concetto di effetto reversivo dell'evoluzione. Essa non è certamente il prodotto di una qualsiasi "filosofia" di Darwin.


Religione ed evoluzione

Darwin ha parimenti osservato che i principi fondamentali della morale, malgrado le differenze che li separano (e che testimoniano in favore della loro dipendenza relativa rispetto all'ambiente), si ritrovano nei comandamenti della maggior parte delle grandi religioni. Per questo materialista ateo che considera le credenze collettive dei diversi popoli della Terra come altrettante leggende più o meno segnate dalle tracce residue della loro origine superstiziosa, il fenomeno religioso, come il fenomeno morale al quale imprime un carattere di sublimazione riferendolo a un comandamento trascendente, è un tratto universale dell'evoluzione umana e una costante della storia delle civilizzazioni. Ormai, la selezione si esplica nell'ambito della civilizzazione, nel senso di una competizione per il miglioramento morale dell'uomo. Quanto alla religione, essa – per mezzo della paura che ispira la trascendenza mitica che invoca – non è altro che un mezzo politico di costrizione dei riluttanti, cioè di coloro che ancora obbediscono alle pulsioni gladiatorie.

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Una riconciliazione dialettica

Fin dal 1983 ho assunto il delicato compito di far conoscere e di spiegare l'antropologia reale di Darwin e la sua connessione con la teoria centrale dell'evoluzione degli esseri organizzati. Per una gran parte, questo lavoro è consistito nella spiegazione di un concetto, quello dell' effetto reversivo dell'evoluzione. Qui di seguito, ne richiamerò brevemente il contenuto.

Il motore dell'evoluzione è il meccanismo della selezione naturale delle variazioni biologiche vantaggiose. Questo campo molto vasto delle variazioni che danno luogo al vaglio selettivo trasformatore si estende fino al dominio degli istinti, delle facoltà e dei comportamenti. Nell'ambito dell'evoluzione umana, la selezione naturale ha favorito effettivamente lo sviluppo delle capacità razionali e al tempo stesso quello, indissociabile, degli istinti sociali che sono all'origine della simpatia, dei comportamenti solidali, del soccorso ai deboli, dell'assistenza ai bisognosi – tutti comportamenti che si oppongono al meccanismo eliminatorio della selezione naturale. Una tale evoluzione congiunta dei sentimenti di affezione e della razionalità mette capo a una istituzionalizzazione crescente dell'altruismo, segno significativo del progresso della civilizzazione. In tal modo, secondo una formula diventata oggi quasi familiare, "la selezione naturale, per mezzo degli istinti sociali, seleziona la civilizzazione, che si oppone alla selezione naturale". La morale (quella della simpatia e del riconoscimento dell'altro come proprio simile) è anti-selettiva, e i sentimenti che suscita – per esempio, quelli che inducono ad aiutare i più deboli – costituiscono per Darwin "la parte più nobile della nostra natura". Questa morale del soccorso e del recupero degli svantaggiati è un' anti-natura soltanto quando ha come unica conseguenza di contrastare l'antica forma eliminatoria della selezione – quella che si applicava ai gruppi di organismi che il successo evolutivo dell'uomo tende a considerare ormai come inferiori – e quando, allo stadio della civilizzazione, declina secondo la regola evolutiva del "deperimento delle forme antiche": la selezione naturale si trova quindi sottoposta alla sua stessa legge. Ma questa morale altruista e assimilativa è e rimane, in quanto selezionata essa stessa come un vantaggio, un prodotto omogeneo del meccanismo evolutivo specifico che fa entrare l'essere umano, senza rotture ma attraverso un lungo processo graduale di regressione e d'inibizione dei comportamenti guerreschi, nell'elemento della civilizzazione e, simultaneamente, in quello della razionalità fondatrice. Laddove la selezione antica eliminava, la civilizzazione protegge e erige tale protezione a legge. L'emergere della civilizzazione si confonde, evolutivamente, con la selezione di comportamenti anti-selettivi. Il vantaggio, allora, non è più di ordine individuale e biologico. È diventato sociale.

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Si pone a questo punto una questione teorica della massima importanza, anche se non di grande novità, e che al tempo stesso è una questione di metodo. Quale distinzione dobbiamo stabilire tra un'idea filosofica e un concetto scientifico? E, più ampiamente, tra una dottrina filosofica e una teoria scientifica? Quando Marx sottolinea l'analogia tra la teoria darwiniana della lotta per resistenza e la rappresentazione hobbesiana dello stato di natura, al fine di ridurre questo a quella – tenendo conto per altro dell'equivalenza che egli postula implicitamente tra filosofia e ideologia – è chiaro che lo fa per destituirla della sua qualità di teoria scientifica. Una filosofia che si fa passare per scienza: questa potrebbe essere la definizione dell'ideologia. In tal modo, il darwinismo sarebbe falso per essere nient'altro che una filosofia, o un'ideologia sociale alla ricerca di un ancoraggio naturalista. Qui sta l'errore di Marx: oggi sappiamo che la teoria darwiniana ha prodotto il quadro di riferimento di tutto il pensiero moderno dell'evoluzione, e che per conseguenza non è una filosofia e nemmeno un sottoprodotto ideologico dell'economia politica, ma una teoria scientifica perfettamente adeguata al suo oggetto. Rilevare una somiglianza strutturale tra la teoria dell'emergenza della civilizzazione in Hobbes e in Darwin, come abbiamo fatto qui sopra, non deve in alcun modo condurci a concludere che Darwin ripete Hobbes (che probabilmente non ha mai letto) e che per questo si assimila alla filosofia. Per contro, ciò che sarebbe legittimo concluderne è che — siccome la filosofia è stata il terreno sul quale si sono venute sviluppando le narrazioni delle origini che riguardano l'emergenza dello stato sociale — le procedure di pensiero sviluppate su questo terreno hanno potuto agire perfettamente da attivatori, da incitatori, e persino da modelli per una riflessione naturalista alla ricerca di un meccanismo esplicativo per la comprensione dell'evoluzione degli organismi o dell'emergenza di regole di civilizzazione. D'altra parte, è proprio quello che è avvenuto con Malthus, come abbiamo a sufficienza spiegato più sopra. L'impiego di una struttura di pensiero di tipo "filosofico" o "ideologico" da parte della razionalità scientifica in corso di elaborazione è cosa normale e corrente. Ma nel momento in cui l'elaborazione in questione ha generato nel proprio campo dei risultati comprovati e un'euristica produttiva, la storiografia della sua invenzione, interessante dal punto di vista della genesi soggettiva delle idee teoriche, non ha più il diritto di esercitare la minima influenza sulla natura definitivamente altra dalla verità che ne scaturisce. In altri termini, anche se si ammette che Darwin conoscesse la teoria hobbesiana dello stato di natura, o che quella del principio di Malthus abbia avuto un qualche ruolo nell'elaborazione del concetto di lotta per l'esistenza e di selezione naturale (ipotesi non contestabile, questa), non ne consegue certo che la teoria scientifica dell'evoluzione, per quanto abbia potuto integrare degli elementi di razionalità appartenenti in origine a questi due universi di discorso, porti dentro di sé il marchio della loro influenza ideologica. E che ne sia il semplice riflesso o la semplice continuazione. E ciò è tanto più evidente per il fatto che Darwin, il quale ha riconosciuto di aver tratto dalla lettura di Malthus un elemento di modellazione importante, ha respinto espressamente la dottrina malthusiana in nome della sua propria teoria. Malthus è servito — ma per frammenti, e deviato dal suo campo — a costruire la teoria evolutiva. Hobbes — attraverso diverse mediazioni, e indipendentemente dalle sue conclusioni assolutiste — è potuto servire in una certa misura a suggerire il meccanismo dell'effetto reversivo che governa, all'interno della specie umana, l'evoluzione sociale e l'emergenza della "civilizzazione". Ma gli elementi presi a prestito dall'uno e dall'altro, trasformati all'interno della teoria biologica e antropologica di Darwin, non hanno più, nel loro nuovo quadro, lo statuto "filosofico" che permetteva loro di generare legittimamente una filosofia omogenea a partire da questo nuovo quadro, e ciò precisamente perché questo quadro è nuovo. Darwin non è ne hobbesiano né malthusiano. Sono i neo-hobbesiani e i neo-malthusiani (gli "ideologi" nel senso di Marx) che andranno a ricercare nella teoria darwiniana, che fingeranno di considerare figlia dei suoi prestiti tentando di ignorare il fatto che essa li ha trasformati, l'apparenza di un ancoraggio più potente (in quanto naturalista) delle eterne teorie di Hobbes e di Malthus. Così funziona l'ideologia. Nessuna ideologia può "nascere" da una scienza. L'ideologia nasce sempre dall'ideologia.

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