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| << | < | > | >> |Pagina 11 [ inizio libro ]«I trigliceridi, un disastro. Un disastro dovuto all'aumento degli zuccheri; superare la frontiera del colesterolo cattivo, e lasciarsi alle spalle quello buono. Non parliamo dei lipidi. Se non cambia sistema, lei è una bomba a orologeria suicida.""Sono venuto soltanto per purificarmi qualche giorno. Due settimane di purificazione mi consentiranno altri dieci anni di peccati." "Le piacerebbe. Poco prima che se ne vada le faremo un altro esame del sangue e tutti i valori pericolosi saranno scesi. Ma se torna a fare la vita di prima, fra tre mesi si troverà di nuovo sull'orlo dell'abisso." "La pensiamo diversamente sulla vita. Che ne pensa del baccalà al pil-pil?" "Che roba è?' "Un piatto spagnolo. Basco." "Spero che il baccalà sia fresco." "No. Baccalà salato messo ammollo, cucinato con olio e aglio. Si agita ben bene la pentola sul fuoco perché la gelatina che butta la pelle del pesce produca un'emulsione." "Poco olio." "Tanto olio." "Che orrore!" Il dottor Gastein allontana con le mani la tentazione del piatto immaginario. Sembra un modello maschile di magra eleganza, prodotto di una dieta vegetariana, incorniciato dalla finestra spalancata sulla pace silente del giardino subtropicale della valle del fiume Sangue. | << | < | > | >> |Pagina 16"Lei si trova qui per colpa del suo fegato. Ha bevuto molto.""Ho vissuto molto." "Vivere è bere?" "Perché no?" "Non se la caverà tanto facilmente qui da noi, se non parte da una filosofia meno autodistruttiva. E' possibile ingannare il proprio corpo finché si è giovani, nel senso biologico della parola. Lei è ancora giovane, ma nel senso statistico. E' giovane perché le rimangono altri venticinque o trent'anni di speranza di vita, nel senso statistico della speranza. Ma non ci si può più consentire troppi bagordi. Si domandi: Perché sono qui? E si risponda sinceramente: Perché ho paura del mio corpo. Perché ho paura di me stesso." E paura di venire disprezzato. La resa della volontà al primo agente di salvezza che gli stregoni decidano di proporre. Può darsi che le esperienze più eccitanti, così totali e agrodolci, riservate ai ricoverati siano i clisteri, eufemismo che occulta la vecchia pratica della lavativa; e farsi pesare tutte le mattine, appena alzati, in mutandine le donne e in slip gli uomini. Il clistere riporta ai tempi delle vecchie minacce infantili, alla scoperta del dolore: iniezioni, vaccini, cataplasmi, senapismi contro il catarro. E il giorno del clistere ha qualcosa di un rituale infantile e morale, annunciato fin dall'alba dalle infermiere che indicano con la punta della biro la fatale prescrizione e guardano il paziente come se la sua faccia cominciasse già a diventare un culo. Oggi le facciamo un bel clistere. Ed è li, sul lavandino, il ricettacolo che conterrà l'acqua purificatrice dei visceri fecali e la cannula che aprirà implacabile un varco attraverso la porta stretta disegnata dalla natura per essere esclusivamente di uscita e che la medicina e la sessualità hanno trasformato in porta battente. Arriverà l'infermiera con una voce canterina a dissuadere dai terrori, armeggerà sul lavandino mentre il paziente comincia a offrire il culo all'ignoto con l'ano non meno chiuso dell'immaginazione e con la dignità faccia al muro. E il dado sarà tratto quando la donna si avvicinerà al letto sovrastandolo come una minaccia vista dalla prospettiva dell'insetto che sta per essere inculato. Ed è fatta. Una rasposità dimenticata si affaccia sul labirinto delle putrefazioni finali e comincia a pisciare nell'intimità del corpo con il pretesto di ripulirlo da aderenze invecchiate. Il tempo pesa come una borsa piena di acqua sporca e il cervello lotta con gli sfinteri per evitare che si aprano ed esibiscano la vergogna fuori tempo e fuori luogo. Consapevole di questa tensione dialettica tra cervello e culo, l'infermiera annuncia che sta per ritirarsi, per scansare gli spruzzi che, se la colpissero, accetterebbe con una precisa professionalità che preferisce non sprecare. Tutto qui. Il paziente chiude gli occhi e chiude allo stesso tempo tutti i buchi del corpo quasi a cercare l'essenzialità stessa dell'orifizio nella rappresentazione simbolica del punto. Tutto qui. Si ritira la voce canterina dell'infermiera e sul letto rimangono la violazione, le budella piene di acque scombussolate in cerca di una via di uscita e il cervello colpito dalla conferma del sospetto che non siamo nulla, avvalorato quando tre, quattro, cinque minuti più tardi, le acque trovano la loro via di uscita e il paziente è costretto a raggiungere di corsa la tazza del gabinetto e svuotare il sud del corpo e dell'anima, con lo spirito diviso a metà tra approssimazioni dei dolori del parto e il gusto che si prova liberandosi del peggio di se stessi. E se questa è l'esperienza più critica per l'immagine che abbiamo di noi stessi, la più eccitante è la pesatura di prima mattina. Qualcosa di simile ad aspettarsi dei bei voti dopo aver ubbidito pedissequamente alle norme stabilite. Perdere peso per i grassi e guadagnarlo per i magri. Mantenere la pressione nei valori stabiliti. In piedi sulla bilancia o con il laccio intorno al braccio, il paziente aspetta i voti dell'infermiera, educata a ripetere tutti gli entusiasmi necessari a premiare perdite o guadagni graditi, anche quando sono miserabili e non all'altezza dell'investimento in denaro e libera scelta del paziente. Alcuni escono dalla sala della bilancia con la testa cinta di alloro e altri corrono direttamente a cercare una corda con cui impiccarsi o, in sua mancanza, uno specchio davanti al quale prendersi a schiaffi e rinnegare il proprio metabolismo, quando non la stessa madre che li ha partoriti, [...] | << | < | > | >> |Pagina 42[...] la quota di verità contenuta nello slogan proposto in tutto il territorio delle Terme: .cor il miglior amico dell'uomo è il suo corpo. Carvalho aveva riscoperto il proprio corpo. Viveva infatti ascoltandolo da quando saltava giù dal letto fino a quando vi tornava la sera. Appena metteva i piedi a terra, andava a orinare perché la perdita delle acque notturne gli consentisse di perdere peso davanti alla seconda stazione della via crucis narcisista: la bilancia. La ginnastica o il castigo del corpo peccatore. La sauna che gli succhiava le acque inutili e gli apriva i pori per far uscire le tossine accumulate a furia di acquavite ghiacciata o di abbuffate di anatra in salmì poco prima dell'alba in compagnia dell'amministratore Fuster. E i continui manicaretti di Biscuter. Quella febbre da madre nutrice propria di quello sgorbio, sempre pronto a proporgli piatti che gli metteva sulla scrivania come offerte al dio angoscioso della Fame. Carvalho si guardava il corpo nello specchio del bagno dopo ogni esperienza rigenerativa. Ma non vi è esperienza che renda consapevoli di quello che è o non è un corpo quanto quella di un massaggio manuale, dove le mani dell'esperto denunciano quel che cresce e quel che manca, la flaccidità di quanto c'è e la consistenza muscolare perduta. Dopo le iniziali depressioni entrava nelle vene una strana euforia dovuta in parte al processo depurativo, ma anche al lavaggio del cervello tossico dell'animale vorace e bevitore. Era come la purificazione dell'aníma di uno spirito recuperato attraverso gli esercizi spirituali, purificazione che non sarà completata fino a quando non si cadrà in ginocchio chiedendo perdono a Dio per tutti i peccati commessi. Quando sarebbe giunto il momento in cui, in ginocchio davanti alla magnificenza della valle del Sangue, lui, Pepe Carvalho - intossicato da baccalà al pil-pil, fagioli con le vongole, patate con salamino piccante alla Riojana, brioche con .cor foie-gras al midollo, riso al nero di seppia, pane e pomodoro ruffiano di tante merende arbitrarie, riso con il baccalà, sformato di nasello e cozze di scoglio, ultima specialità con la quale Biscuter stava ancora combattendo -, avrebbe chiesto perdono agli dèi della Dietetica? E che dire di tutto l'alcol tracannato. Quando si guardava indietro, Carvalho si vedeva nella necessità di attraversare un lago di acquavite ghiacciata e poi di risalire un fiume di vini bianchi bevuti fuori pasto, ossessioni periodiche per l'una o per gli altri che lo avevano portato alla recente devozione per il Marqués de Griņón, non sapeva se per l'indubbia qualità del vino o come tentativo di approssimazione tangenziale e platonica alla signora marchesa, da nubile Isabel Preysler, Lou von Salomè filippina che come la sua antesignana collezionò Nietzsche, Rilke e Freud, aveva tradotto la triade gloriosa nei tempi del postmodemo riducendola a Julio Iglesias, al marchese di Griņón, e a un ministro dell'Economia che per lei aveva lasciato la famiglia e il controllo del Bilancio dello Stato. E non voleva ripassare il capitolo dei vini rossi, quei rossi che vedeva su uno sfondo scuro di sangue, sanguinoso, come sanguinoso e scorticato era probabilmente rimasto il suo fegato dopo i maltrattamenti di anni e anni. Il miglior amico dell'uomo è il suo corpo, Carvalho si senti dire a se stesso, preoccupato, perché nonostante l'evidente compiacimento derivante dalla buona condotta, dal digiuno e dall'esercizio fisico, qualcosa gli diceva che in un punto imprecisato del suo cervello si nascondevano accovacciati e rimandati i dèmoni nevrotici della fame e della sete, e il loro messaggio non gli era sgradito. Non solo, si disse Carvalho davanti allo specchio, a torso nudo e con un dito a indicare approssimativamente il luogo dove pensava stesse il fegato: Per me, scoppia pure, figlio di puttana.| << | < | > | >> |Pagina 112"Se le dicessi che mi secca che lei bruci i libri, le mentirei. E che io creda o meno quel che mi ha appena spiegato, e cioè che quest'atteggiamento è una specie di rivincita sull'epoca in cui la sua condotta dipendeva da quel che leggeva, non ha nessunissima importanza, né per lei né per me. Se io passassi le mie giornate a bruciare libri, mi chiamerebbero fascista, nemico della cultura, e tutte quelle carinerie che a noi custodi dell'ordine vengono affibbiate da coloro che si divertono a giocare con il disordine senza mai rischiare fino in fondo. Sa cosa le dico? Questo stabilimento comincia a puzzare di merda. I corridoi puzzano di merda. Qui si passa l'intera giornata a non far altro che pisciare, pisciare, pisciare tutta l'acqua che si beve, e con quest'acqua, mi hanno detto, esce tutta la merda che il corpo accumula normalmente. E quando non si piscia si caga grazie ai clisteri. E quando non si caga, in quelle vasche dove vi sparano addosso con la canna dell'acqua, lasciate di certo le impurità della pelle, le pelli secche, i sudori. Mia madre era grassa come un'oca, smise di mangiare pane e diventò magra come un chiodo, non ebbe bisogno di venire in posti come questo, né avrebbe potuto farlo perché a casa nostra non c'era un soldo bucato. Non era mai stata così magra in vita sua, quando ebbe un'emiplegia e rimase buona a metà: una metà del corpo le funzionava e l'altra no. Mio padre si scola mezza bottiglia di cognac con il caffè tutti i santi giorni, ha la pressione alta ma smaltisce come un toro tutto quello che gli capita sotto i denti. Se mi molla due ceffoni mi fa volare. Qui ci sono molti maniaci e molti contapalle, e quel Gastein è una specie di stregone coi suoi bei titoli di studio e la sua bella parlantina; sono i peggiori. Non c'è gente peggiore di quella che adopera quello che sa per fregare il prossimo, per questo preferisco la gente che sa poco. Ha meno possibilità di ingannarmi. Ci si capisce subito. Questa sera ho interrogato Sánchez Bolín, lo scrittore. Non ho creduto una sola parola di quel che mi ha detto, ma adesso rileggendo la sua dichiarazione vedo che non cambia affatto che ci creda o non ci creda, perché tanto non mi ha detto niente. E' venuto qui a scrivere un romanzo e perché vuole riuscire a stare dentro al vestito che intende indossare il giorno della presentazione del romanzo finito di scrivere durante il suo ultimo soggiorno alle Terme. Ai miei tempi di giovane poliziotto appena uscito dall'accademia, ho dovuto ancora intervenire in qualche parapiglia di quelli organizzati dai nemici del regime, dai sovversivi. Mi è capitato di imbattermi in rossi come Sánchez Bolín. Altra stoffa. Sembravano preoccuparsi di tutto e di tutti e cercavano di convincerti. Oggi nessuno si preoccupa più di nessuno e non cerca di convincere nessuno di nulla. Di che mai? Questo Sánchez Bolín mi ha mandato in bestia. Gioca con le parole. Si crede al di fuori di qualsiasi possibilità di sbagliarsi perché gioca a non sbagliarsi. Non rischia niente. Nessuno rischia niente. C'è stato un momento in cui ho cercato di fare in modo che si comportasse da quel comunista che è, e mi sputasse una di quelle stronzate che ci sputavano allora. Non mi ha fatto nessun caso. Poi nei suoi libri dirà quel che gli pare, tanto le cose scritte non convincono più nessuno. Lei conosce qualcuno che creda alla parola scritta? Ebbene, nonostante sia giunto a questa conclusione, e badi bene che ha a che vedere con lo spunto della conversazione, perché lei brucia i libri e Sánchez Bolín li scrive, io non brucerei mai un libro. A volte ho pensato a situazioni come quella cilena, o come quelle di cui mi raccontano i miei colleghi più anziani, quando prestavano servizio nella Brigata Sociale e sequestravano i libri proibiti scovati nelle case dei rossi. Ebbene, io i libri non li potrei bruciare. Per me sono sacri. Se li ritengo cattivi o capaci di corrompere, non li leggo, ma questo non vuol dire che li bruci come lei. E le spiego il perché, amico mio. Perché sono stato educato a rispettare tutto quello che si ottiene con lo sforzo, e fare un libro significa aver fatto uno sforzo, e non tutti sono in grado di scriverlo. Vero che le rompe sentir parlare così un poliziotto? Io, Carvalho, l'ho catalogato appena l'ho visto. Questo annusapatte divide i poliziotti in due categorie: quelli grassi e brutali e quelli magri e sadici. Non è così?| << | < | > | >> |Pagina 141"Riassunto della situazione?" domandò Sánchez Bolín a Carvalho quando lo vide entrare nella sauna."Giudichi da solo. Quattro morti." "Inverosimile. Insisto: si tratta di un bruttissimo pasticcio. Quattro morti sono un genocidio, un fatto che costringerà il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a intervenire nella faccenda." "C'è una certa logica nelle morti della Simpson, di von Trotta e adesso di Mme Fedorovna. La morte di Frisch può essere un caso a parte." "Quando ci sono tanti morti in così pochi metri quadrati e quasi contemporaneamente, nessuno può essere un caso a parte. Ha osservato la gente chiusa nello stabilimento? Quelli dello staff direttivo sono dimagriti, ma i clienti stanno ingrassando, mi pare. Hanno il metabolismo scombussolato. L'uomo con la tuta da ginnastica, è sempre vivo?" "Sempre vivo." "Stia a vedere che l'assassino è lui." "Quello lì ha perso ogni interesse per il mondo dal giorno della morte di Franco." "A me capita qualcosa di simile. Non ho perso l'interesse per il mondo, ma per la mia storia si. E' come se la mia storia fosse finita e dal passato mi si concedesse l'inutile opportunità di contemplare un futuro che mi è estraneo." "Non le interessa quel che succede in questo stabilimento?" "No. Sinceramente no. Questa gente si merita tutto quello che le capita. Aveva annunciato la fine della rappresentazione, la fine della storia, e si preparava a invecchiare con serenità. Il narcisismo mi manda in bestia." "Ma anche lei è cliente di queste Terme." "Ciascuno ha le contraddizioni che si merita." | << | < | > | >> |Pagina 141[...] Innanzi tutto avrebbe fatto il giro gastronomico della Catalogna, una Grande abbuffata suicida che sarebbe cominciata dalla Cerdaņa, nell' Hostal del Boix, a Martinet de Cerdaņa; poi Can Borrell, a Meranges; il Bulli, a Rosas; il Cypsele, a Palafrugell; Big Rock, a Playa de Aro; Eldorado Petit, a San Feliu de Guíxols; La Marqueta, a La Bisbal; antiche e nuove passioni che sapevano di sughetti, di maccheroni al rosmarino, una nouvelle cuisine odorosa di Mediterraneo, seppie con fave novelle, piedini di maiale con lumache, baccalà al Roquefort, risi neri. Inevitabile il riso cremoso della María di Cadaqués o del Peixerot di Vilanova o quello di Els Perols de L'Empordà a Barcefiona. Ma prima, prima sarebbe andato all' Hispania e avrebbe detto alla signora Paquita: mi prepari una prima colazione con tutto quello che si può cenare in un mese di inappetenza, e sarebbe saltato come Peter Pan nei cieli in cerca dei tavoli barcellonesi di Casa Leopoldo o La Odisea o Botafumeiro o La Dorada o Casa Rodri, a caccia di conversazione e paesaggi gastronomici sufficienti a compensare quella pozza di brodo vegetale che gli faceva marcire il cervello come una zavorra di cibi impossibili. Quell'insalata di minuscole anguille con kiwi e prosciutto d'anatra. Le crépes di piedini di maiale con alioli e salsa bionda. L'orata al forno tra erbe mediterranee e olive nere. Patate al vapore con caviale e salsa olandese. Peperoni ben imbottiti di frutti di mare. Pescatrice all'aglio abbrustolito. Cervo con marmellata di lamponi e camembert fritto con marmellata di pomodori. Ogni volta che apriva e chiudeva gli occhi del cervello, scattava un flash ipotetico che trasformava ciascun ricordo in una fotografia e una promessa. Sentiva rinascere in sé un animale sensoriale per niente disposto a mangiarsi la natura con i guanti e con le pinze. Aveva trionfato nella lotta contro la cospirazione dei virtuosi. Aveva, quindi, recuperato la capacità di fare dei progetti, di futuro, e respirò lo stesso clima verso sera nella sala della televisione dove anche il gruppo spagnolo aveva ritrovato la vivacità e, logicamente, la loquacità.| << | < | > | >> |Pagina 184La cosa sintomatica non fu che arrivasse presto o tardi, ma nel preciso momento in cui le due lancette di tutti gli orologi a lancette si misero d'accordo e segnarono le nove. Qualcuno controlla il cronometro dei grandi avvenimenti, e quel giorno e a quell'ora, quando le nove furono le nove, il cancello dell'ingresso principale delle Terme si spalancò facendo entrare una carovana che sembrava avere degli obiettivi non meno calcolati che importanti. Le carovane non sono tutte uguali. Soprattutto quando a segnare il passo sta un'auto ufficiale nera con la bandiera spagnola e la targa ministeriale, seguita da una berlina bicolore con la bandiera nordamericana, un camion blindato con l'aspetto di essere servito per i più distinti e sofisticati trasporti, e due macchine imponenti stipate di uomini con occhi che ispezionano i quattro punti cardinali, e, a chiudere la comitiva, avanza una jeep della polizia militare spagnola. Bastava esaminare il contributo spagnolo alla spedizione per capirne l'eccezionalità. Per esempio, i quattro indigeni della polizia militare erano stati indubbiamente scelti tra il meglio della loro specie. Non solo la loro statura era di livello europeo, vale a dire, da giocatore di pallacanestro, ma la loro struttura atletica e l'innegabde precisione e gravità dei loro gesti dimostravano che erano degni rampolli di una razza di cui erano i consapevoli ambasciatori. Si era addirittura fatto in modo che, pur non essendo del tutto biondi, un po' biondi lo fossero tutti. Sta di fatto che tutte le polizie militari del mondo, professionali o no, sono fiere del loro ruolo di vetrina della élite dell'esercito, convinte di doverne salvaguardare la rispettabilità. La polizia militare suole dedicare le sue migliori energie a evitare che il contatto tra militari e popolazione non susciti imbarazzanti quesiti nella coscienza dei civili; per esempio, a che servono i militari? La logica vuole che in tempi di pace i militari siano un paesaggio non meno camuffato degli abeti nelle zone alpine o i rododendri nei giardini del quartiere londinese di Hampstead. E' così che la polizia militare deve curare al massimo la struttura del suo essere e stare nel mondo. Perché basta la parola "polizia" a creare uno stato di allarme. Se c'è una polizia questo significa che bisogna reprimere; e quando questa polizia è militare, vuol dire che si dedica a reprimere o gli eccessi militari contro i civili, o i civili nei loro eccessi contro i militari. Ma la parola "eccesso", equidistante tra due ragionamenti opposti al vertice, comporta una semantica scandalosa che suscita per forza diffidenza tra i civili. Orbene, nel contesto delle Terme, la polizia militare era estranea a questa diffidente presupposizione. Era la semplice presenza di un potere che non voleva cessare di essere presente, pur nella consapevolezza di non esercitare. Quei quattro agguerriti e autocontrollati soldati erano come gli ussari di Alessandra nei suoi momenti migliori, mentre scortavano in sella ai loro cavalli bianchi una divisione blindata della Wehrmacht, o come quei vigili urbani in divisa di gala che nelle processioni mettono la loro gagliardia di cavalieri e la grazia dei loro pennacchi bianchi al servizio della Madonna di turno, vera protagonista della festa. Abbinati al potere più efficiente e funzionale dell'universo, ussari e vigili urbani avrebbero stonato, ma quei ragazzi si inserivano invece nella comitiva yankee come un'offerta di vergini musicanti di provincia a desideri e intenzioni del signore dell'Impero.| << | < | > | >> |Pagina 193"Americani. Sono venuti a ritirare un archivio che le Terme hanno tenuto nascosto per quarant'anni.""Il tesoro del capitano Kidd, le memorie di Franco, la mummia di Hitler?" "Un po' di tutto questo." "La gente era più felice quando credeva ai romanzi di avventure. Non aveva bisogno di viverle. E gli americani, perché volevano quest'archivio?" "Era il solo che gli mancasse per completare la collezione."
"Capisco, ma la cosa mi spaventa. Faccia caso
all'astuzia degli americani. Sono loro i garanti della
controrivoluzione universale, vale a dire, sarebbero ben
contenti se mettessimo fine alla storia: Sono loro a
controllare la storia, e a loro parere è il momento di porle
fine. Ebbene, proprio questo popolo antistorico si sta
impossessando della memoria culturale e politica
dell'umanítà. Tra qualche anno saremo dei perfetti
colonizzati. Ma sa che le dico? Quelli che verranno dopo
di me possono anche andare all'inferno. Dopo di me, il
diluvio, come diceva mia nonna."
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