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| << | < | > | >> |Pagina 11 [ inizio libro ]La cosa era questa:Un milione di anni fa, nel 1986 dopo Cristo, Guayaquil era il principale porto marittimo del piccolo stato democratico sudamericano denominato Ecuador, la cui capitale, Quito, si situava ad alta quota tra le Ande. Guayaquil sorgeva due gradi a sud dell'equatore, immaginaria cintura del pianeta donde il paese traeva il proprio nome. Faceva sempre molto caldo, a Guayaquil: caldo e umido, perché la città era ubicata nella zona delle calme equatoriali, e per l'esattezza in una pianura paludosa percorsa dalle acque commiste di numerosi fiumi che defluivano dalle montagne.
Il porto distava parecchi chilometri dal mare aperto.
Non di rado strati vegetali, simili a zattere, ostacolavano
il lento fluire delle acque, aderendo tenaci alle
palificazioni e alle catene delle ancore.
A quel tempo gli esseri umani erano dotati di cervelli molto più grossi di quelli attuali, e di conseguenza potevano lasciarsi sedurre dai misteri. Uno di tali misteri era come un numero tanto elevato di creature incapaci di percorrere grandi distanze a nuoto fosse riuscito a raggiungere le isole Galápagos, un arcipelago di picchi vulcanici a ovest di Guayaquil, che mille chilometri di acque molto profonde e molto fredde provenienti dall'Antartide separavano dalla terraferma. Quando l'umanità scoperse le isole in questione, già vi risiedevano i gechi e le iguane e i ratti del riso e le lucertole e i ragni e le formiche e gli scarabei e le cavallette e gli acari e le zecche, per tacere di enormi tartarughe terrestri. Di quale mezzo di trasporto si erano serviti?
Molti soddisfacevano i loro grossi cervelli dandosi
questa risposta: erano arrivati a bordo di zattere naturali.
Altri obiettavano che queste zattere s'impregnavano d'acqua e marcivano con tale rapidità, che nessuno ne aveva mai viste in alto mare, dove la costa era invisibile, e che d'altronde la corrente che agiva tra le isole e il continente avrebbe sospinto quelle rudimentali imbarcazioni non verso ovest, bensì verso nord.
Asserivano pertanto che quella gente aveva percorso a
piedi asciutti un ponte naturale, e che aveva coperto a
nuoto i brevi intervalli che separavano le pietre di un
guado, dopo di che l'una o l'altra di queste formazioni era
stata inghiottita dalle onde. Ma nel 1986 gli scienziati,
utilizzando all'uopo i loro grossi cervelli e una vasta
gamma di strumenti altamente sofisticati, avevano tracciato
una mappa completa dei fondali oceanici, e non vi era
traccia - dicevano costoro - di una massa terrestre
intermedia, di qualunque tipo.
Altre persone, sempre in quell'èra di grossi cervelli e fervido pensiero, affermavano che in altri tempi le isole avevano fatto parte della terraferma e che s'e n'erano staccate per effetto di qualche portentoso cataclisma. Ma nulla nelle isole lasciava credere che fossero state strappate da qualcosa. Si trattava con ogni evidenza di vulcani di recente data, vomitati alla superficie là dove esistevano. Molti erano così neonati, che sembrava lecito aspettarsi di vederli riattivarsi da un momento all'altro. Nel 1986, non avevano ancora prodotto grandi quantitativi di corallo. Mancavano pertanto le candide spiagge e le lagune azzurre, piacevolezza che molti esseri umani usavano considerare le pregustazione di un ipotetico, favoloso Aldilà.
Oggi, un milione d'anni dopo, le isole vantano realmente
spiagge candide e lagune azzurre. Ma all'epoca in cui ha
inizio questa storia erano ancora un orrido succedersi di
groppe e cupole e coni e cocuzzoli di lava, friabile e
abrasiva, tutta fenditure e conche e valli e cavità che non
sovrastava sorgenti d'acqua dolce o fertili distese di
terriccio, ma depositi di cenere vulcanica, finissima e
asciutta.
Un'ulteriore teoria di quei tempi remoti sosteneva che
l'Onnipotente avesse creato quegli esseri umani nel luogo
stesso in cui gli esploratori li avevano trovati, sicché era
inutile formulare congetture sul mezzo di trasporto.
Secondo certuni gli abitanti erano invece stati scaricati a due a due dalla passerella dell'arca di Noè.
Se davvero ci fosse stata un'arca di Noè - e può darsi
davvero che sia esistita - potrei intitolare il mio racconto
"Una Seconda Arca di Noè".
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