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| << | < | > | >> |Indicep.3 Premessa 9 L'origine dell'universo 9 Nel profondo della Terra: Voragine 12 La castrazione di Urano 14 La terra, lo spazio, il cielo 17 Discordia e amore 21 Guerra degli dèi, sovranità di Zeus 22 Nel pancione paterno 24 Un nutrimento d'immortalità 29 La sovranità di Zeus 32 Le astuzie del potere 34 Madre universale e Caos 37 Tifone ovvero la crisi del potere supremo 41 Vittoria sui Giganti 42 I frutti effimeri 43 Il tribunale sull'Olimpo 47 Un male senza rimedio 49 L'età dell'oro: uomini e dèi 53 Il mondo degli umani 53 Prometeo l'astuto 55 Una partita a scacchi 58 Un fuoco mortale 61 Pandora ovvero l'invenzione della donna 68 Lo scorrere del tempo 73 La guerra di Troia 75 Il matrimonio di Peleo 79 Tre dee davanti a un pomo d'oro 83 Elena, colpevole o innocente? 87 Morire giovane, vivere eterno nella gloria 93 Ulisse o l'avventura umana 94 Verso il paese dell'oblio 96 Ulisse impersona Nessuno di fronte al Ciclope 101 Idillio con Circe 107 I senza nome, i senza volto 113 L'isola di Calipso 114 Un paradiso in miniatura 117 Impossibile oblio 120 Nudo e invisibile 125 Un mendicante equivoco 129 Una cicatrice firmata Ulisse 132 Tendere l'arco sovrano 135 Un segreto condiviso 138 Il presente ritrovato 141 Dioniso a Tebe 142 Europa vagabonda 144 Straniero e autoctoni 147 La coscia uterina 148 Sacerdote itinerante e donne selvagge 153 «Io l'ho visto vedendomi» 156 Rifiuto dell'altro, identità perduta 159 Edipo fuori luogo 160 Generazioni zoppicanti 163 «Un figlio finto» 165 Audacia funesta 170 «I tuoi genitori non erano i tuoi genitori» 171 L'uomo: tre in uno 174 I figli di Edipo 175 Un meteco ufficiale 179 Perseo, la morte, l'immagine 179 Nascita di Perseo 181 La corsa alle Gorgoni 187 La bellezza di Andromeda 191 Dèi uomini luoghi |
| << | < | > | >> |Pagina 3Premessa[...] Certo, era molto ingenuo credere che io contribuissi a mantenere in vita una tradizione di antiche leggende prestando loro ogni sera la mia voce e raccontandole a un bambino. Ma era un tempo in cui, ricordiamolo - mi riferisco agli anni settanta -, il mito aveva il vento in poppa. Dopo Dumézil e Lévi-Strauss, la febbre degli studi di mitologia aveva conquistato un gruppetto di ellenisti che si erano lanciati, insieme a me, nell'esplorazione del mondo leggendario della Grecia antica. Man mano che avanzavamo nelle ricerche e che le nostre analisi progredivano, l'esistenza di un pensiero mitico generale si faceva piú problematica, e ci trovavamo costretti a domandarci: cos'è un mito? O piú precisamente, visto il nostro campo di ricerca: che cos'è un mito greco? Un racconto, naturalmente. Ma bisogna sapere come questi racconti si sono formati, consolidati, trasmessi, conservati. Ora, nel caso greco, essi sono arrivati a noi soltanto nel momento del declino: sotto forma di testi scritti di cui i piú antichi appartengono alle opere letterarie maggiori di ciascun genere, epopea, poesia, tragedia, storia, perfino filosofia, e dove, fatta eccezione per l' Iliade, per l' Odissea e per la Teogonia di Esiodo, appaiono il piú delle volte dispersi, in modo frammentario, a volte allusivo. È infatti molto tardi, solo verso l'inizio della nostra era, che alcuni eruditi hanno messo insieme queste molteplici tradizioni, piú o meno divergenti, per presentarle unite in uno stesso corpo, allineate le une dopo le altre come sugli scaffali di una Biblioteca, per riprendere il titolo che Apollodoro ha dato al suo repertorio, diventato uno dei grandi classici in materia. Si è formata cosi ciò che è stato deciso di chiamare mitologia greca. Mito, mitologia, sono proprio parole greche legate alla storia e ad alcuni aspetti di questa civiltà. Bisogna allora concluderne che tali definizioni non sono piú pertinenti al di fuori di essa e che il mito, la mitologia non esistono che sotto tale forma e soltanto in senso greco? È vero piuttosto il contrario. Le leggende greche, per essere capite, richiedono di essere comparate con i racconti tradizionali di altri popoli, appartenenti a culture e a epoche molto diverse, che si tratti della Cina, dell'India, del Vicino Oriente antico, dell'America precolombiana o dell'Africa. Se il confronto è necessario, è perché quelle tradizioni narrative, per quanto differenti siano, presentano fra di loro e in rapporto al caso greco, sufficienti punti in comune per apparentarle. Claude Lévi-Strauss può affermare, come se si trattasse di un'evidenza, che un mito, da qualsiasi parte provenga, si riconosce d' emblée per ciò che è senza correre il rischio di confonderlo con altre forme di racconto. La differenza con il racconto storico è cosí ben marcata che in Grecia quest'ultimo si è formato, in un certo senso, contro il mito, nella misura in cui si è sviluppato come il resoconto esatto di avvenimenti abbastanza vicini nel tempo perché testimoni affidabili avessero potuto attestarli. In quanto al racconto letterario, si tratta di una pura finzione che si dichiara apertamente come tale e la cui qualità è, prima di tutto, data dal talento e dal mestiere di colui che l'ha creata. Entrambe queste due forme di racconto sono normalmente attribuite a un autore che se ne assume la responsabilítà e che le tramanda sotto il proprio nome, per scritto, a un pubblico di lettori. Di ben altra natura è io statuto del mito. Il mito si presenta sotto forma di un racconto venuto dalla notte dei tempi e che esisteva già prima che un qualsiasi narratore iniziasse a raccontarlo. In questo senso, il racconto mitico non dipende dall'invenzione personale né dalla fantasia creatrice, ma dalla trasmissione e dalla memoria. Questo legame intimo e funzionale con la memorizzazione riavvicina il mito alla poesia che, in origine, nelle sue manifestazioni piú antiche, può confondersi con il processo di elaborazione mitica. A questo riguardo è esemplare il caso dell'epopea omerica. | << | < | > | >> |Pagina 9L'origine dell'universoChe cosa c'era, quando ancora non c'era qualcosa, quando non c'era proprio nulla? A questa domanda, i Greci hanno risposto con miti e racconti. In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cos'è Voragine? È un vuoto, un vuoto oscuro, dove niente può essere distinto. È un punto di caduta, di vertigine e di confusione, un precipizio senza fine, senza fondo. Si viene ghermiti da Voragine come dall'apertura di fauci immense in cui tutto può essere ingoiato e confuso in un'unica notte indistinta. In origine dunque, non esiste che Voragine, abisso cieco, notturno, sconfinato. Poi apparve la Terra. I Greci la chiamarono Gaia. E dal seno stesso di Voragine che sorse la Terra. Eccola dunque, nata subito dopo Caos, di cui rappresenta per certi aspetti il contrario. La Terra non è piú uno spazio di caduta oscuro, senza limiti, indefinito. La Terra possiede una forma distinta, separata, precisa. Alla confusione, all'indistinto carico di tenebre di Caos, Gaia oppone nettezza, compattezza, stabilità. Sulla Terra ogni cosa è ben delineata, visibile, solida. Gaia può essere definita come il suolo su cui dèi, uomini e animali camminano con sicurezza. Gaia è il pavimento del mondo. Nel profondo della Terra: Voragine. | << | < | > | >> |Pagina 11Chaos, dunque, è un sostantivo neutro e non maschile. Gaia, la Terra madre, è evidentemente un femminile. Ma, chi può mai amare al di fuori di se stessa, visto che la Terra è sola con Caos? L' Eros che appare per terzo, dopo Voragine e Terra, non è inizialmente quello che presiede agli amori sessuati. Il primo Eros esprime un'energia nell'universo. Cosí come un tempo la Terra è sorta da Voragine, dalla Terra scaturirà ciò che essa contiene nelle sue profondità. Quello che era in lei, mescolato a lei, si trova portato al di fuori: Terra lo partorisce senza aver bisogno di unirsi a nessuno. Ciò che libera e palesa è proprio l'indistinto che, nell'oscurità, dimorava al suo interno.La Terra oartorisce dapprima un personaggio molto importante, Ouranos, il Cielo, e anche il Cielo stellato. Poi, mette al mondo Pontos, cioè l'acqua, tutte le acque, e piú precisamente Flutto marino, dal momento che il nome greco è maschile. La Terra li concepisce senza unirsi a nessuno. Attraverso la forza interiore che porta in sé, Terra sviluppa quello che già era in lei e che, dal momento in cui lo libera, diventa il suo doppio e il suo contrario. Perché? Perché crea il Cielo stellato uguale a sé, come una replica altrettanto solida, altrettanto stabile e simmetrica. Allora Urano si stende su di lei. Terra e Cielo costituiscono cosí due piani sovrapposti dell'universo, un pavimento e una volta, un sotto e un sopra che si coprono a vicenda, completamente. | << | < | > | >> |Pagina 21Guerra degli dèi, sovranità di ZeusNel gran teatro del mondo, ecco infine allestita la scena. Lo spazio si è aperto, il tempo scorre, le generazioni si succedono le une alle altre. In basso c'è il mondo sotterraneo, c'è la grande terra, i flutti marini, il fiume Oceano che circonda il tutto e, al di sopra, un cielo fisso. Come la terra rappresenta una sede stabile per uomini e animali, cosí, lassú in alto, il cielo etereo è una dimora sicura per le divinità. I primi dèi propriamente detti, i Titani figli del Cielo, hanno il mondo a loro disposizione eppure vanno ad abitare in alto, sulle montagne della terra, là dove stabiliranno la loro dimora anche divinità minori come le Naiadi, le Ninfe dei boschi e dei monti. Ciascuno prende posto dove può agire. In alto si trovano perciò i Titani, chiamati anche Uranidi, figli di Urano, maschi e femmine. Li comanda l'ultimogenito, il piú giovane degli dèi, un dio astuto, scaltro e crudele. Stiamo parlando di Crono, colui che ha osato mutilare il padre dei genitali e che con il suo gesto ha sbloccato l'universo, ha creato lo spazio, dato vita a un mondo differenziato e organizzato. Ma il suo gesto, di per sé positivo, presenta tuttavia un lato oscuro, è insieme anche una colpa, di cui dovrà essere pagato il prezzo. Quando il Cielo si è infatti ritirato nella sua dimora definitiva non ha dimenticato di lanciare contro i propri figli, i primi dèi individualizzati, una maledizione che dovrà presto compiersi e della cui espiazione si faranno carico le Erinni, divinità nate non a caso dalla mutilazione. Verrà il giorno in cui Crono dovrà pagare il proprio debito alle Erinni, le dee che vendicheranno il padre Urano. | << | < | > | >> |Pagina 32Le astuzie del potere.La prima sposa di Zeus si chiama Metis, Meti. Porta il nome di quella forma di intelligenza che, come abbiamo visto, ha permesso a Zeus di conquistare il potere: metis, l'astuzia prudente, la capacità di prevedere tutto ciò che accadrà, di non restare né sorpreso né disorientato da alcunché, di non prestare mai il fianco a un attacco inatteso. Dunque Zeus sposa Meti, la quale resta ben presto incinta di Atena. A questo punto Zeus non può fare a meno di temere che il figlio lo detronizzi. Allora, come evitarlo? Ancora una volta ritroviamo il motivo dell'ingoiare. Crono ingoiava i figli, ma senza con ciò risolvere il problema alla radice. E infatti attraverso una metis, un'astuzia, che un emetico, una medicina per vomitare, fa rigettare tutti i bambini al dio. La volontà di Zeus è invece quella di risolvere la questione in modo piú radicale. Il sovrano degli dèi capisce che vi è una sola soluzione possibile: non basta che Meti gli sia vicina come sposa, bisogna che lui stesso diventi Meti. Non ha bisogno di una socia o di una compagna, deve essere metis in persona. Come fare? Meti possiede il potere della metamorfosi e come Teti e altre divinità marine, può assumere qualsiasi forma. È capace di trasformarsi in bestia feroce come in formica o in roccia. Uno scontro all'ultima astuzia sta per scatenarsi fra marito e moglie; chi sarà, fra Meti e Zeus, ad avere la meglio? | << | < | > | >> |Pagina 53Il mondo degli umaniPrometeo l'astuto. Come ripartire sorti e onori fra gli dèi e gli uomini? Qui l'uso di una violenza pura e semplice non è piú concepibile. Gli esseri umani sono talmente deboli che basta un semplice buffetto per annientarli, mentre gli immortali, da parte loro, non possono accordarsi con i mortali come se fossero loro pari. Si impone allora una soluzione che non risulti né da un sovrappiú di forza né da un accordo fra pari. Per realizzarla, con mezzi necessariamente ibridi e distorti, Zeus si rivolge a un personaggio chiamato Prometeo, un essere tanto singolare e bizzarro quanto lo sarà l'espediente da lui escogitato per decidere e risolvere la contesa. Perché è Prometeo il prescelto del caso? Perché nel inondo divino gode di uno statuto ambiguo, mal definito, paradossale. Viene chiamato Titano, mentre è in realtà il figlio di Giapeto che è fratello di Crono. È dunque il padre a essere un Titano. Prometeo non lo è in verità del tutto, senza per questo essere neppure un Olimpico, poiché non appartiene alla stessa discendenza. La sua natura è titanica, come quella del fratello Atlante, che sarà ugualmente punito da Zeus. | << | < | > | >> |Pagina 73La guerra di TroiaContrariamente a quanto ha immaginato Giraudoux in La Guerre de Troie n'aura pas lieu, la guerra ha avuto luogo. Ma perché raccontarla dopo che lo ha fatto Omero, il suo massimo cantore? Qualunque altro racconto non può che esserne un cattivo riassunto. Forse quello che ancora si può tentare è narrare, come un racconto, le cause e i motivi del conflitto. Lo scontro affonda le sue radici in un passato molto lontano. Per capirlo, o almeno tentare, è necessario incamminarsi in direzione di alcune montagne che stanno all'origine del dramma vissuto dai mortali. C'è il Pelio in Grecia, il monte Ida in Troade e il Taigeto a Sparta. Sono montagne molto alte, luoghi in cui la distanza fra dèi e uomini è minore che altrove e dove, senza essere del tutto cancellate, le frontiere fra mortali e immortali diveritano in qualche modo permeabili. In quei luoghi acca- de, quindi, che si verifichino alcuni slittamenti fra il divino e l'umano. A volte, e questo sarà il caso della guerra di Troia, gli dèi approfittano proprio di tale vicinanza, degli incontri sulle cime delle montagne, per trasmettere agli uoinini i mali, le catastrofi, di cui vogliono sbarazzarsi. Come fanno? Li allontanano dal dominio ricco di luce in cui hanno stabilito la propria sede e li esiliano sulla superficie della terra. | << | < | > | >> |Pagina 93Ulisse o l'avventura umanaI Greci hanno vinto. Dopo lunghi anni di assedio e di combattimenti incessanti ai piedi delle mura, Troia è infine caduta. I Greci non si sono accontentati di vincerla e di assoggettarla, l'hanno saccheggiata, incendiata grazie a un'astuzia, il famoso cavallo di legno che i Troiani hanno introdotto in città, credendo che fosse un'offerta votiva per gli dèi. Un'avanguardia nemica è uscita di notte dalla pancia del cavallo, ha aperto di nascosto le porte di Troia e ha permesso all'armata greca di introdursi all'interno delle mura, mettendo la città a ferro e fuoco e sterminando chiunque trovasse sul proprio cammino. Gli uomini sono stati uccisi, le donne e i bambini ridotti schiavi, tutt'intorno non restano che rovine fumanti. I Greci pensano che la questione sia definitivamente conclusa, ma è proprio allora che si manifesta l'altro versante di un'impresa guerresca tanto imponente. È infatti necessario che, in un modo o nell'altro, i vincitori paghino i crimini, gli eccessi, la hybris di cui si sono macchiati, addirittura nei momenti stessi della vittoria. Immediata scoppia una disputa fra Agamennone e Menelao. Mentre quest'ultimo spera di partire, di far subito ritorno in patria, il fratello, invece, vuole trattenersi sul posto per fare sacrifici ad Atena che, appoggiando la causa greca al cospetto divino, ha determinato la loro vittoria. Ulisse con le sue dodici navi, decide di far rotta, senza attendere oltre, in direzione di Itaca. Sulla stessa imbarcazione si trovano lui, Menelao e il vecchio Nestore. Ma presso l'isola di Tenedo, Ulisse ha un diverbio con Menelao e fa ritorno a Troia per unirsi ad Agamennone. | << | < | > | >> |Pagina 138Il presente ritrovato.La città, il palazzo, il piede del letto in olivo ben piantato nel cuore della terra d'Itaca, il giardino, la campagna, tutta questa vegetazione curata con assiduità: ecco il legame fra passato e presente. Gli alberi piantati un tempo, ora sono cresciuti. Come veri e propri testimoni, marcano la continuità del tempo in cui Ulisse era un bambino e quello in cui, ora, si trova alle soglie della vecchiaia. Ascoltando questa storia, non facciamo anche noi la stessa cosa, non colleghiamo il passato, la partenza di Ulisse, al momento del suo ritorno? Tessiamo insieme la sua separazione e il suo ricongiungimento con Penelope. In un certo senso, il tempo è abolito dalla memoria, anche quando è ripercorso dal filo della narrazione. Abolito e rappresentato, perché Ulisse stesso non ha mai smesso di conservare nella memoria il ritorno, perché Penelope non ha mai smesso di conservare nella memoria il ricordo dell'Ulisse della sua giovinezza.
Ulisse dorme insieme a Penelope ed è come se fosse la
loro prima notte di nozze. Si ritrovano come giovani sposi.
Atena fa in modo che il sole rallenti la corsa del suo carro
perché il giorno non si levi troppo presto e l'alba tardi a
sorgere. Quella fu la notte piú lunga del mondo. I due
sposi si parlano, si raccontano avventure e tristezze. Ora
è tutto come una volta, il tempo sembra essere cancellato.
Il giorno dopo, le famiglie dei pretendenti hanno appreso
dell'omicidio, gridano vendetta, una schiera di parenti,
fratelli, cugini, alleati, armi alla mano, vengono per
combattere Ulisse, Telemaco, Laerte e i loro servitori
fedeli. Atena impedisce lo scontro. Non ci sarà nessun
combattimento, la tregua, la pace, l'accordo sono
ristabiliti. A Itaca tutto è ormai tornato come prima, c'è
un re e una regina, c'è un figlio, c'è un padre, ci sono dei
servitori, l'ordine regna di nuovo. Il canto dell'aedo può
celebrare, per tutti gli uomini di tutti i tempi e in tutta
la sua gloria, la memoria del ritorno.
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