|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 9
[ inizio libro ]
Il babbo splendeva in un abito grigio, i capelli grigi
e fini sollevati dal vento, le braccia dondolanti lungo il
corpo in quel modo che faceva sembrare il suo passo sempre
frettoloso. Non lo vedevo da quasi un anno, e trovai che
somigliasse piú del solito a Robert Mitchum, ma forse era la
consapevolezza di vederlo sconfitto a ingigantire la
somiglianza. Del resto quelle palpebre pesanti e quella
fossetta sul mento lo avevano sempre fatto somigliare a
Robert Mitchum, fin dalle foto della sua giovinezza sparse
nei cassetti, e se adesso lui pareva molto invecchiato anche
Mitchum lo era, e le loro due facce continuavano a
confondersi nella medesima bellezza, solo piú anziana.
Una volta, addirittura, la cameriera di un Mottagrill
gli aveva chiesto un autografo. Io ero piccolo e la mamma
mi stava sgridando in inglese, forse fu per quello che la
cameriera si confuse. Ricordo con quanta ammirazione ci
guardava, tutti e tre, mentre il babbo si cavava d'impiccio
scrivendo su un sottobicchiere le sue iniziali, R. M., cosí
da non deluderla ma nemmeno mentirle. E mi è capitato molte
volte di pensare alla cura con cui dev'essere stato
conservato quel sottobicchiere, alla quantità di persone cui
le cifre di mio padre, negli anni, saranno state mostrate.
|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 186
[ fine libro ]
Sentivo rollare la strada sotto di me, e nelle orecchie
avevo il rombo inconfondibile, volgare, di tutte le Alfa
Romeo.
Siate felici.
Cercai di proiettarmi fuori dall'abitacolo, per assistere a
tutta la scena nelle mie vesti preferite, di spettatore.
Una Giulietta presa a nolo che sfrecciava verso la Svizzera,
inghiottita dal grande esodo di ferragosto. Un padre che
guidava, dopo aver gettato via un dente e mezzo miliardo.
Un figlio disteso accanto a lui, con addosso sia il dente
sia il mezzo miliardo. La scena riuscivo a immaginarla, ma
da un punto di vista lontano, altissimo, perduto nel cielo.
Come essere aggrappati a quel dirigibile che andava a
morire. Ed ecco che, di nuovo, per dare piú forza a una
scena vera finivo per trasformarla in una finta e pensavo a
un film. Di quelli tristi. In bianco e nero. Con una
musica lirica di sottofondo, un'opera cantata da una donna
sconosciuta e bellissima.
|
<< |
< |
|