Copertina
Autore Guido Viale
Titolo Un mondo usa e getta
SottotitoloLa civiltà dei rifiuti e i rifiuti della civiltà
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2000 [1994], UE 1585 , pag. 184, dim. 125x195x12 mm , Isbn 978-88-07-81585-0
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe economia , ecologia , scienze sociali
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Indice


  7   Quando, come, perché

 11   1. Fenomenologia del rifiuto

 12   Genesi
 17   L'accumulazione
 21   Eliminazione
 28   I rifiuti come fonte di conoscenza

 37   2. Circuiti di smaltimento

 38   Categorie di rifiuti
 44   La raccolta
 49   Gli impianti
 57   Altre destinazioni

 64   3. Vecchi e nuovi scavenger

 64   Prima di diventare rifiuto
 69   Gli addetti alla nettezza urbana
 78   Scene di ordinario scavenging
 83   Lontano dai rifiuti
 88   Le discariche della storia

 91   4. Risorse e rifiuti
 91   L'enigma dell'abbandono
 96   Il mondo come risorsa
104   Il rifiuto, elemento costitutivo
      della risorsa

117   S. Chiudere il cerchio

117   Il posto delle cose nel mondo
121   Economia e ambiente
126   Beni e servizi
135   Piano e mercato

139   6. Gestire i rifiuti

139   Principi e obiettivi
146   Strumenti di intervento
152   Soluzioni operative

165   Conclusioni. La cura delle cose

177   Riferimenti bibliografici

 

 

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Pagina 7

Quando, come, perché

Il mondo dei rifiuti ha un fascino particolare. Almeno per me. All'origine di questa passione ci sono due ragioni: la prima è strettamente personale e deriva da una mia particolare predisposizione a rovistare, con la mente e con le mani, tra le cose vecchie e scartate: la predilezione per le cose usate rispetto a quelle fresche di fabbrica nasce dalla convinzione che non tutto ciò che è nuovo e fiammante sia di per sé da adottare, e non tutto ciò che è frusto sia per ciò stesso da abolire. Una forma di avarizia metafisica mi sospinge, in conformità con il più classico dei paradigmi freudiani, a cercare l'oro non tanto nei miei particolari escrementi, quanto, con tanta maggiore ambizione, in quelli di tutta l'umanità.

Dietro lo specchio. La seconda ragione è culturalmente più dignitosa: a mano a mano che procedevo in questa indagine mi rendevo conto che i rifiuti costituiscono un vero e proprio mondo, complesso e simmetrico a quello delle merci: un mondo che, dietro lo specchio in cui la civiltà dei consumi ama riflettersi e prendere coscienza di sé, ci restituisce la natura più vera dei prodotti che popolano la nostra vita quotidiana.

I rifiuti della società industriale, e in maniera del tutto particolare quelli della civiltà dei consumi, sono in qualche modo il 'rimosso' di quell'attività sistematica di rapina e di spreco delle 'risorse' della terra su cui si fondano. Sono il 'buco nero' in cui tutto è destinato a precipitare, ma sul cui oblio è costruita la falsa coscienza di chi si compiace della straordinaria produttività della tecnica moderna, senza mettere in conto i danni che essa provoca.

I rifiuti sono una componente essenziale, e altamente complessa dei ciclo di vita di tutti i beni materiali, ma invano si cercherà una consapevolezza di questo dato di fatto nella storia della scienza che da quasi trecento anni si occupa dei beni e delle produzioni materiali, l'economia.

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1. Fenomenologia del rifiuto

Siamo circondati. Troviamo ormai i rifiuti dappertutto: per le vie della città e lungo le strade, le autostrade, le ferrovie che attraversano le campagne; nelle aree industriali come nei quartieri residenziali; sulle cime delle montagne e nei boschi; nei prati e sulle spiagge. Galleggiano sulla superficie dei mari e dei laghi e si depositano sui loro fondali; nelle schiume che ricoprono i fiumi trasformati in cloache a cielo aperto come nelle dense nubi di fuliggine che oscurano e appestano l'aria.

Decine di migliaia di oggetti abbandonati nello spazio orbitano intorno alla terra: dalle feci e dalle confezioni alimentari lasciate dagli astronauti a frammenti grandi e piccoli di satelliti artificiali che non obbediscono più ai segnali di chi li ha spediti lassù. Questi rifiuti costituiscono ormai uno dei problemi principali per la sicurezza delle missioni spaziali e sono la disperazione degli astronomi (ma presto, forse, anche di chi semplicemente ami guardare il cielo stellato) perché attenuano la luminosità del firmamento.

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Genesi

Osserviamo un rifiuto nel momento in cui si forma tra le nostre mani. Per esempio, apriamo una confezione di pomodori in scatola, versiamone il contenuto in un tegame e gettiamo nel secchio dell'immondizia la lattina vuota, che diventa così un rifiuto.

La nostra lattina ha subìto alcune trasformazioni su cui vale la pena riflettere: in primo luogo era pulita e improvvisamente ce la ritroviamo tra le mani sporca; in secondo luogo, aveva una funzione e un'utilità, e adesso non ne ha più alcuna; in terzo luogo, l'abbiamo portata da un negozio fino a casa nostra e ora il problema per noi è quello di "allontanarla" di nuovo dalla nostra abitazione; infine, aveva un valore e un prezzo e adesso non vale più niente. Analizziamo questi quattro passaggi più in dettaglio.

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Pagina 15

Il consumo è produzione di rifiuti. Con questo siamo giunti all'ultima delle trasformazioni che si verificano nell'attimo in cui decidiamo di sbarazzarci di un prodotto: fino a un momento prima esso era una merce, con un preciso valore d'uso (una "utilità") e un preciso valore di scambio (un prezzo); ora è un rifiuto: un residuo che non ha più né l'uno né l'altro.

Se guardiamo le cose dal punto di vista delle merci, che è quello proprio delle discipline economiche, quell'attimo è precisamente il momento in cui la merce cessa di essere tale, "annichilita" nell'atto con cui si conclude il suo itinerario più o meno lungo dal produttore al consumatore.

Se guardiamo la cosa dal punto di vista dello smaltimento dei rifiuti, che è quello degli operatori del settore e di alcuni ambientalisti, vediamo che il rifiuto ha la sua origine proprio nel consumo, cioè nella morte della merce in quanto merce. In altre parole, vediamo che il consumo - tanto quello del "consumatore" finale che il consumo produttivo attraverso cui le merci cambiano forma liberandosi di una parte di sé sotto forma di residui di produzione - non è altro che un gigantesco processo di produzione di rifiuti.

Queste quattro trasformazioni, che accompagnano il "trapasso" delle merci al loro "al di là" di rifiuti, hanno dunque origine in un cambiamento del nostro atteggiamento psicologico ed "esistenziale" nei confronti degli oggetti che ci circondano: l'inclusione o l'esclusione dal mondo delle cose pulite, utili, appetibili, dotate di valore.

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Pagina 17

L'accumulazione

Poiché nella nostra cultura le cose non accedono allo statuto di realtà se non vengono misurate - c'è infatti chi pensa ancora che la natura sia "scritta" in linguaggio matematico - e non acquistano dignità di problema se non vengono percepite direttamente, cercheremo di far marciare il nostro discorso su entrambi questi binari: i dati statistici di cui disponiamo e l'esperienza quotidiana che ciascuno può fare, o anticipare con un esperimento mentale.

Con l'avvertenza che la nostra esperienza personale è indubbiamente soggettiva e come tale sospetta, ma che anche i dati statistici sui rifiuti sono incompleti, frutto di stime spesso bislacche o di misurazioni non facilmente ripetibili.

In peso. Torniamo alla nostra lattina o, meglio, al secchio della spazzatura dentro cui l'abbiamo gettata. Le statistiche ci dicono che in Italia ciascuno di noi produce ogni giorno tra un chilo e un chilo e mezzo di rifiuti domestici (Anpa - Osservatorio nazionale sui rifiuti: Secondo rapporto sui rifiuti urbani e sugli imballaggi e Rifiuti di imballaggio, 1999).

La media è 462 chili all'anno, cioè 34 tonnellate e mezzo nel corso di una vita di 75 anni, se non fosse che assumere costante nel tempo la quantità di rifiuti domestici è azzardato, perché, secondo alcuni, qualche decennio fa se ne produceva molto meno, mentre secondo altri se ne produceva addirittura di più. Se dobbiamo affidarci alle statistiche disponibili, la quantità di rifiuti domestici prodotti in Italia è aumentata, tra il 1988 e il 1999, da 17.3 a 26.6 milioni di tonnellate. Una crescita del 53.5 per cento in tredici anni evidenzia un trend spaventoso, che, per nostra fortuna, è in buona parte imputabile a una certa inaffidabilità delle rilevazioni di qualche anno fa.

Per il momento, ciascuno di noi, al termine della propria vita, lascerebbe in eredità ai propri posteri una quantità di rifiuti domestici pari a quattrocento o settecento volte il proprio peso, a seconda della stazza che ci portiamo appresso. Possiamo capire come lo "smaltimento" delle nostre spoglie mortali, cioè le nostre esequie, che pure presentano ormai problemi di carattere urbanistico e sanitario tutt'altro che indifferenti, come ben sanno gli amministratori locali che si occupano di cimiteri, abbia in realtà dimensioni quasi insignificanti se confrontato con la sepoltura o la cremazione di tutto ciò che abbiamo scartato durante la nostra vita.

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Pagina 23

Le esequie delle merci estinte [...]

Smaltire i rifiuti significa pertanto sottoporli a un trattamento che permetta loro di confondersi con gli elementi costitutivi della nostra immagine del mondo. E questi, a dispetto dei progressi della scienza, non sono gli elementi del sistema periodico, bensì quelli costitutivi della fisica presocratica: i rifiuti si "interrano" nelle discariche; si sciolgono nelle acque meteoriche o nei corsi d'acqua che li trasportano al mare; si affidano alla catarsi del fuoco e, attraverso di esso, si inviano in cielo perché si disperdano in mezzo all'aria. Oppure, ancora, si abbandonano in discariche a cielo aperto, alle cure degli agenti atmosferici.

In altre parole, l'eliminazione dei residui generati dalle merci, prodotte mobilitando la potenza della scienza moderna, viene affidata agli elementi costitutivi del mondo che precede l'avvento della tecnologia e della scienza. Che non ci sia altro mezzo per disfarsi dei rifiuti è forse un segno che il mondo della mitologia e della sapienza antica è più "reale" di quella rappresentazione - anch'essa mitologica - che ce ne facciamo, proiettando su di esso le formule della chimica e della fisica moderne.

[...]

Terra. Ma il fatto è che i prodotti della moderna tecnologia si ribellano alle esequie che gli operatori dello smaltimento hanno predisposto per loro. I rifiuti solidi urbani seppelliti nelle moderne discariche, infatti, non diventano humus, cioè non ritornano terra; e lo diventano tanto meno quanto più la loro composizione riflette uno stile di vita e un modello di consumo moderni, dominati dall'uso di prodotti confezionati, di articoli usa e getta, di plastiche, di circuiti elettronici, di additivi e detergenti chimici, e quanto più la discarica incorpora i più recenti sviluppi della tecnologia dello smaltimento, come l'impermeabilizzazione dei suoli, la protezione dalle acque meteoriche, la prevenzione chimica dagli animali infestanti, il blocco dei processi aerobici.

[...]

Fuoco. Il fuoco non produce effetti migliori. Se la combustione di rifiuti preindustriali produceva fumi e ceneri del tutto simili a quelli prodotti dagli altri fuochi accesi per cuocere, riscaldarsi o forgiare i metalli (la cui massa era facilmente riassorbita nel suolo o dai processi di fotosintesi della vegetazione), la combustione dei rifiuti dell'era industriale genera scorie ed emissioni che presentano problemi gravissimi.

[...]

Aria. Anche a prescindere dagli inquinanti, l'anidride carbonica emessa dai processi di combustione è essa stessa un residuo, cioè un rifiuto. Ma è anche la principale responsabile dell'effetto serra e la sua emissione ha raggiunto livelli tali da rappresentare una minaccia per gli equilibri ambientali dell'intero pianeta. Così l'uomo contemporaneo, seppure controvoglia, ha dovuto pervenire alla conclusione che anche il cielo - il cielo moderno, che è costituito dall'atmosfera che avvolge il pianeta - non è grande a sufficienza per poter contenere tutti i suoi rifiuti.

[...]

Acqua. Infine l'acqua, da sempre simbolo di purezza, assai più mite del fuoco, perché mentre questo purifica distruggendo, l'acqua purifica lavando: cioè trascinando via ciò che contamina e lasciando intatto il corpo su cui scorre. Anche l'acqua ha sempre avuto una parte di rilievo nelle cerimonie funebri, tanto che prima di consegnarlo al regno dell'aldilà, si lava il corpo degli estinti per mondarlo da ciò che l'ha contaminato in questo mondo.

Un riguardo che nessuno si sognerebbe di avere con i rifiuti, prima di celebrare le esequie delle merci da cui essi sono stati generati. Tuttavia, alle acque meteoriche, ai corsi d'acqua e poi al mare e agli oceani è da sempre affidato il ruolo di corpo recettore - e di depuratore - di larga parte dei rifiuti prodotti. Ma come l'aria, neanche l'acqua e, come il cielo, nemmeno gli oceani sono più in grado di assorbire senza inconvenienti la mole dei rifiuti che vi scarichiamo, né di reinserire in cicli biologici naturali una frazione sempre più ampia delle sostanze che li compongono.

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Pagina 28

I rifiuti come fonte di conoscenza La presenza dei rifiuti nel mondo non si esaurisce con la loro pretesa eliminazione attraverso le diverse forme di smaltimento. Al di là del quale dobbiamo registrare una loro superfetazione nella noosfera, ossia nel mondo della conoscenza, che rappresenta in qualche modo una loro esistenza parallela nel cielo dello spirito; una vera e propria "anima".

I rifiuti sono infatti un immenso giacimento di informazioni di grande valore, non solo in campo scientifico, ma anche - e soprattutto - in campo commerciale. Basterebbe questo per prevedere che lo studio dei rifiuti verrà coltivato in forme sempre più sistematiche.

Il perché è presto detto: i rifiuti sono un documento diretto, minuzioso e incontrovertibile delle abitudini e dei comportamenti di chi li ha prodotti, anche al di là delle sue stesse convinzioni o della percezione che ha di se stesso.

Archeologia e smaltimento. Da questo punto di vista, la scienza che più si avvicina all'analisi sistematica dei rifiuti è l'archeologia. Soprattutto quando non può avvalersi di documenti scritti, la ricerca archeologica in fondo non è molto differente da uno scavo tra i rifiuti di un'altra epoca. Reperti archeologici intatti come quelli di Ercolano o Pompei, improvvisamente sommersi e poi conservati dalla massa di ceneri e fango che li ha investiti, sono una rarità e trovano un parziale riscontro soltanto nei relitti sottomarini delle navi travolte da un naufragio.

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Pagina 64

3. Vecchi e nuovi scavenger

Finora abbiamo trattato i rifiuti solo sotto forma di oggetti che si presentano all'uomo come la negazione o il rovescio del mondo che esso ha costruito. Ora ci occuperemo della vita che brulica sopra e intorno ai rifiuti, come parte integrante della loro stessa esistenza.

Prima di diventare rifiuto

Nella società preindustriale, la liberazione dei rifiuti da tutto ciò che in qualche modo poteva ancora essere utilizzato - cioè mangiato da uomini o animali, indossato, venduto o adibito alla produzione di nuovi manufatti - era in qualche modo istituzionalizzata e incorporata nella struttura della gerarchia sociale, che da questo punto di vista era perfettamente organizzata in funzione del riciclaggio.

Oggi, per una serie di motivi, che non sono esclusivamente né principalmente riconducibili a un maggior benessere, questa spoliazione dei residui del consumo opulento non avviene più in modo sistematico, anche se sue manifestazioni sono ancora presenti un po' dappertutto: persino all'origine di alcune grandi fortune.

Sin da bambino Rockefeller era considerato un calcolatore provetto. Una inclinazione che si esercitò più tardi nel giuoco dell'accumulo, che gli consentì di allargare sistematicamente il capitale della Standard Oil Company, attento com'era persino a che le immondizie dei cortili fossero con cura frugate prima di essere portate via. (Alvi, 1989, p. 14)

Il fatto è che la cosiddetta civiltà dei consumi in realtà non consuma abbastanza, se per consumo si intende una utilizzazione esaustiva di ciò che è stato prodotto: la massa dei rifiuti non è altro che la manifestazione di questo scarto crescente tra ciò che produciamo e ciò che consumiamo. In questa banale osservazione si svela la natura più profonda della società in cui viviamo, che non è, in realtà, una civiltà del consumo, ma una "civiltà dello spreco" o, se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, un paese dei rifiuti, una Waste Land.

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Pagina 86

Rifiuti e rimosso nella letteratura. Si è visto che rifiuti e oggetti dismessi hanno spesso suscitato l'attenzione di romanzieri e poeti. Ma il problema ha una dimensione più ampia; se riconduciamo il rifiuto nella categoria generale di oggetto desueto e non funzionale, esso sembra uno dei protagonisti della letteratura occidentale, per lo meno a partire da una "svolta storica" che coincide, grosso modo, con la rivoluzione industriale.

Nel suo fondamentale saggio Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura - Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Francesco Orlando (1993) indaga la presenza degli oggetti non funzionari nella letteratura occidentale e ne rileva l'assoluta preminenza, rispetto a quella degli oggetti funzionali, soprattutto nelle opere degli ultimi due secoli. Orlando individua in questa presenza una forma di "ritorno del rimosso", che fa da contrappunto al dominio dell'utilitaristico e del funzionale imposto nella vita reale dalla razionalizzazione dei comportamenti sociali.

Si potrebbe obiettare che l'impianto di fondo di questa ricognizione - che ripropone una tesi che ha tenuto Orlando occupato per un intero "ciclo" di opere dedicate a una interpretazione di testi letterari in chiave freudiana - impedisce all'autore di cogliere l'aspetto più semplice e lineare del problema: il fatto cioè che la crescente presenza di "oggetti desueti" nella letteratura, a partire dalla svolta epocale della rivoluzione industriale, non fa che rispecchiare la progressiva invasione nella vita quotidiana di una montagna di rifiuti "in carne e ossa".

[...]

Le discariche della storia

Con un patrimonio sterminato di letture e un meticoloso puntiglio da collezionista di exempla, Orlando intraprende un'opera di minuziosa catalogazione degli oggetti desueti della letteratura, ripartendoli lungo le successive ramificazioni di un albero semantico che ricostruisce per ciascuno di essi un contesto unitario di significato.

Le dodici categorie individuate attraverso questo procedimento di ricontestualizzazione assegnano agli oggetti inventariati denominazioni inconsuete, che riconducono a un metodo di analisi dove induzione e deduzione si sostengono reciprocamente: monitorio-solenne, festoso-grottesco, venerando-regressivo, logoro-realistico, memore-affettivo, desolato-sconnesso, magico-superstizioso, prezioso-potenziale, sterile-nocivo, prestigioso-ornamentale, pretenzioso-fittizio. Ma non è della validità né dell'uso di questa catalogazione che qui ci vogliamo occupare, bensì del processo di indagine che ha portato a concepire questo disegno.

Orlando setaccia avanti e indietro l'intera letteratura dell'Occidente, da Omero a Faulkner, dalla Bibbia a Gadda, come si trattasse di un'immensa discarica di oggetti dismessi: castelli e palazzi abbandonati e fatiscenti, panorami desolati, suppellettili vecchie e impolverate, magazzini di trovarobato, animali impagliati, pitali rotti, avanzi ammuffiti, strumenti inutilizzabili, vivande putrescenti, abiti troppo pretenziosi o cenci troppo laceri, apparecchiatura fuori uso.

[...]

Questa tempesta che trasforma il passato in un cumulo di detriti - ci avverte Benjamin - è "ciò che chiamiamo progresso".

In una versione più "conviviale" e meno drammatica, questo atteggiamento sta alla base della rinnovata fortuna di Bouvard et Pecuchet di Gustave Flaubert, dove l'insensato bricolage tecnico-culturale a cui si dedicano i protagonisti ha il suo presupposto nell'omologazione e nell'azzeramento totale di tutta la produzione degli uomini e delle società presenti, passate e future.

Che l'esibizione di questo atteggiamento salti tuttavia un passaggio essenziale - quello che Benjamin indicava nell' "opera di liberazione in nome di generazioni di vinti" che il materialismo storico assegna alla "classe vendicatrice" - si può rilevare osservando che, perché essa sia possibile, occorre innanzitutto che presente, passato e futuro, e le opere che ce li rappresentano, non siano più assimilate dal pensiero come strumenti di lavoro o di navigazione, ma vi giacciano a lato, come un immenso cumulo di inutili detriti. In altre parole, occorre cancellare proprio la distinzione tra prodotti e rifiuti.

Private dell'uso a cui erano destinate, che per i prodotti dello spirito equivale al loro senso, le opere della letteratura e dell'arte si presentano come una immensa congerie di materiali residui, sui quali esercitare il proprio virtuosismo.

Molte case editrici si sono ormai specializzate in questa attività di scavenging e alcune ne rivendicano - legittimamente - la primogenitura. L'epitome di questo filone pubblicistico è rappresentato dall'opera di Roberto Calasso, che scandaglia per noi la letteratura e la filosofia mondiali alla ricerca della "vertigine" o dell' "abisso" con la stessa disinvoltura con cui una sarta usa il nastro centimetrato per confezionare un abito da sera. I suoi compendi antologici sono veri e propri manuali di bon ton culturale, indispensabili per frequentare la moderna società delle lettere.

Il rifiuto come destino. Il destino che sembra accomunare letteratura e pattume è d'altronde essa stesso un topos letterario. Se Peter Kiem, il protagonista di Auto da fé di Elias Canetti, percorre tutte le tappe dell'abiezione nel tentativo di recuperare, comprandoli, i libri in cui i suoi occasionali compagni di avventura non vedono altro che una fonte di guadagno (Canetti, 1976), questo destino appare ormai compiuto in Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal.

Il protagonista del libro è un operaio addetto a confezionare balle di carta da macero rovesciando nella tramoggia di una pressa, insieme a giornali, riviste, pacchi e imballaggi di ogni tipo, montagne di libri in cui è racchiusa tutta la letteratura mondiale. Nel tentativo di salvare queste opere dall'omologazione con i rifiuti, dopo aver stipato fino all'inverosimile la propria casa e la propria testa di libri, li depone, scegliendoli accuratamente, al centro del materiale che imballa, così da nobilitare il flusso ininterrotto della carta da macero in cui irrevocabilmente si degrada la letteratura.

Ma è un'opera vana. Il sopravvento dei rifiuti è inesorabile e finisce per inghiottire, nell'ultima di quelle balle, l'io narrante, che, ormai consapevole della vanità dei suoi tentativi, sceglie di dissolversi in essa (Hrabal, 1991).

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Pagina 91

4. Risorse e rifiuti

La legislazione di tutti i paesi moderni sottopone la gestione dei rifiuti a una serie di vincoli molto rigidi, impensabili fino a pochi decenni fa. Per questo è di estrema importanza la definizione giuridica di che cosa si intende per rifiuto, in quanto con essa si tracciano i confini tra ciò che è sottoposto a questi vincoli e ciò che invece vi si sottrae.

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Pagina 94

Custodia del rifiuto, libertà della merce. Negli ultimi anni, come si è visto, non c'è stata solo una sovrabbondante produzione normativa sui rifiuti, ma anche una pletora di incontri sullo stesso tema. In tutte queste sedi non ci si limita, però, a ribadire che i rifiuti non devono essere "abbandonati"; si entra minuziosamente nel merito delle modalità, delle tecnologie, dei costi, degli strumenti tecnici e gestionali con i quali essi vanno ridotti, conferiti, raccolti, compattati, trasportati, stoccati, trattati, dismessi, riciclati, recuperati, riusati ecc.

In questo modo il rifiuto è assurto a oggetto non certo di scienza o di teoria, ma sicuramente di tecnologia e di intensa manipolazione, come destinatario privilegiato di una "presa in custodia" generalizzata. Invano si andrebbe a cercare una dose di prescrizioni altrettanto dettagliate per quelli che sono i precursori del mondo dei rifiuti, cioè per le merci e per la produzione delle merci. Ciò è tanto più vero, poi, se si risale agli albori della riflessione sul mondo delle merci - cioè alla nascita dell'economia politica - così come oggi siamo agli albori di una riflessione sulla questione dei rifiuti. La ragione di tutto ciò è molto semplice.

È la merce, e non il rifiuto, ciò alla cui natura - e nel cui destino - è intrinseco l'essere "abbandonata a se stessa", cioè al libero gioco della domanda e dell'offerta e al processo di circolazione, sociale e fisico, che attraverso di esso si innesca. Laissez-faire, laissez-passer sono le parole d'ordine - stampate su tutte le bandiere degli idolatri del mercato - attraverso cui la produzione delle merci si è conquistata la propria autonomia entro la sfera della società civile e della normativa giuridica, proprio nell'epoca in cui il mercato si stava imponendo come sede privilegiata dello sviluppo sociale.

Nessuno invece si sognerebbe, o si è mai sognato, di rivendicare le stesse parole d'ordine per la produzione dei rifiuti, anche se, di fatto, questa è stata poi, ed è tuttora, la prassi prevalente. La libertà, di fatto e di diritto, di cui godono il mercato e la circolazione delle merci nei confronti del corpo sociale, l'autonomia dei rapporti di compravendita, come medium di una coesione sociale non più basata su legami di sangue o di tipo comunitario, trovano un preciso riscontro nei vincoli e nelle prescrizioni a cui sono invece sottoposti i rifiuti; che non possono essere "abbandonati" senza intasare e rendere inagibile lo spazio, sia fisico che sociale, in cui si realizza la libertà della merce.

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Pagina 95

Il gioco del cerino. Chi vende una merce è interessato soltanto al suo valore di scambio (per realizzarlo), mentre la maggior parte di quelli che l'acquistano sono interessati soprattutto al suo valore d'uso: sia esso quello di una materia prima, di uno strumento di produzione, di un semilavorato intermedio, o quello di un bene di consumo finale. Tra questi due valori c'è uno scarto vistoso, non solo qualitativo, ma anche quantitativo. Per questo, quasi a ogni passaggio di mano, la merce perde qualche pezzo di sé: quella parte che è stata ceduta per realizzare il suo valore di scambio, ma che non rappresenta più un valore d'uso per chi l'ha acquistata.

In regime di libertà di mercato, cioè di abbandono della merce, ciascuno dei suoi successivi detentori è responsabile soltanto dei rifiuti che essa concorre a generare quando è sotto la sua "giurisdizione", ma non è responsabile - nemmeno con la più rigorosa applicazione del principio "chi inquina paga" (Pollutor Pays Principle) - dei rifiuti che quella stessa merce concorrerà a produrre una volta passata di mano. Perciò non ha certo interesse a ridurli; anzi, in linea di principio, per ridurre i propri, ha interesse a trasferire la maggior parte possibile di questi rifiuti, alle fasi successive del ciclo di vita di un prodotto.

Il mondo come risorsa

Il rifiuto rappresenta dunque la fine del processo economico che va dalla produzione al consumo, così come la risorsa ne rappresenta l'inizio. Vediamo di approfondire questo nesso.

Economia e natura. Il termine risorsa è entrato nel linguaggio degli economisti nella sua versione francese di ressource, ma trae il suo etimo dal latino resurgere. Dalla radice surgere deriva l'italiano sorgente, che ritroviamo anche nel corrispondente termine tedesco per risorsa (Hilfquelle, letteralmente, fonte di aiuto); il prefisso re sembra indicarne come carattere intrinseco la rinnovabilità, cioè il suo legame con i cicli biologici dell'allevamento del bestiame, delle colture agricole, della crescita delle foreste e dei prodotti spontanei della terra.

[...]

Dalla natura al lavoro umano. Con tutta evidenza questo è il quadro concettuale - proprio di una società preindustriale - ereditato dalle discipline economiche al momento in cui esse si costituiscono come scienza. Così, colui che è considerato il padre dell'economia politica, il fisiocratico François Quesnay, e i suoi seguaci concepivano la ricchezza (oggetto specifico della scienza economica) come prodotto della natura e ad essa contrapponevano le attività dell'uomo, che di per sé non creano ricchezza, ma al massimo riescono a perpetuare quella esistente.

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Le "merci fittizie". Diventano così risorsa il suolo, di qualsiasi genere, anche quello non coltivato e non coltivabile; il sottosuolo e ciò che esso potrebbe contenere; poi, con la designazione di "risorse ambientali" hanno accesso a questa condizione elementi naturali che per molto tempo - nella trattazione degli economisti - avevano costituito l'esempio privilegiato dei cosiddetti beni liberi; vale a dire, di ciò che non è risorsa economica, perché non può essere scarso, come l'acqua non imbrigliata, i fondali marini, l'aria pulita, ma anche la diversità biologica, il paesaggio, i raggi del sole ecc.

La stessa sorte tocca alle opere dell'ingegno riproducibili e non riproducibili: brevetti, invenzioni, copyright ecc., che oggi costituiscono una parte consistente e strategicamente sempre più rilevante del commercio internazionale. Poi, ancora, opere d'arte, monumenti, composizioni, che formano il variegato sistema del cosiddetto patrimonio culturale.

Con la denominazione di "risorse finanziarie" ha poi accesso a questa condizione, in una posizione assolutamente privilegiata, il denaro, cioè l'equivalente universale di tutte le altre risorse, la possibilità astratta di mobilitare ciascuna di esse.

Infine, sotto forma di "risorse umane" avevano fatto da tempo il loro ingresso in questo mondo le stesse facoltà dell'uomo che aveva la pretesa di dirigere e dominare questo processo: dapprima le sue facoltà più elementari, cioè la sua forza di lavoro; in seguito quelle più elevate: l'intelligenza, la conoscenza, l'esperienza (la cosiddetta professionalità), la bellezza (la bella presenza e la prestanza fisica), la sensibilità, la creatività, il gusto, lo stile ecc.

Il modello neoclassico ha fornito, con le sue funzioni e i suoi diagrammi, gli strumenti concettuali per inglobare nella disciplina economica tutti questi passaggi, offrendo sistemazione e legittimità teoriche a processi che in molti casi non erano che operazioni di saccheggio, di prevaricazione, di devastazione dell'ambiente o delle preesistenti forme della convivenza sociale.

In termini generali, le risorse che sono entrate a far parte di questo processo di "mercatizzazione" globale dell'universo fisico e sociale che ha accompagnato l'evoluzione del sistema di scambio, dalle formazioni precapitalistiche al sistema in cui ancora oggi viviamo, sono riconducibili alle tre categorie che Karl Polanyi ha indicato con il termine di "merci fittizie": la terra, a cui è genericamente riconducibile tutto ciò che oggi indichiamo con il termine "ambiente"; il lavoro, che comprende tutto ciò che oggi indichiamo con il termine "risorse umane" o "capitale umano", e il denaro, a cui oggi ci si riferisce comunemente con l'espressione "risorse finanziarie".

Polanyi le chiama "fittizie" perché scorge nella loro "mercatizzazione" non il risultato dell'evoluzione naturale del sistema di scambio che aveva preceduto l'avvento del modo di produzione capitalistico, bensì l'effetto di una spietata forzatura. Nel corso di quella "grande trasformazione" che coincide con la rivoluzione industriale e con l'avvento del modo di produzione capitalistico, essa ha preteso di estendere le regole costitutive del mercato all'insieme dei rapporti materiali e sociali che definiscono la vita associata e che non possono essere mercificate senza minare le basi stesse della convivenza (Polanyi, 1974, 2.VI).

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L'im-posizione dei rifiuti. Tanto per cominciare, i rifiuti, che abbiamo paragonato agli escrementi dei corpo sociale, hanno attratto nella loro orbita gravitazíonale gli escrementi del corpo biologico, e non viceversa. Ciò ha riguardato dapprima le deiezioni umane, che una volta venivano utilizzate come concime, o raccolte in fosse biologiche, dove si compiva la loro riconversione in humus e la loro restituzione alla terra, e che, con l'introduzione delle reti fognarie e, soprattutto, dei cessi con lo sciacquone, sono state affidate ai fiumi e poi ai mari, contando sulla loro capacità di contenerle tutte.

L'invenzione dell'attuale sistema di "smaltimento" delle deiezioni umane è relativamente recente: risale alla Londra del Settecento e ha contrassegnato l'epoca della sua introduzione con il poco lusinghiero termine di Great Stink (grande puzza), per gli indubbi effetti provocati da tutta quella merda rovesciata nel Tamigi (McKewn, 1979).

[...]

In secondo luogo, è ormai entrato a far parte dell' "ordine naturale delle cose" che tutto ciò che si produce non venga prodotto per durare. Si produce per sostituire, ma il presupposto tacito di questo modo di agire è che tutto ciò che viene sostituito possa e debba venir gettato via. La civiltà dell'usa e getta - che è il punto di approdo del consumismo, cioè di una organizzazione sociale che si perpetua attraverso la moltiplicazione delle merci, perché senza questa moltiplicazione verrebbero meno i presupposti stessi dei legami che la tengono unita (gli scambi commerciali) e delle forme attraverso cui essa garantisce la sussistenza ai suoi membri (l'occupazione, come via privilegiata di accesso al reddito) - ha i suoi presupposti tanto in un prelievo illimitato di risorse naturali quanto in un accumulo illimitato di rifiuti.

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L'emergenza della questione ambientale e, in particolare, le dimensioni assunte dal problema dei rifiuti e delle emissioni inquinanti ci costringono a uscire una seconda volta dalla sfera della circolazione, alla scoperta di un altro universo, anch'esso scarsamente esplorato e anch'esso accuratamente celato tra le pieghe dell'analisi economica.

Per farlo, ci basterà accompagnare nell'intimità della sua abitazione il consumatore - che poi è ciascuno di noi - che ha appena fatto la spesa, portando a compimento con le sue "scelte di acquisto" il ciclo della vita economica delle merci che ha comperato.

Qui, se avremo la pazienza di osservarlo per un po' di tempo - ma basterà osservare noi stessi - ci renderemo conto che ciò che si chiama consumo non è in realtà che un immane - perché si riproduce più o meno identico, tutti i giorni e in milioni di abitazioni - processo di produzione di rifiuti.

Di tutto quello che abbiamo portato a casa, nelle diverse tappe della nostra spesa, una parte sempre minore - non più del 25 per cento in valore, e molto meno in peso, soprattutto dopo che l'abbiamo liberata dai suoi imballaggi - verrà ingerita, metabolizzata e poi espulsa dal nostro corpo con le feci, per essere incanalata attraverso la rete fognaria, insieme a un'altra componente ancora più ridotta dei nostri acquisti (i detersivi) verso i depuratori. Che a loro volta la trasformeranno in quella particolare tipologia di rifiuto che sono i fanghi della depurazione civile.

Il resto, compresa gran parte delle cose che non introduciamo in casa - perché troppo ingombranti o inquinanti, come le auto, le imbarcazioni, il carburante, i lubrificanti ecc. - è destinato a trasformarsi, dopo un periodo più o meno lungo di permanenza nei locali, negli armadi, sugli scaffali, nel frigorifero o nella credenza di casa nostra, in rifiuti solidi urbani.

Potremo constatare la stessa cosa se accompagneremo il carico di un camion che trasporta materie prime o semilavorati all'interno di uno stabilimento dove essi vengono trasformati in prodotti finiti: ci accorgeremo allora che il "consumo" degli input in cui si risolve il processo produttivo non è, anch'esso, che un immane - perché si ripete in ogni stabilimento industriale - processo di produzione di rifiuti, dal quale si salva solo una parte, spesso assai ridotta, dei materiali iniziali: sotto forma, appunto, di prodotto finale. Cioè di quel prodotto destinato ad alimentare il flusso dei rifiuti domestici.

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5. Chiudere il cerchio

Merci e rifiuti sono dunque aspetti di un'unica "cosa", ma al tempo stesso si escludono reciprocamente, come fasi temporalmente distinte di un processo complessivo o come referenti di due moti diametralmente contrapposti del comportamento umano: il primo diretto all'acquisizione e al possesso, il secondo diretto all'allontanamento e all'oblio.

Il posto delle cose nel mondo

Questa differenza non dipende solo da un nostro atteggia- mento soggettivo - mutando il quale muterebbe la collocazione di ciascun oggetto nella classe delle risorse piuttosto che in quella dei rifiuti - ma dal modo in cui le cose stesse ci si presentano: non tutto può essere risorsa, perché il prodursi delle risorse implica già il loro destino di rifiuto; non tutto può essere rifiuto, perché esso può essere "messo al mondo" solo da una precedente risorsa.

Oltre il diaframma. Si avverte dunque l'esigenza di un approccio nuovo, che permetta di considerare in modo unitario il binomio merce-rifiuto. Ma perché questo approccio sia reso possibile, è la cosa stessa che unisce in sé il duplice aspetto di risorsa e di rifiuto che deve presentarsi in una diversa luce. Questa "luce" è costituita dai legami delle cose con l'ecologia del nostro habitat, in cui processi produttivi, consumo e operazioni di smaltimento sono strettamente inseriti.

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La pratica della product-stewardship. Distinguere, in termini economici, materiali e informazioni è un'operazione altrettanto sviante quanto la distinzione - tradizionale tra beni e servizi come categorie merceologiche contrapposte; o, peggio, quanto la distinzione "veteromarxista" tra lavoro produttivo e improduttivo fondata sulla contrapposizione tra produzione di beni e produzione di servizi; una distinzione che ha tenuto occupati i cervelli di generazioni di teorici improduttivo.

Un bene, cioè un valore d'uso, è un insieme di materiali e di informazioni a esso abbinate. Con il progresso tecnico, cresce per lo più sia il numero dei materiali assemblati, anche per la comparsa di leghe, materiali compositi e sostanze sintetiche, sia quello delle informazioni che esso incorpora. Analogamente, una merce è un insieme di beni e di servizi. Con lo sviluppo delle tecniche di gestione e di organizzazione dei mercati, cresce il numero di servizi, finalizzati a una specializzazione crescente, o alla moltiplicazione dei suoi valori d'uso, cioè delle sue possibili utilizzazioni, abbinati al bene stesso.

Ogni merce, al momento stesso del suo concepimento, cioè nella fase della sua progettazione, o della sua ideazione, viene così abbinata a un numero crescente di servizi, destinati ad accompagnarla lungo l'intero arco della sua vita. Tra questi servizi può essere incluso anche il recupero dei materiali o del potenziale energetico in essa incorporati, o che concorrono alle varie fasi del suo ciclo di vita (dalla produzione al trasporto, dalla distribuzione alla manutenzione). Con l'incorporazione di un servizio per il recupero, la gamma dei servizi abbinati a un prodotto può dirsi completa: abbiamo un full-service - indicato con il termine product-stewardship - per ora sviluppato da alcune imprese su basi esclusivamente volontarie. In questo modo la merce "è servita" è può circolare con la garanzia di fare il minor danno possibile, compatibilmente con lo stato delle tecnologie, sia al cliente sia all'ambiente.

Una volta che la restituzione dei beni al circuito economico al termine del loro ciclo di vita si sia generalizzata, essa potrà costituire uno standard, o un requisito tecnico, a cui vincolare la possibilità stessa che un bene possa circolare sul mercato: la condizione della sua stessa esistenza come merce. Tutto ciò non limiterà affatto il "libero gioco" della domanda e dell'offerta, se non per il fatto di alterare profondamente il sistema dei costi, e quindi dei prezzi, a cui siamo abituati. Oggetti che vengono venduti a poche lire, o addirittura ceduti gratis, hanno già oggi costi di smaltimento - addossati, come si dice, alla "collettività" - altissimi; ma domani potrebbero dover "internalizzare" costi di recupero ancora più elevati.

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La valenza ambientale. La progettazione e la programmazione dell'aldilà delle merci (cioè della loro condizione di residui) non comporta quindi affatto un deperimento del loro valore di scambio, a favore di un rapporto non mediato con il loro valore d'uso, antico sogno di un ricorrente "consumismo primitivo". Valore di scambio e valore d'uso sono due aspetti indissolubili della stessa realtà; quella della risorsa.

L'integrazione tra la sfera della circolazione delle merci e una gestione razionale dei loro residui inserisce, tra il valore d'uso di una merce e il suo valore di scambio, una nuova dimensione, che possiamo chiamare "valenza ambientale", ovvero, la destinazione e le compatibilità di un prodotto, del suo processo produttivo dei suoi residui, sotto il profilo ambientale.

Come il valore d'uso si esplicita attraverso la definizione delle modalità di impiego, ovverosia le "istruzioni per l'uso", e il prezzo (o valore di scambio) è per lo più abbinato alle diverse condizioni di pagamento, così la valenza ambientale di una merce non potrà che esprimersi in una molteplicità di "specifiche" tecniche: relative alle condizioni e alle modalità della sua reintegrazione in nuovi processi produttivi o della sua restituzione alla biosfera, dopo la fase meramente antropica della sua produzione e del suo consumo.

A ben vedere, la "valenza ambientale" non è niente altro che una estensione del valore d'uso in un contesto in cui il soggetto del consumo, compreso il consumo produttivo, non sia più il consumatore individuale - epigono dell' homo oeconomicus - bensì una collettività consapevole delle basi ecologiche, e non meramente storiche e culturali, dell'esistenza umana.

L'affermarsi della valenza ambientale delle merci non potrà quindi che essere il risultato di un processo che, per realizzarsi, avrà bisogno di negoziazioni, ma anche di conflitti e di imposizioni. La posta in gioco di questa trasformazione non è niente di meno che la progressiva destituzione della risorsa e del rifiuto dalle posizioni cardinali che essi occupano attualmente come punto iniziale e punto finale del processo economico; e l'avvento di un sistema di produzione che sostituisca a un approccio proteso al dominio della natura e dell'uomo attraverso la loro utilizzazione indiscriminata, una meno ambiziosa "presa in custodia" del libero prodursi - e riprodursi - del mondo.

In tutto ciò, il destino della risorsa è indissolubilmente legato a quello del rifiuto. Precostituire una reintegrazione in nuovi cicli produttivi o nella biosfera di ciò che da essa viene prelevato è dunque un passaggio obbligato sulla strada di una progressiva vanificazione della essenza della tecnica moderna. Un paesaggio che prepari la riconciliazione tra l'uomo e il suo mondo.

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Conclusioni. La cura delle cose

La produzione di rifiuti, come ogni altra forma di inquinamento, non è verosimilmente eliminabile dalla nostra esistenza fisica, ma è certamente contenibile, come tutti i danni che l'uomo infligge alla sua o alle altre specie, al di là del tributo che a esse viene richiesto dalla natura, cioè dal riprodursi ciclico della vita.

I rifiuti e l'orizzonte sociale. Adoperarsi per contenere la produzione di rifiuti significa assumere una responsabilità verso di essi, cioè conoscere il danno che possono infliggere alla natura e alla vita e regolare il proprio comportamento alla luce di questa conoscenza. Per compiere questo passo, tuttavia, è necessario che i rifiuti rientrino nell'orizzonte sociale: cioè non vengano più estromessi dall'economia - e dalle scienze sociali che su di essa si modellano - ma vengano considerati uno dei tratti fondamentali che definiscono il nostro modo di stare nel mondo. Non è un'operazione semplice: è l'aspetto materiale dei rifiuti, infatti, la loro irriducibile fisicità, a opporre resistenza a questo "rientro".

[...]

Il côté materiale delle scienze economiche sta nel fatto che esse si occupano di merci e di tecnologie: ma, per quanto riguarda le prime, già Marx, mettendo in guardia contro il "feticismo della merce", insisteva sul fatto che le merci, come il capitale, non sono "cose", ma rapporti sociali. E le tecnologie, così come compaiono nelle scienze economiche - che hanno un approccio del tutto differente da quello dell'ingegneria - non sono considerate sotto forma di rapporti con il mondo della natura, ma come "funzioni di produzione": combinazione di fattori, insiemi di conoscenze e di "saper fare". La riprova di questa verità è proprio il fatto che i rifiuti restano fuori dall'approccio economico a causa della loro irriducibile fisicità: i rifiuti sono le merci private del loro valore (d'uso e di scambio); ciò che resta dei beni cosiddetti materiali, una volta perse le specificità che li rendono oggetti economici.

Il limite di fondo dell'utilitarismo non sta in una unilaterale accentuazione del rapporto pratico - e, quindi, finalizzato all'uso, motivato da un "interesse" - che lega l'uomo al mondo, bensì nel disinteresse per il destino che attende le cose dopo essere state usate. Non sta nell'attribuire una "utilità" potenziale - e, in fin dei conti, un significato - a tutto ciò che incontriamo o che possiamo incontrare, bensì nel tacito presupposto che possiamo sbarazzarci di tutto ciò che non ci serve più.

È questo il non-detto che ha dissolto ogni limite e regola nei rapporti dell'uomo con la "natura" e con i suoi stessi simili, trasformando - al di là di qualsiasi intento soggettivo - la nostra presenza sulla terra nella scorribanda di una masnada di predoni. Ai danni inferti dall'utilitarismo alla nostra esistenza non vale quindi contrapporre un atteggiamento contemplativo, o il riscatto dai valori d'uso in una dimensione estetica. Una regola, se può essere trovata, nascerà solo dalla capacità, o dalla necessità, di costruire i valori d'uso di cui è fatta la vita umana in modo tale da potercene separare senza danno, riponendoli nel mondo con altrettanta scienza e altrettanta cura di quelle che abbiamo usato nel procurarceli.

[...]

L'imperialismo dell'homo oeconomicus. L'economia si è costituita in scienza isolando, attraverso una serie di esperimenti mentali, un oggetto - l' homo oeconomicus - che non esiste "in natura"; così come non si incontrano nel mondo che costituisce l'ambito della nostra esperienza quotidiana le particelle subatomiche isolate con gli acceleratori, che abitano invece esclusivamente una "natura" artificiale, prodotta attraverso il calcolo e l'esperimento. Ma entrambi questi oggetti, una volta "isolati", sono stati proiettati sull'intero universo fisico o sociale, consentendo ai loro cultori di "raccontare" il mondo in modo mitologico, come se esso fosse fatto solo di particelle o solo di calcoli utilitaristici.

Il fatto che la strumentazione tecnologica della big science (cioè della fisica delle particelle) sia più visibile e più costosa della modellistica sviluppata dai cultori dell'economia neo-classica - e, più in generale, di quel corpus dottrinale costituito dal pensiero utilitaristico - non deve trarre in inganno: la seconda non ha consumato meno materia grigia, fruttato meno stipendi accademici o prodotto meno pubblicazioni della prima.

Quanto alle loro conseguenze sulla nostra vita, è un errore pensare che il mondo della tecnica moderna sia solo il risultato di un insieme di applicazioni pratiche delle scienze della natura, e non anche il risultato di un approccio utilitaristico nei rapporti con i nostri simili e con l'ambiente, sviluppato da una cultura che ha trasformato il mondo intero in "risorsa". È un errore, cioè, pensare che le scienze della natura siano una forza materiale di trasformazione del mondo e che il pensiero economico sia invece pura "ideologia", legittimazione a posteriori di queste trasformazioni. Alle origini dell'uno e dell'altro c'è il pensiero calcolante che istituisce e circoscrive l'epoca in cui viviamo.

L'oltrepassamento dell'impianto costitutivo delle scienze economiche, che ha separato e isolato l'uomo dalla natura, non potrà quindi avvenire solo in direzione della reintegrazio- ne in esso di una dimensione storica (che avrebbe l'indubbio vantaggio di liberarci dagli aspetti più grotteschi e meccanici- stici della teoria economica neoclassica), ma dovrà avvenire 167 utilitaristico - senza indagare la dimensione collettiva dell'es- serci, cioè i modi e le forme in cui questa responsabilità può essere inglobata nelle istituzioni di una formazione sociale, in una prassi collettiva, nell'orizzonte culturale di un'epoca. Esattamente come l'irresponsabilità verso la natura o l'am- biente ha costituito l'essenza della civiltà - dominata dall'im- posizione della 'risorsa" - che ci lasceremo alle spalle se la vi- ta potrà sopravvivere.

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Pagina 170

In tutte le cose di cui è composta la nostra esistenza, compresi noi stessi, quella che chiamiamo natura - cioè le regolarità e la rete delle interconnessioni che la scienza ha trasformato in leggi - è sempre all'opera, concorrendo alla loro produzione, alla loro conservazione, alla loro trasformazione, o alla loro distruzione. Ciò è immediatamente evidente in alcuni prodotti del lavoro umano di esperienza quotidiana, come un campo, un giardino, un prodotto della terra. Ma di fronte a prodotti più sofisticati, come una fabbrica, una macchina, un computer, la complessità dei processi produttivi ci fa perdere di vista l'appartenenza, anche di queste cose, al mondo della natura: cioè il fatto che la loro origine, il loro funzionamento e la loro fine interferiscono con l'assetto geologico o con cicli metereologici e biologici di altre parti del mondo, di cui essi si alimentano e su cui possono avere effetti distruttivi.

Occorre dunque riscoprire l'operare della natura - e non solo di singole "leggi", che non ne sono che una pallida schematizzazione - nei prodotti del lavoro umano, non solo per assoggettarla ai nostri fini, ma anche per rendere questi prodotti compatibili con i "fini della natura". E questa, se vogliamo, con le esigenze della sua preservazione e del suo stesso arricchimento attraverso le opere dell'uomo - è la premessa perché l'assunzione di una responsabilità generale verso la natura si traduca in comportamenti concreti nei confronti di ogni singolo oggetto di uso quotidiano, come verso una estensione - nel senso di una parte integrante, non di una "protesi" - del nostro stesso corpo.

La "gentilezza". Anche la riduzione e il recupero dei rifiuti hanno quindi una premessa irrinunciabile in un mutato atteggiamento di ciascuno verso le "cose" della vita quotidiana: cioè in una loro manipolazione più attenta, basata su una maggiore consapevolezza delle loro origini e del loro destino e, soprattutto, dei punti in cui il destino delle cose attraversa e interferisce con quello degli uomini.

L'esito di questa trasformazione è un processo di "presa in custodia" delle cose che ci circondano, con il fine di sconvolgere il meno possibile gli equilibri di quella componente essenziale del nostro mondo che è l'ambiente; di restituire a esso, in forme compatibili con i suoi cicli biologici, tutto quello che gli è stato sottratto, quando non ci serve più; di privilegiare il recupero illimitato dei materiali su cui si è già esercitato il lavoro umano, per evitare la devastazione dell'ambiente al fine di estrarne materiali nuovi e scaricarvi quelli usati.

Risalire dall'organizzazione più o meno efficiente dello smaltimento dei rifiuti alla prevenzione sistematica della loro produzione significa prendersi cura delle cose che ci circondano, per restituire autonomia al mondo e all'ambiente in cui viviamo; significa, in altre parole, accettare di occupare nel cosmo un posto che non infranga i vincoli imposti dalla sua perpetuazione e dalla sua bellezza.

Questa "gentilezza" verso le cose è una forma di sensibilità individuale e sociale che presuppone una collocazione dell'uomo nel mondo radicalmente diversa da quella che domina la nostra epoca; per lo meno dalla rivoluzione industriale in poi, ma - probabilmente - da molto prima.

 

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    a cura di Carlo Degiacomi e Celestina Gilliavod,
    Edizioni Radionotizie, Torino 1997.
    Uno strumentario completo e divertente di giochi,
    sperimentazioni didattiche, spunti di educazione
    ambientale, citazioni e informazione sui rifiuti
    preparato dagli organizzatori di una straordinaria
    mostra sui rifiuti ora installata presso l'Enviromnental
    Park di Torino.

AA.VV., Nuova occupazione dai rifiuti - Effetti economici ed
    occupazionali della gestione dei rifiuti,
    Federazione nazionale dei Verdi, Roma 1997.
    Un testo di carattere eminentemente tecnico, ma molto
    utile.  Presenta in modo dettagliato gli strumenti, le
    metodiche e gli impianti per organizzare il ciclo
    completo dei rifiuti: raccolta differenziata,
    trattamento della frazione indifferenziata, smaltimento
    finale del residuo, corredandoli con stime dettagliate
    dei costi e dell'occupazione che il nuovo sistema
    comporta.

Forum Risorse e Rifiuti, Da Rifiuti a Risorse -
    Manuale per la riduzione e il recupero dei rifiuti,
    a cura di Attilio Tomavacca e Michele Boato, Torino 1998.
    Un manuale dettagliato e documentato su tutti gli
    aspetti relativi alla gestione dei rifiuti:
    legislazione, organizzazione, costi, impianti, impatti
    ambientali, consigli pratici; indispensabile per tutti
    gli amministratori pubblici impegnati su questo fronte e
    per chiunque intenda approfondire la materia.

Gunther Pauli, Svolte epocali - Il business per un futuro
    migliore, Baldini & Castoldi, Milano 1997.
    Una sintetica e chiara esposizione dei principi e delle
    prime esperienze di economia a emissione zero (cioè
    senza produzione di rifiuti) presentate da un esperto
    che da parecchi anni si dedica allo studio
    dell'argomento per conto dell'Onu.

Ercole Sori, Il rovescio della produzione - I rifiuti in età
    pre-industriale e paleotecnica, il Mulino, Bologna 1999.
    Una ricostruzione storica affascinante per capire quanti
    e che tipo di rifiuti producevano i nostri antenati e
    come risolvevano il problema di sbarazzarcene.
    Attraverso l'analisi storica dei rifiuti, una
    ricostruzione del 'lato oscuro' e degli aspetti nascosti
    della società e dell'economia delle culture
    pre-industriali.

Guido Viale, Governare i Rifiuti - Difesa dell'ambiente,
    creazione d'impresa, qualificazione del lavoro, sviluppo
    sostenibile, cultura materiale e identità sociale dal
    mondo dei rifiuti, Bollati Boiinghieri, Torino 1999.
    Sviluppa e aggiorna i temi trattati nel capitolo 6 di
    questo libro, alla luce delle novità introdotte dal
    Decreto legislativo 22/97 (Decreto Ronchi), del
    dibattito in corso sull'attuazione delle Agende 21
    locali per promuovere lo sviluppo sostenibile e delle
    potenzialità di sviluppo locale offerte da una moderna
    gestione dei rifiuti.

WWF - Regione Lombardia, Progetto Crisalide - Dossier -
    Le esperienze innovative nella gestione dei rifiuti in
    Italia e all'estero, Milano 1995.
    Una rassegna indispensabile per chi voglia approfondire
    la materia sulla normativa e sulle principali esperienze
    di successo nel campo della raccolta differenziata e
    della gestione, integrata dei rifiuti in Italia e
    all'estero.

 

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