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| << | < | > | >> |Pagina 3I.Tenendo scostata la tendina con una molletta da bucato, Lucio poteva osservare piú comodamente il nuovo vicino di casa. Un tizio piccolo e bruno che tirava su un muro di blocchi di calcestruzzo senza filo a piombo, a torso nudo nel vento fresco di marzo. Dopo un'ora di appostamento, all'improvviso Lucio scosse la testa, come una lucertola che si risveglia bruscamente dalla sua siesta immobile, e si scollò dalle labbra la sigaretta spenta. - Quel tizio, - diagnosticò alla fine, - niente sale in zucca, niente piombo in mano. Se ne va in groppa al suo asino seguendo la sua bussola. Gli sta bene cosí. - E allora lascialo perdere, - disse sua figlia, in tono distratto. - So quel che devo fare, Maria. - È che ti piace scocciare la gente con le tue storie. Il padre fece schioccare la lingua contro il palato. - Non diresti cosí se avessi l'insonnia. L'altra notte l'ho vista come vedo te adesso. - Sí, me l'hai detto. - È passata davanti alle finestre del primo piano, lenta come uno spettro. - Sí, - ripetè Maria, indifferente, Il vecchio si era alzato, appoggiandosi al bastone. - Come se aspettasse l'arrivo di quello nuovo, e si preparasse per la preda. Per lui, - aggiunse, accennando col mento verso la finestra. - A quello, - disse Maria, - gli entrerà da un orecchio e gli uscirà dall'altro. - Cosa farà, sono fatti suoi. Dammi una sigaretta, vado. Maria infilò direttamente la sigaretta fra le labbra del padre e l'accese. - Maria, porco Giuda, togli il filtro. Maria obbedí e aiutò il padre a indossare il cappotto. Poi gli mise in tasca una radiolina da cui usciva un crepitio di parole indecifrabili. Il vecchio la portava sempre con sé. - Non essere troppo brutale, con il vicino, - disse, sistemandogli la sciarpa.
- Il vicino ne ha viste ben altre, credi a me.
Adamsberg aveva lavorato senza scomporsi sotto la sorveglianza del vecchio, domandandosi quando sarebbe venuto a esaminarlo in carne e ossa. Lo guardò attraversare il giardinetto con passo fermo, alto e dignitoso, bel volto screpolato di rughe, e folti capelli bianchi. Stava per tendergli la mano quando si accorse che all'uomo mancava l'avambraccio destro. Sollevò la cazzuola in segno di benvenuto e posò su di lui un sguardo sereno e inespressivo. - Posso prestarle il mio filo a piombo, - disse il vecchio educatamente. - Me la cavo, - rispose Adamsberg sistemando un altro blocco di calcestruzzo. - Da noi abbiamo sempre tirato su i muri a occhio, e sono ancora in piedi. Sbilenchi, ma in piedi. - Fa il muratore? - No, faccio il poliziotto. Commissario di polizia. Il vecchio appoggiò il bastone contro il muro nuovo e si abbottonò il panciotto fino al mento, giusto per assorbire l'informazione. - Cerca la droga? Cose del genere? - Cadaveri. Sono nell'Anticrimine. - Bene, - disse il vecchio, lievemente scosso. - Io ero nel parquet. Strizzò l'occhio a Adamsberg. - Non il Parquet dei giudici, eh, il parquet di legno. Vendevo parquet. Un burlone, ai suoi tempi, pensò Adamsberg rivolgendo un sorriso d'intesa al nuovo vicino, che sembrava capace di divertirsi con niente senza bisogno degli altri. Un buontempone, un tipo ameno, ma con degli occhi neri che ti scorticavano. - Quercia, faggio, abete. Se le serve, sa a chi rivolgersi. C'è solo del cotto, a casa sua. - Sí. - È meno caldo del parquet. Mi chiamo Velasco, Lucio Velasco Paz. Ditta Velasco Paz & figlia. Lucio Velasco sorrideva cordialmente, senza staccare gli occhi dal viso di Adamsberg, scrutandolo centimetro per centimetro. Quel vecchio menava il can per l'aia, quel vecchio aveva qualcosa da dirgli. - Maria ha preso in mano la ditta. Testa sulle spalle, non le racconti baggianate, non le vanno a genio. - Che tipo di baggianate? - Baggianate sui fantasmi, per esempio, - disse l'uomo strizzando gli occhi neri. - Non c'è pericolo, non ne so di baggianate sui fantasmi. - Si dice sempre cosí, e poi un giorno ne sai una. - Forse. Non è sintonizzata, la sua radio. Vuole che gliela sistemi? - Perché? - Per ascoltare le trasmissioni. - No, hombre. Non voglio sentire le loro scemenze. Alla mia età uno si è guadagnato il diritto di non farsi mettere i piedi in testa. - Certo, - disse Adamsberg. Se il vicino voleva portarsi in giro una radio senza audio, e chiamarlo «hombre», affari suoi. Il vecchio fece una nuova pausa, esaminando come Adamsberg posava i blocchi di calcestruzzo. - È soddisfatto della casa? - Molto. Lucio mormorò una battuta incomprensibile e scoppiò a ridere. Adamsberg sorrise cortesemente. C'era un che di giovanile nella sua risata, mentre per tutto il resto aveva l'aria di uno che fosse piú o meno responsabile del destino degli uomini su questa terra. - Centocinquanta metri quadri, - continuò. - Giardino, caminetto, cantina, legnaia. A Parigi, cosí non ce n'è piú. Non si è chiesto perché l'ha avuta per un tozzo di pane? - Perché era troppo vecchia, troppo malandata, suppongo. - E non si è chiesto perché non l'hanno mai demolita? - È in fondo a un vicolo, non dà noia a nessuno. - Eppure, hombre, non un acquirente in sei anni. Non le ha dato da pensare? | << | < | > | >> |Pagina 36VII.Appena ebbe lasciato Ariane, un nubifragio si abbatté sul boulevard Saint-Michel, frantumando i suoi contorni, facendolo somigliare a una qualunque strada di campagna offuscata dal diluvio. Adamsberg camminava contento, come sempre felice sotto lo scrosciare dell'acqua e soddisfatto di poter chiudere, dopo ventitre anni, la questione dell'assassino di Le Havre. Guardò la statua di Giovanna d'Arco incassare l'acquazzone senza deflettere. Compiangeva Giovanna d'Arco: a lui non sarebbe affatto piaciuto sentire delle voci che gli ordinavano di fare una cosa, di andare in un posto. Lui che aveva già delle difficoltà a obbedire alle consegne, e persino a identificarle, avrebbe seriamente storto il naso di fronte agli ordini delle voci celesti. Voci che lo avrebbero portato in una fossa dei leoni dopo una breve e gloriosa epopea: quelle storie finiscono sempre male. In compenso, Adamsberg non era affatto contrario a raccogliere i ciottoli che il cielo deponeva sulla sua strada per fargli piacere. Gliene mancava uno per l'Anticrimine, e lo cercava. Quando, dopo le cinque settimane di riposo forzato ordinate dal capo divisione, era sceso dalle sue vette dei Pirenei per tornare all'Anticrimine di Parigi, si era portato una trentina di ciottoli grigi levigati dal fiume, e ne aveva deposto uno sulla scrivania di ogni collega, come fermacarte o per qualunque altro uso, a piacere. Dono rustico che nessuno osò rifiutare, nemmeno chi non aveva nessuna voglia di tenersi un sasso sulla scrivania. Dono che non contribuiva a chiarire perché il commissario fosse tornato anche con una fede d'oro che gli brillava al dito, attizzando scintille di curiosità in tutti gli uffici. Se Adamsberg si era sposato, per quale motivo non aveva avvertito la sua squadra? E soprattutto, sposato con chi e perché? Risolutamente, con la madre di suo figlio? Anormalmente, con suo fratello? Miticamente, con un cigno? Dato che si trattava di Adamsberg, venivano prese in considerazione tutte le ipotesi, in un mormorio che passava da una scrivania all'altra, da un ciottolo a un fermacarte. Per chiarire la faccenda, contavano sul comandante Danglard, da una parte perché era il piú vecchio collaboratore di Adamsberg, che si muoveva all'unisono con lui in un rapporto privo di pudore e di precauzioni, dall'altra perché Danglard non tollerava le Domande senza risposta. Domande senza risposta che si ingegnavano a sbucare come insalata matta dal suolo della vita, trasformandosi in una miriade di incertezze, le quali alimentavano la sua ansia, che a sua volta gli minava l'esistenza. Compito titanico, che per lo piú lo conduceva in un vicolo cieco, e dal vicolo cieco al senso d'impotenza. Impotenza che lo spediva dritto nella cantina dell'Anticrimine, dove si celava la sua bottiglia di vino bianco, che a sua volta era l'unica a poter dissolvere una domanda senza risposta troppo coriacea. Se Danglard aveva nascosto cosí lontano la bottiglia non era per timore che Adamsberg la scoprisse, visto che il commissario era perfettamente al corrente di quel segreto — da credere che sentisse delle voci. Solo che scendere e risalire la scala a chiocciola della cantina era abbastanza faticoso da fargli rimandare l'uso di quel solvente personale. Sicché rosicava pazientemente i suoi dubbi, insieme all'estremità delle matite che consumava come un roditore. Adamsberg formulava una teoria opposta a quella del rosicare, postulando che la quota di incertezze che un uomo è in grado di reggere in una sola volta non può aumentare all'infinito oltre il tetto massimo di tre o quattro simultaneamente. Il che non voleva dire che non ne esistessero altre, ma che in un cervello umano potevano essercene in azione soltanto tre o quattro. E quindi la mania di Danglard di volerle estirpare non gli serviva a niente perché, non appena ne aveva fatte fuori due, subito si creava spazio per altre due Domande inedite, di cui sarebbe rimasto all'oscuro se fosse stato abbastanza saggio da sopportare quelle vecchie. Quell'ipotesi, Danglard non la trovava convincente. Sospettava che a Adamsberg l'incertezza piacesse sino a rasentare il torpore. Che l'amasse al punto da crearla lui stesso, da offuscare le prospettive piú limpide per il piacere di smarrirvisi come un irresponsabile, come quando si cammina sotto la pioggia. Se uno non sapeva, se uno non sapeva niente, perché crearsi problemi? Le inchieste dell'Anticrimine erano scandite dai duri scontri fra i precisi «Perché?» di Danglard e i disinvolti «Non lo so» del commissario. Nessuno cercava di capire lo spirito di quell'acerrima lotta fra perspicacia e imprecisione, ma ognuno si schierava con l'una o l'altra mentalità. Alcuni, i positivisti, ritenevano che Adamsberg tirasse per le lunghe le inchieste, trascinandole languidamente nelle nebbie, e lasciandosi alle spalle i colleghi smarriti, senza ruolino di marcia né consegne. Altri, gli spalatori di nuvole - cosí denominati in memoria di un traumatico soggiorno in Québec dell'Anticrimine -, erano del parere che i risultati del commissario bastavano a giustificare l'andamento beccheggiante delle inchieste, sebbene sfuggisse loro il nocciolo di quel metodo. A seconda dell'umore, a seconda delle circostanze, che inducevano a sentirsi irritabili o accomodanti, uno poteva essere positivista una mattina e ritrovarsi l'indomani spalatore di nuvole, e viceversa. Soltanto Adamsberg e Danglard, che impersonavano ruoli antagonistici, non cambiavano mai le rispettive posizioni. Fra le Domande senza risposta continuava a brillare la fede al dito del commissario. Danglard scelse quel giorno di acquazzone per interpellare Adamsberg con un semplice sguardo rivolto all'anello. Il commissario si tolse la giacca zuppa d'acqua, sedette di traverso, poi distese la mano. Quella mano, troppo grande per il suo corpo, appesantita al polso da due orologi che cozzavano fra loro, e adesso arricchita da quell'anello d'oro, non era in sintonia con il resto del suo abbigliamento, cosí trasandato da essere approssimativo. La si sarebbe detta la mano ingioiellata di un antico nobiluomo attaccata al corpo di un contadino, eleganza eccessiva per la pelle bruna del montanaro. | << | < | > | >> |Pagina 165XXV.Il gatto si spostava all'interno dell'Anticrimine da un punto sicuro all'altro, da un ginocchio all'altro, dalla scrivania di un brigadiere alla sedia di un tenente, come si attraversa un torrente saltando sulle pietre, senza bagnarsi i piedi. Aveva esordito nella vita, grosso come una mano, seguendo Camille per strada, aveva continuato sotto la protezione di Adrien Danglard, che era stato costretto a sistemarlo all'Anticrimine. Perché il gatto era incapace di cavarsela da solo, totalmente privo di quell'autonomia un po' sprezzante che costituisce la nobiltà del felino. E benché maschio non castrato, era l'incarnazione stessa della dipendenza e del sonno permanente. Palla, cosí l'aveva chiamato Danglard quando l'aveva preso con sé, era agli antipodi dell'animale totem di una squadra di poliziotti. Gestivano a turno quella massa di peli, di mollezza e di paura che esigeva di essere accompagnata da qualcuno per andare a mangiare, bere o pisciare. E aveva addirittura delle preferenze, in cima alle quali c'era nettamente Retancourt. Palla passava gran parte della giornata a due passi dalla sua scrivania, sdraiato sul coperchio tiepido di una delle fotocopiatrici, che non si poteva piú utilizzare per non infliggere alla bestia uno choc mortale. In assenza della donna che amava, Palla rifluiva verso Danglard, poi, in ordine variabile, verso Justin, Froissy e, curiosamente, Noël. Danglard si reputava fortunato quando il gatto accettava di percorrere da solo i venti metri che lo separavano dalla ciotola. Una volta su tre dichiarava forfait e crollava sdraiato sulla schiena, sicché si doveva trasportarlo fino ai luoghi di alimentazione e defecazione, nella stanza del distributore di bibite. Quel giovedí Danglard teneva sotto il braccio Palla, come uno straccio pendulo, quando chiamò Brézillon, che cercava Adamsberg. - Dov'è? Il cellulare è spento. Oppure lui non si degna di rispondere. - Non ne so niente, signor capo divisione. È di certo occupato con un'emergenza. - Di certo, - disse Brézillon sogghignando. Danglard depose a terra il gatto perché l'ira del capo divisione non rischiasse di spaventarlo. L'operazione di Montrouge procedeva al rallentatore e Brézillon era esasperato. Aveva già intimato al commissario di abbandonare quella pista perché, secondo le statistiche psichiatriche, i profanatori di tombe non sono mai degli assassini. - Lei non è bravo a mentire, comandante Danglard. Gli faccia sapere che lo voglio in ufficio alle diciassette. E il morto di Reims? Sempre in sospeso? - Chiuso, signor capo divisione. - E l'infermiera alla macchia? Che cavolo combinate? - Gli avvisi di ricerca sono stati diramati. Ce l'hanno segnalata in venti posti diversi nel giro di una settimana. Verifichiamo, controlliamo. - E Adamsberg, lui, controlla? - Ovvio. - Ah sí? Dal cimitero di Opportune-la-Haute? Danglard bevve due sorsi di bianco e fece un cenno negativo al gatto. Era evidente che Palla aveva un'indole alcolica, da tenere d'occhio. Le sue uniche pulsioni di spostamento autonomo avevano lo scopo di cercare i nascondigli personali di Danglard. Recentemente aveva scoperto quello sotto la caldaia, in cantina. Il che dimostrava che Palla non era per niente quell'imbecille che tutti credevano, e aveva un fiuto eccezionale. Ma Danglard non poteva informare nessuno di quel genere di prodezza. - Come vede, è inutile cercare di scherzare con me, - continuava Brézillon. - Non cerco affatto di scherzare, - rispose sinceramente Danglard. - L'Anticrimine è su una brutta china. Adamsberg la insapona e lei scivola dietro a lui. Se non lo sa, il che mi stupirebbe, le dirò cosa combina il suo capo: gira intorno a una tomba inoffensiva nel buco del culo del mondo. E perché no?, si disse Danglard. Il comandante era il primo a criticare le fantasiose deambulazioni di Adamsberg, ma in caso di attacco esterno brandiva uno scudo indefettibile per difenderlo. - E tutto questo perché? - continuò Brézillon. - Perché un deficiente del posto ha visto un'ombra in un prato. E perché no?, ripeté fra sé Danglard bevendo un sorso. - Ecco di cosa si occupa Adamsberg, ecco quello che controlla. - È stata la brigata di Évreux ad avvertirla? - È il loro lavoro, quando un commissario deraglia. E lo fanno, presto e bene. Lo voglio qui alle diciassette, sul caso dell'infermiera. - Non credo che lo alletti, - mormorò Danglard. - Quanto ai due morti della Chapelle, passate la mano istantaneamente. Se li prende l'Antidroga. Lo avverta, comandante. Suppongo che quando chiama lei, lui si degni di rispondere. Danglard vuotò il bicchierino di carta, raccattò Palla, e per prima cosa compose il numero della brigata di Évreux. - Mi passi il comandante, chiamata urgente da Parigi. Con le dita affondate nell'enorme pelliccia del gatto, Danglard attese pazientemente. - Comandante Devalon? È stato lei ad avvertire Brézillon che Adamsberg era nel suo settore? - Quando Adamsberg vagola in libertà, preferisco prevenire che curare. Chi parla? - Il comandante Danglard. E me ne frego di lei, Devalon. - Si limiti piuttosto a recuperare il suo capo. Danglard chiuse la telefonata bruscamente, e il gatto tese le zampe, atterrito. | << | < | > | >> |Pagina 235XXXV.Il tenente Hélène Froissy, timida, silenziosa e dolce sino all'anonimato, volto piuttosto banale su un corpo notevole, aveva tre caratteristiche evidenti. Da una parte mangiava come un lupo dalla mattina alla sera senza ingrassare, dall'altra dipingeva acquarelli, unica fantasia che le si conoscesse. A Adamsberg, che durante le conferenze riempiva di disegni interi taccuini, c'era voluto più di un anno per interessarsi ai piccoli lavori di Froissy. Una notte della primavera scorsa aveva frugato nell'armadio del tenente alla ricerca di cibo. L'ufficio di Froissy era considerato da tutti una riserva alimentare di sicurezza, dove si poteva trovare una grande varietà di prodotti — frutta fresca, secca, fette biscottate, latticini, cereali, pàté rustico, lukum — sempre disponibile in caso di fame imprevista. Froissy era al corrente di quei furti e ripristinava le scorte. Durante la sua perquisizione Adamsberg si era soffermato a sfogliare un fascio di acquarelli, scoprendo il tono cupo dei soggetti e dei colori, figurine desolate e squallidi paesaggi sotto cieli senza scampo. Da allora capitava che, senza una parola, si passassero dei disegni da un ufficio all'altro, infilati in un rapporto. Come terza caratteristica, Froissy, diplomata in elettronica, aveva lavorato otto anni ai servizi di ascolto, in altre parole le intercettazioni, compiendo miracoli di velocità ed efficienza. Froissy raggiunse Adamsberg alle sette di mattina, all'ora di apertura del baretto un po' sporco di fronte alla Brasserie des Phisolophes. Opulenta e borghese, la Brasserie si risvegliava solo alle nove del mattino, mentre il bar proletario alzava la saracinesca all'alba. I croissant erano appena arrivati sul bancone, in un cestino, e Froissy ne approfittò per ordinare un'altra colazione. - L'operazione è illegale, ovviamente, - disse Froissy. - Certo. Froissy arricciava il naso, lasciando rammollire il croissant nella tazza di tè. - Devo saperne di piú, - disse. - Froissy, non posso correre il rischio che una pecora nera si sia infiltrata all'Anticrimine. - Per venire a fare cosa? - È proprio quello che non voglio dire. Se mi sbaglio, dimenticheremo e lei non avrà saputo niente. - Tranne che avrò installato dei microfoni senza sapere perché. Veyrenc vive da solo. Cosa spera di captare, intercettandolo? - Le sue conversazioni telefoniche. - E allora? Se lavora sott'acqua, non lo racconterà di certo al telefono. - Se trama qualcosa, è qualcosa di estremamente grave. - Ragione di piú per non fiatare. - Ragione di meno. Lei dimentica la regola d'oro del segreto. - Cioè? - domandò Hélène raccogliendo nel palmo della mano le briciole di croissant per lasciare pulito il tavolo. - Una persona depositaria di un segreto, un segreto cosí importante che ha giurato su Dio o sulla testa di sua madre di non rivelarlo mai a nessuno, lo dice per forza a una sola persona. - Da dove salta fuori questa regola? - domandò Froissy sfregandosi le mani. - Dall'umanità. Nessuno, tranne rarissime eccezioni, riesce a conservare davvero un segreto. Piú il segreto è pesante e piú vale la regola. È cosí che i segreti fuggono dalle loro gabbie, Froissy, passando da una persona che giura a un altra persona che giura, e cosí via. Almeno una persona è al corrente dei segreto di Veyrenc, se ne ha uno. Con quella persona parlerà, ed è questo che io voglio ascoltare. Questo, e altro, pensò Adamsberg, imbarazzato di raccontarla giusta solo in parte a una ragazza perbene come Froissy. La sua decisione della sera prima rimaneva incrollabile, e gli bastava immaginare le mani di Veyrenc su Camille, o peggio, ovviamente, l'inevitabile amplesso per sentirsi trasformato in una macchina da guerra. Con Froissy si sentiva semplicemente un po' sporco, cosa che poteva sopportare. - Il segreto di Veyrenc - ripeté Froissy versando coscienziosamente le briciole nella tazza vuota - ha a che vedere con le sue poesie? - Per niente. - Con i capelli tigrati? - Sí, - confessò Adamsberg, consapevole che Froissy non avrebbe oltrepassato i limiti della legalità senza una spintarella. - Gli hanno fatto del male? - Può darsi. - E lui si vendica? - Può darsi. - Mortalmente? - Non lo so. - Capisco, - disse il tenente, ripassando metodicamente la mano sul tavolo, un po' confusa per il fatto che non ci fosse piú niente da raccattare. - Il che vorrebbe dire proteggerlo anche da se stesso, in fin dei conti? - Proprio cosí, - disse Adamsberg, felice che Froissy avesse trovato da sola un buon motivo per compiere una cattiva azione. - Disinneschiamo l'ordigno e tutti se la cavano. - Forza, - disse Froissy, estraendo penna e taccuino. - Gli obiettivi? I luoghi? In un attimo, la donna riservata e perbene si era trasformata in quell'abilissimo tecnico che era. - Mi basta che gli metta una cimice nel cellulare. Ecco il numero. Mentre si frugava in tasca alla ricerca del numero di Veyrenc, Adamsberg aveva trovato la boccetta che gli aveva consegnato Camille. Contrariamente alla promessa, non si era ricordato di mettere le gocce nel naso al bambino. - Intercetti la frequenza e faccia pervenire la trasmissione a casa mia. - Sono costretta a passare per l'impianto dell'Anticrimine e poi, da li, a trasferire da lei. - Dove sarà la trasmittente, in ufficio? - Nel mio armadio. - Ci frugano tutti nella sua dispensa, Froissy. - Parlo dell'altra dispensa, a sinistra della finestra. Quella è chiusa a chiave. - Allora la prima è uno specchietto per le allodole. Che ci mette in quella vera? - Dei lukum che vengono direttamente dal Libano. Le darò una copia della chiave. - D'accordo. Ecco le chiavi di casa mia. Installi la ricevente in camera da letto, al primo piano, lontano dalla finestra. - Ovvio. - Non mi serve solo l'audio. Mi serve uno schermo per seguire i suoi spostamenti. - Lontano? - Forse. Sapere se Veyrenc avrebbe portato Camille da qualche parte. Una scappata di un paio di giorni, una locanda rustica, e il bambino sull'erba, che gioca ai loro piedi. Questo, mai. Quel porco di bearnese non gli avrebbe fregato Tom. - È importante seguire questi spostamenti? - È decisivo. - Allora ci vuole qualcosa di meglio del cellulare. Gli piazziamo un GPS sotto l'auto. Anche un microfono? Nell'auto? - Già che ci siamo. Quanto le ci vuole?
- Sarà tutto pronto alle diciassette.
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