Copertina
Autore Laura Vergani
Titolo Meccanica dei materiali
EdizioneMcGraw-Hill, Milano, 2006 , pag. 456, ill., cop.fle., dim. 17x24x2,5 cm , Isbn 978-88-386-6345-1
LettoreRenato di Stefano, 2007
Classe scienze tecniche
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

Prefazione                                               XI
Ringraziamenti                                           XV

Capitolo 1  Curve sforzi-deformazioni                     1

1.1 Introduzione                                          1
1.2 Struttura cristallina dei metalli                     2
1.3 Curva σ-ε reale                                       9
1.4 Prova di compressione                                16
1.5 Effetto Bauschinger                                  17
1.6 Modelli di comportamento dei materiali               18
    1.6.1 Materiale perfettamente elasto-plastico        18
    1.6.2 Materiale rigido-plastico                      19
    1.6.3 Materiale con incrudimento plastico lineare    19
    1.6.4 Materiale con incrudimento esponenziale        21
    1.6.5 Il modello di Ramberg-Osgood                   22
Problemi                                                 24
Bibliografia                                             27

Capitolo 2  Stato di sforzo e di deformazione:
            criteri di cedimento                         29

2.1  Introduzione                                        29
2.2  Il tensore degli sforzi                             30
2.3  Sforzi tangenziali massimi e ottaedrali             33
2.4  Circonferenze di Mohr                               38
2.5  Stato di sforzo piano                               42
2.6  Tensore deviatore degli sforzi                      44
2.7  Il tensore delle deformazioni                       46
2.8  I criteri di cedimento                              49
2.9  Criterio di Rankine o teoria del massimo sforzo     50
2.10 Criterio di De Saint-Venant o
     teoria della massima deformazione                   51
2.11 Criterio di Guest-Tresca o
     teoria del massimo sforzo tangenziale               52
2.12 Criterio di Beltrami o
     teoria della massima energia di deformazione        56
2.13 Criterio di von Mises o
     teoria della massima energia di distorsione         56
2.14 Criterio di Mohr                                    59
2.15 Criterio di Coulomb-Mohr                            61
2.16 Le superfici di snervamento.
     Lo sforzo nello spazio di Haigh-Westergaard         67
2.17 Superfici di snervamento successive:
     carico e scarico                                    73
Problemi                                                 78
Bibliografia                                             80

Capitolo 3  Legame sforzi-deformazioni
            in campo elasto-plastico                     83

3.1 Introduzione                                         83
3.2 Teoria incrementale delle deformazioni               83
3.3 Equazioni di Prandtl-Reuss                           85
3.4 Curva sforzi-deformazioni equivalente                89
3.5 Incrudimento al lavoro e alla deformazione           91
3.6 Flusso plastico associato a Tresca                   94
    3.6.1 Applicazione del flusso plastico associato
          a Tresca: calcolo della pressione che
          plasticizza interamente un disco di grosso
          spessore                                       95
3.7 Rappresentazione grafica                             97
3.8 Metodo delle approssimazioni successive              99
    3.8.1 Applicazione del metodo delle
          approssimazioni successive                    101
3.9 Carico proporzionale                                104
    3.9.1 Applicazione delle equazioni di Hencky
          al caso di stato di sforzo piano              106
Problemi                                                109
Bibliografia                                            110

Capitolo 4  Fatica ad alto numero di cicli              111

4.1 Introduzione                                        111
4.2 Aspetti generali legati al fenomeno della fatica    112
4.3 Diagramma di Wöhler e determinazione del limite
    di fatica                                           117
4.4 Prove di fatica al variare del tipo di carico
    applicato                                           120
4.5 Dal provino al componente meccanico                 122
    4.5.1 Effetto di intaglio a fatica                  122
    4.5.2 Effetto dimensionale e fatica                 126
    4.5.3 Effetto della finitura superficiale           127
4.6 Effetto dello sforzo medio e diagramma di Haigh     128
    4.6.1 Diagramma di Haigh: effetti di intaglio,
          dimensionale e superficiale                   131
4.7 Fatica con ampiezza di sollecitazione variabile     137
4.8 Criteri di resistenza a fatica in stato
    di sforzo multiassiale                              138
    4.8.1 Criterio di Gough-Pollard                     138
    4.8.2 Criterio di Sines                             142
Problemi                                                149
Bibliografia                                            151

Capitolo 5  Comportamento ciclico del materiale e fatica
            a basso numero di cicli                     153

5.1 Introduzione                                        153
5.2 Incrudimento e addolcimento                         153
5.3 Curva ciclica                                       156
5.4 Curve a fatica (deformazioni-numero di cicli)       158
5.5 Influenza dello sforzo medio                        164
    5.5.1 Approccio secondo Morrow                      164
    5.5.2 Approccio secondo Morrow modificato           166
    5.5.3 Approccio di Smith, Watson e Topper           168
5.6 Effetto della deformazione media                    170
5.7 Stima della vita a fatica di componenti strutturali 170
    5.7.1 Regola di Neuber per calcolare le deformazioni
          e gli sforzi effettivi                        171
    5.7.2 Sforzi residui agli intagli                   173
    5.7.3 Metodo ESED per definire le deformazioni
          all'intaglio                                  178
    5.7.4 Carichi ciclici                               179
    5.7.5 Nucleazione e propagazione dei difetti        184
    5.7.6 Stato di sforzo composto                      187
5.8 Problematiche legate alla previsione della vita
    a fatica di componenti                              189
    5.8.1 Definizione del lavoro plastico               191
    5.8.2 Ciclo di isteresi e vita a fatica             193
    5.8.3 Definizione del lavoro di deformazione totale 194
    5.8.4 Approccio secondo il piano critico            195
Problemi                                                195
Bibliografia                                            197

Capitolo 6  Meccanica della frattura lineare elastica   199

[...]

Capitolo 7  Meccanica della frattura elasto-plastica    275

[...]

Capitolo 8  Propagazione dei difetti a fatica           305

[...]

Capitolo 9  Accettabilità dei difetti secondo le norme  353

[...]

Capitolo 10  I materiali:
             scelta critica per la progettazione        385


Appendice  Unità di misura e simboli                    445

Indice analitico                                        449

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina XI

Prefazione


Nella prima metà dell'800 si iniziò a studiare il comportamento dei materiali sottoposti a sollecitazioni ripetute nel tempo e nel 1838 l'ingegnere tedesco Albert [1] pubblicò il primo lavoro sulla fatica dei metalli. In seguito un grave incidente ferroviario, che costò la vita a molte persone, e che avvenne a Versailles nel 1842, fu il pretesto per intensificare le ricerche in questo campo.

Fondamentali risultarono gli studi sistematici condotti da Wöhler, che nel suo lavoro [2] presentato nel 1867 all'esposizione di Parigi introdusse i concetti di sollecitazione limite di fatica e di curva sforzi-numero di cicli, concetti che ancora oggi sono ampiamente utilizzati nella progettazione dei componenti meccanici.

Contemporaneamente altri studiosi si interessarono ai problemi legati alla plasticizzazione dei materiali metallici, in particolare Tresca nel 1864 [3] pubblicò i risultati di alcuni suoi studi e la formulazione del suo criterio di snervamento e, qualche anno dopo, nel 1870, Saint-Venant [4] e Levy [5] iniziarono quella che è diventata la moderna teoria della plasticità.

[...]

Una radicale trasformazione nel modo di operare del progettista è, poi, imputabile all'enorme evoluzione degli elaboratori avvenuta negli ultimi decenni del '900. Infatti questa ha permesso un grande sviluppo e diffusione dei metodi di calcolo numerici, in particolare gli elementi finiti, che consentono di ottenere ormai in breve tempo soluzioni dettagliate di problemi non lineari, impensabili fino a poco tempo fa.

Accanto all'approccio tradizionale basato sulla definizione di grandezze nominali il progettista può, ora, operare secondo un approccio basato sulla definizione di grandezze locali, la cui quantificazione viene fatta seguendo in dettaglio la storia di carico in un punto ben definito del componente che si sta considerando.

La presenza di difetti negli elementi meccanici è tollerata purché ne sia controllata l'eventuale evoluzione. Il componente non è più progettato per una vita infinita, ma si segue un approccio detto damage tolerant, che, appunto, è basato sulla conoscenza della posizione e dimensione di difetti. Inoltre il grande impulso ricevuto dal settore tecnologico ha portato allo sviluppo di nuovi materiali, in particolare i compositi, che permettono di ottenere, variando sia il tipo sia la quantità della matrice o del rinforzo, materiali su misura per l'applicazione che si vuole realizzare.

Il progettista deve, quindi, compiere un lavoro di sintesi su tutte le informazioni che gli arrivano dalle analisi numeriche e dalle indagini sperimentali sui materiali; inoltre, pur seguendo un approccio locale, che gli permette di conoscere e prevedere con grande precisione il comportamento del componente meccanico nelle zone dove vi sono concentrazioni di sforzi dovute a intagli o difetti, non deve perdere di vista l'insieme del componente stesso. Questa esigenza di sintesi è stata ben messa in evidenza da Ashby [24], che con le sue mappe ha tentato di ottimizzare l'impiego dei materiali nella progettazione.

Il progettista deve, poi, essere in grado di valutare, anche in prima approssimazione almeno come ordine di grandezza, i valori di quelle grandezze locali che risultano dalle analisi numeriche, che forniscono una enorme quantità di dati, ma che non hanno significato se non vengono analizzati in modo critico da una persona competente.

Lo scopo di questo libro è proprio quello di fornire gli strumenti per seguire criticamente i nuovi approcci nel campo della fatica a termine o basati sul metodo damage tolerant.

È indirizzato, quindi, agli studenti della laurea specialistica, ma anche a ingegneri progettisti e non che vogliono approfondire le loro conoscenze in questi nuovi campi.

Infatti, mentre nei primi due capitoli del libro vengono riportati dei richiami generali sulle curve sforzi-deformazioni dei materiali, sul tensore dello sforzo e della deformazione e sui criteri di snervamento, nel capitolo terzo si danno delle indicazioni sul comportamento del materiale in campo plastico. Nei capitoli quarto e quinto sono trattati gli argomenti legati alla fatica ad alto e basso numero di cicli.

I capitoli sesto, settimo e ottavo sono dedicati alle problematiche relative alla presenza dei difetti nei componenti, quando il comportamento del materiale è prevalentemente lineare, non lineare e quando le sollecitazioni applicate sono variabili nel tempo. Nel capitolo nono si accenna brevemente ad alcune norme internazionali che rappresentano un valido strumento per la definizione dell'accettabilità dei difetti.

Nel decimo capitolo, infine, si è voluto fornire alcune indicazioni su tutte le classi di materiali di uso ingegneristico e, in particolare, riportare il nuovo approccio basato sulle mappe di Ashby che permette una scelta critica e sintetica dei materiali.

L'intento del libro è, comunque applicativo: non ho voluto, infatti, approfondire aspetti teorici e speculativi, ma ho cercato di dare le indicazioni necessarie per risolvere problemi pratici.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 1

1

Curve sforzi-deformazioni


1.1 Introduzione

In campo ingegneristico normalmente si parla in termini di sforzi, σ, e deformazioni, ε, ossia grandezze che descrivono il comportamento macroscopico dei materiali, considerati omogenei, rilevato durante le prove meccaniche.

In Figura 1.1 sono riportati, come esempio, due diagrammi σ-ε, ottenuti da prove di trazione eseguite una (Figura 1.1a) su un provino di acciaio duttile e l'altra (Figura 1.1b) su un provino di acciaio fragile. Si vede chiaramente che i comportamenti dei due acciai sono molto diversi: l'acciaio duttile presenta un primo tratto elastico fino a un punto di discontinuità, detto punto di snervamento, e un secondo tratto in cui è evidente un comportamento plastico, mentre l'acciaio fragile ha un comportamento lineare quasi fino alla rottura e non si distingue uno snervamento marcato.

Questi due diagrammi sono solo un esempio della varietà dei comportamenti, in termini σ-ε, dei materiali. Infatti tutte le classi di materiali utilizzate nelle applicazioni correnti: metalli e leghe, ceramici e vetri, polimeri e compositi hanno proprietà e caratteristiche diversissime tra loro. Per giustificare e comprendere le differenze di comportamento tra le varie classi di materiali si deve seguire un approccio di tipo microscopico. Infatti sono i legami atomici e le microstrutture che determinano il comportamento macroscopico dei materiali.

I principali legami atomici sono quelli ionici, covalenti, metallici e di Van der Waals. I primi tre sono caratteristici dei ceramici, dei vetri e dei metalli, infatti sono legami molto forti, che conferiscono ai materiali caratteristiche di resistenza e di durezza, mentre l'ultimo, più debole, è quello che collega le catene molecolari nei polimeri.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 111

4

Fatica ad alto numero di cicli


4.1 Introduzione

I componenti delle macchine sono sollecitati molto frequentemente con carichi ripetuti nel tempo, come è evidente se si pensa ai veicoli, alle macchine di sollevamento, alle turbine, alle strutture civili, agli aeroplani...

Il numero delle ripetizioni dei cicli di carico è estremamente variabile da caso a caso: l'albero di un'automobile, se questa percorre 100.000 Km in un anno, sarà sollecitato per circa cento milioni di cicli di carico nello stesso periodo, una pala di una turbina o di un ventilatore saranno sollecitati nella loro vita per svariate centinaia di miliardi di volte, mentre un recipiente in pressione di una centrale nucleare in tutta la sua vita può essere sollecitato un numero di volte limitato (accensione-spegnimento della centrale) anche inferiore a 100.000, una gru industriale in 25 anni può essere caricata per uno o due milioni di cicli di carico.

Le ampiezze, le modalità di applicazione dei carichi sono anche questi estremamente variabili, vi sono dei casi in cui le ampiezze delle sollecitazioni applicate sono limitate e il comportamento del materiale è quasi completamente lineare, in altri casi, invece, il valore della sollecitazione massima applicata è tale da provocare plasticizzazioni più o meno estese e deformazioni plastiche più o meno elevate.

In tutti questi casi la rottura si verifica in corrispondenza di una sollecitazione che è inferiore alla sollecitazione di rottura statica del materiale e che è inversamente proporzionale al numero di cicli di carico applicati: tanto più è elevato il valore della sollecitazione massima applicata tanto minori saranno i cicli necessari alla rottura, se il valore della sollecitazione massima si riduce allora il numero di ripetizioni del carico necessario per provocare la rottura sarà maggiore.

Il fenomeno della fatica consiste in un progressivo danneggiamento del materiale, che nelle prime fasi è microscopico e coinvolge solo alcuni grani del materiale e poi gradualmente si estende fino a diventare un difetto di dimensione tale da provocare la rottura di schianto dell'elemento.

La maggior parte dei cedimenti che si verificano nei componenti meccanici e strutturali sono imputabili a problemi di fatica con costi conseguenti elevatissimi la cui stima è difficile, ma che alcuni autori valutano intorno all'80% del costo globale dei cedimenti in esercizio.

Per questo motivo la fatica è un argomento molto studiato dai ricercatori a partire da quando nel 1800 vennero evidenziati il fenomeno stesso ed alcuni cedimenti strutturali imputabili alla fatica.

Wöhler diede uno dei primi e più significativi contributi allo studio sistematico dei fenomeni di fatica, quando intorno al 1850, in seguito a delle rotture di assali ferroviari, che avevano provocato dei gravi incidenti, eseguì una serie di prove sperimentali che evidenziarono il legame tra sforzi applicati e durata. Solo più tardi questi risultati vennero espressi sotto forma di diagrammi (che ancora oggi si chiamano "di Wöhler").

Gli approcci che vengono seguiti nella progettazione e nella verifica a fatica dei componenti meccanici sono fondamentalmente tre: quello basato sullo sforzo, che è quello tradizionale che considera un valore di sforzo nominale nella sezione in considerazione, eventualmente corretto da vari coefficienti, e delle curve di fatica sforzi-numero di cicli, uno basato sulla deformazione, che considera dei valori locali effettivi di deformazione e le curve deformazione-numero di cicli e, infine, uno basato sulla dimensione e velocità di propagazione della cricca realmente presente nel componente utilizzando i parametri della Meccanica della Frattura (che saranno studiati in un successivo capitolo).


4.2 Aspetti generali legati al fenomeno della fatica

La fatica è un fenomeno locale molto complesso; da un punto di vista fenomenologico si può dire che esistono sempre due fasi se nel materiale non sono presenti difetti: quella di nucleazione, in cui il difetto è microscopico, al massimo esteso a qualche grano del materiale e quella di propagazione, che considera un difetto macroscopico, rilevabile con i comuni metodi di controllo non distruttivo, come si vede in Figura 4.1. In questo caso la vita totale a fatica di un elemento è sempre uguale alla somma di queste due fasi. Se, invece, è già presente un difetto allora si ha solo la fase di propagazione.

Il comportamento a fatica di un materiale è definito tramite prove sperimentali i cui risultati sono riportati in termini di ampiezza dello sforzo applicato, σa, e numero di cicli di carico, N, come si vede in Figura 4.2, dove sono riportate due tipiche curve a fatica. La curva a) è asintotica ad un valore, σf, detto limite a fatica. Questo comportamento è caratteristico degli acciai e se l'ampiezza della sollecitazione applicata è inferiore al valore limite a fatica non si verifica la rottura a fatica anche per un numero di cicli di carico praticamente infinito. La curva b), caratteristica dei metalli non ferrosi, quali ad esempio l'alluminio e il rame, non presenta un valore limite definito: in questo caso si definisce come limite di fatica il valore dello sforzo in corrispondenza di una durata molto elevata stabilita a priori (ad esempio 10^7 cicli di carico).

Da un punto di vista fenomenologico il comportamento del materiale a fatica può essere distinto in due zone: nella prima detta a basso numero di cicli sono presenti sforzi elevati, associati ad estese plasticizzazioni, e durate limitate ed è prevalente la fase di propagazione della cricca, nella seconda detta ad alto numero di cicli sono presenti sforzi contenuti, durate elevate e la fase di nucleazione diventa preponderante rispetto a quella di propagazione.

Da un punto di vista della progettazione a fatica, invece, si distinguono altre due zone: quella detta a vita finita, in corrispondenza della quale si assume che l'elemento meccanico in considerazione, abbia una vita finita, e quella a vita infinita, e in questo caso l'elemento è progettato per non presentare mai rottura a fatica. Lo schema in cui è suddiviso il diagramma σa-N in base ai diversi approcci di progettazione è mostrato in Figura 4.3.

Il fenomeno della fatica, essendo locale, è fortemente influenzato dai parametri microstrutturali del materiale, come in particolare la dimensione del grano, e dai parametri geometrici, come la finitura superficiale, la dimensione, la forma dell'elemento in considerazione.

La superficie di frattura nel caso di un cedimento per fatica è molto differente da quella imputabile ad un cedimento statico, infatti nella prima sono sempre evidenti due zone diverse: una liscia e levigata, che corrisponde alla fase di propagazione, dove possono essere evidenti anche le linee di spiaggia, come si vede in Figura 4.4, che corrispondono ad eventuali interruzioni dei carichi applicati o al verificarsi di qualche particolare fenomeno che abbia provocato una demarcazione della superficie di frattura (ad esempio l'esposizione alle alte temperature o ad un ambiente aggressivo) e una ruvida che corrisponde alla fase finale della rottura di schianto.

L'analisi della superficie di frattura può fornire molte indicazioni sulla modalità di cedimento. Ad esempio l'estensione della zona lucida corrispondente alla propagazione a fatica della cricca rispetto a quella della zona ruvida corrispondente al cedimento finale di schianto dà informazioni sull'ampiezza della sollecitazione variabile. Infatti tanto più è estesa la zona levigata tanto minore è l'ampiezza e il valor medio della sollecitazione applicata.

Anche il tipo di carico applicato (flessionale, torsionale o assiale) e l'eventuale presenza di intagli possono influenzare la superficie di frattura.

Inoltre dall'esame della superficie di frattura si può evidenziare se il cedimento a fatica è dovuto ad un difetto presente nel materiale che poi è propagato a fatica o se la cricca di fatica è prima nucleata e poi propagata solo a causa di un carico variabile.

| << |  <  |