Copertina
Autore Glenway Wescott
Titolo Appartamento ad Atene
EdizioneAdelphi, Milano, 2003, Fabula 151 , pag. 250, dim. 140x220x18 mm , Isbn 978-88-459-1782-0
OriginaleApartment in Athens [1944]
TraduttoreGiulia Arborio Mella
LettoreAngela Razzini, 2003
Classe narrativa statunitense
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Pagina 9

Tutto questo accadde a una famiglia greca, gli Helianos.

Nikolas Helianos era socio e redattore di una stimata casa editrice di Atene; un uomo di mezza età con una moglie un po' più anziana di lui, una figlia di dieci anni e un figlio di dodici. Nell'aprile del 1941 avevano perduto nella battaglia dell'Olimpo un altro figlio di diciannove o vent'anni, Rimon. Con loro abitava anche un fratello di lei; ma quando gli invasori avevano raggiunto Atene era scomparso o fuggito, nessuno sapeva dove.

Per gli editori, naturalmente, l'invasione fu una sciagura. L'azienda di Helianos, piccola e conservatrice, specializzata in libri di scuola e trattati eruditi, era condannata. La moglie aveva ereditato una piccola rendita, ma il loro tenore di vita si era comunque ridotto al minimo indispensabile. Senza i due giovani la casa nel quartiere di Psichikò era più grande del necessario; così si trasferirono nell'appartamento lasciato dal capo tipografo di Helianos, quattro stanze piacevoli, ma piccole, nel centro della città.

Va da sé che non erano una famiglia felice; ma avevano buon cuore, e facevano il possibile per consolarsi a vicenda del loro lutto e della loro indigenza. Helianos non era quello che viene considerato il tipico ateniese; somigliava semmai a un francese di rango, come un accademico o un funzionario di Stato; affabile, la mente forse troppo ingombra di cultura, raziocinativa, penetrante, propensa a vedere sempre le cose da due angolazioni diverse. Era un uomo piccolo, con le spalle cadenti; tozzo pur non avendo la pancia. Nonostante qualche tratto greve e cascante del viso aveva un'aria allegra, gli occhi acuti e amichevoli. Anche nei periodi più grami, il 1941, il 1942, il 1943, mantenne sempre la sua corporatura robusta, dovuta ad anni di buona alimentazione e bella vita.

Sua moglie da ragazza era stata bellissima, gli occhi grandi, le labbra piene e il collo forte e rotondo delle donne dell'antichità. Ora però soffriva di cuore, alla qual cosa si aggiungeva una certa ipocondria. Era diventata pingue e indolente. Sulla pelle d'avorio erano comparse tante tenui lentiggini. Le labbra erano contratte in una smorfia scontenta, e aveva le borse sotto gli occhi sporgenti. Orfana, era stata adottata ed allevata con grande munificenza da due zii mercanti. Helianos aveva semplicemente continuato a viziarla, e di conseguenza lei si trovò ad affrontare con maggiore difficoltà e turbamento quei tempi duri. La catastrofe della Grecia, il primo anno, parve evidenziare solo il lato debole del suo carattere.

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Pagina 18

Prima arrivarono un caporale e un soldato semplice, spiegando di aver avuto l'ordine di ispezionare tutti gli appartamenti della zona per conto di un certo ufficiale; dopo un paio di giorni li seguì l'ufficiale in persona. Con aria indifferente, ma con metodo, questi ingiunse loro di aprire tutte le porte, senza dimenticare le credenze della cucina e gli armadi; guardò giù in strada da tutte le finestre; esaminò gli Helianos stessi con uguale scrupolo, facendo loro capire che lo avrebbero dovuto servire personalmente; disse che gli occorreva un telefono, e chiese che qualcuno rimanesse in casa finché non fosse venuto un incaricato a installarlo; riservò a proprio uso esclusivo il salotto e la camera più grande; si sedette su ogni letto per saggiarne le molle, ed espresse la sua preferenza per uno dei letti singoli dell'altra camera; quindi ordinò di eseguire la sostituzione e di togliere i loro effetti dalle sue stanze entro le cinque di quella sera. Alle cinque in punto tornò col bagaglio e una cassa di libri e si trasferì lì; probabilmente, disse, per tutta la durata della guerra.

Sbrigando le faccende, la signora Helianos pianse per tutta la giornata e per quella successiva, mentre il marito e i figli la assistevano con la massima inefficienza. Il marito non sapeva proprio come confortarla o farle coraggio. Dal canto suo sperava sarebbero andati d'accordo con quell'ufficiale, il quale sembrava un essere umano ragionevole; ma la sua speranza era così venata di timore - se fossero andati d'accordo che cosa avrebbero pensato i parenti? che non osava neanche parlarne. In ogni caso, dal punto di vista del ménage, dell'educazione dei figli e dei dettagli della vita di cui si preoccupava la sua infelice moglie, tutto avrebbe procurato loro più dolore, più fatica e più stenti di quanto lei potesse anche solo immaginare.

Comunque, continuava a dirle, le difficoltà sarebbero state commisurate alle caratteristiche individuali dello straniero in questione, riguardo alle quali dovevano sospendere il giudizio per un po', e alla loro capacità di mostrarsi servizievoli e riguardosi nei suoi confronti. Nel discorsetto che fece su quest'ultimo punto coinvolse anche Alex e Leda; e tutti si promisero a vicenda che avrebbero fatto del loro meglio.

«E poi, mia povera, cara moglie,» disse «a questo proposito non devi nutrire il tuo solito rancore contro i tedeschi. Ogni esercito invasore deve sistemare qualche ufficiale presso i privati cittadini, è normale. Se venissero gli inglesi o gli americani a liberare la Grecia, anche loro vorrebbero le case migliori di mezza Atene".

Ma prima che finisse la settimana Helianos aveva cominciato ad avvertire qualcosa della particolarità dell'occupazione tedesca; e il fatto di dover sondare ogni giorno, per qualche motivo pratico, la mentalità e il temperamento del loro tedesco domestico lo aiutò a capire la verità generale e la situazione storica. Si disse che non doveva generalizzare in base a quell'unico esempio, e si mise a osservare altri tedeschi nelle vie di Atene e ad ascoltare le confidenze di altri ateniesi che se li erano ritrovati in casa; e così ebbe la conferma di quello che, secondo lui, tutti loro avevano in mente. Senza dubbio si trattava di una politica ben precisa: in un modo o nell'altro, e ogni volta che se ne presentava l'occasione, ogni singolo occupante, qualunque fosse il suo rango, doveva soggiogare singolarmente i cittadini delle nazioni occupate fin nei più minuti dettagli.

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Domenica, dopo cena, quando Helianos entrò nella sua stanza per portar via i piatti ancora mezzo pieni, e sua moglie lo seguì per riporre una camicia lavata e stirata, Kalter alzò lo sguardo su di loro con un moto così brusco della testa e delle spalle, e si schiarì la gola così rumorosamente che gli si misero di fronte sull'attenti. E videro che i suoi occhi, invece di incenerirli come di consueto, sbattevano incerti, quasi ansiosi; e le labbra sottili erano tirate, come nello sforzo di atteggiarsi a un'espressione amabile. In quel momento domandò: «Come vi sono andate le cose durante la mia assenza?».

Fu un'esperienza strana e imbarazzante. Avrebbero voluto rispondergli, ma lui li aveva addestrati così a lungo a ritrarsi profondendosi in scuse che non seppero come, e rimasero imbambolati come due marmocchi. Cercarono di fare anche loro la faccia gentile, ma in realtà continuavano a guardarsi l'un l'altro, sbigottiti.

Kalter si era rivolto a loro in tedesco, e ora, palesemente, pensava che non avessero capito. Ripeté l'amichevole domanda nel suo greco stentato, ma loro non riuscirono comunque ad aprir bocca.

Aveva di certo creduto che avessero paura. Un'espressione singolare e composita, fra il compiacimento e la tenerezza, gli velò il viso duro; e per toglierli d'imbarazzo si alzò, annunciò bruscamente che aveva un'altra ora di lavoro da sbrigare al quartier generale, e uscì.

Allora si resero conto che Kalter non era più lo stesso. Non si trattava solo di salute malferma, perdita di peso, perdita di appetito. Con tutta evidenza la trasformazione riguardava in parte il rapporto fra lui e loro; era una faccenda puramente umana, uno stato d'animo, un mutamento del cuore. Per la prima volta in un anno si era rivolto a loro con gentilezza. Una piccola cosa, e purtuttavia un miracolo.

Durante la notte si rimproverarono di non essere stati più cordiali, più espansivi, più spontanei di fronte a quel grande avvenimento. Temevano di averlo offeso con la loro scortesia, il loro mutismo, gli sguardi allarmati; ma la sorpresa era stata troppo grande. L'idea del prossimo incontro, il giorno dopo, quasi li terrorizzava: e se quella domanda gentile fosse stata solo un lapsus? Se le loro orecchie li avessero ingannati? Cercarono di ricordare parola per parola ciò che Kalter aveva detto in tedesco, la sintassi, le inflessioni, e ne discussero finché i loro ricordi non combaciarono perfettamente.

Il mattino dopo la signora Helianos trovò un pretesto per andare insieme al marito a portare il vassoio della colazione; e subito si sentirono rassicurati dallo sguardo ansioso e incerto negli occhi del maggiore, dal modo rispettoso in cui diede loro il buongiorno e da quello che disse dopo. Non avevano preso un abbaglio, era successo davvero.

Pacatamente Kalter domandò alla signora Helianos che cosa la conducesse in camera sua a quell'ora; e di nuovo loro non riuscirono a proferire verbo. Ma sembrava che lui intendesse seriamente mostrarsi amichevole, e che non si lasciasse scoraggiare.

«E comunque benvenuta, benvenuta» disse. «Dopotutto lei è la donna di casa, no? Con tutte quelle cose a cui badare, dal mattino alla sera!".

Lei arrossì, come sopraffatta da un grande complimento.

Da quel momento, ogni giorno ci fu per loro qualche piccolo motivo di stupore; e giorno e notte gli Helianos non fecero che raccontarsi e analizzare tutto ciò che Kalter faceva e diceva. Qualunque fosse il motivo di quel cambiamento di condotta, era iniziato il giorno stesso del ritorno dalla Germania; ma loro, senza capire, avevano notato solo la magrezza, la spossatezza, la scontrosità. Così riandarono a ogni minimo segnale, a ogni piccolissimo accadimento; ma tuttora non capivano, né concordavano pienamente fra loro.

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Pagina 112

Il tema di un' altra serata fu la propaganda. «Quello che ci fa eccellere nella propaganda,» esordì Kalter come se avesse organizzato i propri pensieri in anticipo «quello che ci aiuta tanto, è che le altre nazioni non hanno una fede salda, non hanno anima, non hanno idealismo, tranne in un campo... La compassione per i reietti, quella sì! È fantastico, quella li coglie come un empito di follia! È un fatto che, nell'intermezzo fra due guerre, gioca a nostro vantaggio. Quando abbiamo bisogno di aiuto, è nella natura delle altre nazioni darcelo.

«Noi soli, come nazione, siamo integri. E per questo che la nostra cultura e la nostra arte si prestano alla propaganda. Wagner, per esempio, è imbattibile in tutto il mondo! Lei vede bene quanto questo sia importante. È così che si fa la pace alla fine di una guerra, in modo da poterci rialzare, da avere il tempo, fra una guerra e l'altra, di imparare e di sviluppare, di predisporre ogni cosa.

«Non che io sappia granché della propaganda: mi sono specializzato nel settore approvvigionamento, logistica e trasporti. Ma il mio amico il maggiore von Roesch è un esperto, e qualcosa l'ho studiato con lui. Non è una scienza grandiosa come la scienza militare, ma parrebbe più esatta. Un'arma di minor calibro, per così dire, ma di maggior precisione...

«Come mi dice il maggiore von Roesch, da statista e generale il nostro Führer ha commesso degli errori; lo ammetto. Gli uomini d'azione commettono sempre degli errori. Intanto, l'azione militare è diretta contro la forza del nemico, la propaganda contro la debolezza del nemico; quindi il nostro ministro della Propaganda ha vita più facile. È una specie di artista. Per lui non si dà errore! Non perde mai una battaglia, nemmeno qui in Grecia dove siete così primitivi e astuti...

«Vedrete, vedrete! Anche in Grecia, arretrati come siete, con tutto l'orgoglio che riponete nel vostro ardente patriottismo, litigherete fra di voi. In ogni paese occupato c'è questo morbo politico, e se gli occupanti sanno il fatto loro, è sbalorditivo quanto possano fare in questo senso per impedire che il morbo receda, per coltivarlo a loro vantaggio.

«Ovviamente ogni cosa ha due facce, due aspetti diversi; questo è fatale. Ma ogni cosa può venir girata a nostro favore in entrambi i suoi aspetti, e questa è arte! Wagner lo ha capito così bene...».

Helianos non aveva gradito quei discorsi. sulla Grecia. Non credeva che tra la sua gente ci fossero grandi scismi, o furibonde passioni utili al nemico. Naturalmente uno straniero poteva fraintendere l'antica litigiosità dei greci, che era essenzialmente democratica, pensò, e illudersi di trarne vantaggio.

Quello che lo colpiva, lo affascinava, lo spaventava era il tema centrale della serata. Intanto c'entravano un po' le arti, la letteratura, la musica, almeno Wagner, almeno in teoria; e Helianos si considerava un po' meno incompetente, in quel campo, che non in filosofia politica, in misticismo marziale. Non trascuravano mai nulla, quei tedeschi! In un certo senso era avvincente. Gli ricordava alcuni brani di Platone, ma naturalmente tutto molto più veemente... Per due o tre giorni, a più riprese, continuò a discutere dei princìpi della propaganda culturale, pro e contro, non esattamente con la moglie ma in sua presenza, pensando ad alta voce. Gli pareva che le parole pronunciate da Kalter quella sera fossero le più turpi che avesse mai udito.

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Una delle ultime conversazioni lo sorprese molto, forse aveva lo scopo di sorprenderlo. «Voi stranieri vi siete messi in testa che noi tedeschi la pensiamo tutti allo stesso modo,» disse Kalter «ma non è vero. Le dirò una cosa; magari non sarebbe il caso di dirla a uno straniero, ma non importa, è la mia opinione personale. Oggi si fa un gran parlare di razze, di ariani e non ariani: io non è che ci creda molto. Naturalmente per la propaganda funziona, ma è tutto molto relativo e immaginario.

«Sa, essere tedeschi non è quello: la biologia, l'etnologia, l'antropologia... niente di così complicato. Essere tedeschi è semplicemente il nostro modo di vivere; è l'amore del governo e dell'ordine, per cominciare, e la fiducia in noi stessi e nell'altro. E soprattutto un ruolo nella storia, e una preparazione al nostro ruolo; una scuola, e un credo. È la speranza del mondo: la speranza che un giorno, finalmente, il mondo sarà ben governato da chi è degno di farlo, da chi ne ha la volontà e le capacità. Che non sia sempre in sfacelo come adesso.

«E per questo che tanti ebrei tedeschi sono tedeschi eccezionali. Imparano da noi ad avere una visione del futuro, come la loro terra promessa. Sono eccezionali specialmente tra una guerra e l'altra; convincono il mondo intero a compatirci, ad aiutarci, ad amarci.

«D'altro canto moltissimi tedeschi, quando vanno a vivere all'estero, specialmente in America, cambiano da un giorno all'altro; diventano americani. Come le ho detto, io ho un fratello a New York; non ci abita da molto, solo dal 1933; e non è più tedesco di lei.

«Che strana cosa! Non ci vanno solo contadini e scienziati ambiziosi, e imprenditori tentati da facili guadagni, ma ogni sorta di persone, studiosi, attrici del cinema, scrittori - proprio quelle che per tutta la vita hanno dato espressione allo spirito tedesco -, e in pochi anni, è incredibile!, assimilano la cultura e la politica e la morale dell'America; perfino il patriottismo americano, se può dirsi patriottismo.

«Ma passata la novità, secondo me non sono felici. Come possono dimenticare che cosa significhi essere un tedesco!» esclamò.

«Glielo dico io. Vediamo se, in quanto straniero, lei lo capisce! Al giorno d'oggi la religione è quasi passata di moda: c'è pochissima gente che ha il senso di un futuro ultimo, di una vita oltre la morte. Eppure in questa vita dobbiamo affrontare le avversità ed esercitare la virtù. E in cambio di tutto questo non ci aspettiamo nulla, nulla, in termini di ricompensa ultraterrena! È buona cosa il sacrificio di sé, anzi, è necessario; d'altronde non si può evitare. E qual è la ricompensa? Che cosa può dare un senso a tutto questo, se escludiamo le cose immortali?

«Forse lei pensa che io lo dica con disprezzo, riferendomi solo alle nazioni straniere materialistiche. Invece no! Se questo è essere stranieri, lo abbiamo anche dentro di noi, purtroppo. Anche noi siamo scettici; vede, lo ammetto. E che alternativa c'è? La scienza moderna, il governo moderno, la psicologia moderna sono così, ormai: senza paradiso.

«Solo noi tedeschi abbiamo un'alternativa: noi abbiamo qualcosa che può prendere il posto del paradiso. Sì, anche l'uomo tedesco si sacrifica e si perde d'animo come tutti gli altri, ma è un fatto esclusivamente personale: la nazione non si perde mai d'animo. Se l'uomo tedesco fallisce, si arrenderà andandosene in silenzio, con stoicismo, lasciando i suoi affari in ordine come ci si può aspettare da lui secondo le circostanze. Passerà le sue responsabilità a un altro, un altro come lui, sapendo che egli terrà alta la fede - e se non sarà lui, sarà un altro ancora!

«Anche se egli morirà, non ha importanza; sopravviverà nel suo compatriota, nella sua stirpe. Per noi tedeschi, le dico, è questa l'immortalità. Se anche un individuo è imperfetto, c'è pur sempre la razza; e presto o tardi la razza giungerà alla perfezione. Se si crede in questo, c'è riscatto e rimedio per ogni cosa. Anche se il singolo uomo è sconfitto - prima uno, poi un altro, non ha importanza quanti! - alla fine, comunque, ci sarà il trionfo".

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