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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 7 Farabutto (3 ottobre 2009) 13 Silvio grande è (10 ottobre 2009) 15 Appecorati (11 settembre 2009) 17 Futurama (17 ottobre 2009) 19 La colazione è importante (19 settembre 2009) 22 Lettera al bambino con il casco amaranto (26 settembre 2009) 24 La superiore civiltà aliena (31 ottobre 2009) 26 Chi l'ha detto? (21 novembre 2009) 28 Fiori di periferia (28 novembre 2009) 43 La vergine di Norimberga (24 ottobre 2009) 45 Italico orgoglio (14 novembre 2009) 47 Lgg ugl x ttt (21 novembre 2009) 50 Brutto vizio (12 dicembre 2009) 52 Barbari (5 dicembre 2009) 55 Irriducibili (30 gennaio 2010) 57 Casa nostra (16 gennaio 2010) 60 Il Giudizio Universale (12 febbraio 2010) 75 Corpi (9 gennaio 2010) 78 Giù la maschera (19 dicembre 2009) 80 Don't cry (27 febbraio 2010) 85 Luci a Brambate (6 febbraio 2010) 87 Panino interpretativo (13 marzo 2010) 89 Vamos a la playa (19 giugno 2010) 92 Mamma d'u' Turcu (20 marzo 2010) 95 Il bagnetto (27 marzo 2010) 97 Braccia (6 marzo 2010) 99 Dentro la scatola (1 aprile 2010) 113 Il derby (24 aprile 2010) 115 Tutti italiani (8 maggio 2010) 117 Gong! (1 maggio 2010) 119 La fatina delle favole (15 maggio 2010) 127 Noi no (5 giugno 2010) 130 Un minuto di silenzio (22 maggio 2010) 132 Autorità di Controllo e Repressione Sporche Illazioni (29 maggio 2010) 134 Son brutte hose (23 gennaio 2010) 136 Ributtiamoli a mare (5 settembre 2009) 139 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Vauro è un contenitore di personaggi diversi e contrastanti: l'anarchico corrosivo e sradicante che rifiuta qualsiasi regola, il comunista nostalgico impegnato nella impossibile missione di recuperare dalle pietre della storia l'idea della rivoluzione, il collezionista maniacale di vecchie divise militari sovietiche indossate da giganteschi e inquietanti manichini, il cacciatore accanito di polipi (greci) armato di primordiale forcone, il moralista sgomento delle brutture del mondo (la guerra prima di tutto). Ciascuno di noi potrà estrarre dunque da questo contenitore il suo Vauro preferito e coltivarne le opere, utilizzare la sua propensione alla solidarietà e, perfino, conquistarne (come a me è capitato) l'amicizia. Ma una volta io gli ho sentito fare in pubblico un'importante confessione: «Volete sapere chi sono veramente? Sono un ingenuo, un bambino che si rifiuta di crescere e non vuole cambiare il suo sguardo sul mondo». Quindi esiste una verità pietrosa e profonda che travalica tutte le altre: le tante facce, i diversi mestieri, le deformazioni ideologiche, improvvisamente scompaiono e in scena resta il bambino, il medium che ridisegna e dà un senso diverso a tutti gli altri contenuti. Il Vauro scrittore, al quale possiamo ricondurre le parole di questa raccolta, ci spiega diffusamente che il mondo è ipocrita, falso, bugiardo. E che, per averne una prova, si dovrebbero considerare le montagne di dichiarazioni d'amore che si fanno ai bambini. Per poi massacrarli coi bombardamenti e derubricarli a danni collaterali. O sfruttarli, venderli e comprarli con la pubblicità. O violentarli negli oratori. Con la stessa insopportabile ipocrisia il Partito dell'Amore e della Libertà insorge nei confronti di Vauro e dà sfogo all'intolleranza e alla voglia di censura. Chi non sa ridere del suo capo e vedere quando è nudo non può intercettare uno sguardo ingenuo e impolitico; somma perciò maldestramente innocue nostalgie ideologiche e vignette "eversive" e si accanisce non, come vorrebbe far credere, contro il comunista (che sarebbe già di per sé grave), ma proprio contro il bambino, pretendendo di ammaestrarlo, di metterlo in gabbia o di farlo cantare come in uno show della Clerici. E noi, ogni volta, a causa di Vauro, ci veniamo a trovare tra due fuochi: quello degli intolleranti alle critiche e allo sberleffo; e quello dei loro presunti oppositori, che ipocritamente teorizzano la libertà di espressione e di satira, ma non accettano che "la si possa fare fuori dal vaso". Con diverse motivazioni, ma con la stessa determinazione del Partito dell'Amore, vogliono imbrigliare il bambino in un galateo di regole rigide; e lo imbavaglierebbero volentieri con la carta igienica, incatenandolo al water delle condotte obbligate. Così sembra facesse la mamma di Hitler col suo piccolo Adolfo, perseguitandolo con norme igieniche punitive (in merito a cacca e a pipì) e rendendolo incapace da grande di liberare il suo eros e di amare la libertà. Non solo quella degli altri ma la sua persino, visto che il Grande Dittatore amava farsi dominare in camera da letto mentre le armate tedesche procedevano nella conquista di paesi e popoli interi e volevano trasformare il mondo nel Reich Millenario. Tornando ai giorni nostri, la destra vorrebbe cancellare Vauro; la sinistra si accontenterebbe di educarlo. Per la destra i monelli di strada sono materiale da reality, per la sinistra (che vuole i bambini bene educati) sono semplicemente poco interessanti. La sinistra non metterebbe uno scugnizzo o un ragazzo delle banlieu nemmeno su un manifesto elettorale (figuriamoci portarseli in casa), al massimo gli destinerebbe qualche opera di carità. Se poi i bambini sono di Gaza non servono. Facemmo all'epoca della "guerra dei bambini" una trasmissione molto discussa. Il presidente della Camera, Fini, la definì indegna. Il ministro degli Esteri, Frattini, ci diede degli antisemiti. Il presidente della Rai, Petruccioli, ci accusò di aver ignorato le ragioni storiche del conflitto tra israeliani e palestinesi. Nel primo caso mi incazzai, nel secondo mi incazzai dieci volte, nel terzo mi venne da ridere. La mia lunga esperienza in materia mi insegna che se vuoi far litigare a sangue in uno studio televisivo israeliani e palestinesi basta farli parlare delle ragioni storiche dalle quali è nato lo stato d'Israele. Si passa di sicuro dalle parole alle pistole. Vauro, quando si parla di violenze sui bambini, proprio come capita ai bambini s'incupisce, si commuove e gli salgono subito le lacrime agli occhi; quella sera aveva la voce rotta e non gli uscivano le parole per le vignette. Per ogni bambino ucciso dalle bombe aveva disegnato un giocattolo. Come quando i bambini, quando muore qualcuno che amano, lasciano in dono un orsacchiotto tra i fiori. L'intero studio lo guardava con stupore e dolcezza. Non sapevano di guardare un bambino; ma di sicuro era riuscito a estrarre da ognuno un pezzo di infanzia, un ricordo represso, una disperata infantile richiesta di aiuto. Nessuno candidò Vauro al Nobel per questo, come nessuno credo abbia mai candidato bambini. E fummo tutti atrocemente insultati, Vauro compreso. In seguito venne redatto un rapporto da una speciale commissione dell'Onu sulle atrocità commesse nella striscia di Gaza, le stesse identiche che avevamo raccontato noi; quelle azioni militari di rappresaglia, che avevano fatto vittime numerose tra i piccoli palestinesi, furono definite "crimini di guerra". Il presidente della commissione era ebreo. Nessuno si scusò. I giornali non collegarono (non collegano mai); i critici televisivi non videro (non vedono mai); e i politici erano troppo impegnati a preparare nuovi attacchi per preoccuparsi di insignificanti danni collaterali alla libertà. Scrivo cercando di immaginare quanti problemi ci creeranno quest'anno se riusciremo ad andare in onda. Manca una settimana alla nuova edizione di Annozero, non abbiamo ancora una troupe o un montaggio e i contratti non sono stati ancora firmati. Vauro è tornato dalle vacanze, in Grecia ha infilzato molti polpi col suo forcone e la sua tuta, che ricorda i sub della gloriosa Armata rossa, è tornata nello scatolone. Non è cambiato, è il solito comunista che, appena mette piede in Italia, corre a Firenze per un convegno di Emergency. È ancora un bambino che non è cresciuto nemmeno un po'. Mi chiedono di descrivere con una sinossi cosa farà quest'anno Vauro e cosa farò io. Rispondo: «Lui disegna; io rido. E voi?». Michele Santoro | << | < | > | >> |Pagina 13Basta, confesso. Sono un farabutto al soldo dei catto-comunisti. Uno che complotta vilmente contro Berlusconi. Uno di quegli sciacalli che vogliono appannare l'immagine del Magnifico pure all'estero. Però adesso sono pentito e per fare umile ammenda delle calunnie che ho contribuito a diffondere contro il presidente ho deciso di dare voce a chi ne canta giustamente le lodi. E dico "canta" in senso letterale. Perché proprio di canzone, anzi, di inno, si tratta. Lo traggo dal sito "Silvio Berlusconi nobel". Cliccando si apre una finestra dove scorrono le immagini delle macerie del terremoto di Abruzzo, naturalmente soltanto come sfondo, perché in primo piano c'è sempre Lui, con la elle maiuscola. Lui col casco da pompiere e senza. Lui accanto a Obama. Lui con la vecchietta terremotata. Parte una melodia struggente ma virile e una voce femminile angelicata canta: La pace può / ripeterò queste parole senza smettere / e il vento penserà a diffonderle / e il mondo ascolterà. Subito subentra il timbro maschio di un tenore: La pace può / guarda anche tu l'Abruzzo si risveglia incredulo / la neve e il sole che si incontrano / e la tua mano è qua. E se ci fossero dubbi sulla proprietà della mano succantata, ci pensano i due a dipanarli. Le loro voci si uniscono in coro e salgono in un mistico crescendo: C'è un Presidente sempre presente che ci accompagnerà / siamo qui per te / cuore e anima / un Nobel di pace / Silvio grande è / siamo qui per te / coro unanime / un'unica voce Silvio / Silvio grande è. Mi domando come di fronte a tanta poesia si possa non desiderare di essere anche noi colpiti da qualche catastrofe: un altro terremoto, uno tsunami, perlomeno un incendio... Qualunque cosa possa far sì che il "Presidente sempre presente" ci conforti con la sua "mano qua". Ehi, voi, che fate?, togliete la vostra da dove l'avete messa! | << | < | > | >> |Pagina 15In Italia la democrazia è in pericolo. Siamo sull'orlo del golpe. Un manipolo di biechi cospiratori togati vuole riportarci agli anni bui, ai tempi in cui la legge era uguale per tutti. Mobilitiamoci, al di là delle differenze politiche, per costruire insieme la nuova resistenza. Compagni, dietro a tutto questo ci sono i poteri forti, le classi privilegiate. Vi basti qualche esempio... I precari. Vivono di lavoretti, dell'aiuto di mamma e papà. Godono così di un'eterna adolescenza. Sono giovani anche a settant'anni, senza dover spendere soldi in trapianti di capelli, lifting, additivi per la potenza sessuale. Gli immigrati. A loro basta esistere per conquistare un posto in galera, perché la clandestinità è reato e stop. Mica sono costretti ad affannarsi coi lodialfani per starne fuori. Gli operai. Che se il lavoro non gli piace possono sempre morire sul posto, non come quel poveraccio che deve campare centoventicinque anni minimo, perché lo ha promesso, e si sa, lui è uno che le promesse le mantiene. I pensionati. Che con le pensioni che si ritrovano non rischiano certo di cadere in tentazione, e così non gli può accadere di ritrovarsi una escort che li sbertuccia in tv. I giovani. Che se non hanno futuro non hanno nemmeno passato, e non devono temere che qualcuno vada a ficcarci troppo il naso. I senza casa. Quelli di sempre e quelli nuovi. Pensate a quante preoccupazioni ha chi deve star dietro a tutte le sue ville, e perfino a chi entra nel bagno del suo Palazzo. Inutile continuare ancora. Una cosa è chiara: è ora di finirla con questi assurdi privilegi. Non è giusto che a pagarli sulla propria pelle sia sempre e soltanto uno. Sì, lui, sempre Lui. A proposito, adesso i giudici vorrebbero che sborsasse altri 750.000.000 di euro. Ma quante volte pretendono di essere pagati 'sti cacchio di giudici?! Compagni, noi non abbiamo da perdere che le nostre catene, Lui invece, poveretto, una montagna di soldi. Rispondiamo compatti all'appello che ci ha rivolto. Scendiamo in piazza al grido di "Silvio grande è". Lui è il nostro Presidente, non permettiamo che ci venga tolto anche quello. Che tutto il resto è già suo. | << | < | > | >> |Pagina 24Caro piccolo Simone, tu non mi conosci. Io invece sì. Tutta l'Italia ti conosce. Ti hanno filmato, fotografato, stampato sulle prime pagine dei quotidiani. Ti hanno definito "Il figlio dell'eroe", "Il bambino che ha commosso il paese". Hanno esposto la tua innocenza come fosse la loro. In una delle tante, troppe, foto sorridevi, come divertito. Bandierine sventolanti, fanfare, generali pieni di stellette argentate e alamari luccicanti. Forse ti è sembrata una festa allegra. Tutti quei suoni e colori ti avranno distratto dall'espressione di dolore scolpita sul viso di tua madre che ti teneva in braccio. Nascoste dalle bandiere c'erano anche sei bare. In una giaceva tuo padre. Ma come avresti potuto scorgerla mimetizzata in quel carosello di tricolori? E alla tua età poi non si può sapere cos'è una bara, e forse nemmeno si dovrebbe. Quei signori vestiti di scuro, con la maschera del cordoglio ufficiale e frettoloso, non li avrai neppure notati. Non hai sentito cosa dicevano del tuo babbo. Dicevano che è morto per la democrazia. Dicevano che per dare un senso alla sua morte altri babbi dovranno ancora andare a morire e uccidere in un paese lontano. Invitavano al silenzio per rispetto, ed erano i primi a non rispettarlo. Non hai sentito ciò che dicevano, e certo neppure quello che non dicevano. Non dicevano che la vita di tuo padre è un prezzo accettabile nei loro meschini calcoli di potere.
Che le bandiere non coprivano solo le bare ma anche
le loro responsabilità.
Ora che ti scrivo sono sparite le bandiere, le note, le belle uniformi. A te e alla tua mamma resta solo un basco amaranto. Passeranno i minuti, le ore, i mesi, gli anni, e il tuo papà non sarà più con te. Questo è il prezzo che ti hanno costretto a pagare. Crescerai, e può darsi che da grande un giorno ti chiederai perché. Può darsi che ti risponderai che quel perché è una assurda ingiustizia che si chiama guerra. E allora spero che troverai pace, perché avrai scoperto che l'unico senso della morte di tuo padre è che non ne ha, e che è questo a renderla inaccettabile. Ma ora sei troppo piccolo, ed è troppo presto per questi pensieri. O è troppo tardi? Ciao, Simone. | << | < | > | >> |Pagina 115Pochi minuti fa il mio cellulare ha squillato. «Sono il Castorone» ha esordito una voce che giungeva da Kabul. "Castorone" è il soprannome che ho appioppato al chirurgo Marco Garatti un giorno di una delle tante guerre che abbiamo vissuto insieme. Finalmente Matteo Dell'Aira, Matteo Pagani e Marco, i tre operatori italiani di Emergency arrestati in Afghanistan, sono stati liberati. Un'emozione incontenibile, come la frustata di un cavo di acciaio che si spezza, ci ha travolti tutti e due, e le lacrime hanno soffocato le nostre parole. Lacrime di commozione, di gioia, di liberazione. Ora ho gli occhi asciutti. Asciutti come gli occhi dei tanti bambini feriti, dilaniati da mine, da schegge di missili, da proiettili, che ho visto arrivare in quell'ospedale di Emergency, laggiù, a Lashkargah. Nemmeno Marco, che pure li operava ogni giorno, riusciva ad abituarsi agli occhi di quei bambini ai quali l'orrore, lo shock, forse anche lo stupore per le proprie ferite avevano rubato addirittura le lacrime. Ed ecco che sento quelle adulte che ho appena versato bruciarmi come un privilegio ingiusto, uno di quei privilegi di cui godiamo noi che ci possiamo permettere di chiamare pace le guerre che intraprendiamo, perché viviamo in quella parte del mondo dove le guerre non si subiscono quotidianamente sulla propria pelle, sui propri affetti, sulla propria vita. Certo, questo è il momento della felicità, una felicità indescrivibile perché Marco, Matteo e Matteo sono salvi dopo tanti giorni di pena per loro e di angoscia per noi che gli vogliamo bene. È il momento di festeggiare la loro liberazione, di ringraziare dal profondo del cuore tutti quelli che si sono adoperati per ottenerla, í funzionari dello stato, le tantissime persone che si sono strette attorno a Emergency in piazza San Giovanni a Roma, i dodicimila afghani della valle del Panshir, dove non c'è elettricità né strade e che pure, a piedi, percorrendo una giornata e più di cammino, hanno raggiunto l'ospedale di Emergency per firmare – anche solo con un'impronta digitale, ché tanti non sanno né leggere né scrivere – una petizione al governo di Kabul affinché liberasse i volontari arrestati. È il momento di ringraziare anche il governo italiano e il ministro Frattini. Lo stesso che il giorno dell'arresto aveva preso le distanze dai suoi concittadini fermati e che poi, alla loro liberazione, con tono trionfante ha detto che: «Per il governo parlano i fatti. Gli italiani tornano a casa». Grazie, allora, ministro Frattini. Ma, senza polemica, vorrei dirle che lei non ha capito. Non ha capito che per Garatti, Dell'Afra, Pagani, "casa" è anche l'ospedale di Lashkargah, che adesso è chiuso, sequestrato. Non c'è più un luogo dove i bambini senza lacrime possano trovare asilo e soccorso dalla guerra che continua. Per ora, e spero solo per ora, chi voleva sbarazzarsi degli scomodi testimoni della brutalità della guerra ha raggiunto il suo scopo. «Ha vinto il derby» come direbbe lei, signor ministro. | << | < | |