Copertina
Autore Gerard Unger
Titolo Il gioco della lettura
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2006, Scritture 16 , pag. 224, ill., cop.fle., dim. 14,8x21x1,8 cm , Isbn 978-88-7226-953-4
OriginaleTerwijl je leest
EdizioneDe Buitenkant, Amsterdam, 2006
TraduttoreAlessandro Colizzi
LettoreRenato di Stefano, 2006
Classe libri , psicologia , linguistica , scrittura-lettura , illustrazione , stampa , grafica , sensi
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Indice


     7    Domande

    19    Teorie pratiche

    33    Contrasti

    47    Lettere che spariscono

    57    Tipi

    65    Il processo

    75    Frammenti

    85    Convenzioni

    95    Gli occhi del lettore

   107    Il disegno di caratteri

   119    Addestramento

   129    Insolito

   137    Leggere e guardare

   145    Scelte

   153    Spazio

   159    Illusioni

   165    Giornali e grazie

   181    Repertorio

   189    Simbiosi

   197    Leggere



   211    Bibliografia

   215    Indice analitico

   223    Ringraziamenti



 

 

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Pagina 7

Domande


Fra i miei libri preferiti, da quando facevo volo a vela, c'è Cloud reading for pilots, libro dalla doppia chiave di lettura in cui si spiega come leggere le nuvole. Per un pilota di aliante è essenziale saper riconoscere i cumulinembi, che indicano dove l'aria calda sale e dove quindi si può volare più a lungo, andando più in alto e più lontano. Che cosa significa leggere? Che il testo scritto libera il proprio contenuto o che si può scovare un significato in qualsiasi cosa? Essere in grado — o aver voglia — di leggere delle idee rientra logicamente nella lettura, giacché con la lingua si esprimono numerose idee. Ma leggere vuol dire anche riconoscere le nuvole e le impronte di animali selvatici? Sarebbe un'interpretazione un po' forzata. Suggerirei di impiegare il termine unicamente per l'acquisizione di lettere, parole e frasi, ovvero di segni il cui riconoscimento offre accesso alla lingua. Ma spesso ci si serve della lingua alla leggera e, per analogia e associazione, si usa il termine lettura riferito ad attività paragonabili a questa solo in senso lato — a condizione che se ne ricavi qualche informazione, come concludere che poco fa di qui è passato un cinghiale.


Quanto avete appena letto avrà messo in moto la vostra riflessione, ma non avrete sicuramente fatto caso alle lettere. Per leggere occorre riconoscere le lettere: come si può allora leggere e non vederle? Θ un fenomeno frequente: capita ogni giorno andando in stazione, a scuola, al lavoro o in negozio di dimenticare quanto ci circonda — in apparenza almeno. Camminiamo, andiamo in bicicletta o in macchina pensando ad altro, senza per questo sbagliare destinazione. Utilizziamo quanto ci è familiare senza rendercene conto, così è possibile fare due cose contemporaneamente: c'è perfino chi riesce a lavorare a maglia, a guardare la televisione e a chiacchierare. Quali azioni avvengono consapevolmente e quali invece sono automatiche?


Leggendo queste parole, che abbiate 16 o 40 anni, avete alle spalle 10 o 34 anni di esperienza di lettura. Provate ad annotare tutto quello che leggete ogni giorno su giornali, libri, riviste, relazioni, manuali. Prendete nota anche di quello che leggete sulle istruzioni per l'uso, avvertenze, confezioni, cartelli stradali, menu, conti o contravvenzioni, persino sui sottotitoli, nella posta elettronica e sui cellulari (e qualsiasi altra cosa vi capiti sott'occhio). Calcolate poi quanto leggete in una settimana e in un anno, moltiplicate il risultato per il numero di anni di esperienza di lettura e vi ritroverete con delle cifre astronomiche. In questo caso non si tratta tanto del contenuto; lasciamo stare per il momento le informazioni che, giorno dopo giorno, nel corso degli anni sono in parte arrivate alla memoria, entrando da un occhio e uscendo dall'altro. Mi riferisco qui alla forma del testo, in particolare alle lettere, alla punteggiatura, ai numeri e agli altri segni, compresi gli spazi fra le parole.

Altro calcolo: un qualunque tascabile conta grosso modo 50 battute per riga e 35 righe per pagina, per una media di 250 pagine di testo: il che fa un totale di 437.500 segni. Dieci volumetti del genere contengono insomma oltre quattro milioni di lettere e altri segni — questo per limitarci ai tascabili. Ma se con un libro è facile calcolare il numero di segni letti, con altri tipi di testi è più difficile; di un giornale per esempio non si leggono tutti gli articoli. Ma è evidente che nell'arco di un anno si tratta di un'enorme quantità di segni. Oltretutto, non soltanto si leggono lettere, ma lettere di ogni genere: chiare e in neretto, grandi e piccole, in tondo e in corsivo, dall'aspetto normale o eccentrico — perfino lettere con e senza grazie.

Pochissimi lettori avranno sentito parlare di grazie. Non succede la stessa cosa a molti di noi quando andiamo dal meccanico? Milioni di persone ogni giorno ascoltano distrattamente il ronzio familiare del motore dell'auto, attenti al minimo cambiamento o rumore di fondo. Il meccanico parla di cinghia della distribuzione, e avrà senz'altro ragione, ma di cosa si tratti e a cosa serva non si sa; nemmeno dare un'occhiata sotto il cofano serve a granché. Accade forse la stessa cosa con le lettere? Pochi sono in grado di descrivere precisamente che aspetto hanno i titoli sulla prima pagina del giornale, perché la nostra relazione con le lettere è in parte o del tutto inconsapevole. Eppure, un quotidiano impaginato con un nuovo carattere può provocare reazioni inattese.

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Pagina 16

Appassionati di caratteri da stampa, come tipografi e disegnatori, si arrovellano sulla forma della 'bandierina' in alto a destra della g. Secondo alcuni deve avere una forma rettangolare, è accettabile pure a forma di maniglia, ma può anche essere triangolare. Se la sporgenza è troppo grande, frivola o bizzarra incontrerà resistenza. E poi, si chiama davvero bandierina? In inglese è un orecchio. Anche il puntino sulla i può assumere le forme più disparate, né hanno maggiore uniformità altre parti di lettere. Quando si fanno notare a un lettore certi dettagli, la reazione è spesso di stupore, perfino di incredulità: «Davvero contano certi dettagli?»

Se poi qualcuno viene a sapere che di mestiere fai il disegnatore di caratteri, finirà prima o poi per chiedere: «Non ci sono già abbastanza caratteri in circolazione? Che senso ha disegnarne un altro?» E davanti a un nuovo carattere, una delle domande più frequenti è: «Che cos'ha di nuovo?» Sono domande da profani; grafici o stampatori invece spesso mi chiedono: «Hai qualcosa di nuovo da darmi?»

Esiste un'enorme varietà di caratteri. Mentre la diversità nel regno animale e vegetale è in diminuzione, quella all'interno dei campionari di caratteri è in aumento. Qualcuno sostiene che ce ne siano anche troppi. Ci sono progettisti grafici che si attengono fieramente a quattro o cinque caratteri — e c'è persino chi in tutta la carriera ha usato sempre e solo un carattere. Molti invece trovano che l'offerta sia ancora insufficiente. Chi ha ragione? O, meglio, esiste in questo caso una verità? A cosa serve una tale varietà e che genere di motivazioni anima un disegnatore di caratteri? Concetti come bellezza, diversità, attualità o piuttosto mera utilità? E un disegnatore deve allora dedicarsi esclusivamente alla protezione e al miglioramento della leggibilità? Su che cosa dovrebbero basarsi tali miglioramenti? Nonostante le numerose scoperte sulla lettura fornite dalla ricerca scientifica, il disegnatore di caratteri ha ben poco di concreto a disposizione.


Fra tutte queste domande, tesi e antitesi, la questione centrale del presente volume è: cosa accade durante la lettura? L'attenzione è rivolta soprattutto ai mattoni del testo, cioè alle lettere, più che all'ampio campo della tipografia, su cui esistono già numerose pubblicazioni che verranno citate nei capitoli che seguono.

Come reagiscono la vista e la mente dei lettori ai prodotti di disegnatori di caratteri e tipografi? Le attuali conoscenze derivano in gran parte dalla ricerca psicologica, con contributi della pedagogia, della linguistica e persino della neurologia. Ma nei trattati sulla leggibilità e la lettura scarso è l'apporto di coloro che la leggibilità fanno e disfanno: i progettisti grafici, i tipografi e i disegnatori di caratteri. Questo libro è in parte una ricerca sul loro apporto alle conoscenze sulla lettura, un contributo eminentemente pratico che deriva da un rapporto intimo con le lettere e le loro molteplici applicazioni.

L'ambito del libro è comunque limitato e concerne soprattutto quella porzione di mondo che si serve dell'alfabeto latino e dei modi in cui oggi vi si legge. Dal momento che è stato scritto nei Paesi Bassi, originariamente nel 1995-96 e di nuovo nel 2004-05, offre un punto di vista che ne riflette la posizione geografica e temporale. Va da sé poi che il mio personale modo di vedere ha ulteriormente ristretto l'ambito di indagine.

Per quanto basato sull'elaborazione di consistente materiale storico, questo testo non vuole essere una storia della tipografia. Vi figurano, è vero, i nomi di numerosi progettisti grafici e disegnatori di caratteri, ma assai più numerosi sono i colleghi il cui nome è assente — il che non corrisponde certo alla mia stima nei confronti del loro lavoro.

Senza dubbio sorprenderà quanto ancora resti da chiarire sul processo di lettura e quante domande attendano ancora una risposta. Le nostre attuali conoscenze su una facoltà di cui ciascuno si serve quotidianamente e che sembra operare autonomamente sono ancora incomplete.

Infine, auguro al lettore buona lettura.

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Pagina 65

Il processo


Abbiamo già incontrato insieme i termini 'lettura' e 'automatico' e la caratteristica di un automatismo è che non vi si presta attenzione. Nel caso della lettura, il semplice termine automatismo ricopre un processo estremamente particolareggiato, ricco e complesso.

Guardandoci intorno abbiamo l'impressione di vedere nitidamente una grande porzione dell'ambiente circostante. In verità il cervello provvede costantemente a costruire un ampio quadro visivo a partire da piccole porzioni — di cui soltanto una minima parte è nitida. Man mano che gli occhi si spostano, le varie parti vengono assemblate all'istante, così abbiamo l'impressione di vedere nitidamente un campo più ampio.

Il fatto di vedere nitidamente solo una piccola porzione dipende da una proprietà della retina. Questa è costituita da uno strato di recettori fotosensibili, i coni e i bastoncelli: i primi funzionano in presenza di luce forte, registrano i colori e consentono la visione nitida; i bastoncelli sono sensibili alla luce e al buio e sono pertanto in grado di cogliere minime differenze di luminosità. Quando alla sera la luce cala, il colore sparisce dal nostro ambiente a causa della diminuita attività dei coni, fino a che solo i bastoncelli restano in funzione. Al centro della retina, sul fondo posteriore del globo oculare, si trova una piccola fossetta dotata di coni particolari, la fovea. A partire da quella zona il numero di coni diminuisce gradualmente, mentre aumenta sempre più il numero di bastoncelli. La fovea consente la visione nitida; all'intorno, in quella che viene chiamata area parafoveale, la nitidezza si attenua man mano verso la periferia, dove l'occhio coglie solo movimenti vaghi. Θ con le due fovee, cioè con i coni, che leggiamo.

Così come costruiamo un'immagine di quanto ci circonda, anche leggendo ricaviamo il significato dai frammenti di testo che man mano raccogliamo. I nostri occhi infatti procedono per salti (saccadi) lungo la riga, e fra l'una e l'altra fanno delle brevi pause (fissazioni), così che il testo viene letteralmente colto con scansioni che variano da qualche segno a un massimo di 18. I movimenti saccadici sono lunghi all'incirca 8 segni, cosicché le fissazioni si sovrappongono. Un lettore esperto riesce a leggere un numero di segni maggiore di un principiante — un bambino che impari a leggere inizia fissando lo sguardo su una lettera alla volta. Ogni fissazione dura in media fra un quinto e un quarto di secondo. Con l'esperienza o se l'argomento è noto, le fissazioni sono brevi e i nostri occhi compiono salti più lunghi, riuscendo a leggere circa 300 parole al minuto.

Vocaboli rari o lunghi, un soggetto sconosciuto, una sintassi complessa, una lingua straniera e altri ostacoli possono ridurre l'ampiezza dei movimenti saccadici e di conseguenza allungare il tempo di fissazione. Talvolta i movimenti oculari all'indietro sono più brevi di quelli in avanti: sono i movimenti chiamati regressioni, che costituiscono fra il 5 e il 15% dei movimenti oculari. Un principiante torna indietro più spesso di un lettore esperto. In totale le saccadi assorbono circa un decimo del tempo di lettura.

Durante una fissazione l'area più nitida dello sguardo si appunta non sul centro del gruppo di segni percepiti, ma piuttosto sul lato sinistro. Su, poniamo, 18 segni letti, soltanto 2 o 3 vengono visti nitidamente. Alla sinistra di questi si trovano da 2 a 4 segni che perdono progressivamente in nitidezza, mentre sulla destra ve ne sono una dozzina, ugualmente man mano meno precisi. In genere un lettore riconosce e comprende direttamente una porzione più piccola dell'intera fissazione — spesso una sola parola più l'inizio della parola seguente, oppure tre parole brevi.

Nonostante la crescente indeterminatezza a destra del punto di fissazione, nell'area parafoveale, è ancora possibile riconoscere molte cose, come gli spazi fra le parole, le aste ascendenti e discendenti e altre caratteristiche evidenti. Una parola così percepita e riconosciuta, per confusa e parziale che sia, può divenire la parola su cui si arresta la fissazione successiva, che di conseguenza può durare meno. Quanto più brevi e note sono le parole percepite nella regione parafoveale, tanto meglio queste operano nell'insieme.

Appena la parola è stata riconosciuta, l'occhio comincia la saccade successiva, e lo sguardo spesso si arresta fra l'inizio e la fine di una parola, per quanto il lettore lasci cadere il proprio sguardo là dove la parola esprime il massimo di informazioni, un arresto determinato grazie all'aiuto delle informazioni ottenute con la visione parafoveale. L'ultima parola di una riga di testo e la prima di quella successiva solitamente non vengono fissate, probabilmente perché già percepite nella zona parafoveale.

Questo aspetto pratico della lettura è stato sufficientemente studiato (maggiori dettagli si trovano nella letteratura citata) da poterne tracciare schematicamente il processo. Secondo tale modello, si registra una lettera alla volta, per comporre una parola dopo l'altra; se ne ricerca quindi il senso e le parole formano infine la frase. Pezzo per pezzo, il testo viene riprodotto e la comprensione si accumula. Probabilmente funziona così nei bambini che imparano a leggere e ad associare determinati suoni alle lettere.

Ma nel caso di lettori esperti funziona più probabilmente in altro modo: nel momento in cui lo sguardo si posa su un testo, immediatamente ne anticipiamo il contenuto; il testo viene letto più parole alla volta, grazie alle quali vengono verificate e confermate o scartate le anticipazioni. Ogni tanto torniamo indietro a rileggere una parola, per poi saltare nuovamente in avanti con ampi movimenti. Leggiamo più rapidamente quando conosciamo l'argomento o siamo avvezzi al linguaggio e alla prosa di un autore; e siamo guidati non soltanto dal testo, ma anche da quanto sappiamo, cosicché sia il cervello che gli occhi forniscono nozioni e idee. Accade spesso di leggere più lentamente l'inizio di un testo che non il seguito, forse perché occorre un certo tempo per attivare lo scambio con le nostre conoscenze. Per un lettore esperto i suoni della lingua parlata hanno ben poca importanza.

In un quarto di secondo — corrispondente grosso modo alla durata di una fissazione — leggiamo delle parole, ne troviamo il significato e, ricostruendo la frase, ne elaboriamo la comprensione e ne conserviamo in memoria una parte. Si tratta di attività che non vengono svolte in serie, ma verosimilmente si sovrappongono. Nel corso della lettura (e di altre attività) il cervello è in grado di accedere contemporaneamente a diverse connessioni neuronali e di elaborare in parallelo. Queste operazioni avvengono con una tale rapidità che un lettore a malapena si rende conto di questi processi linguistici, e di norma ancora meno dei caratteri.

Dati simili rappresentano evidentemente una media, esistono innumerevoli varianti a seconda degli individui, del testo, delle circostanze in cui avviene la lettura, del tempo disponibile, e così via. Esistono poi differenti modi di lettura, di cui Willberg e Forssman offrono in Lesetypographie alcuni esempi: la lettura continua (un romanzo, per esempio), informativa (un quotidiano o una guida turistica), di consultazione (un dizionario), selettiva (un manuale scolastico); gli autori illustrano persino alcune specifiche forme di linguaggio tipografico, per esempio distintivo, per mettere in rilievo la struttura di un testo, o attivante, per invitare alla lettura. Ma si legge anche per imparare, e si può scorrere un testo velocemente (lettura orientativa o skimming) o a salti, si legge magari per addormentarsi, ecc. La lettura di versi poi è tutta un'altra esperienza, in cui gli automatismi possono essere messi alla prova da combinazioni di parole inattese o suddivisioni della frase irregolari; anche il suono delle parole può influire, e una poesia può rallentare o addirittura interrompere la lettura per lasciare spazio alla commozione o allo stupore.

Benché leggere delle parole su un manifesto o cercare una parola in un dizionario siano esperienze assai diverse dalla lettura assorta di un romanzo, per quel che riguarda il funzionamento della vista e della mente sostanzialmente si equivalgono: nel primo caso la vista e il cervello vengono attivati brevemente, nell'altro ininterrottamente. Nel caso del manifesto, poi, la lettura può accompagnarsi a una più ampia esperienza visiva quando il testo viene combinato con immagini o trasformato in illustrazione. Ma in ogni caso si tratta in ultima analisi di riconoscere lettere e parole e di tradurle in linguaggio e significato.

Si tratta di descrizioni del processo di lettura piuttosto riduttive, che rispondono alla domanda che cosa sia essenzialmente la lettura. Caratteri e tipografia veicolano dati che quasi immediatamente vengono tradotti nel linguaggio, trasformati in significati e ricordi e che evocano delle idee. Una volta trasformati in linguaggio, non c'è alcuna differenza fra leggere e ascoltare. Ecco perché la lettura è considerata nient'altro che la decodifica di impulsi grafici. Si tratta di un approccio alla lettura piuttosto sensato e corretto, quando si intende separare e identificare in maniera scientifica i vari processi, diverso dall'atteggiamento di tipografi e disegnatori di caratteri che operano nella consapevolezza di avere a che fare sia con la lingua che con i mezzi grafici. Seguendo quell'approccio infatti si perde di vista il fatto che la lettura è un'attività culturale multiforme, che comprende fra l'altro il piacere della lingua e del libro in quanto oggetto.


Parlando del processo di lettura emergono differenze fra gli individui: c'è chi, immerso nella lettura del proprio libro preferito, divora d'un fiato molte pagine, tornando indietro di tanto in tanto per qualche dettaglio; c'è invece chi per studio cerca innanzitutto concetti e termini essenziali, poi legge con attenzione lunghi passaggi. Come legge uno scolaro che deve leggere un libro? Ci sono lettori di professione e librodipendenti, ma ci sono probabilmente lettori dilettanti che leggono di più e con maggior piacere dei lettori di professione per placare una sete di lettura al limite dell'assuefazione. O c'è chi non è portato per la lettura, così come ci sono persone che non amano il giardinaggio.

Toponimi e orari non formano un testo continuo, e dunque non creano quel ritmo, quel trasporto che è una delle caratteristiche della lettura continua. Eppure mio suocero passava intere serate alla scrivania sfogliando un volume con gli orari di arrivo e di partenza della Transiberiana: si concedeva così il piacere di viaggiare con la fantasia, immaginando di scendere in località lontane e di visitare città straniere.

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Pagina 197

Leggere


Abbiamo visto in buona parte cosa avviene davanti agli occhi e nella mente dei lettori e in che misura disegnatori di caratteri e tipografi possano intervenire.

Resta fra l'altro da chiarire «a cosa serve leggere?» Chi ce lo fa fare di imparare a leggere? La lettura non è un'attività fine a se stessa, ma è un mezzo per acquisire conoscenze e vivere molte esperienze attraverso la lingua, che è pertanto fondamentale. Apprendere e vivere avvengono in misura importante attraverso la vista e l'udito e, a parte il testo, gli occhi colgono anche immagini che riempiono la nostra esistenza e la nostra mente. Cos'è che rende differente, rispetto ad altri modi, l'accumulo di conoscenze ed esperienze per mezzo della lingua e della lettura?

Grazie all'enorme progresso delle tecniche di riproduzione, oggi un testo è accompagnato da immagini in quantità e di qualità assai maggiori rispetto a qualche decennio fa. Anche la televisione ventiquattr'ore su ventiquattro su più canali ha accresciuto notevolmente l'impatto delle immagini. Θ indubbio che la loro importanza nella comunicazione sia aumentata, ma non per questo è diminuito l'uso della lingua, né nel parlato, né sotto forma di testi su carta o a schermo. Eppure qualcuno ipotizza che un giorno le immagini sostituiranno la lingua. Quel che è certo è che guardando di più la televisione si legge di meno. Ma la nostra cultura è talmente pervasa dalla lingua che senza di essa sarebbe quasi impossibile comunicare. Se qualcuno dubitasse dell'importanza della lingua, non ha che da provare a guardare la televisione una sera senza l'audio per cambiare idea. Dal momento che la lingua svolge un ruolo essenziale e che il suo uso è in gran parte determinato, è impensabile che la lettura e la tipografia spariscano.


Nel 1990 nella zona di Bruniquel nei Pirenei francesi è stata scoperta una profonda grotta al cui interno è stata ritrovata una costruzione presumibilmente eretta da neandertaliani 47.600 anni fa. I ricercatori ritengono che tale costruzione non può essere stata messa in opera senza un piano e una comunicazione orale fra coloro che l'hanno costruita, e dunque ne concludono che i neandertaliani disponessero di una qualche forma di linguaggio. Non è ancora stato svelato l'enigma di quando e dove sia nato il linguaggio, ma in ogni caso deve essere avvenuto in tempi che precedono di molto l'invenzione della scrittura. Al confronto la tipografia è uno sviluppo recentissimo.

Il linguaggio permette di cogliere l'ambiente che ci circonda e innumerevoli fenomeni che altrimenti sarebbero caotici, angosciosi e sfuggirebbero all'esame, all'osservazione, alla consapevolezza e al controllo. Parlare di qualcosa consente di poterlo controllare, di comprenderlo, di distaccarsene e di riflettere — il linguaggio come formula di scongiuro.

'Tipografo' è una professione e il termine 'professione' non comprende soltanto i tipografi, mentre 'organizzazione professionale' è un concetto complesso e ampio. Il linguaggio permette la formazione e la combinazione di concetti, nonché la formazione di nuovi concetti e categorie. 'Autocarro' è un concetto, 'mezzo di trasporto' è una categoria. Grazie al linguaggio possiamo fare ipotesi, osservare, trarre conclusioni o dimostrare qualcosa. Il linguaggio permette di afferrare cose immateriali, poiché possiamo fra l'altro ragionare, teorizzare o filosofare. Consente l'ironia, gli eufemismi e forse, al suo più alto grado, la poesia. Possiamo fare previsioni e organizzare la nostra vita. La scrittura permette una presa più salda su tali processi mentali: scrivere non vuole dire soltanto fissare, ma permette anche di organizzare e rivedere le conoscenze meglio e più facilmente che parlando e memorizzando. Leggendo possiamo assimilare le nozioni con calma e secondo il nostro ritmo, separare lingua e contenuto, e reagire con discernimento — tutte possibilità rafforzate dalla tipografia, anche grazie a una maggiore formalità e uniformità, per cui il testo acquista maggiore autorità.

Nonostante l'indiscutibile impressione data dalle lettere ordinatamente schierate e stampate, tale autorità è spesso mera apparenza. Conta di più la franchezza della tipografia: registrando e diffondendo il linguaggio in forma imparziale e irrevocabile, le parole (e le cifre — pensiamo a un bilancio sociale — o anche le illustrazioni) vengono esposte allo sguardo indagatore e critico, dunque il testo diviene vulnerabile.

Il testo scritto è stato spesso trattato con diffidenza dai filosofi, come Platone che affermava (Fedro) che fissare per iscritto il testo non farebbe bene alla memoria, che gli uomini diventerebbero smemorati e che il testo scritto non sarebbe altro che un trucco mnemotecnico. Quest'ultima affermazione è vera, ma da allora il testo scritto è stato a ragione riconosciuto come un'estensione della memoria. Tutte le conoscenze accumulate non possono essere memorizzate, ma sono relativamente facili e rapide da cercare — e con internet oggi è ancora più facile. Un'altra obiezione di Platone è che con un testo scritto non si può discutere: a domanda risponde il silenzio. Se poi un filosofo rende pubbliche le proprie idee in forma scritta, non potrà mai più cambiarle, riformularle più chiaramente o spiegarle. Il testo potrebbe finire nelle mani sbagliate e essere male interpretato: tocca allora all'autore di correre in soccorso, perché il testo scritto può fare ben poco in quel caso.

Con internet è divenuto più facile spiegarsi o replicare. Ma quanto al fatto che un testo possa essere letto diversamente dalle intenzioni dell'autore, o deliberatamente spiegato in altro modo, o letto in modo selettivo, per cui il lettore ignora parti che non gli piacciono o non servono, non c'è proprio niente da fare. Lo stesso vale d'altra parte per un testo orale: possiamo ascoltare selettivamente e rifiutare di discutere con chi parla. C'è poco da fare anche per l'obiezione dei filosofi che un testo è sovente ambiguo o può sollevare dei dubbi, giacché è praticamente impossibile per un autore scrivere un testo univoco. E certamente ogni lettore ne darà in ogni caso un'interpretazione secondo il proprio sentire.

Ciononostante, l'influsso costante e a ritmo serrato della scrittura, della composizione, della stampa e della diffusione di testi ha prodotto fra l'altro il romanzo, il saggio, l'editoriale. Indagini e rivelazioni giornalistiche, testi come il J'accuse di Ιmile Zola (1898) o Arcipelago Gulag di Alexander Solzenicyn (1973-75) ne sono stati evidentemente influenzati.

Grazie alla scrittura e alla forma tipografica, la lingua stessa è divenuta oggetto di riflessione e di ricerca, con la conseguenza che essa è stata analizzata e ordinata, catalogata e indagata a fondo. Grazie a ciò sono nati anche i vocabolari e le lingue nazionali sono state codificate e preferite ai dialetti. Anche l'ortografia è stata così fissata e ne sono conseguite le riforme ortografiche, da cui sono derivate anche le regole tipografiche, a sostegno e normalizzazione della lingua scritta.

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