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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 1 Attacco di panico. Un nuovo approccio 9 2 Paura/nevrosi d'angoscia, ansia, stress, trauma 18 3 Il DAP (disturbo di attacco di panico) 32 4 Personalità ed emozioni 43 5 Il Sé e i suoi confini 54 6 li Sé e la sua terapia 65 7 Nuovi approcci terapeutici 70 Indirizzi utili 118 Bibliografia 124 |
| << | < | > | >> |Pagina 9La storia Sembra strano pensare che già nel IV secolo l'uomo potesse soffrire di attacchi di panico, ma gli scritti dell'illustre medico greco, Ippocrate, ci danno notizie che vanno proprio in questa direzione. L'attacco di panico non è, dunque, un disturbo di recente generazione. Ippocrate (460-370 a.C.), infatti, il fondatore della medicina scientifica, parlò di isteria, descrivendone sintomi specifici che noi oggi consideriamo riconducibili agli attacchi di panico. Dopo di lui Galeno (200-130 a.C.), il padre della fitoterapia, individuò le cause della cosiddetta isteria nel disequilibrio dello stato degli umori, che identificava in bile gialla, bile nera, sangue e flegma. Intorno al I secolo Cristo il medico greco Areteo di Cappadocia narrò la storia di un carpentiere saggio e dalle grandi capacità che, al momento di scendere al foro, alle terme o in qualsiasi altro luogo pubblico, cominciava a sospirare e riusciva a tornare in sé solo una volta rientrato nel luogo di lavoro. Oggi l'agorafobia è una paura riconosciuta e studiata dalla psicologia. Con un salto lungo piú di 2 millenni approdiamo al pensiero di Boissier De Sauvage (1700) che utilizzò il termine «vertigine isterica» per descrivere una sintomatologia da ricondurre all'attacco di panico. Culen, mezzo secolo piú tardi, coniò il termine «nevrosi funzionale», mentre Morel (1866) descrisse i sintomi caratteristici di una «nevrosi vegetativa». Krishaber, tra il 1872 e il 1873, descrisse con il termine «neuropatia cerebo-cardiaca» una patologia che presenta caratteristiche simili a quelle degli attacchi di panico. Nello stesso periodo il medico militare De Costa battezzò una nuova corrente di ricerca sulle conseguenze che lo stato d'angoscia può avere sul funzionamento del cuore rendendolo piú fragile. Anche Sigmund Freud (1856-1939), il neurologo e medico austriaco che offri al mondo l'incredibile scoperta dell'inconscio, impiegò le sue energie per studiare i disturbi dell'ansia dando loro un nuovo nome, «nevrosi d'angoscia», e individuandone due forme in relazione alla quantità minore o maggiore di ansia. La prima, spiegò Freud, si manifesta in un diffuso senso di paura e di inquietudine che nasce da un pensiero rimosso, curabile attraverso l'intervento psicoterapeutico. La seconda forma, nella quale predomina l'aspetto biologico, è accompagnata da aumento dei ritmi respiratori e cardiaci, sudorazione, diarrea e terrore.
Passarono anni di silenzio sull'argomento fino a quando
Donald Klein, negli anni sessanta, riaccese i riflettori sui
disturbi d'ansia dimostrando che gli attacchi di panico
hanno caratteristiche biologiche, epidemiologiche e cliniche
specifiche. Solo nel 1980, nella terza edizione del
DSM 1980 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders - Manuale diagnostico statistico per i disturbi
mentali) venne ufficialmente stabilito che gli attacchi di
panico sono una forma assolutamente specifica di disturbo
d'ansia e come tali richiedono un approccio terapeutico
specifico.
Cos'è l'attacco di panico? Il panico è un problema strettamente collegato alla regolazione e al contenimento delle proprie emozioni. Le sue radici profonde hanno a che fare con zone grigie di depressione e di dolore nascoste silenziosamente nella nostra vita fino a quando, un bel giorno, inaspettatamente, emergono con prepotenza nella nostra vita. Cos'è un attacco di panico? È un improvviso attacco contraddistinto da un'intensa e profonda sensazione d'angoscia, di catastrofe imminente, di pericolo, di terrore, di paura accompagnato da difficoltà respiratoria e aumento del battito cardiaco. Il disturbo di attacco di panico, generalmente, è inaspettato e non collegato, apparentemente, a particolari situazioni o oggetti. Di norma ha una durata breve, si tratta di pochi minuti, ma può avere sulla psiche effetti devastanti: dopo il primo attacco, infatti, subentra nel soggetto il terrore di una nuova crisi. Chi soffre di questo disturbo è una persona che si cimenta nella folle impresa di tenere lontano dalla propria vita le emozioni: ne ha paura, perché percepisce la inevitabile difficoltà di controllarle, di tenerle a bada e quindi sceglie per loro la via dell'«emarginazione». Sappiamo, però, che le emozioni sono parte integrante e ineliminabile del tessuto stesso dell'esistenza e che l'impresa condotta nel tentativo di mandarle in esilio in qualche isola sperduta della nostra coscienza, di metterle al bando, è impossibile e genera un profondo conflitto interiore che prima o poi esploderà. È come se ogni giorno spingessimo nel profondo, dentro di noi, una certa quantità di emozioni fino a quando le loro vibrazioni, se pure compresse, sono talmente intense e strette l'una sull'altra da cercare una via di fuga, una strada verso la libertà e, in qualche modo, verso il loro riconoscimento da parte nostra: l'attacco di panico, infatti, si manifesta proprio in un'eruzione incontrollabile di emozioni spiacevoli sia per la nostra psiche che per il nostro corpo. Perché si possa parlare di DAP (disturbo da attacco di panico) gli attacchi si devono verificare con una certa frequenza nel tempo: almeno quattro in un mese. Molto spesso, però, è possibile che si verifichi un solo attacco di panico seguito dalla persistente angoscia che la sconvolgente esperienza possa ripetersi. La cosiddetta «sindrome del bambino scottato». | << | < | > | >> |Pagina 18Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) è la manifestazione di profondi stati di ansia, stress, depressione che nascondono sempre un'unica angoscia esistenziale: la paura di vivere. La paura/nevrosi d'angoscia Fobo (dal greco, paura) era figlio di Afrodite, la dea dell'amore, e di Marte, il dio della guerra. È bizzarro pensare che la paura sia nata (nella mitologia, si intende) dall'incontro tra amore e conflitto? In fondo, a pensarci bene non sembra cosí innaturale. In entrambi i casi, in amore come in guerra, esiste la paura. È una delle emozioni piú ancestrali. Secondo Epicuro, filosofo greco del III secolo avanti Cristo, lo scopo della filosofia era proprio quello di liberare l'uomo da quelle «malattie» dell'anima che impediscono il raggiungimento della felìcità: la paura degli dei, la paura della morte. La regina delle paure è l' angoscia d'abbandono, detta anche nevrosi d'angoscia: un'emozione che la vita ci offre in dotazione fin dalla nascita e che ci accompagna, se pur in forma latente, per sempre. Il «cucciolo» d'uomo per diventare «autonomo» sotto l'aspetto del nutrimento e della ricerca del cibo impiega almeno 6 anni di vita; ne consegue che tutto il suo sviluppo psichico in quel tratto di esistenza è condizionato. Per vivere dipende dagli altri, in particolare dalla mamma. Per questa ragione il bambino, crescendo, assocerà il bene della madre nei suoi confronti alla propria sopravvivenza e vivrà con la paura profonda, sempre in agguato, di essere abbandonato. Questo spiega perché, anche in età adulta, quando ci manca l'amore e l'affetto abbiamo la sensazione di non poter vivere e sopravvivere, come se ci mancasse la protezione, l'accudimento, il cibo stesso. In altre parole, per la nostra psiche, per il nostro Sé, l'amore, la sicurezza e il cibo sono tutt'uno: quando perdiamo l'uno abbiamo la sensazione di perdere anche l'altro e siamo assaliti dal dolore e dall'angoscia. Se, però, da una parte esiste la paura d'abbandono - come elemento fondamentale della crescita psichica dell'individuo, della sua vita emozionale - dall'altra, fortunatamente, a farle da contraltare, esiste un'altra pulsione altrettanto inevitabile e costitutiva per lo sviluppo equilibrato della persona, che affiora in età piú adulta: è l'istinto verso l'esplorazione e l'autonomia. Se non siamo in grado di diventare autonomi, infatti, saremo sempre persone incapaci di instaurare relazioni significative con gli altri. I due binari - ricerca di protezione da una parte e capacità di esplorazione verso l'ambiente circostante dall'altra - devono sempre vivere in armonia nella vita psichica e nel Sé di ogni individuo, pena l'insorgere di gravi problemi psicologici. La teoria dell'attaccamento di John Bowlby spiega molto bene l'importanza del bisogno di sicurezza e protezione come bisogno che dura tutta la vita, e l'angoscia di separazione e di abbandono come conseguenza e risposta alla perdita di questa relazione. |
| << | < | > | >> |RiferimentiAinsworth M.D.S., Bell S.M., «Attachment, Exploration and Separation: Illustrated by the behaviour of one year old in a strange situation», in Child Development, 41, pp. 49-67, 1967. American Psichiathric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), DSM-III, DSM-IV, Masson, Milano, 1988,1996. Applegate J.S., Bonovits J.M., Il rapporto che aiuta, Astrolabio, Roma, 1998. Arieti S., Manuale di Psichiatria, Bollati Boringhieri, Torino, 1969-1970. Bach E., Guarire con i fiori, Nuova IPSA Editore, 1996. Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976. Beck A.T., Emery G., L'ansia e le fobie una prospettiva cognitiva,Astrolabio, Roma, 1988. Biondi M., La psicosomatica nella pratica clinica, Il Pensiero scientifico, Roma, 1992. Bowlby J., Attaccamento e perdita, voll. I-II-III, Bollati Boringhieri, 1989. -, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, 1982. -, Una base sicura, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999 -, La teoria dell'attaccamento, relazione presentata al Continuing Education Series of UCLA, London, 1990. Consensus Conference, Linee guida per il trattamento psicofarmacologico dei disturbi di panico, Rivista di psichiatria, 1996, 31/5, pp. 225-233. Darwin C., The expression of the emotions in man and animals, Murray J., London, 1872. [...] | << | < | |