|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 92
L'anglista J. Martin Evans,
della Stanford University, ha
osservato che gli Americani
costituiscono "una società
prigioniera delle illusioni" che
"al contempo si vanta del proprio
realismo". È un modo acuto per
esprimere quanto più volte ho
definito come discrepanza tra
apparire ed essere: una discrepanza
esistente in ogni civiltà e forma
sociale che qui abbiamo voluto
descrivere nella sua variante
americana. Come ho già tentato di
dimostrare, l'Americano crede
seriamente, ad esempio,
all'esistenza non solo "de jure" ma
anche "de facto" della libertà di
stampa e d'opinione nel suo Paese.
Ritiene inoltre di essere un
"rugged individualist" - un
vigoroso individualista - mentre
agli Europei appaiono come
individui in gran parte uniformati;
uniformati non da un regime
totalitario ed oppressivo, bensì,
paradossalmente, proprio dalla loro
concezione di "liberté, egalité,
fraternité" e soprattutto di
felicità. E infine, l'Americano è
animato da una fede quasi
commovente nel Nuovo, nel Futuro;
una fede che lo induce a rifiutare
la storia in quanto
personificazione del "Vecchio" e
gli impedisce, ancora una volta
seguendo un circolo infernale, di
scorgere nel Nuovo una riedizione
del Vecchio. Nulla gli è
evidentemente più estraneo della
saggezza implicita nel detto: "Plus
ça change, plus c'est la méme
chose".
|
<< |
< |
|