Copertina
Autore Max Weber
Titolo L'etica protestante e lo spirito del capitalismo
EdizioneSansoni, Firenze, 1970 [1945], Biblioteca , pag. 310, dim. 125x200x30 mm
OriginaleDie protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus
EdizioneI. C. B. Mohr, Tübingen, 1922
PrefazioneErnesto Sestan
TraduttorePiero Burresi
LettoreRenato di Stefano, 1973
Classe sociologia
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Indice


    Max Weber di Ernesto Sestan                     p.  7

    Osservazione preliminare                           63

    L'etica protestante e lo spirito del capitalismo



I.  Il problema

    1. Confessioni e ceti sociali                      85
    2. Lo spirito del capitalismo                      99
    3. La concezione luterana della vocazione.
       Compito dell'indagine                          138

II. L'etica professionale del Protestantesimo ascetico

    1. I fondamenti religiosi dell'ascesi laica       165
    2. Ascesi e spirito capitalistico                 259


 

 

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Pagina 63

Osservazione preliminare


I problemi della storia universale si presenteranno, inevitabilmente, al figlio della moderna civiltà europea sotto il seguente punto di vista, del resto giustificabile: «Per quale concatenamento di circostanze è avvenuto che proprio sul suolo occidentale, e qui soltanto, la civiltà si è espressa con manifestazioni, le quali - almeno secondo quanto noi amiamo immaginarci - si sono inserite in uno svolgimento, che ha valore e significato universale?».

Solo in Occidente vi è una «scienza» con quello sviluppo che noi oggi riconosciamo «valido». Conoscenze empiriche, riflessioni su problemi del cosmo e della vita, sapienza filosofica e teologica profondissime - di cui si trovano accenni nell'Islam e in alcune sette indiane, sebbene il perfetto svolgimento di una teologia sistematica sia particolare del Cristianesimo influenzato dall'Ellenismo - scienza ed osservazione di straordinaria finezza, ce ne furono anche altrove; soprattutto in India, in Cina, in Babilonia e in Egitto. Ma all'astronomia babilonese e ad ogni altra astronomia antica manca il fondamento matematico, che le dettero per primi gli Elleni e la cui assenza rende ancor più stupefacente lo sviluppo del1a scienza degli astri presso i Babilonesi.

A1la geometria indiana mancò un altro prodotto dello spirito ellenico, la «dimostrazione», cioè, razionale, la quale ha creato per prima la meccanica e la fisica.

Alle scienze naturali indiane, straordinariamente progredite nel senso dell'osservazione, mancò l'esperimento razionale, che è, essenzialmente, un prodotto del Rinascimento dietro i tentativi dell'antichità dassica, e mancò quindi il laboratorio moderno; la medicina, che proprio in India raggiunse un alto sviluppo empirico-tecnico, non ebbe fondamento biologico e, specialmente, biochimico.

La chimica è ignota a tutte le civiltà tranne che all'occidentale. La storiografia cinese, altamente progredita, non conobbe il pragma tucididèo. Machiavelli ha precursori in India. Ma tutta la scienza politica dell'Asia è priva di uno schema simile a quello aristotelico e soprattutto è priva dei concetti razionali.

Per una dottrina razionale del diritto mancano altrove, nonostante tutti i tentativi indiani (scuola di Mimamsa), nonostante le ampie codificazioni, in particolare dell'Asia Minore, e nonostante tutti i libri giuridici dell'India e di altri paesi, i severi schemi giuridici e la forma mentale rigorosamente giuridica del diritto romano e del diritto occidentale che ne deriva.

Solo l'Occidente conosce una creazione come quella del diritto canonico.

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Pagina 85

1.

Uno sguardo alla statistica professionale di un paese di confessioni miste ci mostra con sorprendente frequenza un fenomeno che fu discusso più volte e vivacemente nella stampa, nella letteratura, e nei congressi cattolici della Germania: il carattere prevalentemente protestante della proprietà e dell'impresa capitalistica e delle élites operaie più colte, e specialmente del più alto personale tecnico o commerciale delle imprese moderne. Non soltanto là dove la differente confessione coincide con una diversa nazionalità e quindi con un grado diverso di sviluppo, come avviene nella Germania orientale fra tedeschi e polacchi, ma quasi dappertutto dove lo sviluppo capitalistico, in sul suo fiorire, ebbe libera possibilità di trasformare i ceti sociali secondo i propri bisogni e di aggregarli secondo le professioni, - e in tali condizioni, il caso è tanto più notevole - noi troviamo quel fenomeno espresso nei numeri della statistica confessionale. Certamente la partecipazione dei Protestanti - relativamente più forte, nel senso che supera la percentuale sulla popolazione totale - al possesso di capitali, alla direzione ed ai gradi più alti del lavoro nelle grandi intraprese industriali e commerciali, va in parte ricondotta a ragioni storiche, che rimontano lontano nel passato, e nelle quali l'appartenenza all'una o all'altra confessione non pare esser causa di fenomeni economici, ma, fino ad un certo grado, conseguenza di questi.

La partecipazione a quelle funzioni economiche presuppone in parte possesso di capitali, in parte un'educazione costosa, in parte l'uno e l'altra, ed è oggi legata al possesso di ricchezze ereditarie o per lo meno ad una certa agiatezza.

Proprio moltissimi dei territori più ricchi del Reich, più favoriti dalla natura o dalla posizione commerciale e più sviluppati economicamente, ma in particolar modo la più gran parte delle città ricche, si erano fino dal XVI secolo convertiti al Protestantesimo, e gli effetti di questo fatto vanno ancor oggi a vantaggio del Protestantesimo nella lotta economica per la vita. Ma sorge allora la questione storica: quale motivo ebbe questa predisposizione, in particolare modo forte, per una rivoluzione religiosa delle regioni economicamente più sviluppate? E la risposta non è così semplice come si potrebbe a tutta prima credere. Certamente l'abolizione del tradizionalismo religioso appare come un momento, che dovrebbe favorire grandemente la tendenza al dubbio anche rispetto alla tradizione religiosa ed all'insurrezione contro le aùtorità tradizionali in generale. Ma bisogna aver riguardo ad un fatto, che oggi troppo spesso si dimentica: che la Riforma, significò non l'abolizione senz'altro del predominio religioso sulla vita, ma invece la sostituzione di una forma, fino allora dominante, con una nuova. E precisamente la sostituzione ad un dominio comodissimo, praticamente allora poco sensibile, per lo più appena formale, con una regolamentazione della vita, pesante e presa molto sul serio, che penetrava, nella misura più ampia che si possa pensare, in tutte le sfere della vita pubblica e privata. Popoli di fisionomia economica perfettamente moderna, sono sottoposti ancor oggi al dominio della Chiesa cattolica, che punisce gli eretici, ma è clemente verso i peccatori, come vi furono sottoposti i paesi più ricchi, economicamente più sviluppati che la terra conobbe in sullo scorcio del secolo XV.

II dominio del Calvinismo, quale ebbe vigore nel secolo XVI a Ginevra ed in Iscozia, tra il secolo XVI e XVII in gran parte dei Paesi Bassi, nel XVII nella Nuova Inghilterra, e per qualche tempo nell'Inghilterra stessa, sarebbe per noi la forma più insopportabile che mai possa esistere, di controllo religioso della vita dell'individuo.

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Pagina 99

2

Nel titolo di questo studio appare il concetto, che suona un po' pretenzioso, di «spirito del capitalismo». Che cosa si deve intendere sotto questa espressione?

Nel tentativo di darne una definizione, si palesano subito talune difficoltà che sono inerenti allo scopo stesso della nostra indagine.

Se si può trovare un oggetto, per cui l'impiego di quella espressione abbia un senso qualsiasi, esso può essere soltanto un'individualità storica; cioè un complesso di relazioni nella realtà storica, che noi dal punto di vista della sua importanza per la storia e per la civiltà, riuniamo in un unico concetto.

Ma un tale concetto storico, poiché per il suo contenuto si riferisce ad un fenomeno importantissimo nel suo carattere individuale, non può essere definito e limitato secondo lo schema, genus proximum, differentia specifica, ma deve essere costruito a poco a poco dalle parti che lo compongono e che vanno tolte dalla realtà storica. La perfetta definizione concettuale non può perciò stare al principio ma deve esser posta alla fine dell'indagine; si paleserà perciò nel corso della trattazione e ne costituirà l'importante resultato, come debba formularsi nel miglior modo, più adeguato ai punti di vista che qui ci interessano, ciò che noi comprendiamo come «spirito del capitalismo». Tali punti di vista - di cui dovremo parlare ancora - non sono gli unici dai quali possano essere analizzati quei fenomeni storici che qui consideriamo. Altri punti di vista darebbero come resultato, in questo come in ogni fenomeno storico, aspetti diversi da quelli per noi essenziali; dal che senz'altro segue, che per «spirito del capitalismo» non si può né si deve necessariamente comprendere soltanto quel che apparirà essenziale per la nostra concezione. Ciò è inerente all'essenza stessa della formazione dei concetti storici la quale, ai fini del suo metodo, non cerca di incasellare la realtà in astratti concetti di genere, ma bensì di inserirla in concreti nessi generici di colore specificamente individuale.

Se si deve dunque fermare l'oggetto, che si vuole analizzare e spiegare storicamente, non si potrà avere una definizione concettuale; ma dapprima soltanto una considerazione provvisoria di quel che si intende per spirito del capitalismo.

Un tale sguardo d'insieme è infatti indispensabile per intenderci circa la materia della nostra indagine, e per raggiungere questo scopo ci atteniamo a un documento di quello «spirito» che contiene, in una purezza quasi classica, quel che per ora ci interessa, ed offre al tempo stesso il vantaggio di esser libero da ogni rapporto diretto con argomenti religiosi, di esser dunque, per il nostro tema, senza presupposti:

Ricordati che il tempo è denaro; chi potrebbe guadagnare col suo lavoro dieci scellini al giorno, e va a passeggio mezza giornata, o fa il poltrone nella sua stanza, se anche spende solo sei pence per i suoi piaceri, non deve contare solo questi; oltre a questi egli ha speso, anzi buttato via, anche cinque scellini.

Ricordati che il credito è denaro. Se uno lascia presso di me il suo denaro esigibile, mi regala gli interessi, o quanto io in questo tempo posso prenderne. Ciò ammonta ad una somma considerevole se un uomo ha molto e buon credito, e ne fa buon uso.

Ricordati che il denaro è di sua natura fecondo e produttivo. Il denaro può produrre denaro, ed i frutti possono ancora produrne e cosi via. Cinque scellini impiegati diventano sei, e di nuovo impiegati sette scellini e tre pence e cosi via finché diventano cento lire sterline. Quanto più denaro è disponibile, tanto più se ne produce nell'impiego, cosi che l'utile sale sempre più alto. Chi uccide una scrofa, uccide tutta la sua discendenza fino al millesimo maialino. Chi getta via un pezzo di cinque scellini, uccide (!) tutto quel che si sarebbe potuto produrre con esso: intere colonne di lire sterline.

Ricordati che - come dice il proverbio - chi paga puntualmente è il padrone della borsa di ciascuno. Colui di cui si sa che paga puntualmente alla data promessa, può in ogni tempo prendere a prestito tutto il denaro, di cui i suoi amici non hanno bisogno.

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