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| << | < | > | >> |Indice1 Introduzione. Anche le città si spostano 7 1. La zattera di pietra: una fortezza cristiana in terra infedele (1514-1769) 8 Tra eroismo e arte di arrangiarsi 19 Le pezze di una società multicolore 25 L'abbandono della fortezza (dicembre 1768 - marzo 1769) 37 2. Una città in transito: gli abitanti di Mazagão a Lisbona (marzo-settembre 1769) 37 Primo movimento: la città galleggiante fa vela verso Lisbona 41 Dei difensori della fede trasformati in coloni del nuovo mondo 50 Sopravvivere senza mura 65 Uno strano faccia a faccia: la città coloniale di fronte alla città della memoria 67 3. Una città in attesa di nuove mura: gli abitanti di Mazagão a Belém (1769..., 1771..., 1778) 67 Secondo movimento: la città smantellata attraversa l'Atlantico 72 Lo Stato del Grão Pará e Maranhão e l'urbanizzazione delle frontiere 83 Belém, città d'attesa 93 Vivere... in attesa! 109 4. Nova Mazagão, la città palinsesto (1770-1778) 110 Le forme della città rinascente 115 I costruttori di Nova Mazagão: i "senza volto" dell'Amazzonia 123 Terzo movimento: la città rema verso le sue nuove mura 129 Tra la città sulla carta e la città reale: amministrare la città rinascente 142 Diventare un cittadino di Nova Mazagão: un'identità posta di fronte alla prova della terra 155 5. La città meticcia nel "purgatorio" amazzonico (1771-1833) 156 Il deterioramento della vila 164 Il "linguaggio perduto" di Mazagão 177 Il ritorno in scena della città della memoria 187 Abbandono o Rigenerazione? 197 6. Il destino di Mazagão di qua e di là dall'Atlantico (secoli XIX-XXI) 198 Di carta e di pietra: le sfaccettature di una città resuscitata 215 Una comunità si confronta con la sua memoria: la festa di são Tiago 231 Conclusioni. Per una storia sociale dell'attesa 237 Postfazione di Jean Duvignaud 239 Note 281 Bibliografia 291 Elenco delle tabelle 293 Crediti fotografici 295 Ringraziamenti 297 Indice dei nomi 305 Indice dei luoghi |
| << | < | > | >> |Pagina 1Introduzione
Anche le città si spostano
All'origine di quest'indagine, un avvenimento fuori del comune: la fortezza portoghese di Mazagão, eretta nel cuore delle terre infedeli del Marocco, viene abbandonata nel marzo del 1769, mentre i suoi duemila abitanti cercano di resistere all'assedio di centoventimila soldati mori e berberi. Non appena evacuati, gli abitanti della fortezza vengono inviati in Amazzonia per fondare una nuova Mazagão. Questo viaggio di sola andata verso il Nuovo Mondo assumerà i tratti di una lunga odissea: le famiglie transiteranno da Lisbona, dove rimarranno sei mesi in attesa prima di attraversare l'Atlantico in direzione di Belém. Qui dovranno ancora una volta attendere il tempo necessario all'edificazione della nuova Mazagão per poter essere progressivamente trasferite: nel migliore dei casi parliamo di due anni di attesa, che per alcuni divengono perfino dieci, cui va inoltre aggiunto un tragitto in piroga di una quindicina di giorni. Le sofferenze, le ferite del corpo e dell'anima segnano ogni singola tappa di questo interminabile spostamento.
Il carattere inaudito e al tempo stesso violento di un tale gesto mi
riporta immediatamente alle scottanti questioni dell'attualità, secondo il
processo che Proust definiva «il rumore delle distanze traversate». Nel leggere
i documenti d'archivio relativi al trasferimento di Mazagão, sfilano sotto i
miei occhi le popolazioni deportate in massa, quelle ombre della storia, quei
rifugiati sistemati in zone d'attesa o in centri d'accoglienza, sballottati da
una terra all'altra, da una giurisdizione all'altra: uomini, donne, bambini,
ridotti a meri numeri durante il loro transito. L'elettroshock di quel
brutale andata e ritorno lascia ancora dei segni...
Il nostro studio analizza dunque una specifica situazione urbana: il trasferimento di una città o, per essere più precisi, la deportazione forzata di una comunità urbana. Esso dà quindi modo di riflettere sulla natura di una città in corso di trasferimento: a che cosa si riduce quando la si separa dal suo territorio? E che cosa diviene una società urbana quando la si slega dalla sua stessa struttura urbana? In questo senso, il caso di Mazagão fornisce allo storico dei dati essenziali: come si prepara una città allo spostamento? Come la si sposta? E che cosa si sposta? Gli uomini? Le pietre? Le forme? L'immaginario? Lo spostamento non consiste in una mera traslazione nello spazio: esso costituisce anche uno spostamento nel tempo. Per questa ragione, è necessario rendere conto del confronto tra la città e i suoi abitanti con le molteplici temporalità incrociate durante quel lungo periplo. E quale esempio migliore di quello di una città che attraversa l'Atlantico e durante il suo trasferimento conosce ben tre continenti (Africa, Europa, America)? In che modo la sensibilità di tale comunità viene intaccata da queste molteplici esperienze? Per un altro verso, occorre distinguere i due ritmi cronologici in atto durante questo trasferimento: quello dello spostamento e quello dell'attesa nelle zone di transito. Quale forma assume, in questi due momenti, la città in procinto di trasferirsi? Perché lo spostamento abbia luogo, la città deve essere radunata in modo da risultare trasportabile: a che cosa si riduce una città per colui che pretende di trasportarla? Nei tempi di attesa essa può invece tornare in un certo senso a dispiegarsi, riguadagnare i propri spazi: a che cosa somiglia allora? Il presente studio ci invita dunque a dedicare particolare attenzione al carattere singolare delle temporalità dell'attesa e del transito. Solo di rado gli storici si sono interessati a questi lassi di tempo, riducendoli piuttosto a dei meri passaggi obbligati per gli individui, quasi essi non influissero in alcun modo sui comportamenti, sulle sensibilità... Ora, tra l'attesa di nuove mura e il ricordo di quelle abbandonate si delinea un interregno all'interno del quale la comunità di Mazagão deve riuscire a evolvere senza dissolversi. In questo intervallo, «completamente determinato dalle cose che non sono più e da quelle che non sono ancora», la sfera delle possibilità si dischiude all'improvviso: le regole sociali possono venire scombinate da nuove esperienze e l'ordine sociale può dunque risultare minacciato. Al tempo del trasferimento segue il tempo della rinascita. Una volta smontata, trasportata, momentaneamente installata, di nuovo trasportata e provvisoriamente reinstallata, la città deve essere "rimontata". Ma il tutto può davvero ridursi al gioco del Meccano? Tutti sappiamo che per tornare a dare forma alla città non è sufficiente ricostruirne le mura. Come si passa dalla città dislocata alla città rinascente? Bisogna considerare lo «spirito della città», ci dice Alain Musset. Indubbiamente. Ma chi è il depositario di questo spirito della città? Ed esso non viene forse modificato dal trasferimento? In che cosa, per esempio, il progetto di città dello Stato portoghese e il sogno di città degli abitanti di Mazagão possono dirsi compatibili? | << | < | > | >> |Pagina 71. La zattera di pietra: una fortezza cristiana in terra infedele (1514-1769)«Cosa vuole che le dica?», disse il maggiore. «Sono delle storie un po' complicate... Quassù è un po' come in esilio, bisogna pure trovare una specie di sfogo, bisogna ben sperare in qualche cosa». Dino Buzzati, Il deserto dei tartari, 1945 Nel maggio del 1760, il governatore di Mazagão, José Vasques Alvares da Cunha, confida a un amico di non essersi «sentito spaesato dal clima dell'Africa, ma piuttosto dai suoi abitanti». E di far fustigare «quelli esterni come quelli interni alla piazzaforte, che del resto si distinguono solo per il fatto che i primi portano la barba e gli altri no». L'isolamento di Mazagão, figlia negletta del Portogallo posta sul litorale atlantico del Marocco, costringe i suoi abitanti a un confinamento ai limiti del tollerabile: gelosie, avidità, dicerie, calunnie e insubordinazioni scandiscono l'ordinaria quotidianità, divenuta ormai insostenibile.
L'ha capito perfettamente il governatore José da Cunha, che infatti chiede a
più riprese di «ritirarsi da una terra in cui tutto [gli] fa costantemente
orrore», senza celare il disgusto suscitatogli dai
mori e dagli abitanti di Mazagão: «È sufficiente guardare le mani
delle donne (che in casa loro sbrigano le faccende più meschine)
per infondere ripugnanza in qualsiasi uomo dai gusti raffinati».
Dando grande prova di lucidità, egli non si fa alcuna illusione riguardo al modo
in cui viene percepito il suo operato alla testa della fortezza: «E tutti, mi
pare, bramano la mia partenza, gli uni perché porto avanti contro di loro questa
guerra necessaria alla salvaguardia e al rispetto della fortezza, gli altri
perché non amano il lavoro e la ferrea disciplina che impongo». L'atteggiamento
del governatore José Vasques Alvares da Cunha non rappresenta un caso
Isolato, e non e nemmeno da attribuirsi a un suo particolare stato
d'animo. Numerose lettere e denunce danno atto, negli anni sessanta del
Settecento, di una sensazione di soffocamento. Come ha
potuto questa fortezza cristiana in terra infedele, che nel XVI secolo
rappresentava il fiore all'occhiello della corona portoghese,
piombare in un'atmosfera così deleteria?
Tra eroismo e arte di arrangiarsi La fondazione di Mazagão è il frutto della politica marocchina intrapresa dal Portogallo, di cui la dinastia degli Avis traccia progressivamente i contorni nel corso del XV secolo. Tale politica si inscrive nell'ondata d'espansione della cristianità in direzione delle terre infedeli, in quella Reconquista intrapresa nel XIII secolo dalle corone della penisola iberica contro i regni dei mori. Nella seconda metà del XV secolo, l'influenza portoghese sul nord del Marocco è tale che Alfonso v (1448-1481), detto l'Africano, si proclama «re del Portogallo e dell'Algarve di qua e di là dal mare in Africa». Ma la Reconquista non spiega tutto. Fin dal XIV secolo, sotto la spinta di Enrico il Navigatore, il Portogallo si lancia in una vasta impresa di "scoperta" delle isole e del litorale dell'Atlantico meridionale. Questo piccolo paese cerca di circumnavigare l'Africa per raggiungere l'oceano Indiano e sviluppare così floridi scambi commerciali in India. Da qui la necessità di fondare, lungo questa rotta marittima, degli insediamenti per il rifornimento delle navi. Così, per esigenze di controllo e approvvigionamento, prendono forma le prime città lusofone nell'Africa del Nord. «In ogni punto prescelto si cercava di installare non uno, bensì due siti fortemente popolati e difesi, situati l'uno rispetto all'altro a una distanza non superiore a un giorno di viaggio per terra o per mare in tutta sicu- rezza. Questo binomio era finalizzato al sostegno reciproco, alla coesione commerciale, allo scambio di informazioni e di decisioni urgenti, nonché ad agevolare la distribuzione dei viveri e i rinforzi militari in caso di pericolo». Questo il destino di Ceuta e Alcàcer Ceguer, di Tangeri e Arzila nell'Algarve d'oltremare (Gharb) e, più a sud, nelle terre "pacifiche" dei mori (come il Portogallo definiva all'epoca questa regione), di Azamor e Mazagão, di Safi e Aguz, di Mogador e Agadir (Santa Cruz do Cabo de Gué). Mazagão è situata nel cuore di questa rete, nella regione di Doukkala, a pari distanza dalle due punte estreme del Marocco lusofono, Tangeri e Agadir. A questa posizione intermedia si aggiungono delle propizie risorse naturali: la baia in cui si trova Mazagão è considerata il punto di approdo più sicuro di tutta la costa atlantica del Maghreb. D'altra parte, quella di Doukkala è una delle regioni agricole più ricche del paese: il suo grano era noto fin dai tempi dell'occupazione romana. Alcuni storici hanno inoltre visto in Mazagão l'area di Portus Rutubis evocata da Tolomeo nella sua Geografia. Solo nel 1502, tuttavia, la prima nave portoghese perlustrerà la baia e accosterà il sito, individuando un'antica torre di guardia in rovina (chiamata El Brija). Nel 1509 il re del Portogallo ordina l'edificazione di un fortino quadrangolare rinforzato da quattro torri, tra cui quella di El Brija, posta a est. Il comando di questo Castelo Real (castello reale) viene affidato a Martim Afonso de Melo. I venticinque cavalieri e i cento fanti che il re pone sotto la sua autorità in difesa del castello non sono tuttavia in grado di competere con le truppe dello sceriffo di Meknés, Moulay Zian, e sono presto costretti ad abbandonare il fortino. Nel 1514, dopo essersi impossessati di Azamor, i portoghesi si insediano nuovamente nella regione e rafforzano le difese del castello, ormai chiamato da tutti Mazagão. Il nome deriverebbe dal toponimo berbero Mazighan, "acqua del cielo", termine impiegato in quella regione per designare i pozzi destinati a raccogliere l'acqua piovana. La situazione politica nella regione subirà tuttavia rapidi sviluppi: gli sceriffi delle diverse tribù, Moulay Mohamed a Fez, Moulay Ahmed a Marrakech e Moulay Mohamed a Taroudant, indicono la guerra santa per scacciare i portoghesi dalla terra musulmana. Quando i baluardi portoghesi si ritrovano inevitabilmente assediati e le scorte di uomini, denaro e viveri si fanno via via più saltuarie, il re Giovanni III decreta, di fronte al suo Consiglio, l'abbandono di diverse piazzeforti marocchine allo scopo di concentrare interamente le proprie forze a Mazagão (1534). Del resto, non va dimenticato che la colonizzazione del Brasile costituisce in quel momento la priorità assoluta per il sovrano portoghese, il quale nel 1530 ha incaricato il fedele amico Martim Afonso de Souza di sovrintendere alle prime fasi dell'insediamento lusitano nella colonia. Le ridotte finanze e la situazione demografica del Portogallo, che impedisce di imbarcarsi in imprese geopolitiche di ampio respiro su diversi fronti, inducono il re Giovanni III ad abbandonare progressivamente le proprie piazzeforti, un processo che potrà dirsi concluso nel 1550, con l'abbandono di Azamor, Alcácer Ceguer e Arzila. Mazagão si ritrova allora sola. Non è più il rudimentale castello degli inizi del secolo: si tratta ormai di una straordinaria fortezza dotata di bastioni, la cui costruzione è stata affidata, nel 1541, all'ingegnere italiano Benedetto da Ravenna. Mazagão ha costituito a tutti gli effetti un terreno di sperimentazione nel quale mettere in atto alcune delle idee che il corpo italiano di ingegneri militari aveva messo a punto per la difesa delle piazzeforti: «Fu così che questa cittadella posta alla frontiera tra cristianità e islam divenne la prima città ideale del Rinascimento fuori dell'Europa. Edificata in modo da risultare inespugnabile [...], essa fu pensata fin dall'inizio, e all'insaputa del re Giovanni III, come un baluardo dell'Occidente nel mondo arabo e atlantico allo scopo di assicurare la supremazia indiscussa dell'Europa [...]. Ad attestarlo non vi è alcun documento, ma la sua forma ne reca scritta in sé la prova». La forma in questione, a un tempo semplice e complessa, resisterà a tutti gli assalti e gli assedi, perfino quando il numero degli aggressori sarà venti volte maggiore di quello degli abitanti! Eretta a ridosso del mare, la fortezza è un immenso quadrilatero di forma rettangolare poggiato per metà su terrapieni, tale da apparire dalla costa come «una città galleggiante», come una zattera di pietra, a cavallo fra la terraferma e l'oceano. Le sue mura, larghe undici metri, si elevano a quattordici metri dal suolo: «La città conta più di settecento case, la maggior parte delle quali a più piani, dotate di terrazze, finestre e porte d'ingresso in pietra». A isolare ancora di più la fortezza vi sono larghi e profondi fossati scavati tutto intorno alla cinta. Il canale che costeggia il muro ovest fra il bastione San Giacomo e il bastione dello Spirito Santo è in grado di accogliere le più importanti imbarcazioni dell'epoca (una volta che il nocchiero, alla guida del timone, abbia intrapreso le manovre di accostamento). Il canale, che si riempie con l'alta marea, è dotato di una chiusa che permette di imbarcare o sbarcare uomini e mercanzie in massima sicurezza, per poi introdurli all'interno della fortezza attraverso il ponte levatoio e la porta del Governatore. Esiste anche un'altra via di accesso, ben più rischiosa: la Porta del mare (Porta do mar). Posta a proseguimento della rua da Carreira, le sue pesanti inferriate affacciano direttamente sull'oceano: la si utilizza solo durante l'alta marea, calando delle scialuppe per raggiungere le navi ancorate al largo. Questa maestosa fortezza vecra presto sottoposta alla prova del fuoco. Nel 1561 il sultano Moulay Abdallah (sceriffo della dinastia dei saadiani) decide di mobilitare una possente armata per porre fine all'enclave cristiana, la cui presenza rappresenta un insulto alla mezzaluna islamica. Facendo appello a tutta la Mauritania, raduna a Marrakech un esercito di 120000 uomini, di cui 37000 cavalieri e 13500 genieri, munito di 24 pezzi di artiglieria. Essendogli giunta voce delle predisposizioni, il governatore di Mazagão chiede alla reggente Caterina (d'Austria) rifornimenti e rinforzi sufficienti a sostenere un assedio. Da soli, i 2600 abitanti di Mazagão non possono infatti contrastare quell'armata. Sebastiano, il figlio di Caterina, supplica la madre di accordare alla città i rinforzi che ha chiesto. A giungere a Mazagão sarà un totale di 20000 uomini. Tra essi, 600 gentiluomini (fidalgos) hanno ottenuto dalla reggente l'autorizzazione di lasciare Lisbona per dare manforte ai loro fratelli d'arme. Anche così, il confronto risulta impari: come può quella fortezza sostenere un tale assedio? Ma per il governatore di Mazagão, Ruy Souza de Carvalho, «nessun cavaliere portoghese è uomo da temere la potenza e le minacce dei mori; tutti opporranno inesorabile resistenza e difenderanno la fortezza del Re bambino, loro sovrano, poiché tutti coloro che si trovano nella Fortezza hanno giurato di vincere o morire, e in guerra non si muore che abbattendo il nemico». E così ha inizio il grande assedio... e con esso la leggenda di Mazagão. I suoi abitanti opporranno una resistenza accanita, organizzandosi per riuscire a sopravvivere agli incessanti bombardamenti. Accerchiati a terra dai fossati e dalle palizzate erette dai soldati mori del genio militare, a questi uomini resta una sola via d'uscita: la Porta do mar, angusta apertura sull'oceano attraverso cui far entrare uomini e viveri, è l'unico filo che lega la piazzaforte a Lisbona. I soldati e la popolazione subiscono le peggiori privazioni, ma sono decisi a resistere a ogni costo. A poco a poco, le enormi perdite iniziano a minare la tempra dei soldati mori. Il 7 maggio, quando il figlio del sultano, Moulay Mohamed, si decide a togliere l'assedio, le sue truppe contano 25000 morti. Le perdite portoghesi si limitano a 98 soldati e 19 civili. | << | < | > | >> |Pagina 33I tumulti provocati dalla notizia dell'abbandono si protraggono per diverse ore prima che la folla si rassegni a quell'inconcepibile realtà: la decisione è irrevocabile. Dinis de Melo può allora leggere al suo consiglio di guerra gli ordini di Lisbona riguardanti le diverse fasi dell'abbandono. Vengono ipotizzati tre scenari diversi: l'abbandono in seguito alla capitolazione, l'abbandono in seguito al rifiuto di capitolare e la consegna della città al nemico nella cornice di un trattato «dal quale trarremo qualche vantaggio per una navigazione tranquilla e degli scambi commerciali in Marocco». In tutti e tre i casi, però, «l'evacuazione degli abitanti» dovrà avvenire «nella massima sicurezza». E perché ciò avvenga, il mezzo migliore è quello di «organizzare una difesa vigorosa e puntuale. È per questa ragione che Sua Maestà ha decretato l'invio nella Piazza del tenente colonnello del Genio Luis de Alincourt e di una compagnia del reggimento d'artiglieria della corte, che potranno essere di grande utilità nelle circostanze in cui versa ora la fortezza».Gli ordini di Lisbona si avvicinano molto a una sorta di guida pratica finalizzata a far sì che l'opera di trasferimento avvenga nel modo più efficace: bisognerà evacuare anzitutto le donne e i bambini, «inutili a scopi di difesa», poi «gli uomini più giovani e in grado di maneggiare le armi, lasciando sulle muraglie gli invalidi, che si imbarcheranno per ultimi». Per quanto riguarda gli effetti da trasportare, occorre imbarcare «in primo luogo le immagini sacre, l'argenteria e i paramenti liturgici; in secondo luogo, vestiti, abiti e oggetti simili; sarà infatti impossibile trasportare sedie, mobili e oggetti ingombranti. Dovrete inoltre fare di tutto per mettere in salvo e riuscire a trasportare l'artiglieria di bronzo sulle navi». Gli affusti dovranno essere bruciati, i cannoni in ferro, le munizioni e la polvere da sparo gettati in mare. A questi ordini ufficiali si aggiungono inoltre delle raccomandazioni ufficiose. In una lettera personale, datata anch'essa 31 gennaio, Mendonça Furtado invita il nipote, una volta portata a termine l'evacuazione, ad «assicurarsi che gran parte delle muraglie venga fatta saltare in aria, specialmente quelle dirimpetto al mare, come anche la maggior parte degli edifici, in modo che al loro arrivo i mori non trovino altro che rovine». L'8 marzo viene siglata una tregua destinata a entrare in vigore tre giorni più tardi. Il governatore ne approfitta «per imbarcare di nascosto sulle navi da trasporto tutti gli abitanti di Mazagão e i loro effetti personali attraverso la piccola porta che affacciava sul mare». L'imbarco avviene lentamente: bisogna infatti raggiungere le navi ancorate al largo a bordo di scialuppe. Donne e bambini si imbarcano, portando con sé nient'altro che gli indumenti che indossano; l'argenteria della chiesa e le immagini sacre vengono immediatamente trasportate a bordo insieme ai libri del Tribunale dei conti e ai registri parrocchiali. In questo caos generale, i soldati hanno cessato di esistere: dopo l'umiliazione da parte di Lisbona, la gerarchia militare non è più in grado di imporre l'ordine. Posseduti da una rabbia devastatrice, gli uomini svuotano le case, distruggono le porte, si accaniscono sulle facciate, accatastano i mobili in strada e appiccano il fuoco. Poi si precipitano verso la chiesa, distruggono la croce, smantellano l'altare e scagliano le pietre dalle muraglie. È poi la volta delle armi: fucili e cannoni in ferro piombano sul fondo del mare. Le campane vengono gettate da torri e campanili. E, per non lasciare niente di vivo, ai cavalli vengono rotte o amputate le zampe. Gesti motivati dal disprezzo, compiuti in segno di irrisione? Violenza gratuita? Come si può distruggere ciò che si è adorato? E d'altra parte, si può concepire di lasciare tutto nelle mani degli infedeli? Fino all'ultimo, dunque, gli abitanti di Mazagão difenderanno la loro città in nome della fede cattolica. Solo quando saranno certi di essersi lasciati alle spalle null'altro che ceneri e calcinacci si sentiranno pronti a lasciare la fortezza, la loro piazzaforte. Nel frattempo, il reggimento di artiglieria inviato da Lisbona, il solo corpo d'armata ancora in grado di funzionare regolarmente, si prepara a far esplodere il bastione del Governatore, ai piedi del quale vengono disposte sacche di polvere da sparo la cui lunga miccia lascerà agli uomini il tempo di fuggire. L'esplosione farà saltare in aria il ponte levatoio e ostruirà l'unico accesso via terra alla piazzaforte, ritardando così l'avanzata delle truppe nemiche. La notte del 10 marzo ha inizio l'imbarco della guarnigione, e l'«indomani, 11 marzo, il comandante del forte e il capo del corpo del Genio e dei cannonieri, il Signor Luis Dalincourt, si imbarcarono onorevolmente per ultimi dopo le sei del mattino stesso del giorno 11 marzo su una piccola scialuppa in grande pericolo, la marea essendo già quasi calata del tutto, e la stessa scialuppa ormai sul punto di trovarsi in secca». È dunque con il massimo cinismo che il governo ha preparato l'abbandono di Mazagão e il trasferimento dei suoi abitanti. Mazagão non è che una pedina nell'immensa scacchiera dell'Impero, una pedina che si può spostare a piacimento e far scivolare da una casella all'altra. La prima casella sarà proprio Lisbona. Ma se lo spazio del potere è astratto, quello degli abitanti è al contrario uno spazio vissuto, in continuo mutamento, carico di simboli. Da quel momento, sembrano dunque profilarsi due diverse Mazagão: quella del potere e quella della società. Sapremo mai che cosa hanno provato gli abitanti di Mazagão nell'oltrepassare le inferriate della Porta do mar? A lungo essa era stata un luogo di pace e abbondanza. Non rischiando attacchi via mare, gli abitanti della città la oltrepassavano spesso per andare a pescare o a raccogliere frutti di mare o, più semplicemente, in cerca di un momento di pace. Ed eccoli ora varcarla per l'ultima volta. Non è difficile immaginare il loro stato d'animo, profondamente ferito: nei meandri più remoti della loro anima sanno che, negli ultimi anni, quelle mura hanno causato loro null'altro che sofferenze, sanno di aver immaginato di lasciarle, un giorno, e tuttavia... vi è chi è nato in quel luogo, chi vi ha amato per la prima volta, chi invece vi è stato sepolto: un padre, una madre, un fratello, un bambino... Non si tratta certo di uno spazio privo di ricordi: una pietra, un angolo di strada, una piazza... I cittadini di Mazagão erano tutt'uno con le loro mura. Difenderle era la loro ragione di vita e di speranza. Per molti di loro era semplicemente impossibile immaginare un destino al di fuori delle mura della fortezza. E quando, dal ponte delle navi, credono di riuscire ad abbracciare con lo sguardo quell'immensa zattera di pietra posata fra terra e mare, essi assistono sbalorditi all'esplosione della porta del Governatore, da cui si levano vampate di fumo. Mazagão è ormai una città alla deriva in cerca di un continente a cui aggrapparsi. Ma che città! Una città la cui società ha diffidato delle istituzioni politiche. Una città orfana delle proprie mura e dei propri morti. | << | < | > | >> |Pagina 1094. Nova Mazagão, la città palinsesto (1770-1778)Ma possono essere state possibili [le infinite possibilità] dato che non furono mai? O fu possibile solo ciò che avvenne? Tessi, tessitore del vento. James Joyce, Ulisse, 1921 Città in attesa di essere trasferita, Mazagão ha dato origine a tre diverse città: la corona ha sfruttato il periodo del trasferimento per definire un progetto di città coloniale (Nova Mazagão); quanto ai suoi cittadini, essi oscillano fra la città della memoria (la piazzaforte marocchina) e la città vissuta (Belém). La nuova Mazagão, città del futuro, ha dunque di fronte a sé due scogli: la città del ricordo, attorno alla quale fanno cerchio dei cittadini disorientati, sperduti nel tempo, arroccati a un passato che tuttavia sanno essersi concluso per sempre (quello di una fortezza di cui non restano altro «nella memoria [che] le rovine della sua perdizione»), e la città del presente, Belém, che offre infinite possibilità e nella quale i più giovani si trincerano, opponendosi al progetto di città coloniale e al suo rigido modello sociale. Il tempo del trasferimento, in cui si intrecciano le temporalità dello spostamento, del transito e dell'attesa, ha contribuito a offuscare la percezione di Mazagão. All'alba della sua rinascita, essa è come dilaniata tra un futuro, un passato e un presente difficilmente compatibili. La corona e i suoi sudditi hanno ormai una visione contrastante del presente e del destino di Mazagão. Il progetto urbanistico della nuova Mazagão sarà in grado di rinserrare i legami, ormai lacerati, fra l'amministrazione coloniale e i cittadini? Fra questi due poli si inserisce inoltre un terzo attore, di cui dovremo valutare appieno l'importanza. la massa anonima dei costruttori di Nova Mazagão. A edificare la citta è infatti la manodopera indigena. È per mano degli indigeni che risorgono le mura della città dislocata. Mura che ormai attendono i propri abitanti: su suggerimento di Mendonça Furtado, l'edificazione della città ha preceduto l'arrivo delle famiglie, che potranno così giungervi progressivamente e prendere possesso delle loro nuove dimore. Che ne è dunque dei legami fra la "città indigena" e la città coloniale durante il tempo della sua costruzione?
Una città non si riduce mai al mero trasferimento di alcuni uomini
all'interno delle sue mura. A dare forma alla società urbana
sono infatti le attività attorno a cui questi uomini si organizzano, gli
scambi, i gruppi e le identità che da esse avranno origine. Che effetto può
avere, sulla formazione della nuova società di Mazagão,
il passaggio da una piazzaforte militare a una città coloniale? La
fondazione di Nova Mazagão si rivela dunque un processo articolato e complesso,
del quale occorre cercare di valutare tutte le implicazioni mettendo a nudo, una
dopo l'altra, le diverse realtà che compongono questa città rinascente.
Le forme della città rinascente Come abbiamo visto, è nel settembre del 1769 che il capitano Inácio de Castro de Moraes Sarmento viene incaricato dal governatore Ataíde e Teive di individuare, lungo il rio Mutuacá, un sito per la rifondazione di Mazagão, adatto «all'allevamento e alla produzione di frutti». Prima di approvare la scelta del sito in cui è insediata la povoação di Santa Ana, il governatore chiede all'ingegnere Domingos Sambucetti di recarsi sul posto per verificare le condizioni sanitarie del terreno prescelto. Questo italiano di origini genovesi è giunto in Amazzonia nel 1760 al seguito della commissione delle frontiere. Qui ha preso parte ai lavori di fortificazione di Macapá, Belém, Santarém, Almeirim e Gurupà, dove ha avuto l'occasione di lavorare con Moraes Sarmento, a quel tempo amministratore della vila. Dopo un viaggio di quattordici giorni, l'11 marzo 1770 egli raggiunge la povoação di Santa Ana. Al suo arrivo, egli effettua due rilievi: una pianta della povoação di Santa Ana e una carta topografica del rio Mutuacá. È dunque con una solida conoscenza dei vincoli del sistema orografico e delle modalità di occupazione dello spazio della povoação indigena che egli affronta l'analisi del sito e ipotizza un primo piano urbanistico per Mazagão. Malgrado le difficoltà incontrate durante il suo soggiorno, Sambucetti procede in modo assai efficace: in alcune settimane egli approva il sito e realizza un piano urbanistico per il nuovo insediamento. Il piano in questione si rivela peculiare da diversi punti di vista. Anzitutto, esso non mira alla "rifondazione" di un'antica missione, come nel caso della maggior parte delle vilas amazzoniche, ma consiste in una vera creazione originale: «Benché si installi su una struttura urbana preesistente, il progetto dí Mazagão può essere definito quale una fondazione "ex novo". Il lugar di Santa Ana viene praticamente ignorato da Sambucetti, il quale traccia il progetto della nuova città senza tenere conto della vecchia povoação». Come spiega la storica Renata Araujo, ciò è frutto di una scelta precisa, «dell'intenzionale proposito di demarcare i due momenti»: l'epoca indigena e l'epoca coloniale. La povoação originaria, va detto, è formata soltanto da case e costruzioni in legno con tetti di paglia, tutte facilmente smontabili. Una volta trasferiti i suoi abitanti, non risulta quindi difficile cancellare ogni traccia del borgo originario. Seconda peculiarità: «il progetto urbano di Mazagão si articola a partire da una struttura a reticolo [...]. È un disegno essenziale, nel quale la struttura risulta ben visibile e orienta l'intero processo. La piazza è ottenuta attraverso la soppressione di uno degli isolati [...]. La metodologia basilare di una tale pianta è la stessa di quella che ha orientato la maggioranza delle creazioni urbane dell'America spagnola». I caseggiati vengono installati su un terreno preliminarmente spianato, allo scopo di eliminare le irregolarità del suolo e di uniformare lo spazio in cui sorgerà la nuova città. Il sito è dotato di una conformazione naturale quasi perfetta. Esso è delimitato da due corsi d'acqua, il rio Mutuacá e uno dei suoi affluenti, la cui foce è perpendicolare al primo e forma dunque con esso un angolo retto che sembra riecheggiare la struttura dei caseggiati. Questi hanno infatti forma quadrata (della misura di 640 palmas, vale a dire 140,8 metri per lato) e sono disposti uno a fianco all'altro secondo una simmetria impeccabile. La maggior parte dei lotti ha un'estensione di 15,4 metri (70 palmas) di larghezza per 61,6 metri di profondità; alcuni di essi si estendono per 22 metri (100 palmas). Queste misure corrispondono ai due tipi di abitazione standard — dotate rispettivamente di quattro e di sei vani — che verranno assegnate alle famiglie in base al numero dei loro componenti. Altra specificità di questo piano urbanistico è quella di essere stato concepito fin dall'inizio per ospitare una popolazione di circa 2000 persone — vale a dire le 371 famiglie conteggiate dall'amministrazione al momento della partenza da Lisbona. Come possiamo dunque constatare, nonostante la sua conformazione apparentemente aperta, la pianta della città è al contrario chiusa, al pari della vecchia piazzaforte marocchina: il numero di case da costruire viene calcolato fin dall'inizio, così come il numero di abitazioni in cui suddividere ogni caseggiato.
La pianta di Nova Mazagão ha conosciuto una diffusione su grande
scala. Ne sono state realizzate diverse copie, che oggi è possibile consultare
in numerosi archivi, sia in Portogallo sia in Brasile. Si tratta
dunque di un'operazione eccezionale, riconosciuta e rivendicata come tale dalla
corona portoghese, la quale tiene molto a pubblicizzarla. In questo modo essa
rivela infatti, ai suoi sudditi come alle altre potenze marittime europee, il
perfetto controllo del proprio territorio coloniale e la propria capacità di
dominare uno spazio ostile come quello dell'Amazzonia. Al pari dell'uomo, se non
più di esso, l'immagine è un chiaro segno della presenza portoghese in
Amazzonia. Nova Mazagão,
città immagine,
si erge a scommessa di un futuro possibile.
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