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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione 13 I Quando arriveremo al ginocchio 23 II Ragioni sbagliate di un improbabile arresto dell'espansione 35 III I grandi sistemi e la loro ingegneria 47 IV L'ingovernabilità dei grandi sistemi 57 V L'impotenza elettrica 67 VI Congestione urbana e paralisi dei trasporti 85 VII Il blocco delle comunicazioni (telefoniche, telegrafiche, postali) 98 VIII Speranze mal riposte e timori infondati dei calcolatori elettronici 113 IX Scarsezza d'acqua ed eccesso di immondizie 118 X La congiura dei sistemi urbani 127 XI Inutilità della guerra come mezzo di distruzione 133 XII Inutilità della contestazione 142 XIII Una causa remota della degradazione dei sistemi: la crisi del management 152 XIV Differenze nei tempi di inizio e nelle durate del prossimo medioevo in vari paesi 159 XV Benefici a breve termine e danni secondari a lungo termine delle situazioni involutive di tipo medioevale 167 XVI Evoluzione delle forme di vita associata prima del knock-out e nel medioevo prossimo venturo 177 XVII Fondamenti di una nuova tradizione 186 XVIII Progetto di comunità monastiche atte a conservare cultura e a favorire un nuovo rinascimento 203 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 71. E vidi l'angelo che discendeva dal cielo e aveva la chiave dell'abisso e una grande catena nella sua mano. 2. E imprigionò il drago — l'antico serpente, che è il diavolo e Satana — e lo legò per mille anni. 3. E lo mise nell'abisso e lo rinchiuse e fece su di lui il segno, affinché non seducesse più le genti fin quando mille anni non fossero consumati: e dopo di allora avrebbe dovuto scioglierlo per breve tempo. 4. E vidi i sedili e coloro che si sedettero furono giudicati: e le anime dei decapitati per testimonianza di Gesù e per il verbo di Dio, e quelli che non avevano adorato la bestia, né l'immagine sua, né avevano accettato il segno della bestia sulla fronte o sulle mani, vissero e regnarono con Cristo mille anni. 5. Gli altri morti non vissero fin quando mille anni non fossero consumati. Questa è la prima risurrezione.
(Apocalisse del Beato Giovanni Apostolo, cap. XX.)
La lettura di questo passo dell'Apocalisse bastò a convincere una moltitudine di uomini che la fine del mondo sarebbe venuta nell'anno 1000 della nostra era. Gli uomini si sentivano condannati e impotenti e cercavano rifugio e perdono nella preghiera e nella penitenza: innumeri ore lavorative furono perse dalla popolazione attiva, che passava in ginocchio il tempo prima impiegato in attività produttive. Poi l'anno 1000 passò e il mondo, notoriamente, non finì – ma non per questo le credenze e le superstizioni apocalittiche subirono una flessione degna di nota. Infatti molte altre volte nei secoli seguenti astrologi e numerologi trovarono ampio credito predicendo cataclismi e rovine. Nella storia degli ultimi secoli cataclismi e rovine non sono mancati, ma le loro date e le loro caratteristiche non hanno mai coinciso con quelle anticipate in modo casuale e gratuito dai profeti improvvisati. Mentre scrivo mancano trent'anni al compimento del secondo millennio della nostra era e, per ragioni diverse da quelle di mille anni fa, molti si attendono a breve scadenza una tragica catastrofe totale. I profeti di oggi non dicono che dobbiamo temere angeli, draghi e abissi, ma che dobbiamo temere l'olocausto nucleare, la sovrapopolazione, l'inquinamento e il disastro ecologico. Quelli che scrivono annunci di catastrofi imminenti sono oggi così numerosi che John Crosby, in un articolo sull'«Observer» del 13 settembre 1970, ha inventato un nuovo termine per indicare la loro attività: doomwriting – che può essere tradotto «rovinografia». Crosby afferma che le catastrofi annunciate non si verificano mai, che le condizioni di vita nelle città e nel mondo in generale non sono mai state migliori di quelle attuali e prende in giro i rovinografi accusandoli di seguire una moda pessimistica e di sostenere opinioni facilmente accettabili solo per trarre profitto dai loro scritti. Devono essere molti a trovarsi d'accordo con questo punto di vista se l'opinione corrente è che nel 2000 la popolazione del mondo sarà di sei miliardi di persone; e gli studiosi specializzati affermano anzi che nei prossimi trent'anni la popolazione mondiale supererà il doppio di quella attuale — che è stimata in tre miliardi e mezzo. Fred Charles Iklé, del Massachusetts Institute of Technology, ha affermato che nel 2000 «la popolazione del mondo sarà sui sette o otto miliardi di uomini, piuttosto che sui cinque» come previsto nel 1963 in uno studio della Rand Corporation. Proprio perché il consenso su queste prospettive è così unanime, sono convinto che la previsione non si avvererà: del resto esistono parecchi altri indizi che i tassi attuali di accrescimento e sviluppo del numero degli uomini e delle strutture create dagli uomini saranno presto annullati o invertiti. Non è necessario che scoppi qualche kilomegatone di bombe all'idrogeno per uccidere centinaia di milioni di uomini. Lo stesso risultato può essere raggiunto con mezzi meno violenti e più contorti: per esempio affidando la vita di enormi e densi agglomerati umani a sistemi tanto complicati da diventare ingovernabili. Questa seconda ipotesi di catastrofe – per la sua formale aridità, per la sua casualità e per la sua mancanza di premeditazione – appare più tragica della prima. Ho scritto questo libro per analizzare uno dei tipi di catastrofe che si potrebbero verificare a causa della degradazione dei grandi sistemi, divenuti eccessivamente complicati. La mia ipotesi è che i grandi sistemi organizzativi, tecnologici, associativi, continuino a crescere disordinatamente fino a raggiungere dimensioni critiche e instabili. A questo punto la crisi di un solo sistema non sarebbe sufficiente a bloccare le grandi concentrazioni metropolitane, ma una concomitanza casuale di congestioni in molti sistemi nella stessa area potrebbe innescare un processo catastrofico, che paralizzerebbe il funzionamento delle società più sviluppate conducendo alla morte milioni di persone. Ho dedicato alcuni capitoli a descrivere i caratteri delle crisi già incipineit dei sistemi di produzione e distribuzione di energia, dei trasporti, delle comunicazioni, degli approvvigionamenti di acqua, di eliminazione dei rifiuti, di trattamento delle informazioni. Queste crisi sono dovute alla congestione cronica di quasi tutti i grandi sistemi, progettati e strutturati in modo errato o, peggio, proliferati senza piani per le inadeguate capacità direttive e disponibilità di informazioni di coloro che dovrebbero governarli e prevederne gli sviluppi ulteriori. Non si può dimostrare rigorosamente a priori che una casuale congiura di eventi deteriori e congestivi condurrà a una catastrofe — almeno secondo uno svolgimento identico a quello che descrivo. Sembra però molto verosimile che le nazioni più sviluppate siano avviate verso crisi di grosse dimensioni, e ho ritenuto opportuno accettare certe ipotesi e dedurne in dettaglio le conseguenze logiche per dimostrare più realisticamente quali siano i pericoli più imminenti che ci attendono. Ho chiamato medioevo questa futura situazione di crisi generalizzata. I paesi meno avanzati (o in via di sviluppo o sottosviluppati o semplicemente arretrati) saranno coinvolti solo marginalmente dalla crisi e, quindi, il 70 per cento della popolazione mondiale non sarà molto danneggiato dalla prima ondata di distruzione. I paesi più avanzati, invece, sono più vulnerabili dai danni conseguenti alla degradazione dei grandi sistemi. Il medioevo coinciderà, quindi, con una situazione in cui, poniamo, si dimezzerà la popolazione dei soli paesi più avanzati. Se fra questi contiamo quelli europei, compresa l'Unione Sovietica, quelli dell'America del Nord e il Giappone, parliamo — nel 1970 — di circa 900 milioni di persone, cioè di circa il 30 per cento della popolazione mondiale. Se muoiono 450 milioni di uomini nei paesi più sviluppati, si termano : il progresso per le scienze, la ricerca tecnologica, le grandi costruzioni civili, le produzioni industriali di grande serie e a bassi costi, il funzionamento dell'intera struttura organizzativa e direttiva della società moderna. Con un certo ritardo i paesi del terzo mondo soffriranno gravi conseguenze secondarie per la mancanza di manufatti, prodotti finiti durevoli, medicinali, attrezzature e impianti di produzione e consulenze direzionali precedentemente forniti dalle nazioni più avanzate. La ripresa sarà lenta e dura e sulla strada della ricostruzione non saranno necessariamente favoriti i paesi che prima erano all'avanguardia. I nuovi primati e le nuove gerarchie fra i paesi del mondo saranno decisi non solo dalla disponibilità di know-how e di informazioni, ma anche dalla capacità di trovare nuove forme efficienti di vita associata e organizzata, dalla capacità di motivazione e dalla aggressività dei vari gruppi di uomini. La durata del prossimo medioevo sarà minore di quella del medioevo scorso: forse di un secolo invece che di un millennio. È impossibile sapere se gli storici futuri sceglieranno il 1960 o il 1980 o un'altra data convenzionale posteriore come inizio. Da molti segni appare che un tempo di fenomeni degenerativi è già cominciato — tanto che non suona assurdo parlare oggi di medioevo prossimo, sebbene l'espressione implichi tre ipotesi: che un'era di disordine, di distruzione e di degradazione stia per cominciare, che questo inizio sia imminente e che questa era sarà seguita da un'altra di rinascimento. L'ultima ipotesi non ha altra giustificazione che la periodica alternanza di tutte le cose umane finora generalmente verificata. Nel ventesimo secolo siamo abituati a considerare i cambiamenti come la caratteristica più costante del nostro mondo e siamo quindi indotti a cercare di anticiparne le prossime trastormazionl. Richard Lewinsohn, nel suo libro Die Enthüllung der Zukunft (La scoperta dell'avvenire), dimostra che oggi siamo molto più bravi a fare previsioni e pianificazioni di quanto non lo fossimo nel passato. La mia fiducia in questa sua dimostrazione giustifica che io scriva di un'era di mezzo che è ancora agli inizi, mentre del medioevo scorso non si cominciò a parlare prima che fosse finito (il primo a usare l'espressione media tempestas pare fosse Giovanni Bussi, vescovo di Aleria, nel contesto di un elogio di Nicolò Cusano composto nel 1469). Non sarà difficile accusare questo libro di rovinografia e di pessimismo. Noi pessimisti, però, chiamiamo realismo il nostro modo di vedere le cose e non riteniamo di essere meno efficienti degli ottimisti nel preparare i rimedi e nel progettare le innovazioni.
Roma, febbraio 1970 - marzo 1971
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