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| << | < | > | >> |Indice5 Prefazione di Marco Mazzeo Ambienti animali e ambienti umani Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili 37 Premessa 41 Introduzione 54 1. Lo spazio e l'ambiente 70 2. L'orizzonte 76 3. I1 tempo percettivo 80 4. Gli ambienti semplici 88 5. Forma e movimento come marche percettive 96 6. Obiettivo e piano 103 7. Immagine percettiva e immagine operativa 114 8. Percorsi conosciuti 120 9. Dimora e territorio 127 10. Compagni di vita 135 11. Immagine e tonalità di ricerca 141 12. Gli ambienti magici 151 13. Gli ambienti: soggetto e oggetto 159 14. Conclusione 163 Nota al testo |
| << | < | > | >> |Pagina 7Il biologo degli ambienti
Uexküll, il cane guida e la crisi dello Stato
1. Il biologo e il poeta: Rilke e il riccio di mare
Dopo quarant'anni, viene ripubblicato in italiano, con traduzione e apparati completamente rinnovati, un classico del pensiero europeo del Novecento, l'opera matura, sicuramente la più godibile e chiara, di uno dei maggiori biologi del secolo appena trascorso. Quel che oggi costituisce un luogo comune teorico che ha dato origine a una branca separata e relativamente autonoma della ricerca scientifica, l'ecologia, è stato imposto all'attenzione del pensiero contemporaneo da un personaggio energico ma dal carattere difficile, un barone prussiano nostalgico dei bei tempi andati ma che, spesso suo malgrado, ha dischiuso le porte alle più diverse forme di innovazione scientifica e culturale. Jacob von Uexküll (1864-1944) è il quinto figlio di una famiglia aristocratica. Nato in Estonia ma di lingua e cultura tedesca, è colui che ha utilizzato per primo in biologia la nozione di «ambiente» in modo sistematico e rigoroso. [...] L'obiettivo di Uexküll, invece, è esplicito: mettere in crisi in modo definitivo un pregiudizio antropocentrico, l'idea che le varie specie animali, le meduse e i gatti, i lombrichi e i ricci, vivano in uno spazio senso-motorio identico al nostro, come se le nostre modalità di senso e di azione costituissero il punto di riferimento per la vita di qualunque organismo. Attraverso un continuo lavoro di indagine e di divulgazione, che lo porta a pubblicare articoli su riviste specializzate ma anche su quotidiani di ampia diffusione, Uexküll descrive il modo in cui ogni forma di vita ritaglia il proprio ambiente secondo le strutture percettive e la conformazione che la contraddistinguono: per il cane lo spazio ha innanzitutto una organizzazione olfattiva che struttura il suo ambiente in territori nei quali lasciare tracce odorose; i luoghi sorvolati dalla mosca risentono della particolare morfologia di occhi composti da migliaia di elementi, ognuno dotato di cristallino proprio. Questo decentramento di prospettiva, che libera lo studio di quel che ci circonda da ogni pregiudizio specista, ha fatto sì che nel Novecento Uexküll abbia costituito un punto di riferimento teorico inaspettatamente ampio. Può risultare prevedibile l'attenzione dedicata a Uexküll da parte degli etologi legati direttamente al suo lavoro (Konrad Lorenz) o dai biologi più aperti a prospettive per certi aspetti eterodosse (Uexküll non è un darwinista) come Adolf Portmann. Meno scontata è la penetrazione delle sue idee, lenta ma inesorabile, negli ambiti più diversi della ricerca contemporanea. Il pensiero di Uexküll forma intere generazioni di filosofi: non solo appartenenti alla cosiddetta antropologia filosofica (Scheler, Plessner e Gehlen), a Heidegger o al neokantismo (Cassirer), vicini per lingua e contingenze storiche, ma anche i francesi Merleau-Ponty e Deleuze, gli spagnoli Ortega y Gasset e Unamuno, gli americani Sebeok e Bateson. Negli ultimi anni, si è aperta una specie di gara, interessante anche se a volte dal sapore vagamente cupo, a rintracciare la varietà degli ambiti di ricerca che hanno risentito di Uexküll e della nozione di ambiente: la matematica di R. Thom, la prossemica di Hall, la teoria dei sistemi di Bertalanffy, la psicologia e la linguistica di H. Werner (che nel 1933 lavora nel suo laboratorio), la psichiatria fenomenologica di Binswanger, il connessionismo di A. Clark, la poesia di Rilke (anche Thomas Mann è suo lettore) e la neurofisiologia di Berthoz. L'impatto sul pensiero contemporaneo di questo curioso personaggio, spiritoso e irascibile, in grado di fondare uno dei primi centri per l'addestramento di cani-guida per ciechi ma anche di sfiorare la morte in duello in pieno stile ottocentesco è talmente ampio da essere, ancora oggi, non del tutto quantificabile. | << | < | > | >> |Pagina 32La nozione di Umgebung è in grado di sintetizzare questo contrasto riconoscendo a entrambe le posizioni torti e ragioni. È grazie all'immaginazione, dice Uexküll, che possiamo entrare in ambienti diversi dal nostro. Ciò è reso possibile proprio dalla perdita dell'equilibrio tra ambiente e dintorni che pesa sia sui sapiens, sia sugli animali non umani che rischiano di rimanerne schiacciati. I dintorni si caratterizza- no per una continua sovrapposizione di punti di vista difficilmente distinguibili tra loro. Pongono il problema tutto umano, Uexküll lo afferma più volte in modo esplicito, della contraddizione (widersprechens): uno stesso oggetto, un albero ad esempio, è contemporaneamente rifugio per la volpe, fonte di cibo per il picchio, legna per il guardaboschi, minaccia per la bimba spaventata. L'incommensurabilità dei punti di vista che esiste tra l'ambiente della volpe e quello del picchio (e della quale questi animali ovviamente non si avvedono) si traspone nella possibile incommensurabilità dei punti di vista dei singoli esseri umani. Poiché il nostro ambiente collassa nei dintorni possiamo espandere in modo indefinito i nostri campi operativi e percettivi. Per questa ragione, la nostra vita corre il pericolo di rimanere invischiata nel dedalo di punti di vista contraddittori che caratterizza la logica dei dintorni e nel contempo può nutrirsi della torsione propria di quel che circonda ogni essere umano, di quella preposizione del contorno e del rovesciamento, l' um, che tormenta l'ottava elegia di Rilke. Questa pluralità ambivalente e paradossale non rappresenta la putrefazione propria della società di massa, come vorrebbe l'Uexküll più autoritario e meno coerente, ma il sapiens in quanto tale, l'animale dei dintorni. Piuttosto, la nostra epoca ci consegna il problema filosofico di costruire un naturalismo in grado di elaborare concetti non teologici e utili a illustrare questa specificità senza nasconderla nel cassetto dei compiti futuri. Lascia nelle nostre mani il problema politico di una gestione non repressiva del molteplice umano in un periodo nel quale l'istituzione dello Stato nazionale ha intrapreso, e già da un pezzo, il viale del tramonto.MARCO MAZZEO | << | < | > | >> |Pagina 37PremessaQuesto libro, peraltro di piccole dimensioni, non ha la pretesa di fare da manuale per una nuova scienza. Contiene piuttosto quella che si potrebbe definire la descrizione di una passeggiata in mondi sconosciuti. Mondi che, anzi, non sono solo sconosciuti ma invisibili, al punto che molti zoologi e fisiologi negano addirittura il loro diritto all'esistenza. Tale resistenza, certamente strana per chi conosca la varietà della vita animale, è più comprensibile se si pensa al fatto che non è possibile accedere a questi mondi in modo automatico. Abbiamo a che fare con pregiudizi che bloccano a tal punto la porta d'accesso a questi mondi, da non far trasparire alcun riflesso del loro interno splendore. E la chiudono in un modo così energico che chiunque non si sbarazzi di questi preconcetti non è raggiunto nemmeno da un raggio della luce e dello splendore che li illumina. Per questa ragione, chi vuole mantenere la convinzione che gli esseri viventi siano solo macchine può rinunciare da subito a trovare la via d'accesso che conduce a questi mondi invisibili. Chi invece non abbia ancora giurato fedeltà alla teoria meccanicista degli esseri viventi, potrà trovare nelle pagine che seguono molti spunti di riflessione. Tutti i nostri oggetti d'uso comune e le macchine non sono altro che strumenti dell'uomo. Ci sono anche strumenti che servono per operare sul nostro mondo che chiamiamo utensili: a questa categoria appartengono anche le grandi macchine che nelle fabbriche trasformano le materie prime, producono binari, automobili e aeroplani. Esistono però anche strumenti che affinano la nostra percezione, delle protesi percettive come i telescopi, gli occhiali, i microfoni, le radio e così via. In questo senso si potrebbe supporre che un animale non sia nient'altro che una selezione di «utensili» e di «protesi» congrui, coordinati da un sistema di guida: una macchina dotata delle funzioni vitali di un animale. In effetti questa è la concezione dei meccanicisti, che paragonano l'animale a un meccanismo rigido o, a seconda dei casi, a un processo dinamico e plastico. In ogni modo, gli animali vengono ridotti a puri e semplici oggetti. Così facendo, però, ci si dimentica che sin dall'inizio è stata soppressa la cosa più importante e cioè il soggetto che si serve di questi strumenti per percepire e operare. Il meccanicista cerca di saldare tra loro i vari organi percettivi e di movimento degli animali attraverso la combinazione, impossibile, di utensili e protesi percettive come fossero pezzi di una macchina, senza prestare attenzione alle loro percezioni e ai loro movimenti. In tal modo si finisce col meccanizzare non solo gli animali ma anche gli esseri umani. Secondo il comportamentismo, i nostri sentimenti e la nostra volontà sono solo apparenza; nel migliore dei casi li si può considerare come un fastidioso rumore di fondo. Ma chi è dell'opinione che i nostri organi di senso servano a percepire e i nostri organi motori servano a condurre le nostre attività operative non vedrà più negli animali solo assemblaggi meccanici, ma ne scorgerà anche il macchinista, presente in loro come ciascuno di noi è presente nel proprio corpo. Non concepiremo più gli animali come semplici cose ma come soggetti, le cui attività essenziali sono operative e percettive. Solo così si aprirà finalmente la porta che conduce ai vari ambienti animali. Tutto quello che un soggetto percepisce diventa il suo mondo percettivo (Merkwelt) e tutto quel che fa costituisce il suo mondo operativo (Wirkwelt). Mondo percettivo e mondo operativo formano una totalità chiusa: l'ambiente. Gli ambienti, multiformi come gli animali che li abitano, offrono a tutti gli amici della natura territori nuovi, di una ricchezza e bellezza tali che vale senz'altro la pena farvi una passeggiata, anche se un simile splendore non si rivela ai nostri occhi corporei ma solo a quelli della nostra mente. La cosa migliore è cominciare la nostra passeggiata scegliendo una giornata di sole e immergerci in un prato fiorito tra il ronzio dei coleotteri e il volo delle farfalle. Tracciamo intorno a ciascuno degli animali che popolano il prato una bolla di sapone che ne rappresenti l'ambiente e che contenga tutte le marche percettive accessibili al soggetto. Non appena entriamo in una di queste bolle di sapone, i dintorni (Umgebung) che fino ad allora circondavano il soggetto si trasformano completamente. Spariscono molti dei colori di cui era pieno il prato, altre proprietà emergono dallo sfondo, si producono nuovi rapporti. In queste bolle di sapone si formano mondi nuovi: invitiamo il lettore a scoprirli insieme a noi. Grazie a questo viaggio, speriamo di convincere molti di voi dell'esistenza di questi ambienti e, facendo ciò, di compiere un passo decisivo in grado di aprire un campo di ricerca nuovo e infinitamente ricco. [...] Amburgo, dicembre 1933. Jakob von Uexküll | << | < | > | >> |Pagina 41IntroduzioneChiunque viva in campagna, o sia andato in giro tra i boschi con il proprio cane, avrà fatto la conoscenza di un minuscolo animale che, appeso tra i rami dei cespugli, attende la preda (sia umana che animale) per lasciarsi cadere sulla vittima e nutrirsi del suo sangue. A quel punto l'animale, lungo da uno a due millimetri, si gonfia fino a raggiungere la grandezza di un pisello (figura 1). La zecca non è pericolosa, ma costituisce un ospite fastidioso sia per i mammiferi che per l'uomo. Studi recenti sono riusciti a far luce su molte particolarità della sua vita, tanto che ora è possibile tracciarne un quadro quasi completo. Quando l'uovo si schiude, la zecca non è del tutto formata poiché le mancano ancora un paio di zampe e gli organi sessuali. In questo stadio, però, è già capace di attaccare animali a sangue freddo come le lucertole, che attende sulla punta di uno stelo d'erba. Dopo diverse mute, nel parassita si sviluppano gli organi mancanti. A questo punto può dedicarsi anche alla caccia di animali a sangue caldo. Dopo l'accoppiamento, la femmina sale su un cespuglio fino alla punta di uno dei rami sfruttando le otto zampe di cui è dotata. Poi si lascia cadere da una altezza sufficiente a raggiungere qualche piccolo mammifero di passaggio o a farsi portare via dal contatto con animali di taglia più grande. La zecca, priva di occhi, raggiunge il punto in cui appostarsi grazie alla sensibilità della sua pelle alla luce. Questo brigante di strada, sordo e cieco, si avvicina alla vittima attraverso l'olfatto. L'odore dell'acido butirrico, prodotto dai follicoli sebacei di tutti i mammiferi, agisce sulla zecca come un segnale che la spinge ad abbandonare il luogo in cui è appostata facendola cadere in direzione della preda. Se cade su qualcosa di caldo (proprietà individuata dall'animale grazie a un acuto senso della temperatura), ciò vuol dire che la zecca ha raggiunto la sua preda, ovvero un animale a sangue caldo: per trovare un posto il più possibile privo di peli e infilare la testa nel tessuto cutaneo ha bisogno solo del suo senso tattile. A quel punto comincia a succhiare lentamente il sangue. Esperimenti condotti con membrane artificiali e liquidi diversi dal sangue hanno mostrato che la zecca è del tutto priva del senso del gusto; dopo aver perforato la membrana, infatti, il parassita succhia qualunque liquido presenti la giusta temperatura. Se la zecca invece, stimolata dall'acido butirrico, cade su un corpo freddo, ciò vuol dire che ha mancato la preda e che deve risalire fino al luogo nel quale era appostata. Per il parassita, un'abbondante bevuta di sangue costituisce il suo primo e ultimo pasto, perché dopo aver mangiato non le resta altro da fare che lasciarsi cadere a terra, depositare le uova e morire. Il modo nel quale si svolge la vita della zecca ci fornisce la pietra di paragone per mettere alla prova la solidità di un approccio propriamente biologico, del tutto diverso dallo studio puramente fisiologico della vita animale, che è stato fino ad oggi quello usuale. Per il fisiologo, qualunque essere vivente è un oggetto, situato in un mondo che è sempre lo stesso, quello umano. Egli ne scruta gli organi e il modo in cui si coordinano tra loro come un tecnico esaminerebbe una macchina sconosciuta. Il biologo, al contrario, si rende conto che ogni essere vivente è un soggetto che vive in un proprio mondo di cui l'animale costituisce il centro. Non è possibile dunque paragonare l'animale a una macchina, ma solo al macchinista che la conduce. È bene, dunque, porsi direttamente la domanda: la zecca è una macchina o un macchinista, è un semplice oggetto o un soggetto? | << | < | > | >> |Pagina 51L'intero, ricco mondo che circonda la zecca si contrae su se stesso per ridursi a una struttura elementare, che consiste ormai essenzialmente di tre sole marche percettive e tre sole marche operative: il suo ambiente. Ma è proprio questa povertà dell'ambiente a determinare la sicurezza del suo comportamento: e la sicurezza è più importante della ricchezza.Questo esempio mette in evidenza i tratti fondamentali della struttura dell'ambiente, tratti che valgono per qualunque animale. La zecca possiede, però, una capacità ancora più sorprendente, in grado di darci un'idea più precisa di che cosa sia un ambiente animale. È palese che l'eventualità fortunata che un mammifero si trovi a passare sotto il ramo sul quale è appostata la zecca, o che addirittura la urti, è straordinariamente rara. Per assicurare la continuità della specie, questo svantaggio non è adeguatamente compensato neanche dal grande numero di zecche che si trovano nella boscaglia. Ad aumentare le sue possibilità di imbattersi nella preda è una capacità straordinaria: la zecca può sopravvivere per un tempo lunghissimo senza nutrirsi. Presso l'Istituto zoologico di Rostock, sono state tenute in vita delle zecche che erano a digiuno da diciotto anni. Gli esseri umani non possono di certo attendere diciotto anni come fa la zecca: il nostro tempo è composto da una serie di istanti, cioè da segmenti temporali molto brevi, all'interno dei quali il mondo non presenta alcun cambiamento. Durante quell'intervallo che è l'istante, il mondo è fermo. Per la specie umana, l'istante ha la durata di un diciottesimo di secondo. Vedremo più tardi che la durata dell'istante cambia da specie a specie, ma a qualunque lasso di tempo corrisponda l'istante della zecca, non è possibile resistere per ben diciotto anni in un ambiente assolutamente statico. Dobbiamo supporre, dunque, che la zecca durante la sua attesa si trovi in uno stato simile a quello del sonno, che anche negli esseri umani interrompe per ore la scansione temporale. Nell'ambiente della zecca, però, il tempo non è sospeso solo per qualche ora: il periodo d'attesa può protrarsi per diversi anni, fino a che il segnale dell'acido butirrico non sveglia la zecca riportandola in attività. Il caso della zecca ci fornisce un insegnamento molto importante. La nostra impressione è che il tempo faccia da contenitore per qualunque avvenimento e che, di conseguenza, sia l'unico elemento stabile nel continuo fluire degli avvenimenti. Abbiamo visto, invece, che è il soggetto a dominare il tempo del suo ambiente. Mentre fino ad ora avremmo detto che senza tempo non può darsi un soggetto vivente, ora sappiamo che occorre dire il contrario: senza soggetto vivente, il tempo non può esistere. Nel prossimo capitolo vedremo che la stessa cosa accade con lo spazio: senza soggetto vivente non si danno né spazio né tempo. È in questo modo che la biologia si collega alla filosofia di Kant: la utilizza per un fine scientifico, cioè per evidenziare quanto sia decisivo il ruolo giocato dal soggetto nella teoria dell'ambiente. | << | < | > | >> |Pagina 84Se un organo esterno contiene un arco riflesso completo, a tal proposito si parla, a buon diritto, di «riflesso-persona». Il riccio di mare possiede un gran numero di riflessi di questo tipo, che agiscono ognuno per conto proprio senza alcuna guida centrale. Per illustrare la differenza che esiste tra animali del genere e animali più complessi potremmo dire: quando un cane corre, è l'animale a muovere le zampe; quando un riccio di mare si muove, sono le zampe a spostare l'animale.I ricci di mare, così come quelli di terra, hanno un gran numero di aculei, ciascuno dei quali rappresenta un riflesso-persona indipendente. Il riccio di mare non possiede solo punte aguzze e dure, quella specie di foresta di lance – attaccate alla conchiglia calcarea grazie a snodi sferici – che si oppone a qualunque oggetto si avvicini. Questi animali si contraddistinguono anche per le ventose lunghe e molli, i cosiddetti pedicelli ambulacrali, dotate di muscoli indispensabili per la locomozione. Alcune specie di riccio possiedono quattro piccole strutture a forma di tenaglia, le pedicellarie (per pulire, colpire, afferrare e imprigionare le prede), distribuite su tutta la superficie. Sebbene numerosi riflessi-persona agiscano insieme, ognuno lavora indipendentemente dagli altri. Stimolati da una sostanza chimica rilasciata dal nemico naturale del riccio, la stella marina, gli aculei si ritraggono, mentre si fanno avanti le pedicellarie velenose, in grado di mordere i peduncoli e le ventose dell'avversario. Si può parlare di una «repubblica di riflessi», nella quale, malgrado la completa indipendenza di ciascun riflesso-persona, regna la pace civile. Non succede mai, infatti, che le ventose della stella marina vengano attaccate dalle pedicellarie prensili, che pure afferrano qualunque oggetto capiti loro a tiro. Questa pace civile non è imposta da una struttura centrale come succede, invece, nella nostra specie: i denti costituiscono un pericolo costante per la lingua e questo incontro è evitato grazie alla comparsa, nell'organo centrale, del segnale percettivo «dolore» che inibisce i comportamenti a rischio. Poiché in quella repubblica di riflessi che è il riccio non esiste alcun centro superiore, la pace civile deve essere tutelata in un altro modo. Questo accade grazie a una sostanza, l'autodermina, che paralizza i ricettori dei riflessi-persona. È talmente diluita su tutta la pelle dell'animale che non provoca alcun effetto inibitorio se un oggetto esterno ne tocca la superficie. Al contrario, nel caso in cui due punti della pelle entrino in contatto, la quantità doppia di autodermina agisce impedendo che si inneschi una reazione aggressiva. Una repubblica di riflessi può accogliere nel proprio ambiente molte marche percettive, se è composta da riflessi-persona altrettanto numerosi, ma queste marche devono restare totalmente isolate, dato che ciascun circuito funzionale opera in completa autonomia. Anche la zecca, le cui manifestazioni vitali, l'abbiamo visto, sono costituite da tre riflessi, rappresenta un animale di tipo superiore, perché i circuiti funzionali non si servono di archi riflessi isolati, ma possiedono un organo percettivo comune. Esiste dunque la possibilità che nell'ambiente della zecca la preda venga percepita come un'unità, pur essendo rappresentata solo mediante lo stimolo chimico dell'acido butirrico, lo stimolo tattile e quello termico. Per il riccio di mare non esiste una possibilità del genere: le marche percettive, gradi diversi di pressione e di stimolazione chimica, sono unità sensoriali completamente isolate le une dalle altre. Certi ricci rispondono all'oscuramento dell'orizzonte con un movimento degli aculei che, come mostrano le figure 19a e 19b, è sempre lo stesso: sia che si tratti di una nave, di una nuvola oppure di un nemico effettivo come il pesce. Questa rappresentazione dell'ambiente del riccio non è ancora sufficientemente semplice. La marca percettiva che abbiamo chiamato «ombra» non può far parte in alcun modo dello spazio del riccio, perché quest'animale non possiede alcuno spazio visivo. Sulla sua pelle fotosensibile, l'ombra produce un effetto simile a quello provocato da un batuffolo di cotone che ne sfiori la superficie. Ma è chiaro che sarebbe tecnicamente impossibile riprodurre graficamente una sensazione del genere. | << | < | > | >> |Pagina 966. Obiettivo e pianoNoi umani siamo abituati a condurre la nostra esistenza passando con fatica da un obiettivo a un altro; per questa ragione siamo convinti che anche gli animali facciano la stessa cosa. Si tratta di un errore di fondo che continua a indirizzare la ricerca su binari sbagliati. Certo, nessuno attribuirà scopi od obiettivi al riccio di mare o al lombrico. Ma già quando abbiamo descritto la vita della zecca, abbiamo detto che «aspetta la sua preda». Seppur in modo involontario, con questa espressione abbiamo immesso di contrabbando nella vita dell'animale le nostre preoccupazioni quotidiane. La zecca, in realtà, è governata da un preciso piano naturale. Quando descriviamo gli ambienti animali, la nostra prima preoccupazione sarà quella di evitare qualunque richiamo alla nozione di finalità. Ma possiamo fare una cosa del genere solo se consideriamo le manifestazioni vitali degli animali organizzate secondo un piano naturale. Forse alcuni comportamenti dei mammiferi superiori si riveleranno come azioni dirette verso un obiettivo, ma anche queste sono azioni subordinate a un piano generale stabilito dalla natura. I comportamenti di tutti gli altri animali non sono in alcun modo finalizzati. Sarà utile, innanzitutto, dare al lettore un'idea di quegli ambienti per i quali è indubbia la validità di questa affermazione. | << | < | > | >> |Pagina 15113. Gli ambienti: soggetto e oggettoI capitoli precedenti descrivevano altrettante incursioni, in diverse direzioni, nella terra sconosciuta degli ambienti animali. Abbiamo proceduto per problemi, dedicando a ciascuno di essi un capitolo specifico, con l'obiettivo però di tratteggiare un quadro teorico unitario in grado di spiegare in cosa consista un ambiente animale. Anche se abbiamo affrontato alcuni problemi fondamentali, non abbiamo potuto, né voluto, essere completi o esaustivi. Molti problemi aspettano un chiarimento concettuale, altri invece si trovano in uno stadio interlocutorio nel quale si cerca ancora di elaborare la giusta formulazione di alcuni interrogativi di fondo. Non sappiamo, ad esempio, quale porzione del proprio corpo il soggetto faccia entrare nell'ambiente, così come non è stato studiato in modo sperimentale il significato che il soggetto conferisce alla propria ombra nello spazio visivo. Seppur importante, l'esame dei problemi che riguardano lo studio degli ambienti animali non è sufficiente per fornire una visione d'insieme dei rapporti che legano gli ambienti tra loro. Tuttavia, si può giungere a una visione d'insieme a proposito di un punto particolare e limitato, se ci si pone il seguente interrogativo: in che modo lo stesso soggetto si presenta come oggetto dei diversi ambienti nei quali assume, di volta in volta, un certo ruolo? Prendiamo ad esempio una quercia, abitata da numerosi animali e chiamata, dunque, a svolgere ruoli differenti a seconda dell'ambiente che si prende in considerazione. Poiché, d'altro canto, la quercia entra a far parte di diversi ambienti umani, cominceremo proprio da questi. Le figure 52 e S3 riproducono due disegni per i quali ringraziamo il pittore Franz Huths. Nell'ambiente del tutto razionale del vecchio guardaboschi (figura 52), che ha il compito di scegliere quali alberi convenga abbattere, la quercia, le cui dimensioni devono essere misurate in modo preciso, non rappresenta altro che una catasta di legna da tagliare a colpi d'ascia. Il guardaboschi non presterà attenzione al volto umano che sembra emergere dalle protuberanze della corteccia. Come mostra l'immagine 53, queste ultime, al contrario, avranno un ruolo fondamentale nell'ambiente magico di una bambina, per la quale il bosco è ancora pieno di gnomi e folletti. La bimba fuggirà terrorizzata da una quercia che la osserva con sguardo malefico: è l'albero nel suo complesso a trasformarsi in un demone minaccioso. Nel parco di un castello di proprietà di un mio cugino, in Estonia, c'è un albero di mele. Su uno dei suoi rami era spuntato un fungo la cui forma ricordava, seppur vagamente, un clown, cosa che fino a quel giorno nessuno aveva notato. Un giorno mio cugino chiamò a lavorare una dozzina di stagionali di origine russa i quali, scoperto l'albero, cominciarono a radunarvisi di fronte ogni giorno, pregando sottovoce e facendosi il segno della croce. Il fungo doveva essere un'immagine miracolosa, spiegarono, perché non poteva essere opera dell'uomo. A loro sembrava del tutto normale che nella natura esistessero fenomeni magici. Ma ritorniamo alla nostra quercia e ai suoi abitanti. Per la volpe (figura 54) che ha costruito la sua tana tra le radici dell'albero, la quercia si è trasformata in un tetto solido che protegge dalle intemperie lei e i suoi piccoli. In questo caso, l'albero non possiede né la tonalità di utilità che ha per il guardaboschi né quella di pericolo che emerge nell'ambiente della bambina. Ha solo una tonalità protettiva: nell'ambiente della volpe, infatti, come sia fatto il tronco non ha alcuna importanza. Anche per la civetta la quercia offre una tonalità protettiva (figura 55). Ora però sono i rami a fungere da scudo difensivo, mentre le radici sono del tutto estranee all'ambiente del volatile. Per lo scoiattolo la quercia assume una forte tonalità di salto perché l'albero, grazie alle folte ramificazioni, offre numerosi trampolini di lancio grazie ai quali saltare da una parte all'altra. Per gli uccelli, invece, l'albero mostra una tonalità ancora diversa, di sostegno, perché favorisce la costruzione di nidi sui rami più alti. In base alle diverse tonalità operative, le immagini percettive dei numerosi abitanti della quercia saranno strutturate in modo differente. Ogni ambiente ritaglia una zona dell'albero le cui proprietà sono adatte a farsi portatrici delle marche percettive e operative dei vari circuiti funzionali. La formica (figura 56), ad esempio, non considera la quercia nella sua totalità perché quel che conta per essa è solo la corteccia, che costituisce un ottimo terreno di caccia, grazie alla sua struttura ricca di avvallamenti e asperità rugose. Il cerambice della quercia (figura 57) cerca il proprio nutrimento sotto la corteccia dell'albero nel quale deposita le uova. Le larve crescono dentro questa specie di tunnel e vi si nutrono al riparo dai pericoli che potrebbero giungere dall'esterno. Tuttavia le larve non sono del tutto al sicuro. A costituire una minaccia non è solo il picchio, che colpisce la corteccia con il becco: la vespa del legno fende la corteccia con il suo affilato ovopositore in grado di tagliare il legno (duro in tutti gli altri ambienti) come fosse burro (figura 58). Annienta le larve del cerambice inserendovi dentro le proprie uova. Una volta schiuse, i piccoli della vespa potranno cibarsi del corpo dell'ospite. Nelle centinaia di ambienti che offre ai suoi abitanti, la quercia gioca ruoli molto diversi, con l'una o l'altra delle sue parti. La stessa parte può essere in un caso grande e in un altro piccola. Il legno della quercia può essere sia duro (per il cerambice) sia morbido (per la vespa del legno) perché può servire sia a proteggere sia ad aggredire. Se si volessero mettere insieme tutte le proprietà contraddittorie che offre la quercia in quanto oggetto, si otterrebbe una sola cosa: il caos. Nonostante ciò, queste proprietà compongono un unico soggetto, strutturato solidamente, che racchiude in sé e si fa portatore di tutti gli ambienti, senza per questo essere riconosciuto né riconoscibile dai soggetti di questi ambienti. | << | < | > | >> |Pagina 15914. ConclusioneQuel che in piccolo abbiamo osservato nel caso della quercia lo si ritrova in grande in quello che potremmo chiamare l'albero della natura. Tra i milioni di ambienti la cui varietà non può che disorientare, vorremmo concludere prendendo in esame quelli di chi si dedica allo studio della natura. La figura 59 mostra l'ambiente dell'astronomo, uno dei più facili da rappresentare. In cima a una gigantesca torre, il più possibile distante dalla terra, è seduto un essere umano che ha modificato i propri occhi attraverso enormi strumenti in modo da renderli adatti a spingersi fino alle stelle più lontane. Nel suo ambiente, soli e pianeti seguono maestosamente le proprie orbite. Nonostante ciò, anche questo ambiente costituisce solo una parte infima della natura, selezionata dalle facoltà del soggetto umano. È possibile, con qualche aggiustamento, utilizzare l'immagine che raffigura l'astronomo e la sua torre d'osservazione per farsi un'idea dell'ambiente di chi esplora i fondali marini. Intorno al suo osservatorio non gravitano costellazioni, bensì gli abitanti delle profondità dell'oceano, pesci dalle forme straordinarie con le loro bocche spaventose, le lunghe antenne e gli organi luminescenti. Anche in questo caso abbiamo a che fare con un vero e proprio mondo che ci restituisce solo una piccola porzione della natura. L'ambiente del chimico sarebbe ben più difficile da rappresentare per mezzo di un'immagine, dato che utilizza la tavola degli elementi come fosse un alfabeto di 92 lettere per decifrare e descrivere le misteriose relazioni che esistono tra i corpi naturali. Sarebbe più semplice raffigurare l'ambiente dello studioso di fisica atomica: intorno a lui gravitano gli elettroni così come le costellazioni ruotano intorno all'astronomo, anche se qui non regna alcuna calma cosmica, visto che il fisico, per studiare e isolare le particelle, le bombarda con microscopici proiettili. Il fisico che studia le onde, invece, ricorre a strumenti diversi, in grado di fornire un'immagine del suo oggetto di studio: constata che le onde luminose che colpiscono i nostri occhi sono associate ad altre onde, senza che queste presentino la minima differenza quanto alla loro natura. Sono onde, nient'altro che onde. Le onde luminose, però, svolgono un ruolo del tutto diverso nell'ambiente del fisiologo che studia gli organi di senso. In questo caso si trasformano in colori, entità che seguono leggi specifiche. Il rosso e il verde si fondono fino a dare il bianco, mentre le ombre proiettate su un fondo giallo diventano azzurre. Si tratta di entità incredibili, se le si considera come semplici emissioni d'onda, ma non per questo meno reali. Una contrapposizione del genere emerge anche se si prendono in esame l'ambiente studiato dal fisico e quello studiato dal musicologo. Nel primo non ci sono che onde; nel secondo ci sono solo suoni. I due fenomeni, però, sono del tutto reali: ognuno di essi appartiene a un dominio specifico. Nell'ambiente del comportamentista il corpo produce la mente, mentre nel mondo dello psicologo la mente contribuisce a costruire il corpo. Il ruolo che svolge la natura nei diversi ambienti è fortemente contraddittorio. Se si decidesse di mettere insieme tutte le varie proprietà oggettive che emergono a contatto con le varie realtà ambientali, non si avrebbe che caos. Nonostante ciò, un Uno si prende cura e si fa portatore di tutti gli ambienti: questo rimarrà eternamente inaccessibile.
Dietro tutti i mondi cui ha dato origine si nasconde,
infatti, un soggetto eternamente inconoscibile, la natura.
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