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| << | < | > | >> |IndiceI "maledetti" di Verlaine TOMMASO GURRIERI 5 I poeti maledetti 11 I Tristan Corbière 15 II Arthur Rimbaud 26 III Stéphane Mallarmé 49 IV Marceline Desbordes-Valmore 64 V Villiers de l'Isle-Adam 85 VI Pauvre Lelian 100 Nota biografica 109 |
| << | < | > | >> |Pagina 5Ho sempre avuto una grande simpatia per Paul Verlaine. Pur adorando in modo quasi irrazionale il genio e i percorsi di Rimbaud, confesso anche di non aver mai considerato Verlaine una figura minore, una specie di 'secondo' innamorato del genio, come spesso si è voluto dipingerlo. Θ abbastanza ovvio che questa straordinaria raccolta, questa antologia che anche riletta oggi si dimostra un capolavoro di semplicità, di chiarezza, di sincerità, sia una dichiarazione d'amore, una sorta di chiamata, di invocazione al "signor Arthur Rimbaud", come Verlaine definisce qui la maledizione e benedizione della sua intera vita, perché in qualche modo lo perdoni, lo tenga o lo rimetta nei suoi pensieri ormai vaganti soltanto in quella perdita di sé infinita e finale. [...] Paul Verlaine, il "Pauvre Lelian" (anagramma del suo nome) che chiude questa antologia di Poeti maledetti, fu sempre e comunque un uomo che cercò gli altri, disperatamente, scompostamente, a volte in modo forse irritante, ma sempre e comunque con l'esigenza vera e profonda di avere accanto e intorno un respiro altro, un sudore diverso, uno sguardo anche difficile ma che non fosse quello che poteva vedere guardandosi allo specchio. [...] Sembrerà irriverente, forse forzato, ma Paul Verlaine mi viene d'associarlo a un altro grandissimo poeta che ebbe un ruolo simile e altrettanto indispensabile per la cultura e la bellezza della storia dell'uomo, Lawrence Ferlinghetti , il fondatore della City Lights di San Francisco, il poeta che come Verlaine si sentì in un modo o in un altro quasi investito da una specie di 'missione' di fronte a un movimento, quello della "Beat generation", che rivoluzionò tutto, proprio come le parole di quei poeti francesi di ottanta anni prima. Come a Verlaine si devono Rimbaud e Mallarmé (e quindi Apollinaire, Eluard, e poi Prévert e tanti altri), a Ferlinghetti si devono Allen Ginsberg e Gregory Corso (e Jack Kerouac, Peter Orlovski, John Giorno, e di conseguenza, poi, Bob Dylan e i Doors e tutto quello che di bello e sublime ancora oggi possiamo leggere, ascoltare, scoprire).
Ferlinghetti è stato il Verlaine del
Nuovo Mondo,
del sostituirsi degli Stati Uniti alla Francia come motore del
mondo e del pensiero. E come Verlaine, anche Ferlinghetti ha (l'ho conosciuto,
posso dirlo) un modo insieme forte
e modesto, profondissimo e leggero, incredibilmente fermo e insieme aperto,
perché come Verlaine ha capito e ha
dentro la certezza che la poesia è il rosso e il nero del dolore
dell'uomo e la musica stonata dell'entrare dentro di noi
trovando le parole per guardare in faccia il cuore sanguinante della verità.
Ma è anche una piccola miniera di cose e di storie, questa ormai leggendaria antologia che, col suo titolo di Poeti maledetti, ha creato anche un'etichetta valida almeno quanto quella di "Gioventù perduta" che Gertrude Stein diede alla generazione di mezzo degli Hemingway e dei Fitzgerald (forse la più grande di tutte, posso dirlo?).
Scorrendone le righe si può incontrare un poeta anomalo e immenso come
Tristan Corbière, si può esplorare, tenendo la mano del 'maestro di cerimonie'
Verlaine, la inconsueta e inquietante bellezza poetica di Stéphane
Mallarmé, si può assaggiare la bizzarramente snobistica e
originale prosa di Villiers de l'Isle-Adam, si può soprattutto scoprire la dolce
morbidezza dei versi di Marceline Desbordes-Valmore (un'introduzione che venne
ferocemente contestata a Verlaine all'epoca della stampa
dell'antologia), una voce purtroppo misconosciuta ma che
ha la grandezza e lo spessore di Emily Dickinson, anticipandola di qualche anno
tra l'altro.
Si può, ovviamente, e qui sta senza alcun dubbio il più grande valore dell'antologia di Verlaine, provare ad affacciarsi sull'abisso di Rimbaud, l'immenso poeta di sempre, il ragazzo toccato dalla grazia che cambiò tutto, spezzò tutto, inventò tutto e rese possibile tutto quanto è venuto dopo di lui. | << | < | > | >> |Pagina 15Tristan Corbière è stato un Bretone, un marinaio, e lo sdegnoso per eccellenza, aes triplex. Bretone, senza nessuna pratica cattolica, credeva però nel diavolo; marinaio non militare né tantomeno mercante, ma pazzamente innamorato del mare sul quale andava soltanto durante le tempeste, troppo focoso per questo che è il più focoso dei cavalli. (Di lui si raccontano prodigi di folle imprudenza).
Sdegnoso del Successo e della Gloria, sembrava volesse sfidare questi due
imbecilli a muoverlo a pietà per loro.
Ma sorvoliamo sull'uomo, pure così nobile, e parliamo del Poeta. Come rimatore e come scrittore in prosa non ha niente di impeccabile, cioè di noioso. Nessuno, tra i Grandi come lui, è impeccabile, a cominciare da Omero che a volte sonnecchia, per finire con Goethe, così umano nonostante quel che se ne dica, e arrivando a Shakespeare, il più irregolare di tutti.
Gli autori impeccabili sono altri... sono questo e
quello. Sono di legno, legno e ancora legno. Corbière
era semplicemente di carne e ossa.
Il suo verso vive, ride, piange pochissimo, se ne infischia altamente, e sfotte ancora meglio. Amaro d'altronde e salato come il suo caro Oceano, niente affatto consolatorio come a volte avviene a quel suo turbolento amico, ma tambureggiante come lui di raggi di sole, di luna e di stelle nella fosforescenza di un'ondata e di onde rabbiose! Θ diventato parigino per un momento, ma senza la sporca, meschina mentalità: singhiozzi, vomito, l'ironia feroce e brillante, bile e febbre che si esasperano fino alla genialità, e tanta allegria!
Esempio:
Prima di passare al Corbière che preferiamo, anche se impazziamo molto per l'altro, bisogna insistere sul Corbière parigino, sullo Sdegnoso e il Beffardo di tutto e di tutti, compreso se stesso.
Leggete anche questo
Passando a versi ancora più divertenti:
| << | < | > | >> |Pagina 26Abbiamo avuto l'onore di conoscere Rimbaud. Oggi alcune cose ci separano da lui senza che, beninteso, sia mai venuta meno la nostra profonda ammirazione per il suo genio e il suo carattere.
Nel periodo relativamente lontano del nostro sodalizio, il signor Arthur
Rimbaud era un ragazzo tra i sedici e i diciassette anni, già ricco di tutto il
bagaglio poetico che il vero pubblico dovrebbe ormai conoscere e che proveremo a
prendere in esame citando tutto ciò che potremo.
Era un uomo alto, ben costruito, quasi atletico, il volto perfettamente ovale da angelo in esilio, capelli castano chiaro in disordine e occhi di un azzurro pallido inquietante. Originario delle Ardenne, possedeva oltre a un bell'accento di campagna troppo presto perduto, il dono di assimilare tutto subito tipico della gente di quei posti il che può spiegare il rapido inaridirsi, sotto il debole sole di Parigi, della sua vena, per parlare come i nostri avi, il cui linguaggio semplice e diretto non era, alla fine dei conti, sbagliato! Per iniziare, ci occuperemo della prima parte dell'opera del signor Arthur Rimbaud, opera della sua prima adolescenza sublime crosta lattea, miracolosa pubertà! per poi esaminare le diverse evoluzioni di questa mente impetuosa, fino al suo silenzio letterario. | << | < | > | >> |Pagina 30Il poema I seduti ha una storiella che bisognerebbe forse ricordare per essere ben compresa.Il signor Arthur Rimbaud, che all'epoca frequentava la seconda classe come esterno al liceo di ***, faceva forca alla grande e quando si sentiva finalmente! stanco di arrampicarsi per monti, boschi e pianure per notti e per giorni, e che camminatore!, andava alla biblioteca di quella città e chiedeva opere sconvenienti per l'orecchio del bibliotecario-capo il cui nome, poco adatto alla posterità, balla sulla punta della nostra penna ma che importa il nome di quel buonuomo in questo lavoro da piccolo maledetto? L'eccellente burocrate, per le sue funzioni costretto a consegnare al signor Arthur Rimbaud, dietro sua richiesta, numerosi Racconti Orientali e libretti di Favart, il tutto mescolato con vaghi libri scientifici molto antichi e molto rari, malediceva di doversi alzare per quel ragazzetto e, a voce alta, lo rispediva volentieri ai suoi poco amati studi, a Cicerone, a Orazio, e anche a non sappiamo più quali Greci.
Il ragazzetto, che d'altronde conosceva e soprattutto apprezzava
infinitamente i suoi classici più di quel vecchiaccio, finì per irritarsi e
scrisse il capolavoro in questione.
Ci tenevamo a riportare per intero questa poesia così sapientemente e freddamente insolente, fino all'ultimo verso assai logico e di una tale felice audacia. Il lettore può allora rendersi conto della potenza d'ironia, della verve terribile del poeta, di cui ci restano da considerare i doni più elevati, doni supremi, magnifica testimonianza dell'Intelligenza, prova fiera e francese, molto francese, insistiamo in questi giorni di vile internazionalismo, di una superiorità naturale e mistica di razza e di casta, affermazione senza contesto possibile di quell'immortale regalità dello Spirito, dell'Anima e del Cuore umani. | << | < | > | >> |Pagina 36C'è ancora Goya nelle Cercatrici di pidocchi, questa volta un Goya luminoso, bianco su bianco con gli effetti rosa e blu e quel tocco singolare fino al fantastico. Ma quanto superiore è sempre il poeta al pittore e per l'emozione alta e per il canto delle buone rime!
Siatene testimoni:
Non c'è niente, fino all'irregolarità della rima dell'ultima strofa, fino all'ultima frase che resta, tra la sua mancanza di congiunzione e il punto finale, come sospesa e a strapiombo, che non aggiunga in leggerezza di schizzo, in tremolio di costruzione, al fascino fragile del pezzo. E il bel movimento, il bell'ondeggiare lamartiniano, non è così? In questi pochi versi che sembrano prolungarsi nel sogno e nella musica! Anche raciniano, oseremmo aggiungere, e perché non arrivare in fondo a questa precisa confessione? virgiliano. | << | < | > | >> |Pagina 100Questo maledetto avrà proprio avuto il destino più malinconico, perché tale dolce parola può, alla fine, caratterizzare le sfortune della sua esistenza, a causa del candore del carattere e della mollezza irrimediabile? del cuore che hanno fatto dire a lui di se stesso, nel suo libro Sapientia, E poi, soprattutto, non dimenticare te stesso, Trascinando la tua debolezza e la tua semplicità Ovunque si combatte e ovunque si ama, In un modo così triste e folle, in verità! ... Θ stata punita abbastanza questa pesante innocenza?
E nel suo volume
Carità,
da poco uscito:
e che furono gli elementi unici, ascoltate bene, di quel
temporale, la sua vita!
La sua infanzia era stata felice. Genitori eccezionali, un padre squisito, una madre incantevole, morti, ahimè! Lo viziavano come il figlio unico che era. L'avevano messo tuttavia in collegio presto e lì cominciò la rovina. Lo vediamo ancora nel suo lungo grembiule nero, la testa rasata, le dita in bocca, il gomito poggiato allo steccato divisorio dei due muri di ricreazione, quasi in lacrime in mezzo agli altri ragazzi, già induriti, che giocavano! La sera stessa fuggì e fu ricondotto 'in clausura' a forza di dolci e di promesse, dove in seguito, a sua volta, si 'depravò' e divenne un ragazzaccio non troppo cattivo ma con la testa piena di fantasie. Studiava senza interesse e in un modo o in un altro si diplomò dopo qualche vago successo, nonostante la sua pigrizia che, ripetiamo, era causata dalle sue fantasie.
I posteri sapranno, se mai si occuperanno di lui, che
il liceo Bonaparte, poi Condorcet, poi Fontanes, poi
di nuovo Condorcet, fu l'istituto in cui consumò il
fondo dei suoi pantaloni di ragazzino e poi di adolescente.
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