Copertina
Autore Tommy Wieringa
Titolo Joe Speedboat
EdizioneIperborea, Milano, 2008 , pag. 380, cop.fle., dim. 10x20x2,8 cm , Isbn 978-88-7091-168-8
OriginaleJoe Speedboat
EdizioneDe Bezige Bij, Amsterdam, 2005
PrefazioneElisabetta Svaluto Moreolo
TraduttoreElisabetta Svaluto Moreolo
LettoreRenato di Stefano, 2009
Classe narrativa olandese , narrativa nederlandese
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Pagina 15

È primavera, fa caldo, a scuola pregano per me, perché è più di duecento giorni che sono fuori dal mondo. Ho piaghe da decubito su tutto il corpo e un catetere come preservativo sul pisello. Sono entrato in coma vigile, spiega il medico ai miei genitori: ho di nuovo una percezione, limitata, dell'ambiente che mi circonda. È una buona notizia, dice, che abbia ripreso a reagire ai suoni e al dolore. Reagire al dolore è un inequivocabile segno di vita.

Non si schiodano dal mio letto, pa', ma', Dirk e Sam. Li sento fin da quando escono dall'ascensore — una schiera di storni che oscurano il cielo. Puzzano di olio e di tabacco da quattro soldi, fanno giusto lo sforzo di togliersi la tuta da lavoro. Hermans & Figli. La famiglia Ferri Vecchi.

Demoliamo carcasse d'auto, fabbriche, macchine industriali e ogni tanto, quando a mio fratello Dirk vengono i cinque minuti, l'interno di un bar. A Lomark non c'è quasi più locale dove possa mettere piede, ma a Westerveld sì. Sta con una di lì e quando torna a casa profuma di violette chimiche. Povera ragazza, mi fa pena.

Parlano quasi solo del tempo, ed è sempre la stessa menata, gli affari vanno male e la colpa è del tempo, qualunque tempo faccia. Poi bestemmiano, prima pa', poi Dirk e Sam. Dirk tira su col naso, ha un grumo di catarro in bocca, non sa dove sputarlo ed è costretto a mandarlo giù – hop, ecco fatto.

Ma da qualche settimana a Lomark succedono cose più interessanti del meteo. Da quando sono temporaneamente fuori scena, un camion di traslochi ha distrutto il vecchio palazzo con i frontoni a gradini della famiglia Maandag e ogni tanto si prendono tutti un accidente per via di enormi esplosioni. Pare che dietro quelle esplosioni ci sia un ragazzo di nome Joe Speedboat. È nuovo di qui e io non l'ho ancora mai visto.

Drizzo le orecchie quando parlano di lui – ha tutta l'aria di essere un tipo in gamba, se volete la mia opinione, ma tanto nessuno mi chiede mai niente. Sono convinti che sia lui a fabbricare quelle bombe. Non che l'abbiano mai colto sul fatto, ma prima del suo arrivo non c'erano mai state esplosioni a Lomark, adesso, sì, quindi... Gli dà sui nervi da pazzi, questo ve lo posso assicurare. "Zitti, che Fransje ci sente", dice ma' ogni tanto, ma agli altri non importa niente.

"Esco a fumare", annuncia pa'.

Dentro è vietato.

"Si chiama davvero Speedboat?" chiede mio fratello Sam, che ha due anni più di me.

Sam è quello da cui ho meno da temere.

"Nessuno si chiama Speedboat di suo", gli risponde Dirk. Con la sua solita linguaccia.

Dirk, mio fratello maggiore. Una canaglia. Potrei scrivere un romanzo su di lui.

"Quel povero ragazzo ha appena perso il padre", interviene ma', "lasciatelo in pace."

Dirk sbuffa.

"Speedboat... deficiente..."

Solo a sentirlo nominare mi viene un gran prurito, proprio un bel prurito di quelli che non finiresti di grattarti più. Joe Speedboat, che bomba!


Qualche settimana dopo il mondo e io siamo ancora lì, tramortiti: il mondo dal caldo, io dal mio incidente. E ma' piange. Di felicità, questa volta.

"Oh, il mio ometto, il mio ometto è di nuovo tra noi!"

Ha acceso ogni giorno un cero in chiesa ed è davvero convinta che sia servito a qualcosa. In classe pensano che sono state le loro preghiere. Ha pregato perfino quell'ipocrita di Quincy Hansen, come se io volessi apparire nelle sue preghiere! Non che abbia già il permesso di alzarmi dal letto o di tornare a casa. Non potrei neanche volendo. Devono ancora farmi degli esami alla spina dorsale, perché per ora è solo il braccio destro che riesco a muovere.

"Quanto basta per farsi una sega", commenta Dirk.

Di parlare me lo posso anche scordare, per ora.

"Per quel che aveva da dire", fa Sam.

Guarda Dirk per vedere se ride, ma lui ride solo alle sue battute. E per fortuna ci pensa lui, altrimenti non riderebbe nessuno.

"Ragazzi!" li redarguisce ma'.

Allora, la situazione è questa: io, Fransje Hermans, un solo braccio funzionante con attaccati quaranta chili di carne paralizzata. Ho decisamente conosciuto tempi migliori. Ma la mamma è al settimo cielo: è vero che anche un unico orecchio, ben aperto ovviamente, l'avrebbe riempita di gratitudine.

Devo andarmene di qui il più presto possibile. Mi tirano scemo a starsene sempre intorno al mio letto con le loro menate sugli affari e sul tempo. Gliel'ho chiesto io, forse? E allora!

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Pagina 18

Dormendo così sono invecchiato di un anno. Hanno festeggiato il mio compleanno in ospedale. Ma' mi racconta della torta con quattordici candeline che hanno mangiato attorno al mio letto. Ho dormito per 220 giorni e, calcolando anche l'inizio della riabilitazione, ci sono voluti più o meno dieci mesi prima che potessi tornare a casa.

È metà giugno. Il miracolo della mia resurrezione – come si ostina a chiamarla ma' – pesa molto sulla vita del resto della famiglia. Devono nutrirmi, cambiarmi, spostarmi. Grazie a tutti, davvero! ma non riesco nemmeno a tirar fuori quelle quattro parole.

Un giorno i miei fratelli mi portano alla fiera, costretti da ma'. Sam spinge la carrozzella, l'aria aperta mi abbraccia come una vecchia amica. Il mondo sembra cambiato in mia assenza. È come se l'avessero ripulito in previsione di una visita del papa, o qualcosa del genere. Sam mi spinge in tutta fretta per le strade, non vuole che nessuno ci fermi a fare domande su di me. Sento il chiasso della fiera estiva. Le grida, la parlantina sciolta degli imbonitori, le sirene che partono quando qualcuno fa centro – quel chiasso dice tutto. Dice: evviva la fiera!

Dirk ci precede di diversi metri. La sua schiena si vergogna. Prende la via del Sole, supera il Bar del Sole e io e Sam dietro. La fiera si allontana, sento solo i picchi dei rumori, adesso, e l'eco che si spegne. Niente fiera, quindi. Giro la testa verso Sam, che si lancia con me per le strade a una velocità da primato. Arriviamo in fondo al paese, dove c'è la vecchia fattoria di Hoving. Lì ci fermiamo, Dirk ha già passato il cancello. Sono secoli che non vengo qui.

"Dammi una mano!" urla Sam.

Le ruote della carrozzella non vanno nell'erba alta, con l'acetosa e i papaveri. Dirk torna indietro e lo aiuta a spingere la carrozzella nel giardino di Rinus Hoving, che è morto. La fattoria è disabitata e finché i suoi eredi continueranno a litigare su cosa farne resterà così. Mi fanno passare dalla porta del retro-cucina. Le piastrelle rosse sono coperte da un tappeto di polvere. Vedo diverse impronte di scarpe. Mi spingono attraverso la cucina e poi lungo un corridoio fino al grande soggiorno, e mi piazzano dietro le porte scorrevoli del mezzanino.

"Mettilo davanti alla finestra", dice Dirk, "così può guardare fuori."

"Metticelo tu."

Sam viene sfiorato da un dubbio. Dirk no. A lui dubbi non ne vengono mai, è troppo stupido per averne.

"Guarda che non possiamo farlo", dice Sam.

"È colpa sua se è ridotto così, e io non ho nessuna intenzione di andare sulla giostra con lui, se è questo che lei pensa."

"Lei" è ma'. Non che Dirk abbia alcun rispetto per quello che pensa, solo che ma' ha un valido strumento a sua disposizione: le mani di pa'. Spunta la testa di Sam.

"Torniamo presto, Fransje, un'oretta e siamo qui."

Dopo di che scompaiono.

Fantastico, parcheggiato come un mucchio di rottami in una casa in demolizione. Così adesso sai di che cosa sono capaci. Non che prima non lo sapessi, aspettavo solo la conferma dei fatti. I fatti sono sempre meno peggio delle supposizioni. E il fatto è che sono qui bloccato in una casa buia che mi fiata sul collo. Con vista su un davanzale pieno di mosconi morti, ragnatele e gattini di polvere. Le mie paure hanno tutte un occhio aperto, mica le freghi quelle, sono sveglie come grilli! E adesso urlano tutte insieme! Bestie! Pedofili! Spiriti! Insomma: panico. Ma per quanto si può continuare ad aver paura senza che succeda niente? Perché dopo un po' cominci a sentirti ridicolo e quando vedi che proprio non succede niente, cominci a ridere di te stesso... Ma questo cos'è? un rumore! Lo giuro! Ho sentito sbattere una porta e poi qualcosa che cadeva... Giro la testa, mi costa un tale sforzo da farmi gemere come un deficiente. Come se dovessi abbattere un albero con la fronte. Ed eccolo lì, sulla soglia...

"Ciao", dice la figura senza muoversi.

Una voce di ragazzo. Guardo contro la luce che viene dalla cucina e vedo solo la sua silhouette ritagliata nel vano della porta. Si avvicina. Un ragazzo, dio sia lodato, nient'altro che un ragazzo. Mi si piazza davanti e mi esamina senza alcun ritegno. Il suo sguardo scivola sulle staffe che mi bloccano i piedi, sul sedile blu — puro skai, signore — sui tubi cromati e sulla leva, a destra, con l'impugnatura di legno, che serve a orientare le rotelline anteriori e a trasmettere la forza del braccio alle ruote posteriori, in modo che uno possa manovrare la carrozzella autonomamente. Comprata in crescita, ovviamente. Ma a parte questo, una carrozzella di prima qualità, sempre tenuta al chiuso e tutto quanto. Dicono che un giorno potrò guidarla da solo, ma ora come ora non ho nemmeno la forza di scacciare una mosca.

"Ciao", ripete il ragazzo. "Sei muto?"

Capelli castani, occhi chiari. Taglio da scodella in testa. Si gira e guarda fuori dalla finestra. Il giardino di Hoving: trifoglio rosso, ortiche e papaveri, fiori che amano farsi ammirare ma poi si offendono così tanto se li raccogli che appassiscono subito.

"Ti hanno parcheggiato qui, eh?" dice con lo sguardo rivolto a Lomark. Le cabine della grande ruota panoramica spuntano sopra i tetti delle case. Annuisce.

"Ho sentito parlare di te. Sei uno degli Hermans, quelli dell'impresa di demolizioni. Dicono che ti ha fatto un miracolo la Madonna. Ma non è che si veda molto, detto senza offesa. Perché se questo è un miracolo, una punizione cos'è, se capisci quel che voglio dire."

Annuisce di nuovo, con l'aria di essere del tutto d'accordo con se stesso.

"Mi chiamo Joe Speedboat", aggiunge poi. "Sono arrivato da poco. Abitiamo nell'Achterom, ovvero nel Retro, lo sai dov'è?"

Mani larghe, dita corte. Piedi anche larghi, su cui sta piantato come un samurai, argomento che per caso conosco un po', i samurai. Il seppuku, per esempio, la morte scelta per evitare il disonore, in cui ti squarci il ventre con una spada corta, dal basso verso l'alto, da sinistra a destra. Dalla lunghezza del taglio si misura il coraggio del samurai. Ma non era questo il punto.

Messo capisco che cosa manda in bestia Dirk, perché questo Joe c'è l'ha scritto in faccia chiaro come il sole: lui non ha paura. Ehi, Joe Speedboat, bombarolo svegliagente — con i tuoi pantaloni tagliati e i tuoi sandalacci di cuoio indurito, dove sei stato finora?

"Aspetta, vado a prendere una cosa", dice.

Scompare dal mio campo visivo, sento che sale una scala e poi i suoi passi sopra la mia testa. Che cosa c'è lassù, il suo laboratorio? Dove fabbrica le sue bombe e roba simile? C'è la sala comandi di Joe Speedboat? Quando scende ha in mano un timer da lavatrice e due pile Gatto Nero. Si siede sul davanzale e armeggiando con aria concentrata collega i poli delle due pile. Poi monta un dente d'arresto e posiziona il timer sullo zero. Solleva gli occhi.

"C'è andata male al trasloco", dice con tono grave. "Un incidente. Mio padre è morto."

Poi si china di nuovo sul suo lavoro.

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Pagina 50

Un animale aiuta, contro la solitudine. Ma non tutti gli animali. Prendi i conigli, per esempio, non ne cavi un fico secco, sono dei veri scimuniti. Anche i cani mi danno sui nervi. Quella che avrei voluto era una taccola, uno di quei piccoli corvi con il collo argentato e gli occhi azzurri chiari. Le taccole sono dolci e il loro verso, più che nelle cornacchie o nei corvi neri, assomiglia alle voci degli uomini. Soprattutto la sera, quando un'intera colonia si posava sui castagni lungo il Bleiburg e chiacchierava fino al calare del buio, e poi a volte sentivi ancora un ultimo "cra", quando una di loro cadeva da un ramo. In più sono creature molto pulite. Ogni tanto le vedi nei campi accanto a una pozza che immergono la testa facendo scorrere l'acqua sul dorso e sulle ali fino a che non si sono lavate tutte.

Sapevo dove trovarle. In primavera facevano il nido in un boschetto di alberi mezzi morti intorno a uno stagno, una di quelle pozze rimaste fin dai tempi in cui era ceduto l'argine. Una volta provocava tragedie enormi, la rottura di un argine, tragedie in cui morivano migliaia di persone. Dove rompeva, il fiume entrava nel terreno con un vortice che scavava dietro l'argine una buca profonda. Quando poi veniva ricostruito, il terrapieno ne seguiva il perimetro, il che spiega le curve a gomito che si incontrano su certi vecchi argini.

Le taccole nidificavano nelle fessure e nelle cavità degli alberi e un mercoledì pomeriggio feci capire a Sam che doveva procurarmene una.

"Okay", rispose.

Mi seguì, tenendo una mano sulla carrozzella e parlando tutto il tempo di scemenze in perfetto stile samesco. Ogni tanto penso che deve avere qualche menomazione alla corteccia cerebrale.

Osservai le golene, dove l'acqua si era ritirata di nuovo oltre l'argine interno. Lì gli alberi avevano i piedi più scuri, si vedeva fino a dove era arrivato il fiume in inverno. Scorsi dei puntini neri in cima agli alberi. Ero eccitato. Volevo una taccola anche perché sono uccelli fedeli: una coppia di taccole resta insieme tutta la vita e se ne prendi una da piccola ti si affeziona allo stesso modo. Ma devi catturarla appena nata.

"Devo andare laggiù!?" fece Sam quando gli indicai gli alberi.

Protestò un po', ma alla fine scese l'argine a quattro zampe. Si piazzò vicino a un albero con i rami bassi, e rimase con il naso insù finché non vide arrivare una giovane taccola che aveva lì il suo nido. Poi si arrampicò. Gli uccelli volteggiavano nervosamente attorno alle cime, sapevano che quell'intrusione non prometteva niente di buono. Avevo freddo, l'inverno era ancora sospeso tra gli strati d'aria più tiepida portati dalla primavera. Era quasi il tramonto e ci voleva uno sforzo per distinguere le cose in lontananza. Gli alberi attorno allo stagno sembravano contaminati da qualche veleno, erano praticamente morti, alcuni perdevano già la corteccia e si ergevano li nudi e freddi. Sam aveva raggiunto un ramo a circa un terzo di altezza e continuava a salire goffamente. Evidentemente non doveva essere in prima fila, quando erano state distribuite intelligenza e agilità. A essere sinceri aveva un'unica qualità, era piuttosto mite, sempre che la mitezza sia una dote e non un'aberrazione dovuta alla mancanza di quella crudeltà che tiene in piedi tipi come Dirk.

Sam era a un metro dal nido quando di colpo si bloccò. Per quanto strizzassi gli occhi, non arrivavo a capire cos'era successo. Dopo un po' lo sentii urlare frasi piene di porci e di madonne. Era in preda al panico. Non mi sembrava un gran bel posto per farsi prendere dal panico. Sono le cose che mi mandano in bestia. Lui laggiù, sospeso tra cielo e terra, e io inchiodato su quell'argine, che non potevo far altro che tornare in paese a chiedere aiuto, sperando che nel frattempo lui riuscisse a tener duro, lassù sul suo albero. Pompai indietro alla massima velocità. E per un pezzo continuavo a sentire le strida allarmate delle taccole che volteggiavano intorno al povero Sam.

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