|
|
| << | < | > | >> |IndicePREFAZIONE VII PROLOGO I ragazzi dell'Edificio 26 1 1 Gli hacker della West Coast: la computer liberation 15 2 Hippie, ma anche nerd 33 3 I primi terrestri su Altair 6 47 4 Trenta persone in un garage. Nasce l'Homebrew Computer Club 61 5 Dovete pagare il mio software. Firmato Bill Gates 75 6 Non del tutto contrari a fare soldi 91 7 Ho pensato a un grande nome: Apple Computer 109 8 La versione di Lee. Il Sol 20 e l'Osborne I 127 9 Game over, tornatevene a casa 139 EPILOGO L'eredità dell'Homebrew Computer Club 159 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 166 |
| << | < | > | >> |Pagina 15Capitolo 1
GLI HACKER DELLA WEST COAST: LA COMPUTER LIBERATION
1 In 2001 Odissea nello spazio HAL 9.000 è un supercomputer intelligente: HAL 9.000 è il sogno del MIT trasformato in incubo, figlio dell'atmosfera della East Coast e, non per caso, Stanley Kubrick era di New York. In Guerre stellari i computer hanno braccia e gambe, sono simpatici e collaborano con i protagonisti della storia, Jedi o Sith che siano, e non a caso George Lucas, per realizzare i suoi sogni, aveva recintato lo Skywalker Ranch appena fuori San Francisco. Michael Swaine è uno dei più convinti a sottolineare le distanze fra i due mondi: "Forse era lo spirito del 'si può fare' tipico della California, come se tutto fosse possibile: comunque è qui che è cominciato tutto", ma questo è vero non solo nel tipo di computer science che l'università produce, ma anche nei risultati che porta in dote nel mondo reale. "C'era un rapporto molto stretto tra l'Università della California, Berkeley, il movimento hippie e le prime esperienze imprenditoriali della zona." Queste premesse sembrano essere le uniche in grado di togliere il potere del computer dalle mani della "casta": "Lo spirito degli hacker e anche l'etica degli hacker, l'idea che il potere dei computer debba essere sottratto alla casta e portato nelle mani degli individui, era una cosa presente su entrambe le coste, ma solo sulla West Coast divenne qualcosa di imprenditorialmente rilevante", conclude Swaine.
A livello accademico in senso stretto, c'è una radicale differenza
nell'immaginare una macchina intelligente in grado di pensare come e
meglio dell'uomo e una macchina in grado di ampliare le potenzialità
dell'essere umano. C'è tutta la differenza di poche decine di metri di
asfalto: quelli che separavano lo Stanforf Artificial Intelligence Laboratory,
detto affettuosamente SAIL, di John McCarthy, dallo Stanford
Research Institute, abbreviato in SRI, dove operava Douglas Engelbart.
Sebbene per passare da un laboratorio all'altro bastasse grosso modo
attraversare la strada, i due centri non potevano avere due visioni più
divergenti circa il ruolo e il futuro dei computer nella vita dell'uomo: lo
zio John giocava a fare Dio, Douglas Engelbart, qualche anno prima di
Jim Morrison e qualche anno dopo Aldous Huxley, voleva aprire all'uomo le porte
della percezione.
DOUGLAS ENGELBART Pioniere della ricerca sull'interazione uomo-macchina, Douglas Engelbart occupa un posto fondamentale nella storia dell'informatica grazie alle brillanti intuizioni che hanno guidato le sue ricerche. Nato in Oregon nel 1925, dopo aver terminato gli studi, si iscrive alla facoltà di ingegneria elettrica, che deve interrompere dopo poco per dedicarsi al servizio militare in marina. Folgorato dalle pubblicazioni di Vannevar Bush, ideatore del concetto di ipertesto, Engelbart capisce sin da subito l'importanza di facilitare l'accesso alla tecnologia informatica. Terminata la guerra, consegue il dottorato a Berkeley, dove continua a fantasticare sul calcolatore analogico MEMEX immaginato da Bush: un sistema con cui sarebbe stato possibile registrare i propri dati (libri/archivi), per poi visualizzare contemporaneamente due contenuti provenienti da due microfilm, creando una relazione tra loro e permettendo di aggiungervi delle note che potessero essere a loro volta linkate, registrate e riconsultate in un secondo momento. Nel 1962 pubblica il suo primo saggio "Augmenting Human Intellect" in cui sostiene che i computer devono essere messi al servizio degli uomini per risolvere problemi complessi e, un anno dopo, fonda l'Augmentation Research Center (ARC) volto ad approfondire la ricerca sul rapporto uomo-macchina. Influenzato, durante i suoi studi, da una tesi del MIT che introduce il primo prototipo del sistema Cad (una penna ottica in grado di disegnare sullo schermo di un calcolatore), Engelbart mette in scena alla "Fall Joint Computer Conference a San Francisco" la "Demo '68" oggi nota come "la madre di tutte le presentazioni", in cui lui stesso opera su un monitor utilizzando tre dispositivi manuali che governano una semplice interfaccia grafica. Uno di questi dispositivi appare come una scatoletta di legno dotata di rotelle, il cui movimento viene codificato e trasmesso alla macchina tramite un cavo. Le dimensioni e il lungo cavo di questo oggetto fanno pensare alla morfologia di un topo, da cui deriva il nome mouse. Durante la dimostrazione, Engelbart mostra ai presenti che il testo può essere modificato, spostato e tagliato e che i movimenti sullo schermo vengono regolati da un puntatore gestito dal mouse: una volta selezionata una parola è possibile trasferirla su un'altra schermata dando vita così al primo esempio di hyperlink. Lo stupore aumenta quando Engelbart si collega in tempo reale con il suo team un anno prima dello sviluppo della rete Arpanet.
Purtroppo, la sua tecnologia è così all'avanguardia da ottenere
semplicemente un brevetto per il suo "indicatore di
posizione x-y per un sistema di visualizzazione". Più tardi,
la maggior parte dei suoi collaboratori saranno reclutati
dal Palo Alto Research della Xerox, dove porteranno a
maturazione le sue idee, ma chi riconoscerà davvero in
questa nuova tecnologia il futuro dell'informatica sarà
Steve Jobs che renderà il mouse e l'interfaccia grafica davvero accessibili a
tutti negli anni Ottanta.
Tra la fine degli anni Cinquanta e tutti gli anni Sessanta era comune la convinzione che l'area dello spirito umano e le sue possibilità dovessero, e soprattutto potessero, essere ampliate. L'era dell'Acquario era alle porte, e lo spirito era pronto al take over sulla materia. Gli psicologi-filosofi come Timothy Leary e gli intellettuali come Aldous Huxley avevano sostanzialmente sdoganato l'uso consapevole dell'LSD che aveva preso la forma di un lusso esistenziale per una élite illuminata, subito prima di diventare un travolgente fenomeno di massa. Testimonial eccellenti erano in seguito stati Ken Kesey e Allen Ginsberg, e l'uso di droghe psichedeliche sarebbe diventato la cifra stilistica dell'intero movimento hippy, da San Francisco a Londra. Abbastanza sorprendentemente, la comunità scientifica della Bay Area si era lasciata sedurre senza troppe resistenze dalla nuova frontiera della coscienza di sé, e lo stesso Engelbart, come la maggior parte del suo staff, aveva avuto i suoi trip lisergici, soprattutto per il tramite del poco conosciuto, ma molto convincente, Al Hubbard. Lo stesso Steve Jobs, che sarebbe comparso sulla scena molti anni dopo, ha sottolineato più volte come le sue esperienze con l'LSD avessero determinato in modo irreversibile la sua visione del mondo. C'è molto più in comune tra il Macintosh e Jimi Hendrix di quanto non si sia disposti a credere, a quanto pare. All'inizio degli anni Sessanta, i computer macinavano numeri, oppure giocavano a scacchi; al SAIL sotto la direzione di McCarthy, cominciavano a riconoscere oggetti, parole e a orientarsi nello spazio. Engelbart aveva una visione completamente diversa: il computer era soprattutto un mezzo per trasmettere informazioni, di ogni tipo: 'Aveva una sua idea di come sarebbe stata la vita delle persone nel futuro ed era straordinariamente simile a quanto poi è veramente successo. Ha basato la sua visione sul sistema time sharing, un computer centrale a cui erano collegati un certo numero di terminali contemporaneamente", racconta Ornstein. La visione che lo guidava era quella della Augmentation, espandere cioè le capacità dell'individuo, consentendogli di manipolare testi e immagini, di creare link che possano collegare oggetti, idee, parole, di condividere il proprio lavoro a distanza, di vedere e sentire le persone con cui collaborava; tutto in un solo unico ambiente. Ricorda Steve Wozniak, futuro fondatore di Apple: "Douglas Englebart era più il tipo del futurologo. Sosteneva che se davvero fossero esistite macchine in grado di spingere la mente umana oltre i suoi limiti naturali per risolvere i grandi problemi legati alle risorse, alla sovrappopolazione eccetera, allora sarebbero stati necessari strumenti adeguati." Nel corso degli anni Sessanta Douglas Engelbart immagina e realizza – in buona parte e per quanto possibile – il mondo in cui siamo immersi oggi: mentre lavoriamo, mentre ci intratteniamo, mentre coltiviamo le nostre amicizie e relazioni. Engelbart, insieme alla sua squadra di collaboratori, studenti poco più che ventenni completamente immersi nella controcultura di quegli anni, concepisce una console fatta di tastiera, schermo, una serie di tasti aggiuntivi e soprattutto un nuovo dispositivo che permette di muoversi, metaforicamente, nell'ambiente digitale: poiché una parte del sistema era stato chiamato CAT, il nuovo apparecchio venne battezzato "mouse", un nome che avrebbe avuto una discreta fortuna. "Ne aveva bisogno. È famoso per aver inventato il mouse, ma in realtà lo ha inventato solo perché gli era indispensabile per poter utilizzare il computer tramite un'interfaccia grafica, che era il suo vero obiettivo", puntualizza Ornstein. Il 9 dicembre 1968, Engelbart presenta al mondo la sua creatura, che a quel punto ha il nome di NLS, On Line System, in un Auditorium di San Francisco pieno come un uovo. La preparazione di quella che verrà poi definita "la madre di tutte le demo" ha richiesto anni: un tempo nel quale i dollari dell'Advance Research Project Agency – un'agenzia del Pentagono diretta in modo a dir poco illuminato da Robert Taylor – ne hanno mantenuto viva la visione e finanziato la tecnologia. Engelbart, sul palco, sovrastato da un enorme schermo, dialoga e lavora a distanza con lo Stanford Research Institute dove risiede il cervello dell'NLS: apre, crea e modifica documenti, oggetti composti di testo e immagini, li manipola con il mouse, li condivide con la postazione remota, crea hyperlink. Al termine della dimostrazione, la sala esplode in una standing ovation: "Diede dimostrazione di tutte quelle tecniche che sarebbero state adottate da quel momento in poi in Silicon Valley e che avremmo poi ritrovato in ogni computer o personal computer che sia stato disegnato da allora", ricorda Ornstein. Due cose, in particolare, colpirono l'immaginario dei numerosissimi ricercatori in maniche di camicia e techno-hippie intervenuti: innanzitutto il fatto che il computer, più che essere un'enorme calcolatrice, poteva fungere invece da manipolatore di contenuti e, inoltre, che l'NLS e tutte le sue componenti, sembravano pensate e disegnate per un uso "personale". In un mondo in cui i giganteschi mainframe erano manovrati da una squadra di tecnici o al massimo utilizzati da individui che letteralmente facevano a turno (anche se turni di microsecondi) per sfruttarne le risorse, questo dettaglio accese immediatamente la lussuria di tutti i computer geek presenti e assenti; sempre Ornstein afferma: "Chi è stato abbastanza fortunato da trovarsi lì ha avuto la sensazione che quella singola e unica dimostrazione del 1968 fosse assolutamente rivoluzionaria. Di fatto mostrò al mondo intero la direzione da seguire." Steve Wozniak la pensa allo stesso modo sull'impatto della madre di tutte le demo: "Descrisse in modo piuttosto preciso gran parte delle cose che facciamo oggi con i computer. Fin dal 1963 era stato molto più avanti dei suoi contemporanei."
Per chi c'era e per chi, suo malgrado, quella mattina aveva altri impegni,
l'evento fu irreversibile. Per almeno tre decenni la Bay Area – si
legga la Silicon Valley – ruoterà attorno a quello che Engelbart aveva
mostrato. Ma che non era destinato a realizzare.
|