Copertina
Autore Glenway Wescott
Titolo Il falco pellegrino
SottotitoloUna storia d'amore
EdizioneAdelphi, Milano, 2002, Fabula 142 , pag. 100, dim. 140x220x10 mm , Isbn 978-88-459-1693-9
OriginaleThe Pilgrim Hawk. A Love Story [1940]
TraduttoreMarina Antonielli
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe narrativa statunitense
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Pagina 9

                          marzo-luglio 1940;
                    Stone-blossom e New York



I Cullen erano irlandesi; ma fu in Francia che li conobbi e mi formai un'opinione del loro amore e tormento. Erano in viaggio per una proprietà che avevano affittato in Ungheria; e un pomeriggio arrivarono a Chancellet, a trovare la mia cara amica Alexandra Henry. Questo fu nel maggio del '28 o '29, prima che tornassimo tutti in America e Alexandra conoscesse mio fratello e lo sposasse.

Gli anni Venti, inutile dirlo, furono molto diversi dai Trenta, e ora sono cominciati i Quaranta. Nei Venti non era insolito incontrare degli altri stranieri in un paese straniero, incrociandosi le tue peregrinazioni con le loro; e facevi del tuo meglio per conoscerli in un pomeriggio; e quella conoscenza lampo la chiamavi magari amicizia. C'era nell'aria una sorta di curiosità idealistica o ottimistica. E gli estri del carattere, e il vario guerra e pace che si svolge nella psiche, sembravano del massimo interesse se non importantissimi.

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Pagina 17

Intanto, il falco mi affascinava al punto che nient'altro aveva molta importanza. E fungeva per me da incarnazione, o emblema, di tutti gli argomenti di conversazione veramente interessanti che questi viaggiatori, amanti degli spazi aperti e della compagnia, di regola tralasciano: malattia, povertà, sesso, religione, arte. Ogni volta che cominciavo ad annoiarmi, uno sguardo solenne dei suoi occhi maniacali mi aiutava a smettere di ascoltare per pensare invece intensamente a me stesso, o per conto mio.

Inoltre i Cullen cominciavano a incuriosirmi, ad affascinarmi in quel senso. Che io arrivi o meno a comprendere adeguatamente una persona, parto spesso da una forma di irritata, intensa superficialità. Ed essi non erano davvero che due esemplari, maschio e femmina, di quella agiata genìa britannica che infesta il mondo intero col suo eccesso di energia e di modi pacati. Erano assorbiti da se stessi, freddamente socievoli, puri passatori di tempo. Ma niente in loro era autenticamente pacato, e nemmeno pacifico. Ecco, Cullen sedeva mollemente nella poltrona più comoda di Alex, con le gambe divaricate o scompostamente accavallate, come non ti aspetteresti da un gentleman convenzionale; si leccava le labbra sotto la frangia dei baffi; pensava visibilmente alla cena; interrompeva la conversazione della moglie a intervalli regolari come se nella vita fosse quello il suo compito. Pure, egli sembrava lottare costantemente contro non so che strano sentimento, ed esserne in qualche modo sopraffatto. Ogni volta che parlava, la moglie sorrideva o almeno inclinava la testa verso di lui. Questa, sentivo, era più che altro buona educazione da parte di Mrs Cullen; molte delle frasi del marito, e specialmente il suo tono di voce, sembravano sgradevoli. Ma tra una frase e l'altra, negli sguardi che gli lanciava, c'era un affetto lucente come lacrime. E nel suo amoroso affaccendarsi intorno al grande volatile che aveva sul braccio continuava a spostare gli occhi in direzione del marito, a implorarlo che cercasse di volergli bene anche lui. Quasi che il falco fosse un bimbo, e lui un amante; o viceversa?

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Pagina 35

Adesso che eravamo fuori di casa ci sentivamo tutti più contenti. Il parco era bellissimo. Gli alberi, curati con tanto amore da quando erano stati piantati da un allievo di Le Nótre, avevano sviluppato al massimo ciascuno la sua natura. La loro disposizione, a gruppi irregolari, o in filari, o isolati e un po' discosti, sembrava non solo rispondere all'arte dei giardini ma esprimere i loro sentimenti reciproci: peculiarità di affetto o di obbedienza, orgoglio o pena. E a differenza di nature umane in una simile adunanza, non promettevano o minacciavano niente di più; né episodi né sviluppi.

Cullen camminava avanti con Alex. Ora, all'aperto, non solo rideva ma gridava; di modo che lo udii raccontare una storia su un anziano politico inglese che si era invaghito di una giovane donna sposata. Un giorno lui e il marito erano andati da soli nella brughiera per una partita di caccia informale; e lui aveva ucciso il marito accidentalmente, per così dire. Poi aveva sposato la donna. Ma si era tormentato per l'accaduto per tutta la vita, che non fu lunga; e nel testamento la diseredò. Era una ciarla vetusta: l'avevo già sentita; e al momento non trovai niente di strano nel fatto che Cullen la raccontasse, salvo che a lui sembrava divertente e a me no. Quando l'amore è diabolico, pensai, la forma più semplice che può assumere è un triangolo; ed è una forma opportuna, se quell'amore è intollerabile. Forse gli innamorati da compiangere sono quelli che non hanno nessuno da odiare - ciò che desiderano uccidere e ciò per cui ucciderebbero è fuso nella medesima persona, quella che amano; la sua eliminazione accade allora solo nella fantasia, e si ripete all'infinito.

Arrivammo a un bivio; e là vedemmo la figuretta del vecchio Bidou venire nella nostra direzione: col suo caratteristico passo arrancante, le spalle strette sotto una grande mantella. Tutta la vita era andato calzato di scarpe grosse da soldato semplice, e ammantato di nero; una manna per i caricaturisti e una sorta di blasone elettorale; e cosa che adesso rendeva facile evitarlo. Mrs Cullen chiese se loro potevano proseguire, per dare un'occhiata al celebre vecchio.

Alex e io tornammo da soli verso casa per una scorciatoia che attraversava una fitta piantagione di alberelli, ricoperta da una volta di rami primaverili di alberi vecchi. Era come camminare dentro un telescopio adagiato a terra e puntato sul castello, lontano mezzo chilometro. Nell'Ottocento, sotto la supervisione di Viollet-le-Duc e del suo amico autore di Carmen, Chancellet era stato interamente e minuziosamente restaurato. Laggiù nel cerchio assolato, la lente del nostro telescopio sembrava di una bellezza fiabesca in mezzo alle aiuole e al fossato, dove alcune anatre sguazzavano e amoreggiavano.

Io ero, come Cullen, di un umore fatuo e gaio; tutto sembrava misterioso e carico di sentimento. La tonda cornice ramosa in cui camminavamo, guardando la luce rosata del sole davanti a noi; la linda architettura incorniciata, con il suo alone letterario oltre che storico; lo statista morente, svanito, erotico, che quotidianamente vi passeggiava intorno in un'orbita immutabile; i nostri bislacchi ospiti che gli andavano incontro, donna con falco e uomo ingordo, al quale gli occhi diventavano d'oro non appena la guardava, al quale veniva l'acquolina alla sola menzione della cena - tutto era raccolto intorno a me, vanamente fantasticavo, a rendermi molto semplice e chiara un'unica grande, vaga cosa. Che potevo chiedere di più? Ma è sempre sciocco supporre la semplicità. Si possono solo sostituire piccoli fatti a grandi speculazioni, piccole messe in scena al desiderio immenso, e chiamare questo semplificazione.

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Pagina 65

L'ubriachezza sovrappone una certa peculiarità e opacità d'aspetto - colorito smorto, odore strano, tono di voce, spasmi nervosi - a quel che resta dell'umanità di un uomo; sopra la personalità che hai conosciuto sobria. Ma peggio ancora è la trasparenza, la rivelazione, come improvvise finestrelle nude o forellini aperti nei comuni recessi del carattere. È una lezione d'anatomia: ecco i dótti e i seni e le vesciche dell'anima, comuni a ogni anima venuta al mondo! I vezzi dell'ubriaco non sono che tratti umani elementari. La normale condizione mentale non è mai lontanissima dalle ciance di quell'irlandese malsano. Sentivo il nauseante fastidio di essere io stesso mera argilla umana. Mi sembra che solo l'arte abbia il diritto di darti questa sensazione; detesto chiunque me la dia in un salotto, per così dire.

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Pagina 68

L'alcol, infatti, è un dio, come decisero i Greci quando fu introdotto dall'Oriente, seppure un dio di vendetta. Il bevitore diventa l'ubriacone. La colpa è di tutti. Anche l'uomo o la donna più sobri del mondo hanno contribuito una volta o l'altra alla triste metamorfosi di un povero bevitore a loro caro. Penso, per esempio, che qualcuno abbia guardato Cullen in gioventù quando l'ubriachezza gli donava, amandolo o ammirandolo in quello stato così da fargli credere che stesse lì il segreto dell'amore e dell'ammirazione. Ci sono uomini che padroneggiano l'arte del bere, e immancabilmente il bere accresce il loro fascino. Ne ho conosciuti uno o due; erano uomini straordinari anche per altri versi.

Ma perfino per l'uomo medio, anche nella sbronza più miserevole - fra l'inanità dell'inizio e la nausea finale -, c'è un momento di grande bellezza. È il segno dell'origine orientale dell'alcol e la riprova della fede che vi riponevano i Greci. I fumi sembrano a un tratto mischiarsi con più luce e aria del consueto, e la miscela è quella giusta. Si dissipa ogni stupido impaccio; e anche la voglia di litigare. Il tuo amico beve, e tu no, o non tanto; sicché naturalmente c'è fra voi una sotterranea corrente di astio; d'improvviso cessa, in pace. La sua mente ebbra se ne sta quieta, per così dire, come un oracolo su un tripode, sotto l'influsso non solo dell'alcol, ma dell'individuo, della sua vera natura, della sua fatalità, della sua infanzia. Tutto ciò che è stato tenuto segreto, sepolto sotto la cenere, soffocato e spregevole, comincia a venir fuori; e per l'uomo medio è senza danno. Il sanguinario spargerà sangue, il pazzo dirà sciocchezze; che importa? Per molti di noi la cenere è un male, la segretezza è sbagliata, il disprezzo degli altri e il disprezzo di sé sono spregevoli... e smuovere la cenere è un bene. Per un momento, nella solenne ubriacatura, la volgarità e la sregolatezza cedono il passo all'intuito di un fanciullo o di una vecchia...

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