|
|
| << | < | > | >> |Pagina 3Salute e libertàAppostato su una panchina, di fronte al commissariato del quinto arrondissement di Parigi, il vecchio Vasco sputava noccioli di oliva. Cinque punti se colpiva il basamento del lampione. Aspettava che comparisse un poliziotto biondo, alto, corporatura floscia, che ogni mattina usciva verso le nove e mezzo e, con aria imbronciata, lasciava una moneta sulla panchina. In quel momento il vecchio, di professione sarto, era davvero a secco. Come spiegava a chiunque lo stesse a sentire, la nostra epoca aveva suonato la campana a morto per i virtuosi dell'ago. La confezione su misura aveva i giorni contati. Il nocciolo passò a due centimetri dal basamento di metallo. Vasco sospirò e bevve a canna qualche sorso di birra da una bottiglia da un litro. Il mese di luglio era caldo e già alle nove ti veniva sete, senza contare le olive. Stando su quella panchina da piú di tre settimane, ogni santo giorno fuorché la domenica, il vecchio Vasco aveva finito per identificare un bel po' di facce, al commissariato. Era un buon passatempo, meglio del previsto. Allucinante quanto si sbattessero quei tizi. Per fare che, c'era da chiederselo. Fatto sta che si agitavano dalla mattina alla sera, ognuno a modo suo. Tranne il piccoletto bruno, il commissario, che si muoveva sempre molto lentamente, come se fosse sott'acqua. Usciva a fare due passi piú volte al giorno. Il vecchio Vasco gli diceva due parole e lo guardava allontanarsi lungo la via, con un'andatura un po' beccheggiante, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni stropicciati. Quello era uno che non si stirava gli abiti. Il poliziotto alto e biondo scese i gradini dell'ingresso verso le dieci, con un dito appoggiato alla fronte. Quella mattina era in ritardo, forse aveva mal di testa o sul commissariato era piombato un grosso caso. Poteva capitare, dopotutto, a furia di sbattersi a quel modo. Vasco lo chiamò con grandi cenni mostrando la sua sigaretta spenta. Ma a quanto pare il tenente Adrien Danglard non aveva fretta di attraversare per accendergliela. Guardava fisso un grande attaccapanni di legno, vicino alla panchina, con appesa una giacca bisunta. - È lui a innervosirti, fratello? - domandò il vecchio Vasco indicando l'attaccapanni. - Cos'è questa schifezza che hai piazzato in strada? - gridò Danglard attraversando. - Per tua informazione, questa schifezza si chiama servo muto, e si usa per appenderci l'abito senza gualcirlo. Cosa ti hanno insegnato, in polizia? Vedi, metti i pantaloni su questa sbarra e qui sistemi delicatamente la giacca. - E hai intenzione di lasciarlo sul marciapiede? - Nossignore. L'ho trovato ieri nella spazzatura, in rue de la Grande-Chaumière. Tra poco me lo porto a casa e lo riporterò qui domani mattina. E cosí via. - E cosí via? - gridò Danglard. - Ma perché, Dio santo? - Per appenderci l'abito. Per fare conversazione. - E devi proprio appenderlo per strada? Danglard gettò un'occhiata alla giacca lisa del vecchio. - E allora? - ribatté Vasco. - Sto attraversando un brutto momento. Questa giacca viene da uno dei migliori sarti di Londra. Vuoi vedere l'etichetta? - Me l'hai già mostrata, la tua etichetta. - Uno dei migliori sarti, ti dico. Con un bello scampolo, vedrai che fodera le faccio. Mi supplicherai per averlo, il mio completo inglese. Perché si vede che a te gli abiti piacciono. Hai buon gusto. - Non puoi tenere qui questo aggeggio. È vietato. - Non dà fastidio a nessuno. Non cominciare a fare il poliziotto, non mi piace sentirmi represso. Invece al tenente non piaceva sentirsi bistrattato. E aveva mal di testa. - Fai sparire il servo muto, - disse in tono fermo. - No. È la mia proprietà. È la mia dignità. Non si possono togliere a un uomo queste cose. - Vaffanculo! - ribatté Danglard voltandogli le spalle. Il vecchio si grattò la testa guardandolo allontanarsi. Quella mattina, niente moneta. Buttare via il servo muto? Un simile tesoro? Neanche a parlarne. Teneva ben dritta la sua giacca. E, soprattutto, teneva compagnia. È vero, lui su quella panchina si rompeva le palle da morire, tutti i giorni. Il poliziotto biondo non sembrava uno che capisse queste cose.
Vasco scrollò le spalle, tirò fuori di tasca un libro e si
mise a leggere. Inutile aspettare che passasse il piccolo
commissario bruno. Era arrivato all'alba, come al solito.
Lo si vedeva andare e venire dietro la finestra dell'ufficio. Quel tizio
camminava molto, sorrideva spesso, parlava volentieri, ma non sembrava uno con
tanti soldi in tasca.
Danglard entrò nell'ufficio del commissario Adamsberg con due compresse in mano. Adamsberg sapeva che cercava dell'acqua e gli porse una bottiglia senza quasi rivolgergli lo sguardo. Si rigirava fra le dita un foglio di carta, svenstagliandosi. Danglard conosceva abbastanza il commissario per capire, dalla variazione d'intensità del suo volto, che quella mattina era successo qualcosa d'interessante. Ma diffidava. Lui e Adamsberg avevano due concezioni molto diverse di ciò che si suole definire una «cosa interessante». Per esempio, il commissario trovava piuttosto interessante non far niente, mentre Danglard andava totalmente nel panico. Il tenente gettò un'occhiata sospettosa al foglio bianco che svolazzava fra le mani di Adamsberg. Inghiotti le compresse, fece una smorfia per puro automatismo, e rimise il tappo alla bottiglia. In realtà, si era abituato a quell'uomo, pur irritandosi per il suo comportamento, inconciliabile con il proprio modo di vivere. Adamsberg si fidava dell'istinto e credeva nelle risorse dell'umanità, Danglard si fidava della riflessione e credeva nelle risorse del vino bianco. - Il vecchio della panchina sta passando i limiti, - annunciò Danglard riponendo la bottiglia. - «Vasco de Gama»? - Proprio lui, «Vasco de Gama». - E che limiti sta passando? - I miei limiti. - Ah. Adesso è piú chiaro. - Si è portato un grosso attaccapanni che chiama servo muto, su cui ha appeso uno straccio che chiama giacca. - Ho visto. - E ha intenzione di coabitare con quell'aggeggio sulla pubblica via. - Gli ha chiesto di sbarazzarsene? - Sí. Ma dice che è la sua dignità, che a un uomo non la si può togliere. | << | < | > | >> |Pagina 51La notte efferataCosí, se la gente non facesse tante storie con il Natale, ci sarebbero meno tragedie. È delusa, la gente, per forza. E questo scatena dei drammi. Solo in ufficio, Adamsberg scarabocchiava, tenendo un taccuino appoggiato sulle cosce. Aveva scelto il turno di notte insieme a Deniaut, che sonnecchiava all'ingresso. Era il 24 dicembre, una sera speciale, tutti gli altri erano fuori. Si accingevano a festeggiare l'entrata in scena dell'inverno. Alcuni non se la sarebbero persa per nulla al mondo, i piú non erano riusciti a sottrarsi. Per Jean-Baptiste Adamsberg era diverso: temeva il Natale e si teneva pronto. Natale e la sua sfilza di incidenti. Natale e la sua legione di drammi. Natale, la notte efferata. Per forza. Si alzò lentamente e andò ad appoggiare la fronte contro il vetro appannato. Fuori, ghirlande di lampadine gettavano brevi lampi sui corpi dei barboni, congelati, rintanati negli angoli. Tentò di calcolare quanti soldi si fossero polverizzati cosí, per tre settimane, nel cielo di Parigi, senza che una sola moneta finisse in tasca ai vagabondi. Natale, la notte della condivisione. Posò il blocco e la matita, apparecchiò con due piatti un angolo del tavolo, tirò fuori una bottiglia di vino, controllò il contenuto del forno e chiamò Deniaut. Per forza la gente si esaspera. La tensione di quel lungo conto alla rovescia, al termine del quale deve scaturire la spensieratezza, tritura i nervi, alla gente. Da cinque settimane il vecchio con la barba bianca e l'abito rosso è su tutti i muri, gioviale e pieno di promesse. È a prova di bomba, quel tizio. Eppure ha l'aria di uno che ci ha dato dentro per tutta la vita con il vino da quattro soldi. Ma non c'è niente da fare, è inossidabile. E a quanto pare non soffre nemmeno il freddo. Mai un raffreddore. È un personaggio felice e beato, con gli stivali tondi e puliti. Non appena compare quel vecchio, la tensione sale progressivamente. L'intero Paese, succube, s'irrigidisce e si prepara all'inevitabile gioia. Natale cade in un giorno come tutti gli altri. Ma ovunque gente pensierosa e muta si dirige con l'abito nuovo verso i fulcri dei festeggiamenti. Ognuno ha pensato agli altri. Ognuno parte carico di offerte. Natale, la notte del dono, della grande tregua. A Natale tutti litigano, i piú singhiozzano, alcuni divorziano, altri si suicidano. E una piccolissima percentuale, sufficiente per mettere in ginocchio i poliziotti, uccide. È un giorno come gli altri, molto meno bello degli altri. Con le mani avvolte in due palle di carta di giornale Adamsberg estrasse piano piano il vassoio dal forno. Deniaut, diffidente, stava a guardarlo. - Cos'è? - domandò. - Non lo so. Fatta eccezione per tre o quattro ricordi d'infanzia, Adamsberg non era sensibile alle raffinatezze culinarie. Mangiava quello che trovava, a volte la stessa cosa per due mesi di fila. Recuperò la confezione e la porse al collega. - Il titolo della cena è scritto qui sopra, - disse. - Non è una cena di Natale. - Meglio cosí. È riposante. Deniaut era uno nuovo, mandato da Chambéry. Sensibile e meticoloso, manifestava un'attrazione per le virtú che preoccupava Adamsberg. Il commissario temeva che non resistesse. Perché, in fin dei conti, la polizia non è consigliabile per uno che spera febbrilmente nella grazia dell'umanità. Adamsberg spezzò in due la baguette tirandola con le mani, e ne porse metà al giovane tenente. Della sua infanzia rurale il commissario aveva conservato alcuni gesti spartani, però a Deniaut non piaceva che gli sfasciassero il pane. Lo prese, ma un po' a disagio. I due mangiarono in silenzio per qualche minuto. - Per forza la gente è sull'orlo di una crisi di nervi, - disse Adamsberg. - Sono sei settimane che li stressano perché diano il meglio di sé, che li condannano al successo, che li abbrutiscono in vista della grande serata. Per forza non resistono. Crollano, sono delusi. Deniaut scosse il capo, incerto. Un tempo aveva creduto al Natale. Adamsberg stappò la bottiglia di vino, ne offri senza sperarci al collega. Deniaut non beveva. - E tu? - riprese. - Non hai famiglia? Non festeggi? Deniaut strinse le labbra. - Ho rotto con tutti. - Ah, - disse Adamsberg. - Anche lei? - domandò Deniaut. Adamsberg scosse il capo. - No. Vivono sulla montagna, laggiú, - disse indicando la finestra in direzione dei Pirenei. - Mi scrivono dei biglietti. Ieri una delle mie sorelle mi ha mandato una specie di animale di pezza lungo quattro centimetri. Non so che pensare. Adamsberg posò la forchetta, frugò nella tasca interna della sua vecchia giacca nera e tirò fuori una palla grigia grossa come un mandarino. La mostrò al collega, poi la appoggiò lentamente sul tavolo, fra loro due. - Che dici? E un ippopotamo? - Non sarei cosí sicuro. Un mulo, forse? - Devo informarmi, perché, con mia sorella, c'è sempre un simbolo nascosto. È una gran rompiballe. I due poliziotti vuotarono il proprio piatto in silenzio, Deniaut in punta di forchetta, Adamsberg con grandi pezzi di pane.
La donna grassa volò al di sopra del parapetto del ponte National fino alle
acque nere della Senna. Il fiume scorreva veloce, spinto da un vento gelido.
Nessuno per strada, nessuno che fosse li a vedere. Bar chiusi, taxi assenti,
città deserta. Il Natale è una festa domestica, interna. Fuori non filtra
niente. Persino i solitari irriducibili si radunano in un'osteria con due
bottiglie e quattro imbecilli.
La solitudine, il vagabondaggio, sopportabili e a volte addirittura sfoggiati
spavaldamente nel resto dell'anno, sembrano di colpo un disonore infamante. Il
Natale getta l'obbrobrio su chi è solo. Cosí, prima di mezzanotte tutti si
sono rintanati. La donna grassa volò in acqua senza che
nessuno s'immischiasse.
|