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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 Straordinarie storie di altri mondi 19 A cavallo dei sogni 33 Dall'analisi logica al racconto fantastico 53 Storie su libertà, identità, diversità 83 Notizie dalla terraferma 91 Il piacere di pensare raccontando storie 97 Dibattito in classe 133 Storie appena nate 149 Parole chiave 163 Postfazione 171 di Alfonso M. Iacono |
| << | < | > | >> |Pagina 7La fantasia, la capacità di mettersi nei panni altrui, l'arte di raccontare storie e di capirle, è questo che fa di noi degli esseri umani. Bjφrn Larsson "Il porto dei sogni incrociati" "La realtà è la terraferma e la fantasia è l'immenso mare: c'è bisogno di tutti e due, perché ci può essere un mondo dove abitiamo e un altro dentro di noi dove navighiamo. Noi dobbiamo vivere in entrambi í mondi". Questo pensiero, espresso nel 2007 da Luigi nel corso di un dibattito svoltosi in classe quinta sul significato del narrare, rimanda al paradosso fondamentale della narrazione fantastica: l'accomiatarsi dalla realtà per favorire l'attraversamento del mondo reale. I racconti raccolti in questo volume, scritti nell'arco di circa trenta anni, sono le tracce delle esplorazioni svolte da piccoli marinai dell'immaginario abitanti in paesini ai piedi delle montagne Apuane, in terre di pianura e in terre accanto al mare. Le bambine e i bambini che scrivono storie non sono, per fortuna, rispettosi della realtà: trasfigurano, esagerano, inventano. Quando salpano per solcare l'"immenso mare", portano con sé zolle di terra, l'altra natura dei navigatori, perché sanno di non allontanarsi per sempre e sperano di tornare a casa con nuovi nutrimenti per la terraferma che abitano. Quando restano nel "mondo dove abitiamo", mantengono dentro frammenti di azzurro che ne alimentano la natura navigante in attesa di nuovi viaggi. I piccoli scrittori di storie hanno nella testa tante porte segrete che si aprono su mondi meravigliosi spaventosi, gratificanti, angosciosi, rasserenanti dove l'erba annienta il cemento e dove "sotto la sabbia c'è il mare". Sono animali curiosi e desideranti che, mentre navigano, si interrogano con domande non scritte ma agite nelle avventure che affrontano. Anche se non lo conoscono, si rifanno ad un aforisma kafkiano: "L'astenerti da domande ti avrebbe riportato indietro, domandarti ti trascina al di là di un altro oceano". Già in classe seconda Nicola aveva espresso questo pensiero: "... Prima dei punti esclamativi dobbiamo usare quelli interrogativi, prima di essere certi dobbiamo essere insicuri e farci delle domande". Nel racconto fantastico le domande non dette si traducono in pensieri per immagini che hanno dentro al contempo la datità e la magia delle cose, si attraversa quello che è avendo in mente quello che vorremmo che fosse. C'è sempre un'eco della realtà perché, come ha detto Paolo "... Se entri solo nella fantasia, dopo la mente ti si brucia e non riesci più a liberarti". La fantasia fine a se stessa può trasformarsi in un surrogato alienante che ci fa dimentichi di noi stessi e sopprime la vita vera. Anche nei racconti più sognanti e strabilianti, non si assiste ad un puro e semplice rovesciamento del reale nell'immaginario: compare un qualche richiamo alla vita quotidiana, un accento di realismo che non soccombe di fronte al potere seduttivo del fantasma dell'immaginazione come mera fuga verso un irreale rifugio consolatorio. Esiste una "dialettica pendolare" espressa in un intervento di Dea che richiama inconsapevolmente il motivo della "doppia porta" di Bloch, intesa come porta girevole fra il sogno e la realtà. "... Sarebbe bello vivere in un mondo fra fantasia e realtà. Così, quando vuoi scacciare la guerra o altre cose brutte, puoi aprire la porta della fantasia. Poi puoi riaprire quella della realtà e sperare che qualcosa sia cambiato".
Questo movimento di uscita/rientro, allontanamento/ritorno, è
spia di ciò che manca nel vissuto e chiede un risarcimento attraverso
l'oltrepassamento immaginario; ma ne avverte anche l'insufficienza, perché non
riesce a celare il desiderio inappagato di trasformare
il reale. Ecco, allora, il sogno di cose diverse, espressione di istanze
di cambiamento legate alla vita che emergono anche nei racconti
apparentemente più lontani dalla realtà: quelli che parlano di altri
mondi. Ci sono pianeti dove i bambini possono discutere con i grandi e dire
quello che pensano, perché la frase "Stai zitto che sei troppo piccolo!" è del
tutto sconosciuta; dove non ci sono né ricchi né
poveri e tutti possono vivere lavorando di meno e giocando di più;
dove vengono distrutte tutte le armi, "dalla bomba atomica alla
baionetta"; dove scompare l'inquinamento e la natura torna al suo
splendore originario; dove al dominio della merce si sostituiscono la
gratuità e il libero accesso alle risorse comunitarie; dove le persone
vivono libere e diverse rispettandosi a vicenda... Grazie alla forza
dell'immaginazione che si fa scrittura creativa, i bambini costruiscono un
ordine di realtà altro e diverso rispetto a quello che è loro
dato. Contrariamente allo stereotipo dominante, essi non sono ingenui e candidi,
sono coscienti del fatto che da sola l'arte non cambia
il mondo e tuttavia cercano in essa la possibilità di esprimere l'aspirazione a
diverse opportunità di esistenza che, almeno in qualche
misura, sperano di veder realizzate nella vita reale. Come ha detto
Viola: "La fantasia del narrare è finta ma vera, perché ci aiuta a capire la
realtà". La narrazione è anche conoscenza, una via per la comprensione. La
finzione per i bambini, ma vale anche per gli adulti, ci
parla di cose che sappiamo non esistere ma è fondamentale perché
ci aiuta a dare un senso al corso del mondo e a muoversi dentro di
esso senza farsi trascinare dalla corrente. La finzione può portare a
scoprire percorsi inaspettati e inesplorati che si aprono su spazi inediti dove
le strade non sono a senso unico. Il bisogno di creare le finzioni, proprio di
tutte le culture, non si esprime solo attraverso le
grandi narrazioni orali o scritte, si manifesta fin dalla prima infanzia.
Se ne sono resi conto anche le scolare e gli scolari che, nella sezione
del dibattito intitolata "Narrare senza scrivere", hanno sottolineato
come loro stessi in età prescolare abbiano giocato a "far finta di..."
perché, come ha detto Sebastian, "I bambini, anche se non sanno
scrivere, sono già in movimento con la mente". I giochi di identificazione
immaginativa sia che si ispirino a soggetti reali umani o
animali, sia ad esseri fantastici favoriscono il superamento dell'egocentrismo
e dell'indifferenza verso gli altri, la capacità di instaurare relazioni
empatiche e di avvertire se stessi come soggetti per i
quali i fenomeni della vita non avvengono davanti ma accadono dentro. I piccoli
si sentono viventi fra gli altri e cominciano a interpretare il mondo perché il
gioco del far finta non è mai puramente imitativo, quasi sempre produce uno
scarto e un altro modo di vedere
le cose che è essenziale per la costruzione di una personalità capace
di non adagiarsi nei modelli adattativi imposti dall'esistente.
Il bambino che narra giocando, ha in nuce inconsapevolmente
la caratteristica fondamentale dell'artista che è capace di essere qualcosa di
più di se stesso, di dar vita a sogni, pensieri e sentimenti diversi dai propri.
Affabulatori del pensiero I bambini crescono e vanno a scuola portando con sé la capacità e il desiderio di immaginare e raccontare, ma non sempre la scuola ne permette l'espressione. Esiste una funesta tendenza pedagogica che si traduce, anche se non pervasivamente, in una certa pratica scolastica improntata ad un dispositivo che vuole tutto etichettare, misurare e contare. Si ignora così ciò che davvero conta e non può essere semplicemente contato, a meno che non si attribuisca al termine l'accezione di contare come raccontare. Il prodotto il termine non è usato a caso, basti pensare all'espressione che parla di sviluppo della "filiera del capitale umano" attribuita in alto loco agli scopi dell'istruzione dovrebbe essere un bambino che non diverge e non va fuori canale, che si adegua e viene mortificato in un processo di apprendimento scarsamente significativo e motivante. Se, al contrario, si asseconda la via della narrazione, intrecciandola con tutte le altre forme di apprendimento, non si produce ma si ha un bambino che trova le sue strade, crea, sente, interpreta, costruisce le conoscenze e sviluppa quindi tutti gli aspetti della propria personalità. Eppure c'è chi pensa che il racconto fantastico sia un momento di evasione, una specie di ricreazione grazie alla quale gli scolari possono dare sfogo alla loro fantasia dimenticando per un po' le attività scolastiche più "serie". Un genitore ha espresso il proprio disagio per il fatto che la maestra in terza elementare aveva detto a sua figlia che non era più il caso di scrivere storielline fantastiche sugli animali, bisognava invece scrivere di cose vere e serie per prepararsi alle scuole medie. Nella speranza, purtroppo non nella certezza, che si tratti di un caso isolato, c'è da dire che al contrario il saper raccontare rappresenta prima di tutto un potente mezzo di apprendimento, favorisce inoltre lo sviluppo di una maturazione culturale e umana. I bambini, Bateson docet, sono naturalmente portati a "pensare per storie". Emanuele ha colto il legame che esiste fra narrazione e pensiero quando ha affermato: "Per me la narrazione è un grande fiume che si congiunge al mare dei pensieri". Se Emanuele ha ragione, è difficile pensare di costringere tante acque nella vasca dell'"ora di philosophy" programmata una volta alla settimana in base alle concezioni teoriche e alle pratiche didattiche di una certa filosofia per l'infanzia. Il pensiero delle bambine e dei bambini che raccontano storie non è strutturato e rigoroso: si dirama e si mimetizza nelle vicende narrate, spesso veicolato dal linguaggio metaforico. Il pensiero narrativo vive nelle sorprese, negli scarti spazio-temporali. Non è rettilineo, procede piuttosto a zig zag: si perde e si ritrova, si frammenta e si ricompone, vaga e prende una direzione... Θ un movimento che si svolge nella "vita finta ma vera": si incarna nei personaggi, si incontra con il simile e il diverso da sé in un pullulare di sogni, emozioni e pensieri, rimette in discussione il corso dato del reale aprendosi a ciò che è divergente e rimosso, scopre e ricerca, avvicina le cose più distanti fra di loro, rifugge dagli schemi. Nelle storie fantastiche si trovano connessioni inimmaginabili per un approccio di tipo causale fra cosmo e microcosmo, vicino e lontano, grande e piccolo, visibile e invisibile, surreale e quotidiano, assurdo e reale. La capacità infantile di istituire collegamenti vertiginosi e inconcepibili per la maggior parte degli adulti era stata già colta da Leopardi che in un passo dello Zibaldone così si esprimeva: "I fanciulli con la vivacità della loro immaginazione, e con il semplice dettame della natura, scuoprono e vedono evidentemente delle somiglianze e affinità fra cose disparatissime, trovano rapporti astrusissimi, dei quali converrebbe che il filosofo facesse gran caso, e non si sdegnasse di tornare in qualche parte fanciullo e ingegnasse di vedere le cose come essi le vedono... Θ vero che chi scuopre grandi e lontani rapporti, scopre grandi e riposte verità e cagioni...". Le capacità che Leopardi attribuisce al fanciullo e l'invito che rivolge al filosofo non hanno nulla a che fare con il richiamo al "fanciullino" e il conseguente ripiegamento inane e illusorio che tanto intriga gli adulti in crisi esistenziale; al contrario ci parla della necessità di superare modi di pensare schematici, settoriali, incanalati e in definitiva sterili. Nei racconti che seguono si potranno rinvenire molti esempi che suffragano il pensiero leopardiano; sono molte le tematiche filosofiche che a volte consapevolmente, più spesso inconsciamente, si affacciano nelle vicende narrate. Non è il caso di elencarle qui, chi vorrà potrà cercare di rinvenirle direttamente attraverso la lettura e magari confrontarsi con alcune di esse che compaiono nella sezione del volume dedicata alle "parole chiave". | << | < | > | >> |Pagina 19Un nuovo mondo: dulcioterra C'era una volta un cane che venne lanciato con un razzo verso la luna per fare un esperimento scientifico, ma la direzione era stata programmata male e, invece di andare sulla luna, arrivò su un pianeta extrasolare di nome Dulcior. Gli abitanti di quel paese erano esseri molto dolci: avevano infatti il tronco di cioccolata, le gambe di panna, le braccia di torrone con mani di crema, gli occhi erano canditi di vari colori, i giovani avevano capelli di liquirizia e i vecchi di zucchero filato. Il cane fu accolto dolcemente, invitato a visitare il pianeta e ad ascoltare le spiegazioni che gli avrebbero dato. Per prima cosa gli fecero vedere il paesaggio dove le case erano di vetro perché nessuno aveva qualcosa da nascondere, ogni casa aveva davanti grosse palme per rinfrescare l'ambiente. I monti erano formati da rocce torronee, caramellacee, cremacee, mielacee, ecc. gli alberi avevano il tronco e i rami di cioccolato, le foglie di menta. Fiumi di succo di mirtillo andavano a finire nei laghi di lampone o nei mari di more. Il cane rimase incantato a vedere quelle meraviglie e chiese notizie sugli abitanti di quel pianeta. Allora gli raccontarono che ogni tanto si dichiaravano la pace scambiandosi doni, abbracci e saluti, che le donne e gli uomini si aiutavano fra di loro nei lavori di casa e che in dieci secoli non era mai successo che un uomo fosse tornato a casa ubriaco e avesse picchiato la moglie. I maschi e le femmine potevano fare insieme il bagno nudi nelle piscine senza vergognarsi. Lavoravano tutti e non c'erano né ricchi né poveri, il lavoro durava soltanto due ore al giorno e bastava per vivere, il resto del tempo lo passavano a leggere una specie di libri sui computer o a giocare a pinpongà, a tressotto, a rimbalzinzà, a ballonzolà, a girellà...
I bambini erano completamente liberi di giocare a quello che
volevano e di andare a scuola quando ne avevano voglia. Potevano
anche bagnarsi perché lungo le strade, attaccati agli alberi, c'erano
dei phon a disposizione di tutti per asciugarsi. Ogni paese aveva cinque
parchi-giochi dove c'erano bob-solari per andare sui raggi solari quando avevano
voglia di cambiare sistema, scivolini nuvolari,
dischi volantini e astronavucce... Di quegli attrezzi ce n'erano tanti
e per questo i bambini non litigavano mai per salire prima degli altri.
Quando avevano sete, c'erano delle fontane con tanti zampilli di
acqua fresca e sciroppi di mirtillo, amarena, lampone, arancia, ciliegia,
ribes... Per bere quello che uno voleva bastava pigiare il pulsante della
bevanda scelta. Inoltre i bambini potevano fare molti altri
giochi e si divertivano tanto a giocare:
e altri tremilaottocentoquarantasei giochi. Quando avevano voglia di giocare all'aperto potevano pigiare il pulsante del bel tempo che si trovava sui muri comunali, quando volevano stare in casa pigiavano quello della pioggia. Ma i bambini non giocavano e basta, potevano anche dire quello che pensavano quando i grandi discutevano; la frase "Stai zitto che sei troppo piccolo" lassù non la conoscevano nemmeno. Sapute queste cose, il cane volle conoscere la vita dei cani su Dulcior. Gli dissero che i cani erano tutti legati, allora lui si lamentò: "Accidenti! Anche qui i cani stanno male". "Ma no" gli risposero "facci finire il discorso! Volevamo dire che sono legati da amicizia e che í cani randagi non esistono: ogni cane può andare a mangiare dove vuole e non ha un padrone che lo incateni". Allora il cane disse: "Beati i cani di qui! Noi invece siamo legati da catene pesanti, molti di noi vivono randagi trovando poco cibo e tanti calci, poi ci sono i cani da caccia".. I suoi ospiti, che non conoscevano quella parola, gli chiesero che cosa significasse e il cane rispose: "La caccia c'è quando i cani aiutano i loro padroni ad ammazzare gli uccelli". "Ma come!?" esclamarono i dulcioresi "Sono così selvaggi laggiù". Il cane chiese quale rapporto c'era su Dulcior fra i suoi colleghi e gli uccelli e gli risposero: "Qui non mandiamo i cani contro i loro fratelli uccelli, giocano insieme a chiappinolà e a rimbuscà". A un certo punto si sentì una musica dolcissima che accompagnava l'arrivo del presidente della repubblica Cioccolò Marzapani che era venuto per vedere il nuovo arrivato. Il presidente accarezzò íl cane e gli chiese come stava. Il cane, sentendosi trattare così da una persona tanto importante, rimase scioccato e non riuscì a dire niente. Allora il presidente gli disse: "Non ti agitare, qui da noi il presidente è un uomo come gli altri che parla con tutti e ascolta tutti, dimmi un po' come ti trovi sul nostro pianeta e se c'è qualcosa che non ti va". Il cane si fece coraggio e rispose: "Mi trovo benissimo, mi sembra di essere in paradiso". Poi il presidente gli chiese come andavano le cose sulla Terra. Il cane raccontò tutte le disgrazie del nostro mondo: gli animali torturati e uccisi, la natura insultata, la violenza fra gli uomini, le guerre combattute con armi spaventose, la droga, i morti per fame, le persone che si ubriacano per dimenticare la tristezza... Al presidente uscirono i canditi dalle orbite ed esclamò: "Per tutti i dolci del nostro pianeta! Ma come fate a vivere in quel modo? Gli uomini mi sembrano tutti matti". Poi parlò con i suoi concittadini e decisero insieme di andare sulla terra per convincere gli uomini a cambiare sistema di vita. Partirono con le loro astronavi più avanzate che facevano tremilaottocento chilometri al secondo. In poco tempo arrivarono a destinazione e, prima di scendere, il cane disse di stare attenti, perché gli uomini quando vedono esseri viventi diversi li cacciano senza pietà. I dulcioresi non avevano paura di nulla e scesero dalle astronavi; li videro dei bambini che stavano giocando a pallone e scapparono. Solo uno più coraggioso rimase lì e, quando si accorse che erano fatti di dolci, chiamò i suoi amici. Gli esseri extrasolari si fecero leccare da capo a piedi e ben presto diventarono amici dei bambini, allora pensarono: "Non tutti sulla terra sono cattivi". Ma ebbero appena finito di pensarlo, quando furono visti da alcuni adulti che urlarono: "Aiuto! Vogliono rapire i nostri figli, ci sono dei mostri!". Poi corsero a chiamare l'esercito. Quando arrivarono i soldati, i dulcioresi volevano spiegare perché erano venuti ma non fecero in tempo: il generale Citrullotto Comandoni urlò ai bambini: "Andate via mocciosi! Non parlate con degli stranieri cattivi". I bambini scapparono e subito dopo il generale ordinò di sparare: addosso a quei dolci esseri arrivarono fucilate, mitragliate e cannonate, ma non facevano loro neanche il solletico. Il generale, a vedere che le sue armi non facevano nulla ai "nemici", si arrabbiò e si voleva strappare i capelli per la disperazione; la sua rabbia fu ancora più grande quando si ricordò di avere la testa pelata. Allora, strillando come un galletto amburghese Vallespluga prima di essere strozzato, ordinò la ritirata. Il presidente scosse la bianca chioma di zucchero filato e disse sconsolato: "Questi uomini, oltre che cattivi, sono anche scemi: si spaventano di nulla e non parlano con chi non conoscono, è meglio tornare su Dulcior perché tanto qui non c'è nulla da fare". Ma intanto il cane era andato a cercare tanti suoi fratelli e aveva raccontato a loro delle meraviglie del pianeta extrasolare. I bambini piangevano perché volevano leccare ancora quegli esseri deliziosi. Allora i dulcioresi commossi decisero di portare con loro cani e bambini. Arrivati sul pianeta, i cani e i bambini conobbero la bellissima vita che si faceva lassù. I cani vivevano liberi come uccelli nell'aria quando non ci sono cacciatori, a provare la libertà erano tanto contenti che facevano salti di gioia alti quattrocentottantacinque metri, sette decimetri, quattro centimetri e tre millimetri; abbaiavano con un suono squillante e allegro come quello delle trombette di carnevale. I bambini provarono la contentezza di sporcarsi e bagnarsi senza essere brontolati, conobbero i giochi più mirabolanti dell'Universo, si dedicarono tutti all'alpinismo per leccare le dolci rocce senza coloranti che non facevano male, andando in tasca alla carie e ai dentisti trapananti: i lecca-lecca in confronto erano pinzillaccherine. Ma soprattutto furono felici di vivere in famiglie dove non si litigava mai e di poter aprire un colloquio con persone più grandi. Dopo venti anni di quella bella vita il cane morì di vecchiaia fra i pianti di tutti e gli ex bambini terrestri, ormai diventati adulti, gli fecero un monumento di torrone ultraresistente per poterlo ricordare sempre. Gli umani avevano imparato a vivere come i dulcioresi e sentirono il desiderio di educare anche gli altri uomini a vivere secondo il sistema di Dulcior, per questo una notte la Terra si sentì sollevare da una macchina astrostellare ultrapotente e si ritrovò accanto al pianeta extrasolare. Quando si svegliarono, gli umani furono accolti dagli ex terrestri che cercarono di spiegare loro la vita del pianeta per convincerli a restare lassù. Quasi tutti accettarono di fare una prova di cinque giorni; quelli che erano contrari, per esempio i generali Comandoni, Urloni, Prepotenti, Guerranti, Guerrazzi, Imbecillotti, Crudelini e i presidenti Reganelli e Sbregneffe, furono cacciati a calci e dispersi nello spazio infinito... Passati i cinque giorni di prova, tutti gli umani rimasti furono entusiasti e decisero di far attaccare la Terra a Dulcior. Robot e macchine spaziali ripulirono gli oceani, i fiumi e i laghi, distrussero tutte le armi dalle bombe atomiche alle baionette, eliminarono l'inquinamento dalle città e riportarono il mondo terrestre al suo splendore naturale. Alla fine fecero una grande festa con balli, giochi e banchetti e dall'unione fra i due pianeti nacque un nuovo meraviglioso mondo: DULCIORTERRA. Nicola, Angelo, Massimo | << | < | > | >> |Pagina 94IO E L'ALBANIAQuando sono andato con l'aereo in Albania il paese dove sono nato insieme alla mia famiglia, il mio zio ci stava aspettando all'aeroporto per portarci a casa dei miei nonni. Vicino all'aeroporto il paesaggio era tutto secco e rovinato, invece dai miei parenti in montagna era tutto ordinato e bello. I miei amici albanesi e i vicini dei miei nonni ci hanno fatto visita e ci hanno salutato, poi io e i bambini siamo andati a giocare nel nostro campetto di calcio. In Albania quasi tutte le persone sono povere e vanno a vendere nei mercati la frutta e la verdura che producono nei loro campi. Nei posti più importanti le persone sono ricche e hanno negozi o ristoranti. Il mare dell'Albania è bello, perché c'è la sabbia bianca ed è ricco di tanti pesci colorati. Il clima dell'Albania è caldo e quasi tutti i giorni si può andare a fare il bagno in mare. Il panorama è bellissimo, perché si vede il sole sfumato di giallo, arancione e rosso. In Albania ci sono moltissimi animali, soprattutto ci sono tante aquile, così tutti la chiamano "il paese delle aquile". Tempo fa l'Albania era una nazione molto povera e le città erano tutte in disordine; ora comincia a cambiare perché la vita è migliore e gli uomini si sono sviluppati. Nelle scuole albanesi ci sono maestri troppo severi e gli scolari possono parlare poco. Nella mia scuola in Italia invece si può parlare. Un giorno il maestro ha letto un mito dell'Amazzonia che parlava di uccelli senza colori e del dio sole che glieli regala, facendoli tuffare nell'arcobaleno quando l'aquila li guida verso la sua casa. Alla fine della storia il maestro mi ha chiesto se la storia mi ricordava l'Albania e pensava che gli rispondessi che l'Albania è "il paese delle aquile"; invece io gli ho risposto che quando sono venuto in Italia ho trovato i colori dell'amicizia come un uccello che ha trapassato un arcobaleno. Elvis Classe 5 | << | < | > | >> |Pagina 95MEMORIE DAL SUDANIl mio nome è Beatrice, ho undici anni e adesso vi racconto la mia esperienza di viaggio in Sudan. Ero a Masa Alam in Egitto e insieme ai miei nonni ero partita per andare a fare una camminata nel deserto sopra un cammello, almeno era quello che mi avevano detto. Quando il pullman si è fermato, ho visto che ero in un paese poverissimo: il Sudan. Appena messi i piedi sulla sabbia, tanti bambini mi guardavano meravigliati, la mia nonna ha dato loro dei chewing-gum e i bambini si sono messi a ridere dalla gioia. Anche quando un signore di nome Sergio ha distribuito delle caramelle erano contenti. Ho camminato un po' e sono arrivata in un allevamento di cammelli da commercio, erano bellissimi e facevano delle espressioni simpatiche. Quando sono uscita dall'allevamento ho visto dei bambini che vendevano delle collane e una "guardia" li ha allontanati con delle bastonate perché non voleva che dessero noia a noi. Dopo pochi minuti sono arrivata in un "villaggio turistico" del Sudan. C'erano tanti negozi e io, entrando in uno di essi, ho visto un piccolo bambino con gli occhi spalancati che mi fissava stringendo verso il petto un succo di pesca che forse qualcuno gli aveva regalato: lo stringeva come se fosse un tesoro! In un negozio ho comprato un fiore che, se lo lasci dieci giorni nell'acqua, emana un profumo buonissimo. Dopo sono andata in un ristorante dove tutti i bimbi da una specie di finestra guardavano il cibo: molti mangiavano tranquillamente ma i miei nonni ed io non ce l'abbiamo fatta a mangiare mentre gli occhi dei bambini poveri e affamati ci fissavano. In quel viaggio ho fatto amicizia con dei bambini che hanno un cuore pieno di speranza. Quando venivo via dal Sudan ho riflettuto su quello che mi dice sempre la mamma: "Devi accontentarti di quello che hai, sei una bimba fortunata". Adesso ho capito che non bisogna desiderare di aver sempre di più. Prima, quando vedevo certe immagini alla televisione era una cosa; vedere, toccare e sentire la sofferenza delle persone dal vivo è tutta un'altra cosa. Adesso ho la nostalgia di quei bambini che mi guardavano perché io vorrei aiutarli, ma come faccio? Ho solo undici anni. Spero che i bambini del Sudan, e non solo loro, abbiano un futuro migliore che non vivere in baracche accanto a delle "villone". Vi prego, ascoltate il vostro cuore, io vi chiedo: volete dare nutrimento al corpo dei bambini poveri e luce alla loro mente, volete che abbiano un cuore colorato? Il mio viaggio è finito: può sembrare corto, invece è lungo, perché andando in Sudan e vivendo quei momenti la mia vita ha trovato un senso e un futuro. Beatrice Classe 5° | << | < | > | >> |Pagina 140IN PRINCIPIO Θ UN FOGLIO BIANCOFRANCESCO P. Un foglio bianco non vale nulla, un foglio scritto non è completo. Un foglio scritto e letto è perfetto per far scorrere meglio il meccanismo mentale ma se la mente non ti fa immagazzinare le idee, non si può andare avanti col narrare e il foglio resta bianco. RACHELE Io non sono d'accordo con Francesco P., perché per me il foglio scritto è completo. Dentro ci possono essere sentimento, amore e fantasia e, anche se non lo fai leggere, è lo stesso: può darsi che quello che scrivi sia un segreto che non vuoi rivelare a nessuno. FRANCESCA Io non sono d'accordo con Francesco P. perché, come ha detto Rachele, nel foglio scritto e non letto ci possono essere cose da tenere nel cuore e che servono nella vita. FRANCESCO G. Anch'io non sono d'accordo. Un foglio vale, bianco o scritto, perché se non ci fosse il foglio bianco non ci sarebbero né la scrittura, né la lettura. EDOARDO Io sono d'accordo con Francesco G., perché il foglio bianco è l'inizio e senza il foglio bianco non esisterebbero lo scrivere, il narrare e il leggere. EMANUELE Io penso che lo scrivere è un uomo che immagazzina nel foglio bianco parole pensieri e immagini che formano un testo. FRANCESCO P. Adesso capisco quello che hanno osservato sul mio pensiero Rachele e Francesco G.; ma ognuno può essere diverso dall'altro.
VIOLA Io do ragione a Francesco P, un foglio non letto, per
quanto sia bello, in un certo senso non vale nulla. Però lo contraddico
anche: chi lo ha scritto si è immerso nei sogni e, anche se non viene
apprezzato attraverso la lettura, è felice di aver sognato.
PERCHΙ SCRIVIAMO? LEONARDO Scrivere assomiglia a tante cose: ad un fiume che ti corre nella mente e ti porta a scoprire, al movimento del cuore che ti brilla, ad un albero che fa scendere sul foglio le foglie d'inchiostro, ad una luna che non viene mai oscurata. PAOLO Per me chi non vuole divertirsi a leggere e a raccontare è un muro che circonda il vuoto. EDOARDO Narrare è viaggiare in un mondo immaginario con le persone che vuoi tu, facendo esperienze che nella realtà non puoi vivere. Come ha detto Martina, scrivere è anche un modo per sfogarsi e non prendertela con qualcuno, raccontare le tue cose personali parlando di altri. VIOLA Narrare è importante perché, se nella realtà sei imprigionato o c'è uno scoglio che ti impedisce di viaggiare, se sai narrare puoi viaggiare in un altro mondo. Il narrare e il leggere portano all'ascolto del pensiero degli altri, delle loro richieste di aiuto. Ma portano anche all'ascolto dei pensieri dentro di me, soprattutto quelli che le menti nere non ascoltano. La nostra vita è una storia che si narra dalla nascita fino alla morte. DAVIDE Sono d'accordo con Edoardo: anch'io alcune volte attraverso i personaggi delle mie storie dico cose che mai direi nella realtà. FRANCESCO G. Per me, quando uno scrive un testo fantastico, certe volte scrive cose che sono accadute a lui e non le vuole raccontare in un testo realistico perché ha paura. MARTINA Io ho preso lo spunto dello scrivere come sfogarsi dal libro "Venerdì o la vita selvaggia", pensando a Venerdì che si sfogava con un pupazzo invece che con una persona. Quando scrivi, certe volte il personaggio sei tu che ti racconti attraverso un'altra persona. LUIGI Quando scrivi sogni le cose che desideri di più e che vengono dal profondo del cuore. MARTINA Scrivere fa pensare, immaginare: così puoi attivare la parte più importante di te. JACOPO Quando racconti una storia puoi andare in tutti i mondi stando fermo. DAVIDE Scrivere è partire da una foglia sola che cerca di trovare la sua famiglia fatta di migliaia di foglie e, quando finalmente la trova, nasce il testo. | << | < | > | >> |Pagina 156I BAMBINI AMANO L'AUTOBUSC'era una volta un autobus che era dispiaciuto perché non aveva più un lavoro: tutti andavano in macchina e lui si sentiva solo e scansato. Un giorno, mentre andava in giro rattristato con i fanali mezzi chiusi e piangenti, capitò in un paese molto povero. C'erano dei bambini che vivevano in case mezze rotte e avevano molto poco da mangiare, non possedevano nemmeno una bicicletta e qualche giocattolo e non potevano andare a scuola. L'autobus disse ai bambini: "Ma voi non ce l'avete la macchina? Avete voglia di fare un bel viaggio con me?". I bambini risposero di sì, felici come girasoli quando vedono la loro vita luminosa brillare nel cielo. Finalmente l'autobus aveva qualcuno che lo consolava e gli faceva compagnia, accese il motore e cominciò un viaggio meraviglioso. Prima di tutto i bambini furono portati in un paese dove potevano mangiare tutto quello che volevano e, finalmente, riempirono le loro pance di cibo e i loro cuori di gioia. Poi l'autobus li portò in un paese dove c'erano biciclette e giocattoli di tutti i tipi che i bambini prima guardarono con occhi meravigliati, poi li presero d'assalto per sfogare il loro desiderio di giocare che prima non si era mai realizzato. Infine l'autobus portò i bambini in una scuola dove potevano giocare fra amici, studiare in modo divertente per imparare tante cose nuove che facevano felici i loro cervelli. L'autobus non era più solo e triste, perché era diventato amico dei bambini poveri e aveva regalato loro una vita bellissima fatta di amicizia, gioco e conoscenza.
Sara, Rachele
L'ALLEGRO MONDO DI BOEMONDO C'era una volta un T-rex, avete già paura eh?. Non vi spaventate! Quel T-rex, che si chiamava Boemondo, era molto strano e non voleva fare nulla di male a nessuno. Ma un giorno uno scienziato pazzo lo costrinse ad essere cattivo facendogli una puntura di droga; quello scienziato voleva comandare a tutti spaventandoli con una macchina da guerra vivente. Il T-rex cominciò ad infuriarsi: abbatteva tutto quello che trovava, sradicava gli alberi, ammazzava gli animali e le persone con unghiate gigantesche. Il terrore fece scappare tutti e lo scienziato era arrabbiato perché non c'era più nessuno per comandargli o fargli del male, allora urlava dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina: "Voglio comandare! Venite qui!!". Il T-rex non ne poteva più delle sua urla, così lo artigliò, lo strizzò e ci fece ketchup umano. Dopo la morte dello scienziato finì l'effetto malefico della puntura e il T-rex tornò quello che era prima: un gigante gentile e affettuoso. Si sparse la voce e persone ed animali tornarono nel villaggio che diventò il più tranquillo e divertente, specialmente per i bambini che giocavano a fare lo scivolino saltellante in groppa a Boemondo e si divertivano un mondo.
Ilya, Sergio
AMICIZIA E BALLO IN PORTOGALLO C'era una volta un canguro volante che viaggiava nel cielo sereno dell'Australia, un giorno però decise di lasciare il suo paese perché aveva voglia di esplorare nuove terre e conoscere nuove cose. Salutò i suoi amici saltellanti e partì. Volando, volando, arrivò nella città di Londra e vide dei grattacieli enormi, gli venne voglia di fare il salto in lungo fra l'uno e l'altro. La gente che passava per le strade per andare al lavoro lo vedeva dal basso e pensava che il canguro fosse un uccello mostruoso e gigantesco diverso da tutti gli altri. Le persone terrorizzate chiamarono la polizia, l'esercito e i carabinieri. Addosso al povero canguro arrivarono un sacco di proiettili ma lui era bravo a schivarli tutti. Fra un proiettile e l'altro il canguro volante si domandava: "Ma perché mi sparano? Sono qui che gioco, che cosa ho fatto di male?". Poi, triste e deluso, prese il volo e dopo un po' di tempo arrivò in Portogallo. In una grande piazza c'era una festa da ballo, tutte le persone erano vestite con colori allegri e anche il loro cuore era tutto colorato. Quando videro quello strano animale volante, lo invitarono a ballare e lui cominciò a svolazzare leggero come una piuma, poi invitò le persone a fare dei giretti in cielo sulla sua groppa. In Portogallo avevano accolto il canguro come un animale simpatico e amico, così lui si sentiva felice e decise di vivere un po' in Portogallo con i suoi nuovi amici e un po' in Australia con i suoi fratelli saltellanti.
Virginia, Sendy, Silvia
UNA STORIA NERA C'era una volta un bambino che voleva avere un cane e un giorno andò a prenderne uno abbandonato in un canile. Per disgrazia, però, aveva scelto un cane cattivo che dopo dieci giorni lo sbranò e lasciò i suoi resti nel giardino. Arrivarono delle streghe che presero le ossa e le budella per farci delle pozioni e degli intrugli ma, quando stavano per portarle nella loro fabbrica di malvagità, arrivarono cinque lupi affamatissimi. I lupi divorarono le streghe e con il loro sangue ci fecero un brindisi. All'improvviso in lontananza si sentì il suono di un'ambulanza, perché qualcuno aveva avvertito che aveva visto un bimbo morto. Quando l'ambulanza arrivò, i lupi ancora affamati mangiarono i medici e gli infermieri, poi ballarono e ulularono di gioia quando apparve la luna nella notte fonda. A mezzanotte, l'ora dei mostri, arrivò un esercito di vampiri comandato dal conte Dracula. I vampiri succhiarono il sangue dei lupi belli grassi, poi andarono in giro per succhiare il sangue a tutti i viventi che incontravano. Quella terra diventò "la terra fantasma" dove era sempre notte e rimasero vivi solo i vampiri "sfelici" e scontenti, perché non avevano più nessuno da infilzare con i denti. Allora quei mostri cominciarono a mordersi fra di loro nella prima guerra vampiresca, morirono tutti e rimase soltanto la notte profonda, desolata e disabitata.
Jason, Adriano
L'INCANTO DEL CANTO C'era una volta una gatta rosa di nome Rosina che voleva diventare una star della musica come Gianna Nannini, non per fare i quattrini, ma perché la musica le piaceva tanto anche se non sapeva suonare e cantare. Un giorno incontrò un signore famoso bravissimo a cantare: era un musicista che, quando seppe del suo desiderio, le diede tante lezioni gratis perché era contento che anche una gatta volesse diventare una musicista come lui che senza musica non poteva vivere. Rosina imparò a cantare e a suonare il pianoforte, cominciò ad andare in giro per le strade a fare spettacoli per regalare a tutti la bellezza della musica e la felicità del suo cuore. Un giorno ad ascoltarla c'era anche un gatto nero che si innamorò di lei a prima vista e alla prima nota. Si sposarono e andarono in viaggio di nozze a Parigi per visitare la Torre Eiffel. Dopo un po' di tempo nacquero quattro cucciolini: uno bianco come la neve, uno nero come il carbone, uno marrone come il cioccolato e uno viola come una violetta. Lasciarono Parigi per conoscere altri posti e dopo cinque giorni di cammino trovarono una casa disabitata, guardarono che non ci fossero dei pericoli ed entrarono. Dentro videro dei gatti prigionieri di quattro cagnacci. I due sposi fecero un piano: Rosina distraeva i cani con la sua arte musicale e il gatto nero liberava i prigionieri. Non ci fu bisogno di fare una lotta perché i cani, quando sentirono il canto di Rosina, ebbero il cuore pieno di felicità e cominciarono a ballare con i gatti prigionieri. Alla fine ci fu una grande festa a cui furono invitati tutti i cani e i gatti del mondo che non erano più "cani e gatti", ma animali diversi amici più che mai. La musica aveva fatto il miracolo della pace e sarebbe bello se anche gli umani ascoltassero e capissero il canto della gatta Rosina.
Lisa, Gaia
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