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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione. Per una filosofia pratica 9 PARTE PRIMA Capitolo primo - L'ideologia tedesca 25 1. Fondazione e procedere scientifico 2. Il nesso teoria prassi 3. Critica ai Giovani hegeliani 4. Sulla genesi della filosofia e cetralità degli individui rispetto alla totalità sociale 5. «Darstellung» 6. Divisione del lavoro 7. Rapporto tra l'attività dell'uomo e i suoi prodotti 8. Apparenza e realtà delle separazioni prodotte dalla divisione del lavoro 9. Filosofia della storia 10. Teoria dell'estraneazione 11. Rapporto tra «Darstellung» e analisi determinata Capitolo secondo - Il confronto di Marx con Hegel 77 1. I termini della questione 2. «Vorstellung» e «Darstellung» in Hegel 3. Il Capitolo VI della «Fenomenologia dello spirito»: «Lo spirito» 4. L'azione etica 5. Il diritto e la persona PARTE SECONDA Capitolo primo - La forma di denaro 101 1. Althusser e la presenza di Hegel in Marx 2. La genesi del denaro 3. Il carattere di feticcio della forma di denaro 4. I limiti dell'economia politica 5. Dialettica e storia 6. Denaro e alienazione 7. L'eredità hegeliana Capitolo secondo - Il lavoro come rapporto sociale 129 Bibliografia 145 |
| << | < | > | >> |Pagina 9L'utilizzazione degli elementi onirici al risveglio è il caso esemplare del pensiero dialettico. Perciò il pensiero dialettico è l'organo del risveglio storico. Perchè ogni epoca non solo sogna la successiva, ma sognando urge al risveglio. Essa porta in sé la sua fine, e la dispiega – come ha già visto Hegel – con astuzia. Walter Benjamin, Das Passagen-Werk 1. Il crollo del muro di Berlino ha segnato una svolta epocale che ha aperto anche una nuova fase nella ricezione di Marx, il quale appare ormai sottratto non solo alla storia del socialismo reale, ma anche a un uso direttamente politico del suo pensiero. Negli ultimi anni si registra in tutto il mondo, dall'America latina all'area anglosassone e all'Europa continentale, un rinnovato interesse verso l'autore del Capitale. Se è giusto separare Marx dal destino dell'Unione Sovietica e del suo impero, è meno legittimo isolarlo dalla storia del movimento operaio. Le lotte di emancipazione, al di là delle loro alterne vicende, si sono nutrite di un patrimonio teorico che ha dimostrato una efficacia storica confrontabile forse solo con quella delle grandi religioni. Credo che ormai sia giunto il tempo per leggere Marx come un classico, come un pensatore la cui inesauribilità interpretativa mette fuori gioco il problema di ciò che è vivo e di ciò che è morto, di quel che resta. Di Marx resta Marx, cioè un pensiero che si rivela, nonostante le sue indubbie tensioni interne, estremamente ricco e fecondo. Ernst Bloch, uno dei suoi grandi lettori, diceva che in Marx c'è una corrente calda e una corrente fredda: quella fredda coincide con il taglio analitico e scientifico della sua indagine, quella calda deriva dalla forza emancipativa, dalla sua volontà di compiere un balzo in avanti nella storia, in nome del quale operare il rinvio a una possibile prassi trasformativa. Per comprendere il pensiero di Marx nel suo nucleo essenziale è, a mio avviso, indispensabile confrontarsi con il suo atteggiamento verso la filosofia, con quella presunta «resa dei conti» con essa che è l' Ideologia tedesca. In questo testo, meno amato dagli interpreti rispetto ai precedenti Manoscritti economico-filosofici, accade, a mio avviso, qualcosa di irreversibile, che segnerà profondamente la stessa critica dell'economia politica, vale a dire l'analisi del modo di produzione capitalistico. Si tratta dunque, innanzitutto, di misurarsi con la radicale presa di distanza che viene messa in atto nei confronti tanto di Feuerbach che dei Giovani hegeliani, un gesto teorico che Marx interpreta come un congedo definitivo dalla filosofia. Se in precedenza egli riteneva di potersi riconoscere nella impostazione feuerbachiana, a questo punto viene a maturazione la sua piena consapevolezza dei limiti della critica alla religione. Essa gli appare confinarsi nel perimetro di una lotta fra posizioni ideali, al punto che arriva a chiamare Stirner «San Sancio», in quanto il suo appello alla concretezza dell'esistenza singola si mostra una pura idea, rimanendo così partecipe di quella «santificazione della realtà» che è il contrassegno di fondo dell'atteggiamento filosofico. Marx denuncia la presunzione di autonomia e di autosufficienza come costitutiva di ogni filosofia, un limite intrinseco che coincide con la cecità nei confronti del suo legame col mondo. La mia tesi è che questa critica alla filosofia, tanto radicale quanto a volte sprezzante, resti filosofica, in modo tale che diventa possibile definire il pensiero stesso di Marx una forma filosofia, applicandogli così una nozione ricavabile dalla sua stessa impostazione. Vi sarebbe, dunque, un elemento di forte misconoscimento marxiano nei confronti dello statuto del proprio lavoro teorico. Ciò che Marx chiama Darstellung, vale a dire l'illuminazione della provenienza della filosofia, l'esposizione del movimento del suo prodursi, incarna una forma di sapere che per la sua natura e per la sua portata totalizzante non possiamo non considerare pienamente filosofica. Quel che però cerco di argomentare è che questo approdo contraddittorio del discorso di Marx non conduce a un vicolo cieco e a un esito fallimentare, ma dà vita a qualcosa che rende possibile la critica dell'economia politica. L' Ideologia tedesca da un lato, e i Grundrisse e il Capitale dall'altro, si illuminano a vicenda, così che la critica dell'economia politica viene a rivelarsi un pensiero che è sterile sottomettere alla schematica distinzione fra scienza e filosofia e la cui originalità va colta evitando le classiche oscillazioni che hanno caratterizzato tante letture dell'opera di Marx, come la rigida contrapposizione fra l'analisi scientifica obiettiva e l'indicazione del compito storico del superamento del capitalismo. Abbiamo l'inedito presentarsi di un pensiero critico che, al di là della definizione della sua natura, sollecita una esplicazione della modalità del suo andamento, del processo attraverso il quale ritiene di offrirci le sue scoperte fondamentali. La filosofia di Marx si traduce nella capacità di non rimanere nell'orizzonte della scienza economica, producendo una spiegazione complessiva del funzionamento della formazione economico-sociale capitalistica proprio attraverso l'individuazione della sua natura storicamente determinata, che ne segna il carattere transitorio e apre alla possibilità del suo superamento. Nel Marx maturo la forma filosofia esprime dunque il carattere critico del suo pensiero, il quale nel volersi «porre al servizio della storia», espone il movimento contraddittorio della nascita e dello sviluppo del modo di produzione proprio del capitale, nell'ottica di una sua radicale messa in questione, della non accettazione della sua definitività. Diventa essenziale, allora, comprendere come la tesi generale che afferma il condizionamento storico di ogni pensiero non possa non essere in tensione con se stessa e riconoscere come questa feconda aporia dell' Ideologia tedesca sia produttiva della possibilità di svelare l'indice storico delle categorie economiche e dunque di dar vita a un sapere non acquietato nel rispecchiamento dello stato di cose presente. Ho cercato così innanzitutto di rileggere l' Ideologia tedesca tentando di ricostruire l'andamento specifico della Darstellung marxiana nel suo consapevole distinguersi dalla critica della religione, la quale affermava la volontà di «scendere» dal cielo alla terra e individuava così nell'antropologia il luogo di nascita della teologia. Da parte sua Marx si propone, invece, di «salire» dalla terra al cielo, riuscendo in questo modo a dar conto del sorgere dell'immaginario proprio dell'ideologia. L'insostenibilità dell'autonomia del mondo delle idee, l'affermazione del loro «legame» con la realtà è il risultato dell'esser partiti dagli individui «realmente operanti», vale a dire dal «processo pratico di sviluppo dell'uomo». Marx dichiara esplicitamente di ritenere l'agire come costitutivo della unicità di ogni singolo individuo, che viene così a coincidere con la «serie delle proprie azioni», e su questa base arriva presentarci la realtà stessa come Wirklichkeit, cioè come il risultato dell'operare di tutti e di ciascuno. La conseguenza decisiva di questa posizione sta nell'intendere il pensiero stesso come una forma di attività non isolabile dalle altre modalità del fare umano, così da fondare il legame inscindibile fra il pensiero e la realtà sulla loro intrinseca omogeneità, radicata nell'essere entrambi «un prodotto dell'azione umana». Alla presunzione della coscienza filosofica di autofondarsi come dominio autosufficiente Marx contrappone il linguaggio, in quanto coscienza reale «pratica», la quale sorge dalla necessità dei rapporti fra gli uomini e costituisce un «modo di vita» intrinsecamente attivo e relazionale. Il linguaggio, intreccio di spirito e materia, rimanda alla sua genesi a partire dalla prassi reale, rompe la visione monologica della coscienza, costituisce la dimensione dalla quale si genera una forma pensiero la cui universalità esprime il proprio nesso immanente con la comunità, con il legame interumano. La Darstellung è l'esposizione del sorgere del mondo delle idee, il cui costituirsi come separato è ricondotto al dispiegarsi di una modalità specifica di attività, segnata da una divisione del lavoro che rende l'agire particolaristico e che contrappone gli individui gli uni agli altri. Il nucleo della posizione marxiana sta nel sostenere che, se l'azione si presenta come unilateralmente particolare, il momento comune e unitario, il pensiero, si affermerà come universale indipendente. Marx riconverte in un una visione estremamente compatta sia l'argomentazione della Questione ebraica, che denuncia l'universalità separata dello Stato e della religione, sia quella dei Manoscritti economico-filosofici, che stigmatizza la separatezza del Gattung e della socialità umana a partire dal lavoro estraniato, legato al vigere della proprietà privata. Siamo davanti al prodursi della separatezza di diverse forme dell'universale, rispetto alle quali la Darstellung si mostra in grado, attraverso la propria esposizione genetica, di operare una riconduzione all'attività dell'uomo e all'intrinseco legame di particolarità e universalità che viene affermata come sua caratteristica decisiva. L' Ideologia tedesca segna una "svolta" nell'itinerario intellettuale di Marx proprio per questo suo raccogliere in un unico ragionamento i motivi critici che si erano stratificati negli anni precedenti e ciò rende ancora più stringente la necessità di fare i conti con la natura del suo discorso. Per quello che mi riguarda non ho remore ad affermare che siamo davanti a una filosofia che, per il suo muoversi a partire dall'istituzione di un nesso immanente fra il pensiero e la realtà sulla base dell'essere entrambi il risultato dell'attività umana, assume il carattere di una vera e propria ontologia storica. Un'ontologia che non individua una causa prima, che non ricorre a un'essenza fondante onnicomprensiva, ma che tuttavia ritiene di collocarsi su un terreno originario, individuato nell'attività dell'uomo. Il carattere intrinsecamente storico di tale attività, il suo costante rimandare a una qualche forma determinata di interazione umana non può non ripercuotersi sulla natura stessa del pensiero che ritiene di affermare il "primato" della prassi reale. La forma filosofia di Marx, in quanto ontologia storica, non si può sottrarre a questa circolarità; essa è percorsa da una spinta, ora implicita ora esplicita, ad autotrascendersi, a rinviare a quella dimensione dell'agire effettivo degli individui che viene indicato come il terreno del suo stesso sorgere. L'altisonante definizione di ontologia si giustifica nella sua esigenza di cogliere lo strato ultimo dell'essere sociale e della storicità, ma il carattere del suo stesso contenuto fondamentale porta questo pensiero a non chiudersi in se stesso, a impegnarsi nella considerazione del suo tempo, nel tentativo di fare i conti con la Kerngestalt, con il nucleo strutturale che presiede alle sue manifestazioni di superficie. Credo che il problema centrale che ogni interpretazione di Marx debba affrontare sia quello di comprendere in che termini l'impianto di pensiero dell' Ideologia tedesca stia anche al fondo del Capitale, venendo ad incarnare la scaturigine stessa della critica dell'economia politica. È nelle sue opere mature che Marx esplicita come il suo parlare di forma di merce, così come di forma di denaro e di capitale derivi proprio dal suo pensare nei termini di un doppio livello, per cui ciò che appare è il punto di arrivo di un processo che resta nascosto. In gioco è allora sempre la Darstellung come capacità di esporre il processo genetico, il movimento mediatore, e di evitare così che il suo risultato possa venir preso per un punto di partenza. La Darstellung coincide, allora, con l'estrinsecarsi stesso di quella che Marx chiama «critica» e ad essa è affidato il compito di decifrare quel «geroglifico sociale» nel quale consiste il modo di produzione capitalistico. La merce come «forma elementare» costituisce la cellula di una società basata sullo scambio, vale a dire sulla compra-vendita. Tutto il movimento di questo organismo sociale si sviluppa a partire dalla contraddizione interna alla merce, dal suo essere «due cose in una»: un valore d'uso e un valore di scambio. Le qualità naturali che rendono la merce in grado di soddisfare un bisogno vengono «cancellate» nello scambio che implica un'equiparazione, l'individuazione di un quid comune, il valore, che renda uguali i diversi. In tale maniera nella prassi quotidiana del modo di produzione capitalistico si compie un'astrazione reale che consiste nel prescindere dalla differenza materiale delle merci, così che il valore nella sua «oggettività spettrale» si impone come forma onnipervasiva del nesso sociale. Quella che possiamo chiamare la teoria del feticismo di Marx ha il compito di farci seguire il destino contraddittorio del corpo delle merci, che se da un lato viene "negato" nel confronto fra i valori di scambio, dall'altro assurge a incarnazione della stessa scambiabilità. Ogni merce esprime il proprio valore nel corpo di un'altra, che così diventa quella «forma di equivalente» che alla fine, come denaro, avrà nell'oro la sua abbagliante evidenza, così che Marx potrà affermare che nel mondo delle merci le cose appaiono dotate di «proprietà sociali naturali». Quel che mi preme sottolineare è che anche in questo caso abbiamo davanti il movimento della Darstellung, che si configura esattamente come il mostrarci il carattere di questa «apparenza». Gli agenti dello scambio attribuiscono il valore alle cose, come se esse di per se stesse possedessero delle qualità sociali. Questo quid pro quo non è un errore mentale, ma è ciò che accade e non può non accadere nella prassi stessa dello scambio, che però vela qualcosa di decisivo: il fatto che la fonte del valore è una specifica forma di lavoro umano, un lavoro privato e indipendente, che può diventare sociale solo in quel «salto mortale» costituito appunto dalla compra-vendita. La Darstellung è un sapere delle forme, le quali appaiono autonome, ma vanno comprese come il presentarsi rovesciato di un contenuto, in modo tale da rivelare il carattere "apparente" della loro separatezza. Si tratta dunque di riconoscere, in ciò che appare, un risultato, così che esso perda la pretesa di autonomia e di autosufficienza. La denuncia, nell' Ideologia tedesca dell'autonomia delle idee diventa la critica di categorie economiche che si presentano come il riflesso di un'oggettività data, da assumere come qualcosa di definitivo e "razionale". È la Darstellung a permettere la messa in luce non più solo del dominio dell'universale astratto, ma del suo incarnarsi nelle cose, nel produrre una reificazione onnipervasiva che parte dalla merce per arrivare al denaro e al capitale. Marx insiste sul rovesciamento del soggettivo nell'oggettivo, dell'umano nel cosale, perchè assume come punto di partenza la questione della modalità specifica della socializzazione a partire dal modo di produzione capitalistico. Il bersaglio della sua critica è così uno dei capisaldi incontrovertibili della teoria economica fino ad oggi: il concetto di mercato. La centralità del valore, la sua indifferenza verso il lato materiale e concreto della ricchezza deriva dal fatto che in modo generalizzato si produce per vendere. Quel che però dobbiamo capire è che la critica marxiana non consiste nella semplice rivendicazione antropologica della riappropriazione da parte dell'uomo di qualcosa di suo. Il dichiarare che il «potere sociale» si è reso indipendente dagli individui cui si contrappone come qualcosa di altro, di estraneo, di naturalistico, ha la funzione decisiva di illuminare il carattere storicamente determinato di ciò che si analizza: una società di produttori privati e indipendenti che decidono autonomamente cosa e quanto produrre. La prima sezione del Capitale segna un punto di non ritorno: è in essa che si fonda la critica dell'economia politica, prendendo in particolare le distanze da Ricardo e chiedendosi il perchè del valore-lavoro, vale a dire aprendo la questione dell'indice storico di questa legge razionale e apparentemente incontrovertibile. Marx, pur definendola una scoperta «che ha fatto epoca», affronta in modo "critico" la legge del valore, sostenendo che essa non implica una semplice rivendicazione del lavoro umano come fonte della ricchezza, ma rimanda al lavoro astratto e dunque a una dimensione specificamente storica della produzione. Nell'affermare che la socialità appartiene agli individui e non alle cose non si tratta di ribadire una legge antropologica, ma di mostrare le diverse modalità storicamente possibili della socializzazione, del nesso fra l'individuo e il suo contesto di appartenenza. Nella formazione economico-sociale capitalistica abbiamo una scissione radicale e un rovesciamento: a partire da un porsi unilaterale del momento individuale e particolaristico, si presenta una forma determinata e «mistica» di inerenza dell'universale e dell'astratto nelle cose, che culmina proprio nel capitale, il quale se si manifesta come denaro e mezzi di produzione racchiude, nello stesso tempo, in quanto valore che si valorizza, una costitutiva indifferenza verso il lato materiale e concreto della ricchezza. Questa denuncia marxiana della sussunzione degli individui sotto il potere estraneo del valore, che incarna il loro nesso sociale, si muove tuttavia in una direzione che va al di là della contrapposizione fra individuale e collettivo. È il modo di produzione capitalistico a generare una società che, esaltando l'individualismo particolaristico e la sua indipendenza, dà vita a una generalizzata dipendenza di tutti, la sottomissione a un momento comune separato, che si impone sulla testa dei singoli con la necessità naturalistica del fato. Il compito storico del superamento del capitalismo è rivendicato, da un lato, affermando le qualità «proprie» di ogni individuo, la sua unicità ma, dall'altro, tenendo sempre anche presente che la ricchezza e la qualità dell'individuo è data dalla sua capacità di relazione, dalla sua socialità. Marx non propone un modello compiuto di società e tantomeno di organizzazione statuale, ma avanza, a partire da una critica immanente alla scissione fra particolare e universale che domina nel mondo del capitale, quella che potremmo chiamare l'idea di una forma inedita di socializzazione, nella quale accade simultaneamente l'autorealizzazione degli individui e la formazione dell'unità, della dimensione comunitaria. Al centro della visione di Marx sta allora un inedito concetto di lavoro, che non va letto in chiave antropologica, come espressione diretta della definizione di uomo come ente naturale-generico, ma piuttosto legato alla disamina dell'assetto sociale che storicamente è venuto ad imporsi. L'esigenza che il lavoro di ognuno esprima contemporaneamente l'individualità e la socialità nasce dall'analisi della forma che il lavoro assume nel modo di produzione capitalistico. L'ontologia storica marxiana iscrive il lavoro nel movimento della storicità, che viene vista come il dispiegarsi delle diverse configurazioni del nesso immanente fra l'estrinsecarsi degli individui e la dimensione sociale. Alla base di questa impostazione, fin dagli anni giovanili, Marx colloca l'attività lavorativa, la quale, come manifestazione di sé dell'uomo, è intesa come un comportamento al di là della tradizionale distinzione fra poiesis e praxis, racchiudendo in se stessa tanto la produzione di cose, quanto l'autorealizzazione del soggetto. Il lavoro è sempre un'attività individuale, che consiste nel dare forma a una materia e nel produrre qualcosa di utile, ma quel che conta è mettere in luce la sua natura di relazione sociale, cioè la modalità specifica di socializzazione in cui viene ad iscriversi. Questa è la finalità essenziale che presiede all'andamento del Capitale, nel suo consapevole prender le mosse dalla distinzione fra lavoro concreto e lavoro astratto e nell'approfondimento di quest'ultima nozione con la quale si pensa esattamente il divenir sociale del lavoro nel mondo delle merci. Lo snodo decisivo del procedere marxiano lo abbiamo, però, quando esso prende in considerazione quella merce particolare che è la forza lavoro e mette in luce il suo rapporto con il capitale. Si passa così dalla circolazione alla produzione: dal regno della libertà e degli uguali diritti a quello dell'uso della forza-lavoro, della possibilità di disporne e di appropriarsi del valore da essa creato. Il compratore e il venditore della merce forza-lavoro stipulano un contratto come persone giuridicamente pari e così la circolazione è «un vero Eden dei diritti innati dell'uomo», ma la produzione come processo di valorizzazione del capitale è consumo delle energie fisiche e intellettuali del lavoratore. La forza-lavoro viene considerata dal capitale una parte di se stesso, priva di autonomia, un fattore del proprio processo di autoaccrescimento. Il lavoro morto, passato, incorpora il lavoro vivo, autentica fonte del valore, e sebbene si autointerpreti come uno strumento di produzione, esso è in realtà un rapporto fra il possessore di denaro e il detentore della forza lavoro. Nel capitale si cela dunque un rapporto sociale storicamente determinato che presuppone che i lavoratori siano stati espropriati dei loro mezzi di produzione e costretti a vendere la propria forza lavoro. Mentre gli economisti ignorano questo elemento determinante e riducono il processo di valorizzazione al processo lavorativo e, quindi, il lavoro salariato a lavoro in senso generico, Marx insiste sulla natura specifica della relazione in atto e sul fatto che è il lavoro umano a costituire la fonte del valore e del plusvalore. Il capitale è valore in movimento e si erge a soggetto in quella che viene chiamata «sussunzione reale» e che consiste in una rivoluzione costante delle forze produttive che coinvolge tanto la forza-lavoro, quanto i mezzi di produzione. Le descrizioni marxiane su come l'operaio venga violentamente incorporato nel processo produttivo hanno fatto epoca, ma quel che mi sembra decisivo è che Marx insista sul movimento antagonistico del capitale e individui una linea di tendenza che genera due conseguenze opposte: da un lato certo l'operaio parziale, ma dall'altro anche una nuova forma di individuo, ricco di bisogni, in quanto ricco di una molteplicità di relazioni. L'affermazione del sorgere di individui qualitativamente diversi viene da Marx collegata con l'incremento tumultuoso dell'efficacia produttiva della scienza e della tecnica e quindi con una contrazione del lavoro immediato e con un cambiamento delle sue modalità. Tuttavia, la tendenza a ridurre il lavoro al minimo si coniuga contraddittoriamente col suo restare la fonte del valore e, quindi, della ricchezza, intesa in senso capitalistico. Il general intellect, il sapere sociale come forza produttiva allarga tendenzialmente il «tempo disponibile», rimodellando le condizioni del «processo vitale» attaverso una nuova forma di radicale socializzazione del momento produttivo. La lucida individuazione di questa frontiera ultima del capitalismo, quella in cui ancor oggi viviamo, non conduce Marx a ritenere che il suo meccanismo di riproduzione sia venuto meno e che quindi al fondo del processo sociale non ci sia più l'estorsione di pluslavoro. Il general intellect comanda un processo che i singoli continuano a subire e al quale restano sottomessi: la produzione si socializza, ma il suo fine ultimo resta l'appropriazione privata. Marx sembra, nelle famose pagine dei Grundrisse accentuare il ruolo eversivo di questa dinamica oggettiva, che noi oggi non possiamo non riconoscere come un ordine permanente, fortemente consolidato e apparentemente inaggirabile. Al di là dell'evidente fallacia di ogni ipotesi di crollo o di palingenetica rivoluzione, mi sembra, però, che coloro che continuano a interrogarsi non sugli effetti di superficie, ma sul fondamento stesso del modo di produzione capitalistico, non accettandone passivamente il carattere definitivo, non possano non continuare a confrontarsi con il pensiero di Marx. | << | < | > | >> |Pagina 182. La comprensione dell'organismo teorico marxiano che propongo acquista pienamente il suo senso solo restituendo Marx alle proprie radici hegeliane. Questa convinzione, che mi ha guidato nel corso di tutta la mia indagine, nasce dal prendere sul serio quanto lo stesso Marx dice, affermando che dopo la critica del diritto, della politica, dell'economia si impone la «necessità» di una «spiegazione critica» con l'«elaborazione speculativa». Questa dichiarazione dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 si concretizza nel sottolineare che la «rivoluzione teoretica» hegeliana contiene un «principio originario», il quale permette a Hegel di «presentare la sua filosofia, come la filosofia», così che «ciò che gli altri filosofi hanno fatto, Hegel lo sa dal fare della filosofia».Il programma marxiano va allora visto come un tentativo di recuperare il nucleo fondante del pensiero hegeliano e, dopo averlo individuato nel suo autointerpretarsi come un'attività, come un operare, compiere un suo rovesciamento, assumendo non il pensiero, ma la realtà come il luogo del dispiegamento originario di tale principio. L'importante per Marx — e faccio interamente mia questa posizione — è partire dalla consapevolezza che la Fenomenologia dello spirito incarna il «vero luogo di nascita e arcano della filosofia di Hegel» e che ciò accade in virtù del suo «risultato finale», costituito «dalla dialettica della negatività come principio motore e generatore». Quel che mi preme ricavare da queste decisive indicazioni marxiane è una visione della dialettica hegeliana in cui essa viene destituita di ogni significato meramente metodologico e riferita al suo «luogo di nascita», a quello che potremmo chiamare il suo "campo d'esperienza" primario, individuato nell'«autoprodursi dell'uomo come un processo». Marx sottolinea che così Hegel coglie tanto l'essenza del lavoro, che quella dell'uomo, consistente nella sua automanifestazione attraverso l'attività lavorativa. Questa implica un movimento negativo e il suo superamento, un oggettivarsi, un alienarsi, per poi ritrovarsi in quanto tale. La realizzazione della soggettività richiede che essa si opponga a se stessa, esca da sé per poi ritornare in se stessa. Nonostante il rovesciamento del punto di partenza hegeliano, vale a dire il trasferirsi dal movimento del pensiero al terreno del «reale attivo comportamento» umano, troviamo, comunque, nell'impostazione di Marx un recupero quanto mai significativo dei contenuti della Fenomenologia dello spirito. Inanzitutto, assistiamo alla ripresa marxiana dello stretto legame fra poiesis e praxis, derivante dalla sovrapposizione dell'azione all'attività lavorativa. Hegel compie tale operazione già nella famosa sezione sulla relazione fra il signore e il servo, il cui lavoro viene interpretato sulla base del paradigma del riconoscersi nel proprio risultato. Lavoro e azione sono accomunati dall'essere entrambi delle modalità ineludibili, non solo della realizzazione degli individui, ma anche della costituzione della realtà stessa. Tutta la Fenomenologia ruota intorno alla questione dell'agire, di cui può essere soggetto solo il singolo, un agire che risulta, così, affetto da un inevitabile tratto particolaristico, ma a cui comunque è demandata la costituzione della dimensione dell'effettivamente esistente. Hegel fa coincidere il destino del Sé con quello del sapere filosofico. La realizzazione della soggettività individuale e il compiersi del pensiero speculativo richiedono entrambi l'esplicitarsi di un principio attivo costituente. Il capitolo dedicato allo Spirito ripercorre il cammino del Sé dalla Grecia fino al presente e affida a questo processo storico la possibilità del dispiegarsi del sapere assoluto. Nell'assimilare così in profondità la Fenomenologia, Marx va oltre l'antropologia feuerbachiana, coglie che l'aspetto decisivo è la configurazione sempre storicamente determinata del rapporto fra l'azione dell'individuo e il suo contesto di appartenenza. L'idea di fondo, che guida la sua critica della formazione economico sociale capitalistica, l'istanza di una realizzazione dei singoli che sia al tempo stesso produttrice di unità, di una simultaneità di individuazione e socializzazione, costituisce, a mio avviso, una ripresa – per quanto non esplicita – della risposta hegeliana alle contraddizioni del presente, "soluzione" racchiusa nell'«ultima figura» della Fenomenologia, vale a dire nel riconoscimento fra l'autocoscienza agente e quella giudicante. In questo luogo capitale dell'intera speculazione hegeliana viene proposta una visione dello spirito come "comunità immanente", come un prodursi dell'unificazione a partire dal basso, dall'agire degli individui, così da assicurare un «Io che è Noi, e Noi che è Io». Lo spirito appare, allora, non un'ipostasi sostanzialistica, un assoluto autoreferenziale, ma una modalità di relazione fra le autocoscienze, le quali si incontrano, rinunciando alla propria immediata autosufficienza. Il riconoscimento finale è un movimento di accettazione dell'alterità, che viene colta come un elemento costituivo della soggettività, simultaneo alla sua immediata coincidenza con sé. In tale maniera emerge l'essenziale autocontradditorietà dell'autocoscienza, il suo essere nello stesso tempo identità e differenza, indipendenza e dipendenza. Il discorso hegeliano sul riconoscimento non tematizza, però, solo una redenzione dell'azione, la sanzione della sua capacità di compiere l'universale, andando al di là del particolare, ma contiene un'indicazione altrettanto decisiva, anche se di segno opposto: la messa in questione dell'universale. Nel riconoscimento si offre un superamento dei rischi di separatezza e inerzia che possono caratterizzare il pensiero nella sua universalità. L'autocoscienza giudicante, il sapere puro deve rinunciare alla pretesa di assolutezza. Se riflettiamo sul fatto che nella Fenomenologia Hegel lega al riconoscimento la nascita del sapere assoluto, possiamo comprendere come l' Anerkennung assicuri al sapere la capacità di de-assolutizzarsi, di aprirsi all'alterità, alla realtà incarnata dall'agire: l'unità hegeliana di pensiero ed essere implica che queste due forme di attività si incontrino, nel mostrarsi ognuna tanto sé, quanto l'altra. Marx non si sofferma esplicitamente sul riconoscimento, ma la sua idea di una socializzazione che salvaguardi l'individualità mi appare profondamente intrisa del movimento proprio di questa figura hegeliana. La ragione di questa assimilazione, tanto profonda quanto non pienamente consapevole, dipende a mio giudizio dal fatto che il riconoscimento, a partire dal capitolo sull'autocoscienza, opera in modo immanente lungo tutto il corso della Fenomenologia, costituendone una sorta di filo conduttore, così da non poter non entrare in profondità nell'orizzonte di coscienza di quello straordinario lettore del capolavoro hegeliano che è Marx.
La dialettica, nell'interpretazione marxiana, si presenta come
uno sguardo che permette di comprendere il carattere transitorio di
uno stato di cose esistente, di cogliere la sua negatività immanente.
Non si tratta di un pensiero negativo, ma di un sapere critico, che
affronta il proprio oggetto volendo mostrare il movimento del suo
autosuperamento. Marx dà compimento all'istanza hegeliana della
filosofia come «il proprio tempo appreso nel pensiero», misurandosi
non con una generica modernità, ma con dispiegarsi planetario del
modo di produzione capitalistico. Così le patologie del presente non
sono semplicemente descritte, ma riportate al loro meccanismo generatore. In
quanto "allievo" di Hegel, il cui pensiero accompagna il tramonto delle grandi
civiltà, Marx si interroga sul venir meno del capitalismo con uno sguardo non
apocalittico, ma fiducioso che, al di là
del dominio del capitale, il genere umano possa trovare la via di una
nuova forma di socializzazione possibile.
Roma, 31 ottobre 2010
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