Copertina
Autore Jean-Philippe Toussaint
Titolo Fuggire
EdizioneFandango, Roma, 2007, Mine vaganti 35 , pag. 120, cop.fle., dim. 14,5x21x0,7 cm , Isbn 978-88-6044-036-5
OriginaleFuir [2005]
TraduttoreRoberto Ferrucci
LettoreFlo Bertelli, 2008
Classe narrativa francese
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Pagina 9

Sarebbe dunque mai finita con Marie? L'estate precedente la nostra separazione, avevo passato qualche settimana a Shanghai, non si trattava di un viaggio di lavoro vero e proprio, ma piuttosto di un viaggio di piacere, anche se Marie mi aveva affidato una sorta di missione (non ho voglia però di entrare nei dettagli). Il giorno del mio arrivo a Shanghai, Zhang Xiangzhi, che aveva delle relazioni in affari con Marie, venne ad accogliermi all'aeroporto. L'avevo visto soltanto una volta, a Parigi, negli uffici di Marie, ma lo riconobbi subito, stava parlando con un poliziotto in uniforme dietro le garitte del controllo passaporti. Doveva essere sulla quarantina, le guance tonde, i lineamenti appesantiti, la pelle liscia e abbronzata, e portava degli occhiali da sole molto scuri che coprivano la parte alta del viso. Aspettavamo la mia valigia ai margini del tapis roulant e dal momento del mio arrivo, avevamo scambiato qualche parola in un cattivo inglese soltanto quando mi porse un telefono cellulare. Present for you, mi disse, facendomi sprofondare in una perplessità estrema. Non capivo bene l'urgenza che aveva di dotarmi di un telefono cellulare, d'occasione peraltro, piuttosto brutto, grigio spento, senza scatola né libretto d'istruzioni. Per potermi localizzare di continuo, sorvegliare i miei spostamenti e tenermi d'occhio? Non lo so. Lo seguivo in silenzio fra i corridoi dell'aeroporto, e percepivo un'inquietudine diffusa, rafforzata fra l'altro dalla stanchezza per il viaggio e dalla tensione di arrivare in una città sconosciuta.


Oltrepassate le porte di vetro scorrevoli dell'aeroporto, Zhang Xiangzhi fece un breve cenno muto con la mano e una Mercedes grigia fiammante venne a parcheggiarsi lentamente davanti a noi. Si mise al volante, lasciando che l'autista, un giovane dall'aspetto esangue da rasentare l'inconsistenza, salisse dietro dopo aver sistemato la mia valigia nel bagagliaio. Seduto al volante, Zhang Xiangzhi mi invitò a raggiungerlo e presi posto di fianco a lui su un confortevole sedile con braccioli in pelle color crema che puzzava un po' di nuovo, mentre lui giocava con un pulsante digitale per regolare il climatizzatore, che si mise a vibrare dolcemente nell'abitacolo. Gli consegnai la busta in carta kraft che Marie mi aveva affidato per lui (e che conteneva venticinquemila dollari in contanti). L'aprì, fece scorrere il pollice sul taglio delle banconote per contarle rapidamente e richiuse la busta, che infilò nella tasca posteriore dei pantaloni. Bloccò la cintura di sicurezza, e lasciammo lentamente l'aeroporto per prendere l'autostrada in direzione di Shanghai. Non dicevamo nulla, lui non parlava francese e molto male l'inglese. Portava una camicia grigiastra a maniche corte, con attorno al collo una catenina in oro e un pendente a forma di unghia o artiglio di drago stilizzato. Tenevo sempre sulle ginocchia il cellulare che mi aveva regalato, non sapevo che farne e michiedevo perché me l'avesse dato (semplice regalo di benvenuto in Cina?). Non ignoravo che Zhang Xiangzhi eseguisse da qualche anno operazioni immobiliari in Cina per conto di Marie, forse dubbi e illeciti, affitti e vendite di subaffitti commerciali, rilevamenti di superfici edificabili in zone adibite ad altro uso, il tutto visibilmente inficiato di corruzione e di commissioni occulte. Dopo i suoi primi successi in Asia, Corea e Giappone, Marie si era stabilita a Hong Kong e a Pechino sperando di acquisire nuovi negozi a Shanghai e nel sud del Paese, con progetti già ben avviati di aprire delle succursali a Shenzen e a Canton. Ma, fino a quel momento, non avevo mai sentito dire che Zhang Xiangzhi fosse legato al crimine organizzato.

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Nei giorni che seguirono, Zhang Xiangzhi si accontentò di chiamarmi una o due volte al telefono cellulare che mi aveva regalato per avere mie notizie e per invitarmi a pranzo. Dopo il mio arrivo, avevo passato la maggior parte del tempo da solo a Shanghai, senza fare granché, non conoscevo nessuno. Passeggiavo per la città, mangiavo a caso, spiedini di rognone piccanti agli angoli delle strade, scodelle di fettuccine fumanti in bettole affollate, altre volte pranzi più elaborati nei ristoranti dei grand hotel, dove esaminavo a lungo il menu in sale da pranzo kitsch e deserte. Il pomeriggio, facevo la siesta nella mia camera, e non ne uscivo che a sera, quando l'aria si era un po' rinfrescata. Camminavo nella notte tiepida, perso nei miei pensieri, risalivo Nanjing Road, indifferente al rumore e alla vivacità delle boutique illuminate da neon arabescati. I miei passi calamitati dal fiume, finivano sempre per farmi sboccare sul Bund, accolto dalla sua brezza marina e dai suoi spruzzi. Attraversavo il sottopasso, e passeggiavo lentamente lungo il fiume, lasciando vagare lo sguardo sulla fila di palazzi europei dai tetti illuminati che rischiaravano la notte con un alone di luce verde i cui pallori smeraldo si riflettevano tremolanti nelle acque dell'Huangpu. Sull'altra riva, oltre i flutti sudici di rifiuti vegetali, fango e alghe che stagnavano nell'oscurità dentro una maestosa risacca in sospensione sulla superficie dell'acqua, si leggeva nel cielo come nelle linee della mano la fila futurista dei grattacieli di Pudong, con la caratteristica sfera dell'Oriental Pearl, e, più in lontananza, sulla destra, come in disparte, modesta e appena illuminata, la maestosità discreta della torre Jinmao. Appoggiato al parapetto, pensieroso, guardavo la superficie nera e ondeggiante del fiume nell'oscurità, e pensavo a Marie con quella malinconia sognante che suscita l'idea dell'amore quando è connessa allo spettacolo delle acque scure nella notte.


Era dunque tutto perduto in partenza con Marie? Cosa potevo saperne allora?

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Lasciammo la stazione dietro di noi e ci mettemmo a correre (non cercavo più di capire cosa stesse succedendo, troppe cose mi sembravano oscure da quando ero arrivato in Cina), attraversammo correndo una larga strada fra i fari bianchi accecanti delle macchine per entrare in un vecchio edificio in mattoni, dove, in una chiara oscurità giallastra, fluttuavano odori velenosi di cavolo rancido e di piscio. Due poliziotti di guardia sorvegliavano la porta, indifferenti e silenziosi, in uniforme, un manganello al loro fianco. Eravamo appena entrati in un salone che un nugolo di uomini seguì le nostre orme come uno sciame d'insetti, veementi e volubili, cercando di venderci dei biglietti del treno al mercato nero. Era una vasta sala dall'aspetto di luogo per le scommesse clandestine che brulicava di gente, con una biglietteria vecchiotta e gli sportelli deserti, mozziconi sparsi sul pavimento, vaschette per il pranzo in cartone zigrinato abbandonate per terra, e sputi umidi, un po' dappertutto, come una costellazione stellata, che rilucevano di un bagliore madreperlaceo sulle piastrelle. Zhang Xiangzhi si mise a esaminare i biglietti che i venditori gli porgevano e seguì un piccolo gruppo all'ombra di una colonna. Circondato da una decina di tizi che gli si incollavano al corpo, solo la sua testa spuntava ancora fra un rizzarsi di braccia e spalle in movimento, estrasse dalla tasca un grosso rotolo di tagli da cento yuan di un rosso rosato scolorito e tolse, contando in modo ostentato con il pollice, sei biglietti dal rotolo, e li tese al venditore. Quest'ultimo li respinse violentemente, l'aria indignata, gesticolando per dire che non poteva accettare una simile offerta, mimando con il pollice che lo si sgozzava, e cercò di impossessarsi con la forza di tutto il pacchetto per ottenere il più possibile da una negoziazione diventata ora selvaggia e che stava virando all'incidente, alla rissa, ai pugni. Finalmente, liberandosi con un colpo di spalla dalla prevalenza del gruppo, Zhang Xiangzhi estrasse altre tre vecchie e sgualcite banconote dà venti yuan dal taschino della camicia, che aggiunse ai sei tagli da cento yuan che aveva precedentemente offerto, e lo scambio avvenne, rapido, volgare, brutale, tre biglietti del treno Shanghai-Pechino contro seicentosessanta yuan in contanti.

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