Copertina
Autore Fred Vargas
Titolo Un luogo incerto
EdizioneEinaudi, Torino, 2009, Stile libero Big , pag. 394, cop.fle., dim. 13,5x20,7x2,2 cm , Isbn 978-88-06-19689-9
OriginaleUn lieu incertain
EdizioneHamy, Paris, 2008
TraduttoreMargherita Botto
LettoreAngela Razzini, 2009
Classe narrativa francese , noir
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Pagina 3

I.

Il commissario Adamsberg sapeva stirare le camicie, sua madre gli aveva insegnato ad appiattire il carré e lisciare il tessuto intorno ai bottoni. Staccò il ferro, mise gli abiti in valigia. Rasato, pettinato, partiva per Londra. Impossibile sottrarsi.

Piazzò la sedia nel riquadro di sole della cucina. La stanza aveva finestre su tre lati, perciò spostava continuamente la sedia intorno al tavolo rotondo, seguendo la luce come la lucertola che gira intorno a un masso. Appoggiò la tazza di caffè lato est e sedette con la schiena al caldo.

Gli stava bene vedere Londra, annusare il Tamigi e sentire se odorasse, come la Senna, di biancheria ammuffita, ascoltare il grido dei gabbiani inglesi. Forse era diverso da quello dei gabbiani francesi. Ma non gliene avrebbero dato il tempo. Tre giorni di convegno, dieci relazioni per sessione, sei dibattiti, un ricevimento al ministero dell'Interno. Ci sarebbero stati piú di cento poliziotti d'alto livello pigiati in quella grande hall, solo poliziotti, venuti da ventitre Paesi per ottimizzare la grande Europa poliziesca e piú esattamente per «armonizzare la gestione dei flussi migratori». Era il tema del convegno.

In quanto responsabile dell'Anticrimine di Parigi, Adamsberg doveva fare atto di presenza, ma non era troppo preoccupato. La sua partecipazione sarebbe stata lieve, quasi eterea: da una parte, per via della sua ostilità nei confronti della «gestione dei flussi»; dall'altra, perché non era mai riuscito a memorizzare una sola parola d'inglese. Finí tranquillamente il caffè, leggendo il messaggio che gli inviava il comandante Danglard. APP. TRA 1 ORA E 20 AL CHECK-IN. MALEDETTO TUNNEL. PRESA PER LEI GIACCA ADATTA, CON CRAV.

Adamsberg passò il pollice sul display del cellulare, cancellando l'ansia del suo vice come si toglie la polvere da un mobile. Danglard non era tagliato per camminare, per correre, e ancor meno per viaggiare. Superare la Manica attraverso il tunnel lo angustiava quanto passarci sopra in aereo. Però non avrebbe ceduto il suo posto a nessuno. Da trent'anni era attaccato all'eleganza dell'abbigliamento britannico, su cui contava per compensare la sua connaturata mancanza di stile. A partire da quella scelta basilare aveva esteso la sua gratitudine al resto della Gran Bretagna, trasformandosi nell'archetipo stesso del francese anglofilo, coltivando la cortesia di modi, la delicatezza, lo humour discreto. Tranne quando perdeva le staffe, il che costituiva la differenza tra un francese anglofilo e un autentico inglese. Perciò si rallegrava all'idea di passare qualche giorno a Londra, flusso migratorio o meno. Restava da superare l'ostacolo di quel «maledetto tunnel», in cui passava per la prima volta.


Adamsberg lavò la tazza, afferrò la valigia, domandandosi che tipo di giacca e di «crav» avesse scelto per lui il comandante Danglard. Il suo vicino, il vecchio Lucio, bussava energicamente alla porta a vetri, facendola tremare con il suo ragguardevole pugno. A nove anni, la guerra di Spagna gli aveva portato via il braccio sinistro, e l'arto destro, a quanto pare, si era ingrossato di conseguenza, per concentrare in sé le dimensioni e la forza di due mani. Il viso incollato al vetro, chiamava Adamsberg con lo sguardo, imperiosamente.

- Datti una mossa, - borbottò in tono di comando. - Non riesce a farli uscire, mi serve il tuo aiuto.

Adamsberg appoggiò la valigia fuori dalla porta, nel giardinetto disordinato che condivideva con il vecchio spagnolo.

- Vado a Londra per tre giorni, Lucio. Ti aiuto quando torno.

- Troppo tardi, - ringhiò il vecchio.

E quando Lucio ringhiava a quel modo, arrotando le «r», produceva un suono cosí sordo che dava l'impressione di scaturire direttamente dalla terra. Adamsberg sollevò la valigia, con il pensiero già alla gare du Nord.

- Cosa non riesci a far uscire? - domandò distratto, chiudendo a chiave la porta.

- La gatta che vive sotto la tettoia. Sapevi che stava per avere i piccoli, no?

- Non sapevo nemmeno che ci fosse una gatta sotto la tettoia, e non me ne frega niente.

- Adesso lo sai. E non puoi fregartene, hombre. Ne ha fatti solo tre. Uno è morto, e altri due sono ancora incastrati, ho sentito le teste. Io spingo massaggiando e tu tiri. Occhio, non stringerli come un bruto quando li fai uscire. Un gattino ti si spezza tra le dita come un biscotto secco.


Cupo e insistente, Lucio si grattava il braccio che non aveva piú, muovendo le dita nel vuoto. Come spiegava sempre, quando lo aveva perso, a nove anni, sul braccio c'era un morso di ragno che lui non aveva finito di grattare. Ecco perché quel morso gli prudeva ancora, sessantanove anni dopo: perché non aveva potuto grattarlo completamente, occuparsene sul serio, chiudere la faccenda. Spiegazione neurologica fornita da sua madre, che alla fine per Lucio era diventata una filosofia generale, buona per qualsiasi situazione e per qualsiasi sentimento. Bisogna finire, oppure non cominciare nemmeno. Arrivare fino in fondo, compreso in amore. Quando un evento della vita lo coinvolgeva intensamente, Lucio si grattava il morso interrotto.

- Lucio, - disse Adamsberg in tono piú deciso, attraversando il giardinetto, - mi parte il treno fra un'ora e un quarto, il mio vice scalpita alla gare du Nord, e non ho intenzione di far partorire la tua bestiola mentre cento pezzi grossi della polizia mi aspettano a Londra. Cavatela da solo, mi racconterai tutto domenica.

- E come faccio a cavarmela con questo? - gridò il vecchio sollevando il moncherino.

Lucio trattenne Adamsberg con la sua mano possente, tendendo il mento prognato - degno di un Velàzquez, a sentire il comandante Danglard. Il vecchio non ci vedeva piú abbastanza bene per radersi a dovere, e al rasoio sfuggivano dei peli. Bianchi e duri, infilzati qua e là, formavano una specie di decorazione di spine argentee, che brillavano un po' sotto il sole. A volte Lucio afferrava un pelo, lo stringeva risolutamente tra le unghie e tirava, come per estirpare una zecca. Non lo mollava se prima non ci era riuscito, in base alla filosofia del morso di ragno.

- Tu vieni con me.

- Lasciami in pace, Lucio.

- Non hai scelta, hombre, - ribatté in tono cupo. - Questo fatto incrocia la tua strada, devi fartene carico. O ti gratterai per tutta la vita. È questione di dieci minuti.

- Anche il treno incrocia la mia strada.

- La incrocia dopo.

Adamsberg mollò la valigia e segui Lucio verso la tettoia, brontolando inutilmente. Fra le zampe dell'animale sbucava una testolina appiccicosa e sporca di sangue. Sotto le direttive del vecchio spagnolo, la afferrò con delicatezza, mentre Lucio premeva sul ventre con un gesto professionale. La gatta lanciava tremendi miagolii.

- Tira piú forte, hombre, prendilo sotto le zampe e tira! Dài, deciso e delicato, non stringergli la testa. Con l'altra mano gratta la fronte alla madre, è terrorizzata.

- Lucio, quando gratto la fronte a qualcuno, si addormenta.

- ¡Joder! Dài, tira!


Sei minuti dopo Adamsberg poggiava su una vecchia coperta due topolini rossi e strillanti, accanto agli altri due. Lucio tagliò il cordone ombelicale e li accostò a uno a uno alle mammelle della gatta. Fissava la madre gemente con aria preoccupata.

- Cos'è questa storia della mano? Con cosa addormenti la gente?

Adamsberg scosse il capo, incapace di spiegarlo.

- Non lo so. Quando poso una mano sulla testa di qualcuno, si addormenta. Tutto qui.

- E cosí che fai con il bambino?

- Sí. Capita anche che la gente si addormenti mentre sto parlando. Ho persino addormentato dei sospettati durante gli interrogatori.

- Allora fallo alla madre. ¡Apúrate! Addormentala.

- Per la miseria, Lucio, vuoi ficcarti nella zucca che ho un treno da prendere?

- Bisogna calmare la madre.

Adamsberg se ne fregava della gatta, ma non dello sguardo torvo che il vecchio gli rivolgeva. Accarezzò la testa - straordinariamente morbida - della gatta perché, era vero, non aveva scelta. L'ansito dell'animale si placò, mentre le dita di Adamsberg passavano e ripassavano fra il muso e le orecchie. Lucio annuiva, in segno di approvazione.

- Dorme, hombre.

Adamsberg tolse lentamente la mano, la puli nell'erba umida e si allontanò indietreggiando.


Mentre percorreva la banchina della gare du Nord sentiva le sostanze organiche seccarsi fra le dita e sotto le unghie. Era in ritardo di venti minuti, Danglard gli veniva incontro accelerando il passo. Quando Danglard tentava di correre, dava sempre l'impressione che le gambe, mal strutturate, si sarebbero disarticolate dal ginocchio in giú. Adamsberg alzò una mano per bloccare la sua corsa e i suoi rimproveri.

- Lo so, - disse. - Qualcosa ha incrociato la mia strada e ho dovuto farmene carico, altrimenti mi sarei grattato per tutta la vita.

Danglard era cosí abituato alle frasi incomprensibili di Adamsberg che raramente si prendeva la briga di chiedere spiegazioni. Come molti altri colleghi dell'Anticrimine, lasciava perdere, sapendo distinguere fra ciò che era interessante e ciò che era inutile. Con il fiato corto, indicò il banco del check-in e riparti in direzione opposta. Seguendolo senza affrettarsi, Adamsberg cercava di ricordare il colore della gatta. Bianca a chiazze grigie? A chiazze rosse?

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Danglard si alzò automaticamente. Con la sua memoria, le sue conoscenze e la sua capacità di sintesi, il comandante era fatto per riassumere i rapporti scientifici. Un Danglard che si teneva quasi eretto, con il colorito quasi fresco, l'aria quasi vivace, rigenerato dalla seconda immersione nel clima britannico.

- Per quanto riguarda il corpo, si ritiene che sia stato tagliato in circa quattrocentosessanta pezzi, quasi trecento dei quali sono poi stati ridotti in briciole, piú o meno. Alcuni sono stati tagliati con un'ascia, altri con una sega circolare, appoggiandosi su un ceppo di legno. I reperti rivelano la presenza di schegge, quando è stata usata l'ascia, o di segatura di legno, quando è stata usata la sega. Lo stesso ceppo è servito per le operazioni di spappolamento. I residui di mica e di quarzo incrostati nella carne indicano che l'omicida poggiava un pezzo sul ceppo, lo schiacciava sotto un blocco di granito, sul quale picchiava con una mazza. Sono state sottoposte a trattamento intenso tutte le articolazioni, caviglie, polsi, ginocchia, gomiti, testa dell'omero e del femore, nonché i denti, polverizzati, e i piedi, a livello del tarso e del metatarso. Sono state schiacciate anche le falangi dell'alluce, ma non quelle delle altre quattro dita, dal secondo al quinto. Le parti meno danneggiate sono le mani (tranne i carpali), certi segmenti di ossa lunghe, l'iliaco, l'ischio, le costole, lo sterno.

Adamsberg non aveva il tempo di afferrare tutto e alzò inutilmente una mano per sospendere il flusso del rapporto. Concentrato, Danglard proseguiva.

- Il rachide ha subito un trattamento differenziato, le vertebre sacrali e cervicali sono nettamente piú danneggiate di quelle lombari e dorsali. Tra le cervicali, non resta praticamente nulla dell'atlante e dell'asse. Lo ioide è integro, le clavicole sono state appena toccate.

- Pausa, Danglard, - interruppe Adamsberg, notando lo smarrimento sul volto di tutti. Alcuni avevano già gettato la spugna. - Lo disegniamo, cosí sarà piú chiaro.

Adamsberg era bravissimo a disegnare, sapeva far scaturire dalla sua mano qualunque cosa con pochi tratti sicuri e perfetti. Passava lunghi momenti a scarabocchiare, in piedi, su un taccuino o su un pezzo di carta appoggiato alla coscia, a matita, a inchiostro o a carboncino. I suoi schizzi e disegni erano sparpagliati un po' ovunque, negli uffici, visto che il commissario li abbandonava durante i suoi andirivieni. Alcuni agenti, ammirati, se ne impadronivano con discrezione - per esempio Froissy, Danglard o Mercadet, ma anche Noël, che non l'avrebbe mai ammesso. Adamsberg tracciò rapidamente sulla lavagna a fogli mobili i contorni di un corpo e del suo scheletro, di fronte e di spalle, e porse a Danglard due pennarelli.

- Segni in rosso le parti piú massacrate, in verde quelle meno danneggiate.

Danglard illustrò ciò che aveva appena detto, poi aggiunse del rosso sul cranio e sugli organi genitali, del verde sulle clavicole, sulle orecchie, sulle natiche. Una volta colorato, il disegno esprimeva una logica aberrante ma indubbia, dimostrando che l'omicida aveva scelto in modo non casuale cosa distruggere e cosa risparmiare. E il significato di quella stravaganza era impenetrabile.

- Anche per gli organi si riscontra una selezione, - riprese Danglard. - L'intestino, lo stomaco, la milza non hanno suscitato l'interesse dell'assassino, e nemmeno i polmoni e i reni. Si è concentrato sul fegato, sul cuore e sul cervello, che è stato in parte bruciato nel caminetto.

Danglard disegnò tre frecce che partivano dal cervello, dal cuore e dal fegato e uscivano dal corpo.

- È una distruzione del suo spirito, - azzardò Mercadet, infrangendo il silenzio un po' intontito degli agenti, i cui occhi non si staccavano dal disegno.

- Il fegato? - disse Voisenet. - Per te, il fegato è spirito?

- Mercadet non ha torto, - intervenne Danglard. - Prima del cristianesimo, ma anche in seguito, si pensava che nel corpo ci fossero molte anime, lo spiritus, l'animus e l'anima. Mente, anima e movimento, che potevano risiedere in parti diverse del corpo, come appunto il fegato e il cuore, sedi della paura e dell'emozione.

- Ah be', - concesse Voisenet, a riprova che per tutti quanti l'erudizione di Danglard non era confutabile.

- La distruzione delle articolazioni, - disse Lamarre con la sua abituale rigidità, - sarebbe perché il corpo non possa piú funzionare? Come se uno rompesse i meccanismi?

- E i piedi? Perché i piedi e non le mani?

- Lo stesso, - disse Lamarre. - Perché non possa camminare?

- No, - ribatté Froissy. - Questo non spiega l'alluce. Perché distrugge soprattutto l'alluce?

- Ma che cavolo combiniamo? - domandò Noël alzandosi in piedi. - Cosa combiniamo, cercando dei motivi plausibili per questo casino? Non esiste nessun buon motivo. C'è quello dell'assassino e non possiamo averne la piú pallida idea, la minima intuizione.

Noël si risedette e Adamsberg annui.

- È come quel tale che si è mangiato l'armadio.

- Sí, - approvò Danglard.

- A che scopo? - domandò Gardon.

- Appunto. Non si sa.

Danglard tornò alla lavagna e scelse un foglio di carta pulito.

- Peggio, - riprese. - L'omicida non ha distribuito i frammenti a caso. Il dottor Romain aveva ragione, li ha sparpagliati. Sarebbe noioso disegnare tutto, vedrete la distribuzione spaziale nel rapporto. Ma per farvi un esempio, una volta separati e spappolati i cinque metatarsi del piede, l'omicida li ha gettati ai quattro angoli della stanza. Lo stesso per ogni parte del corpo, due pezzi qui, un pezzo là, uno altrove, altri due sotto il pianoforte.

- Forse è un tic, - disse Justin. - O è per far scena. Quel tizio butta tutto in giro.

- Non c'è nessun motivo, - ripeté Noël borbottando.

- Sprechiamo il tempo, non serve a niente interpretare. L'omicida è fuori di sé, demolisce tutto, si accanisce qua o là, non si sa perché e qui ci fermiamo. Al non sapere.

- Una rabbia capace di ardere per ore, - precisò Adamsberg.

- Appunto, - disse Justin. - Se la sua rabbia non si esaurisce, questo è forse il motivo del massacro. L'omicida non riesce a fermarsi, vuole continuare e continuare, perciò tutto si riduce in poltiglia. È come un tizio che beve fino a stramazzare.

Che si gratta il suo morso di ragno, pensò Adamsberg.

- Passiamo agli strumenti, - disse Danglard.

Il telefono lo interruppe, il comandante si allontanò quasi di scatto, premendoselo contro l'orecchio. Abstract, diagnosticò Adamsberg.

- Lo aspettiamo? - domandò Voisenet.

Froissy si agitò sulla sedia. Il tenente si preoccupava per l'orario del pranzo - erano già le due e trentacinque -, si raggomitolava sulla sedia. Tutti sapevano che l'idea di saltare un pasto scatenava in lei una reazione di panico, e Adamsberg aveva chiesto agli agenti di stare attenti, dato che per tre volte, in missione, Froissy era svenuta dalla paura.

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XXIX.

La carrozza 17 per Belgrado era uno scompartimento di lusso a due letti, preparati con lenzuola candide e coperte rosse, corredato di lampade da notte, tavolinetti lucidi, lavabo e salviette. Adamsberg non aveva mai viaggiato in quelle condizioni e verificò i biglietti. Posti 22 e 24, erano quelli. L'ufficio Missioni e trasferte aveva fatto un errore, quelli della contabilità sarebbero andati su tutte le furie. Adamsberg sedette sulla cuccetta, soddisfatto come un ladro che s'imbatte in un tesoro. Si sistemò come in hotel, sparpagliò i fascicoli sul letto, studiò la cena «alla francese» che sarebbe stata servita alle ventidue: crema di asparagi, soglioline alla Plogoff, bleu d'Auvergne, tartufo, caffè - il tutto annaffiato con Valpolicella. Provò lo stesso godimento di quando aveva ritrovato la sua auto puzzolente, uscendo dall'ospedale di Chàteaudun, con le cibarie insperate di Froissy. A dimostrazione, pensò, che non è la qualità a produrre il puro piacere, ma il benessere non scontato, di qualunque cosa sia fatto.

Scese sulla banchina ad accendersi una delle sigarette di Zerk. Anche l'accendino del ragazzo era nero, con un ghirigoro rosso che ricordava le circonvoluzioni di un cervello. Individuò senza difficoltà il nipote dello zio Slavko, grazie ai suoi capelli lisci e neri come quelli di Dinh, raccolti in una coda di cavallo, e ai suoi occhi quasi gialli, sopra gli zigomi alti e larghi, alla slava.

- Vladislav Moldovan, - si presentò il ragazzo, sui trent'anni, con un sorriso che gli attraversava tutto il volto. - Può chiamarmi Vlad.

- Jean-Baptiste Adamsberg, grazie di accompagnarmi.

- Si figuri, è fantastico. Dedo mi ha portato a Kiseljevo solo due volte, l'ultima quando avevo quattordici anni.

- «Dedo»?

- Il nonno. Andrò a visitare la sua tomba, gli racconterò delle storie, come faceva lui. E il nostro scompartimento? - domandò con un'esitazione.

- L'ufficio Missioni mi ha confuso con una personalità.

- Fantastico, - ripeté Vladislav, - non ho mai dormito come una personalità. Ma probabilmente ci vuole, quando uno va ad affrontare i demoni di Kiseljevo. Conosco molte personalità che preferirebbero rimanersene nascoste in un tugurio.

Chiacchierone, pensò Adamsberg. Il minimo, probabilmente, per un interprete-traduttore che le parole le maneggia con destrezza. Vladislav traduceva nove lingue e per Adamsberg, che non riusciva a tenere a mente il cognome completo di Stock, un cervello come il suo era strano quanto l'enorme macchina di Danglard. Temeva solo che quel ragazzo dal bel carattere lo trascinasse in una conversazione interminabile.

Aspettarono che il treno partisse prima di stappare lo champagne. Tutto divertiva Vladislav: i legni lucidi, le saponette, i piccoli rasoi, e persino i bicchieri di vetro vero.

- Adrien Danglard, «Adrianus», come lo chiamava il mio dedo, non mi ha detto perché lei va a Kiseljevo. In genere, nessuno va a Kiseljevo.

- Perché è piccolo o per via dei demoni?

- Lei ce l'ha un villaggio?

- Caldhez, grosso come una capocchia di spillo, sui Pirenei.

- Ci sono dei demoni a Caldhez?

- Due. C'è uno spirito bisbetico in una cantina e un albero che canticchia.

- Fantastico. Cosa cerca a Kiseljevo?

- Cerco la radice di una storia.

- È un ottimo posto per le radici.

- Ha sentito parlare dell'omicidio di Garches?

- Quel vecchio fatto a pezzettini?

- Sí. Abbiamo trovato un suo biglietto con scritto il nome di Kisilova, in cirillico.

- E che collegamento c'è con il mio dedo? Adrianus ha detto che era per Dedo.

Adamsberg guardò fuori dal finestrino, in cerca di un'idea veloce, il che non era il suo forte. Avrebbe dovuto prepararsi in anticipo una spiegazione plausibile. Non intendeva dire al ragazzo che uno Zerk aveva tagliato i piedi al suo dedo. Sono cose che corrodono l'animo di un nipote fino a distruggere il suo bel carattere.

- Danglard - disse - ha ascoltato molto le storie di Slavko. E Danglard accumula le conoscenze come uno scoiattolo accumula nocciole, ben piú di quante gliene servano per sopravvivere a venti inverni. Gli sembra di ricordare che un Vaudel, è il nome della mia vittima, un tempo abbia abitato a Kisilova e che Slavko gliene abbia parlato. Come se Vaudel si fosse sottratto a qualche nemico rifugiandosi a Kisilova.

Quella storia non era un granché, ma passò, perché risuonò la campanella che annunciava la cena, che decisero di consumare nel loro scompartimento, come vere personalità. Vladislav s'informò su cosa significasse «soglioline alla Plogoff». Alla bretone, gli spiegò il cameriere in italiano, servite con una salsa alle arselle fatta venire apposta da Plogoff, sulla Pointe du Raz. Prese nota dell'ordinazione, con l'aria di pensare che quell'uomo in maglietta, con la sua faccia da straniero e le braccia ricoperte di peli neri, non era un'autentica personalità, e che non lo era nemmeno il suo compagno di viaggio.

- Quando uno è peloso, - disse Vladislav dopo che il cameriere se ne fu andato, - gli esseri umani lo mandano a viaggiare nel vagone bestiame. Li ho presi da mia madre, - aggiunse in tono malinconico, tirandosi i peli delle braccia, poi scoppiò a ridere all'improvviso, come un vaso che va in frantumi.

La sua risata era intrinsecamente comunicativa e, a quanto pare, Vladislav sapeva ridere di un nonnulla e senza l'aiuto di nessuno.

Dopo le soglioline alla Plogoff, il Valpolicella e il dessert, Adamsberg si sdraiò sulla cuccetta con i suoi fascicoli. Leggere tutto, riprendere le fila di tutto. Per lui, era la parte piú ardua del lavoro. Quelle schede, quei rapporti, quei resoconti ufficiali, da cui non traspariva piú nessuna esitazione.

- Come fa ad andare d'accordo con Adrianus? - lo interruppe Vladislav, mentre Adamsberg soffriva sul fascicolo tedesco, leggendo coscienziosamente la scheda di Frau Abster, residente a Köln, settantasei anni. - E sa che lui la venera, - continuò, - e nello stesso tempo lei gli fa venire i nervi?

- A Danglard, tutto fa venire i nervi. Ci pensa da sé.

- Dice che non riesce a capirla.

- Come l'acqua e il fuoco e l'aria e la terra. Quello che so è che, senza Danglard, l'Anticrimine andrebbe da tempo alla deriva, a infilzarsi su qualche scoglio.

- Sulla Pointe du Raz, per esempio. A Plogoff. Sarebbe grandioso. E lí, con le ossa rotte, insieme a Adrianus, ritroverebbe le soglioline del treno Venezia-Belgrado. Una vera consolazione.

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